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SETTIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo ottavo volume della serie VII inizia con la nomina di Dino Grandi a ministro degli Affari Esteri e giunge fino al 14 aprhl.e 1930, giorno nel quale ebbe praticamente termine per l'Italia la conferenza navale di Londra.

2. La documentazione è tratta quasi completamente dall'Archivio Storrico del M1nistero degli Affari Este,ri.

Come accennato nel corso del presente volume (p. 217), nota 2), durante la riunione del Consiglio dei ministri del 6 novembre 1929 Grandi affermò la necessità di riorganizzare taluni servizi del Ministero, in particolare quelli della cifra, degli archivi e dei corrieri. Tuttavia l'archiviazione dei telegrammi, cioè dei documenti dell'ufficio Cifm, non presenta mutamenti di rilievo, tranne la scomparsa, col 1931, della serie dei telegrammi di Gabinetto, la quale peraltro già negli anni precedenti era andata riducendosi fortemente. Invece col 1930 hanno termine i fondi che raccolgono la documentazione non telegrafica: la Serie Politica (1919-1930) e la serie di Gabinetto. I documenti della Serie Politica sono stati raccolti in due fondi: uno principale, con lo stesso nome, ed uno secondario, la posizione Registrazione Generale, mentre quelli di Gabinetto sono andati dispersi nei vari fondi, spesso miscellanei, cui si è accennato nella Introduzione del precedente volume.

La Serie Politica sfruttata per questo volume è quasi unicamente quella relativa al pel'liodo 1919-1930; fa eccezione la documentazione relativa alla Santa Sede e, in un solo caso, quella relativa all'Arabia, per le quali si è fatto ricorso al nuovo fondo.

Ampio materiale è sta~to tratto dagli altri fondi dell'Archivio Storico del Ministero: dalla serie di Gabinetto per l'anno 1929 (pacchi 132 e 140); dalle Carte LanceHotti, posizione 11-12 (in corso di riordinamento); da'l fondo Conferenza Generale del Disarmo (pacco 15); dal fondo inventa,riato della Segreteria Generale (paoco 341); dal fondo non inventariato della Segreteria Generale, H cui pacco 6 è stato di particolare importanza perchè contiene, in copia, la documentazione sulla Conferenza Navale di Londra; dal fondo Conferenza Navale Italia Francia Gran Bretagna, V, che ha consenUto di integrare la documentazione sulla Conferenza di Londra; dal fondo Società delle Nazioni (posizioni l, A/1, 17, 39).

3. Alcuni documenti sono conservati in altri archiv,i: in particolare, in quello dell'Ufficio Storico della Marina (documenti nn. 171, 176, 287, 288, 483, 493), nello spezzone delle Carte Grandi, conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato (documento n. 253) e nel fondo del Ministero della Cultrura Popo~are, che si trova presso il medesimo Archivio Cent,ra,le (documento n. 197). La documentazione conservata in questi e in altri archivi è stata sfruttata per numerose note. Ricordiamo le Carte Aldrovandi Marescotti, versate nell'Archivio Storico del Ministero degli Esteri; il fondo conservato in microfilm a Washington presso i National Archives sotto il titolo The Persona~ Papers of Benito Mussolini (un altro esemplare si trova a Oxford presso H St. Anthony College); alcuni fondi conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato (Carte Graziani, Segreteria del Duce -carteggio riservato, Ve1·ba~i de~ Consiglio dei ministri, Presidenza de~ Consiglio).

Manca purtroppo il contr.ibuto, che certo sarebbe stato di grande importanza, delle ·carte personali di Dino Grandi, la cui consultazione non è stata ancora possibile. Nonostante questa ·lacuna, la Commissione ha ritenuto opportuno di iniziare ugualmente la pubblicazione dei volumi che coprono il periodo nel quale Grandi fu ministro per mettère intanto a disposizione deg~i studiosi la documentazione accessibile.

4. Nella ·scelta dei documenti del presente volume si è dato ampio spazio alla Conferenza Navale di Londra, nel corso della quale fu affrontato, sotto il suo profilo politico, il problema della parità fra ItaHa e Francia. Tale criterio nella scelta dei documenti si giustifica con la preminente importanza che, nell'ambito della questione del disarmo, ebbe per la diplomazia italiana ·la parità navale con la Francia, e col fatto che gli aspetti fondamentali della questione, anche per quanto riguarda i suoi successiv·i sviluppi, furono discussi nel corso della Conferenza di Londra. Poichè durante 'la Conferenza il ministro degli Esteri Grandi fu quasi sempre a Londra, ne1la parte del volume dedicata a questo periodo è stata data la precedenza al carteggio fra Roma e Londra, anche se non telegrafico, sugli altri documenti dello stesso giorno.

Per le relazioni italo-ungheresi si è tenuto conto, oltre che dei lavori di Kerekes già citati nei volumi precedenti, dell'opera di NEMES DEzso, A Bethlen-kormany kiilpolitikaja l 927-l931 ben, Budapest, 1964, la quale si basa sulla documentazione raccolta da KARSAI ELEK, A magyar ellenforradalmi rendszer kiilpolitikaja. 1927 Jamwr 1 -1931 Augusztus 24, Budapest, 1967.

5. Nel licenziare il volume desidero ringraziare il Prof. Leopoldo Sandri, il Dr. Costanzo Casucci, l'Ammiraglio di squadra Carlo Paladini e il Generale Giovanni Bernardi.

Le Dottoresse Emma Ghisalberti e Emma !annetti hanno collaborato come di consueto alla compilazione degli indici e alla correzione delle bozze.

GIAMPIERO CAROCCI

Abbreviazioni usate:

ACS Archivio Centrale dello Stato USM Ufficio Storico della Marina


DOCUMENTI
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1

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ALDROVANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

T. GAB. PER CORRIERE S. 61/1342. Berlino, 14 settembre 1929 (per. il 20).

Il Comm. Rocco mi ha presentato la seguente relazione su un suo colloquio coll'attuale reggente di questo Ministero degli affari esteri dottor Koepke:

• Riferisco a V. E., in conformità delle sue istruzioni, intorno alla conversazione avuta col direttore ministeriale Koepke, in occasione della mia visita di congedo, fattagli ieri.

Il Koepke mi ha detto molte cose gentili, all'indirizzo mio e di mia moglie, esprimendo il rammarico che provava per la nostra partenza. Parlando, così, delle sue buone relazioni personali con l'ambasciata d'Italia, mi ha detto che esse sono oramai per lui una tradizione, ed ha aggiunto: "È anzi deplorevole che cosi nei vostri che nei nostri ambienti ci siano persone che mettono in giro voci su pretesi cattivi rapporti fra noi. I rapporti personali sono ottimi, in quanto ai rapporti politici essi sono anche buoni. Bisogna infatti vedere le cose come sono in relazione a tutta la situazione politica generale. Per esempio, io ritengo che sia desiderabile, nell'interesse di tutti, che le relazioni tra l'Italia e la Francia possano migliorare e che i punti di divergenza possano essere appianati. Non sono dell'avviso che una tensione italo-francese possa giovare all'Italia e alla Germania o una tensione italo-tedesca all'Italia e alla Francia. Credo, che in Italia specialmente, ci siano delle opinioni errate a questo riguardo. C'è forse da voi gente che crede fermamente di poter contare su un immediato schieramento in forze della Germania con l'Italia in caso di un pericolo di guerra di questa con la Francia. Ebbene questa ipotesi dimentica od ignora il fattore essenziale delle condizioni interne tedesche. Credete pure che se oggi in Germania si dovesse parlar di mobilitazione o di guerra scoppierebbe una nuova rivoluzione. La rivoluzione del resto da noi non si può dire finita. La situazione è tutt'altro che tranquilla, il paese ha bisogno e desiderio di calma, ed una mobilitazione produrrebbe un nuovo sconvolgimento. Perciò ritengo che le buone relazioni siano da coltivare e facilitare, ed ho fiducia che andiamo incontro ad un periodo di sempre maggiore intimità e fiducia fra i nostri paesi. Vedete, ad esempio la questione dell'Alto Adige. Essa ha migliorato fra noi in modo notevolissimo in questi ultimi anni ".

Ritornando ad un tono di conversazione più personale, mi ha rinnovato le espressioni di amicizia e simpatia per V. E., e mi ha detto essere spiacente che io non possa continuare a partecipare al lavoro di questo periodo favorevole che egli prevede.

•... Nulla sarà mutato nel mio lavoro quotidiano -e nel mio spirito.

Io resto, come sono stato, il tuo sottosegretario, come tu mi hai insegnato ad essere, e come io t.o imparato ad essere •. (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, fase Grandi 205/R sottof. 6). Ma sugli accorgimenti usati da Grandi nelle sue relazioni person~li con Mussolini cfr. l'accenno di R. GuARIGLIA, Ricordi 1922-1946, Napoli, 1950, p. 63.

Essendomi limitato ad ascoltare la parte politica delle sue dichiarazioni, lo ho ringraziato per le cortesi espressioni personali, esprimendo a mia volta, nelle forme di circostanza, il rammarico di lasciare la residenza per le esigenze del servizio.

Mi ha quindi chiesto se sapessi a quale servizio io sarò assegnato al Ministero, esprimendo la speranza che io possa continuare, anche altrove, ad occuparmi di affari tedeschi, in considerazione delle simpatie incontrate qui nel mio breve soggiorno.

La conversazione si è svolta in tedesco •. Quanto ha detto il direttore generale Koepke al Comm. Rocco è assai notevole, e merita, a mio avviso, la particolare attenzione di V. E.

Koepke è persona equilibrata e serena, di felice temperamento, e tutti lodano il suo modo di trattare gli affari. Egli è assai indipendente nei suoi giudizi, e gode di molta stima e simpatia all'Auswaertiges Amt, dove però la sua influenza è assai scarsa, di fronte a Stresemann, a Schubert, a Gaus.

Alle sue osservazioni si potrebbe aggiungere che, oltre il pericolo di rivoluzione interna in Germania in caso di mobilitazione, occorre tener conto delle difficoltà speciali, per un immediato schieramento di forze, nella Germania disarmata. È tuttavia singolare che Koepke abbia omesso questa constatazione. Ciò si deve probabilmente ed unicamente ad amor proprio o pudore.

Per il resto, in massima, concordo.

Koepke, funzionario subordinato, ha potuto esprimersi con maggior confidenza con il consigliere Rocco che con me. Forse anche, egli ha voluto seminare un buon ricordo della Germania in un funzionario di valore, che la lascia, per andare a lavorare al centro della politica estera italiana.

Credo bisogni inoltre tener conto di due fatti: che Koepke sembra avere reali simpatie per l'Italia, ciò che non appare nè in Stresemann nè in Schubert; che, più di Stresemann.o Schubert, Koepke, con altri elementi dell'Auswaertiges Amt, meno responsabili del ministro e del segretario di stato, dimostra talora un senso nazionalista che quelli, per necessità politiche, comprimono; anche se in fondo all'animo loro esista e covi, e, io non dubito, potrebbe eventualmente scoppiare, in modo brutale, con colpi di pugno e di cannone, se e quando possibile.

Sotto taluni punti di vista Koepke si trova, nei suoi sentimenti verso di noi,

più vicino all'ambasciatore tedesco a Roma che non ai capi di Berlino.

Ma le dichiarazioni di Koepke al consigliere dell'ambasciata, circa la pos

sibilità di coltivare e facilitare le relazioni di fiducia e di intimità nei due paesi,

giungono pochi giorni dopo della campagna contro l'utilità della collaborazione

itala-tedesca, evidentemente ispirata, ed apparsa in Germania, nei giornali di

provincia sotto l'influsso della unità di fronte itala-francese all'Aja, da me

segnalata a V. E. e ricordata in questa stessa settimana a Koepke, che non

trovò parole da replicarvi.

Tutto ciò sembra far apparire, in definitiva, che la nostra politica con la

Germania non può essere diversa da quella svolta in questi ultimi tre anni,

in conformità alle istruzioni di S. E. il Capo del Governo, e definitami perso

nalmente da V. E. anche nell'aprile scorso; e cioè di attesa, da parte nostra;

con valorizzazione della nostra nuova Rinascita; con azione atta ad evitare grossi incidenti; disposti ad accrescerne la cordialità ed efficienza; ma quando la Germania cessi dall'atteggiamento di altezzosità tenuto verso l'Italia da Bismarck fino a Bethmann-Hollweg, attraverso le apparenti melliflue lusinghe del principe di Blilow; e riconosca che se ciò fu errore, che tornò a danno tedesco, sarebbe incomprensione ancor più grave oggi, nel settimo anno dell'era fascista.

Un'ultima osservazione occorre fare. Come ho più volte riferito, la politica estera tedesca in questi ultimi anni ha perseguito uno scopo principale: la liberazione, o la anticipata liberazione, dei territori renani. Questa politica implicava la necessità di una amicizia, od apparente amicizia, verso la Francia; ed impediva un atteggiamento di avvicinamento all'Italia, date le relazioni talora tese tra l'Italia e Francia. Negli ultimi giorni dell'agosto scorso, all'Aja, la Germania ha raggiunto il suo scopo. È stato promesso lo sgombero completo del Reno entro il 30 giugno dell'anno venturo. La Germania acquista così maggiore facilità di manovra nel campo della politica estera.

Ecco che la frase del reggente questo ministero esteri che prevede • un prossimo periodo di sempre maggiore intimità • fra Germania ed Italia è di tutto ciò una riprova (1).

(l) Il 12 settembre Grandi aveva inviato a Mussolini una lettera di ringraziamento per la nomina a ministro :

2

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. s. 1461/149. Addis Abeba, 14 settembre 1929.

In conformità della richiesta rivoltami dall'E. V. in fine al Suo telegramma

n. 210, sviluppo il concetto espresso nel mio telegramma n. 229 e cioè che la passione dimostrata dal Negus per aeroplani, carri d'assalto, auto-blinde ecc. possa condurlo, mentre svolge contemporaneamente anche un programma di riforme sempre più vasto e costoso, a trovarsi in seri imbarazzi finanziari, tali da compromettere non solo la sua situazione personale ma forse anche le sorti del Paese od almeno tali da diminuire od alienare l'indipendenza finanziaria fin qui goduta dall'Etiopia.

Anni addietro, col mio rapporto sulle • Finanze Etiopiche •, credo di aver dimostrato quale sia la fragilità finanziaria di questo Impero. Da allora la situazione è mutata, ma non in meglio. Se, da una parte, sono aumentate le entrate doganali (tuttora il principale cespite d'entrata) vi sono oggi delle spese delle quali deploravo allora la mancanza. Da parecchi anni è ormai sul Trono un Principe riformatore e gli effetti della sua politica cominciano a vedersi ed a farsi sentire. Scuole, Ospedali, Maternità, Asili, Insegnanti, Medici, Veterinari, Agronomi : tutto ciò implica ormai delle spese considerevoli per le finanze personali del Negus e per quelle governative. Ed il movimento si estende ora verso le provincie.

Ultimamente poi il Negus ha acquistato sei carri d'assalto, un aeroplano ed una auto-blinda in Italia, oltre la nota fornitura d'armi: un importo di vari

S. -E. Mussolini. Segno dei tempi! • (Carte Aldrovandi Marescotti, busta 10).

milioni di lire. In Francia tre aeroplani Potez e materiale: un milione e mezzo di franchi. In Germania un aeroplano Junkers ed un hangar smontabile:

250.000 marchi. Ed ancora una quantità di automobili di lusso di varie marche, di camions ecc.

Di tutte queste spese, quella per l'aviazione più si presta a trascinare il Negus verso l'ignoto. Infatti sappiamo cosa costi il mantenimento in efficienza dei velivoli, il consumo ecc.: il Negus dovrà fin d'ora provvedere alla costruzione di due aerodromi in Addis Abeba (uno pei francesi e l'altro per i tedeschi) e se vorrà servirsi dei suoi velivoli dovrà stipendiare un personale europeo costosissimo. Non è verosimile che l'aviazione possa funzionare con personale abissino: se pure si troverà, col tempo, un pilota, non si troveranno mai i meccanici indigeni capaci di mettere a punto un motore. È ormai nota la nervosità degli orientali che li rende poco sicuri come piloti e la loro assoluta incapacità a rendersi conto con padronanza del complicato meccanismo di un motore. Queste deficienze sono anche più palesi che altrove in Abissinia. Ad esempio, il nostro istruttore qui venuto col carro d'assalto donato al Negus dal R. Governo, in due anni di permanenza non è riuscito a formare più di due allievi, i quali poi sono unicamente capaci di manovrare il carro su terreno piano e non accidentato, ma si sono sempre rifiutati di arrischiarsi in qualsiasi di quelle ardite manovre in terreno accidentato che sono la caratteristica e lo scopo dei

• Tanks •!

Frattanto il personale d'aviazione finora assunto dal Negus è il seguente: due piloti tedeschi a 90 sterline mensili e due meccanici a 50 sterline; un pilota francese a 1.300 Talleri mensili ed un meccanico a 700. In occasione del loro arrivo coi due primi aeroplani il Negus ha donato ai due piloti (un tedesco ed un francese) 100.000 franchi ognuno e 30.000 franchi ciascuno ai due meccanici.

Queste sono somme considerevoli per un Paese senza bilancio e le cui :risorse naturali o non sono sfruttate o sono sperperate e inaridite dal malgoverno. Come ho detto, le più importanti risorse finanziarie liquide provengono dal gettito delle dogane. I proventi di queste sono in considerevole aumento dall'epoca cui si riferisce il mio citato rapporto (1917): quelli di Dire Daua -Harrar sono saliti a 2.100.000 Talleri e per Addis Abeba a circa 3 milioni di Talleri. Queste sono cifre sicure avute confidenzialmente. Così saranno aumentati i proventi doganali verso l'Eritrea in proporzione dell'aumento del traffico verificatosi e che risulta dai miei rapporti commerciali, mentre quelli delle dogane minori sono rimasti stazionari.

Ma cosa rappresentano queste somme per uno Stato che vuole avviarsi verso la civilizzazione, attuando coi proprii mezzi un programma di riforme? Occorre pure tener presente che le dogane sono una tentazione per tutti, a cominciare dall'Imperatrice e dal Negus, i quali in realtà non possono ancora dipartirsi dalla secolare usanza orientale che confonde tesoro statale e tesoro personale. Recentemente, ad esempio, l'Imperatrice ordinò che tutti i proventi della dogana di Dire Daua fossero devoluti a suo zio, Ras Hapte-Mariam. Sorpresa e costernazione del Negus che intravedeva una catastrofe. Dopo lunghe trattative fu possibile finalmente di persuadere l'Imperatrice a ridurre lo straordinario assegno a 500.000 Talleri, pur sempre una somma elevatissima. E ciò può ripetersi per altri capi. Da parte sua il Negus, con sistemi diversi, si servirebbe delle dogane per aumentare i suoi proventi personali: una parte del gettito doganale di Addis Abeba sarebbe passato a lui direttamente dal Direttore delle Dogane, un • giovane abissino • suo fido, il quale, a sua volta, si ricompenserà da sè pel servizio. Ciò mi assicura persona degna di fede in grado di saperlo. Inoltre il Negus diminuisce i proventi doganali con le entrate in franchigia di merci in quantità ingenti: centinaia di balle di cotonate e tonnellate di lamiere ondulate importate in franchigia e trasportate a mezza tariffa sul

C.F.E. (l) come merci pel Governo etiopico (vestizione dei soldati e costruzioni governative) e poi rivendute sul mercato a prezzi che naturalmente sfidano qualsiasi concorrenza! Questo sistema sta anzi prendendo un tale sviluppo che il Corpo Diplomatico si propone di intervenire per porre un termine a questa sleale concorrenza, diretta dallo stesso Sovrano, che pone i commercianti stranieri in condizioni di inferiorità!

Lo sviluppo delle vie di comunicazione è naturalmente compreso nel programma del Negus. Vi sono attualmente in costruzione pel conto del Negus la rotabile del Gimma e quella da Dire Daua a Harrar. Somme considerevoli sono già state sperperate senza importanti risultati. Proprio in questi giorni il connazionale Castagna ha ricevuto incarico di provvedere allo studio ed alla costruzione di una rotabile Moroccò-Sidamo e di quella da Addis Abeba verso Dessié. Sono centinaia di chilometri di strade e centinaia di opere d'arte, di ponti metallici ecc.! Come se ciò non bastasse, il Governo etiopico vorrebbe costruire da sè il tronco in suo territorio della Assab-Dessié. Come si può prendere sul serio tale pretesa ed allarmarsene?

Fra i lavori pubblici segnalo l'impianto di una centrale elettrica in Addis Abeba: circa tre o quattro milioni di lire. Per il Lago Tzana poi, secondo i progetti della Ditta americana in trattative col Governo etiopico, questo per finanziare e garantire il progetto White dovrebbe sborsare, oltre i proventi per la cessione delle acque al Governo del Sudan, circa un milione e mezzo di Talleri annui!

A tutto ciò si aggiunga la crisi economica che imperversa in Etiopia, per la distruzione dei raccolti causata dalla siccità e dalle cavallette, per la diminuita esportazione in seguito alla crisi nel mercato delle pelli, per il ribasso del Tallero, per l'interruzione della linea ferroviaria in seguito al crollo di un ponte che ha determinato per vari mesi la sospensione quasi completa del trasporto delle merci, ecc. Se anche i raccolti di quest'anno, nelle più fertili regioni, andranno distrutti dalle cavallette (che sono rimaste nel paese e sono già segnalate in vari punti) la situazione diventerebbe addirittura disastrosa: il Governo etiopico dovrebbe provvedere all'importazione di ingenti quantità di granaglie, mentre cesserebbero i tributi ed i proventi delle decime.

È lecito quindi domandarsi, studiando questo complesso di cause brevemente accennate, per quanto ancora l'Etiopia potrà • fare da sè • senza ricorrere a prestiti esteri od all'aiuto della finanza internazionale? Si sa ciò che significherebbe un simile intervento: per ottenere capitali esteri sarà indispensabile fornire serie garanzie. È prevedibile che queste non potrebbero essere fornite che dalle dogane imperiali, ben inteso amministrate diversamente sotto

4 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

il controllo di chi concede il prestito! Sappiamo quali prospettive si aprirebbero in questa eventualità che potrebbe allora veramente significare l'apertura dell'Etiopia alla penetrazione europea. Il giorno che ingenti capitali internazionali (mi auguro italiani in prevalenza) fossero investiti in Etiopia è sperabile che i Governi interessati dimostrerebbero una maggiore severità verso questa parodia di ... [par. ill.].

Finora non risulta che il Governo etiopico abbia modificato la sua linea di condotta finanziaria. Come segnalai, a suo tempo, si rivolse lo scorso anno alla Bank of Abyssinia, Banca di Stato, per ottenere un prestito di tre milioni di Talleri ma l'affare non fu concluso perchè la Banca non considerò sufficienti le garanzie offerte da questo Governo.

In conclusione io ritengo, come ho avuto occasione di esporre anche altrove, che una modificazione della paradossale situazione attuale dell'Etiopia possa forse attendersi con maggiore probabilità da un momentaneo consolidamento del Negus e da una susseguente accelerazione del movimento riformatore in modo da provocare una rottura dell'equilibrio così faticosamente mantenuto nel Paese, che non avrebbe i mezzi nè i quadri da fronteggiare la nuova situazione, anzichè attendere questa modificazione dalle discordie intestine che da secoli si rinnovano e si calmano senza ripercussione sulla compagine dell'Impero e sulla sua esistenza come stato indipendente.

Copia del presente rapporto trasmetto direttamente al R. Ministero delle Colonie (1).

(l) -Cfr. anche il seguente passo di una l. p. Aldrovandi Marescotti per Grandi, s. d. ma probabilmente settembre 1929: • Ho frequentato in questi ultimi tempi ambienti nazionali tedeschi che accolgono a casa loro l'Ambasciatore d'Italia, non avendo mai ricevuto finora rappresentanti dell'Intesa. Più volte il padrone di casa ha levato il bicchiere in onore di

(l) Chemin de Fer Ethiopien.

3

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONCINI DUCA

L. 6150. Roma, 15 settembre 1929.

Non posso nasconderle che la Sua lettera (2) è stata fonte per me di qualche sorpresa. Il Governo fascista ha applicato e sta applicando -nello spirito e nella lettera -il Concordato dell'll febbraio. Ora in nessun articolo di detto Concordato è menzione della celebrazione o meno del 20 settembre. Tale data figura nella legge che stabilisce il numero delle feste civili ed io non intendo di modificare la legge. Passando al merito, io debbo -con tutta franchezza dichiararLe che gli italiani non possono rinunciare alla celebrazione del 20 settembre, in quanto senza gli avvenimenti del 20 settembre 1870 non ci sarebbero stati quelli dell'll febbraio 1929. V. E. mi dirà che il male resta tale anche se a lungo andare produce un bene. Contesto perchè ritengo che il 20 settembre 1870 sia stato un bene per tutti e anche per la Chiesa. Lo Stato della Città del Vaticano non ha quindi la minima ragione di dolersi di un avvenimento che -evidentemente -rientrava nei disegni della Provvidenza Divina, anche perchè doveva sboccare a 59 anni di distanza negli accordi Lateranensi.

(l) -A proposito del problema abissino, il Re fece inviare a Grandi il 20 settembre il fase. 37 della Revue Hebdomadaire segnalandogli l'articolo " Notes d'un voyage en Abyssinie » (pp. 225 sgg.). Il 25 settembre Grandi restituì a Mattioli Pasqualini il fascicolo, commentando: " L'articolo sull'Abissinia è veramente interessante, ed anche -in un certo senso -confortante per noi • (ACS, Carte Grandi, fase. 2). (2) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 621.
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IL DELEGATO ALLA SOCIETA DELLE NAZIONI, SCIALOJA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3787/31. Ginevra, 17 settembre 1929, ore 21 (per. ore 22,35).

Mozione presentata ad Assemblea da Danimarca Olanda Polonia tendente

mettere Banca internazionale e piano Young sotto il controllo Società delle

Nazioni sulla base articolo 24 patto è stata inviata per discussione alla seconda

commissione.

Onorevole Suvich nostro rappresentante detta commissione ritiene conve

niente combattere proposta in parola per seguenti considerazioni:

l) essa impedirebbe partecipazione Stati Uniti America del Nord;

2) si aumenterebbe importanza ed autorità Società delle Nazioni campo

economico contro nostri interessi;

3) si darebbe a Società delle Nazioni ingerenza in questione riparazioni

ciò che è pericoloso per (l) fine questione stessa. Consta all'onorevole

Suvich che anche Francia intende combattere mozione in parola.

Ritengo utile comunicare presente telegramma Mosconi Stringher (2).

Sugli interventi della S. d. N. in materia economica cfr. le considerazioni di Paulucci nel t. per corriere rr. 2759/80 del 5 maggio 1928, solo ora rinvenuto e di cui si pubblicano qui i brani seguenti :

c I piani di questi ambienti societari sono cosi vasti e cosi esperta è l'attività del signorSalter (Direttore della politica economica e finanziaria della Lega) che occorre, a mio avviso, seguire l'attuale indirizzo con la maggiore attenzione, e contrastarne lo sviluppo con chiarezza d'intenti e con la maggiore risolutezza.

Siamo infatti agli inizi di un orientamento che, sviluppandosi progressivamente, porterebbe a far della Lega un Superstato, con interferenze pericolose nella vita economica delle singole nazioni e perciò col potere di ostacolare, quando lo voglia, se non proprio paralizzare,l'attività produttrice di quegli Stati che non si piegassero ad esempio alle decisioni dell'Areopago ginevrino. Un tale orientamento, di cui si concretizzano le linee ogni giorno di più, è sopratutto pregiudizievole per un paese, come il nostro, che, dipendendo per tanta parte dall'estero, ha un'economia facilmente vulnerabile in più punti, e che perciò travasi esposto, più di ogni altro, alle minaccie di un organismo internazionale, che assuma le funzioni di fulcro regolatore della vita economica europea...

Tali attività sono destinate ad allargarsi, via via che il comitato consultivo, che raccogliele più alte personalità del mondo produttivo (bancario, mercantile, agricolo, sindacale, dei trusts ecc.) avrà indicato nuovi campi d'azione e formulato nuovi criteri direttivi.

Le iniziative già assunte e i programmi in corso d'attuazione sono tali da destare giustificate preoccupazioni. Nel campo della politica doganale, ad esempio, è nota la tendenza di sostituire all'azione autonoma e contrattuale degli Stati il criterio dei negoziati collettivi, il che è quanto dire sottrarre la politica tariffaria alla giurisdizione sovrana dei singoli Stati e trasferirla ad un ente internazionale che la regoli per via di convenzioni plurilaterali.

Nel campo industriale, è noto che con grandi stenti si riuscl ad impedire lo scorso anno alla Conferenza economica di impegnarsi in una politica di concentrazione industriale e di intese internazionali sulla base di trusts e di cartels...

A parte, d'altronde, la maggiore o minore opportunità delle singole iniziative, ciò che desta preoccupazione è, a mio avviso, il sorgere d'un vasto organismo centrale, che estenda le sue propaggini a tutti i campi della produzione, con programmi organici e continuità d'azione.

Giacché è evidente il pericolo che un organismo siffatto può essere spinto, presto o tardi, a subire le influenze di determinati Governi, o quelle, non meno pericolose, di particolariforze finanziarie a danno dell'economia e dello sviluppo di singoli Paesi.

II criterio, che, a mio avviso, è necessario far prevalere, è che si persista nel sistema finora seguito, e cioè che la sezione economica si limiti a promuovere indirizzi di carattere generale, senza creare soprastrutture inutili, e sopratutto, astenendosi, col pretesto di disciplinare la vita economica mondiale, d'inceppare il libero giuoco delle forze produttive.

. .sostenere una tale direttiva non sarà facile. Tutto lascia prevedere che questi uffici, s1cun dell'appoggio dell'Inghilterra, della Francia, della Germania e dei loro clienti nonché di importanti organismi internazionali, cercheranno di far prevalere le loro direttive, con la tenacia che è propria di tutte le burocrazie, specialmente se potenti ed abili come questa...

Come i dibattiti si svolgono nelle riunioni del settembre è ben noto. Anziché un esame minuzioso dell'attività della Lega durante l'anno, l'Assemblea, organo anch'esso prevalente

(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Rosso invece aveva espresso parere cautamente favorevole a porre la Banca Internazionale sotto il controllo della S. d. N. in modo, diceva, da !imitarne l'attività al settore delle riparazioni. A Roma infatti si temeva che la Banca invadesse altri campi (l. p. Rosso a Buti, Ginevra, 16 settembre 1929).
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3792/268. Vienna, 17 settembre 1929, ore 21,30 (per. ore 9,30 del 18).

Ho detto a Peter che pro bono pacis mi ero astenuto andare fargli rimostranze per le allusioni all'Alto Adige nel recente discorso del cancelliere austriaco a Ginevra. Ma pur con ogni buona volontà di adoperarmi al miglioramento dei nostri rapporti con Austria, non potevo non protestare per discorso pronunciato ieri dal capitano provinciale di Innsbruck in occasione commemorazione ivi fatta 10° anniversario trattato St. Germain. Non avevo ancora ricevuto alcuna comunicazione al riguardo da Ricciardi. Ma anche a voler supporre che il testo integrale non contenesse nulla di più del sunto datone stamane

mente politico, si lascia assorbire quasi esclusivamente dai dibattiti di natura essenzialmente politica. Le decisioni dei comitati tecnici passano in gran parte inosservate. È così che la Lega, grazie all'abile opera della sua burocrazia, è venuta allargando smisuratamente in pochi anni !a sfera delle sue competenze •·

Dopo aver elencato i progetti della S. d. N. in campo economico, Paulucci cosi proseguiva:

c Secondo informazioni ufficiose a me pervenute, tale programma non sarebbe che l'inizio della realizzazione di un piano ben più vasto, che tenderebbe alla soppressione delle trattative dirette tra gli Stati per accordi commerciali, finanziari, doganali ecc. ed all'accentramento a Ginevra di tutte queste attività. È una nuova forma dell'imperialismo inglese, che ha qui come esponente la megalomane e vulcanica attività del Salter.

Il pericolo è grave. Bisogna reagire subito, con prudenza, ma con fermezza...

Contro la politica megalomane della Sezione economica e finanziaria non ho mancato di sollevare la più vivace opposizione della Commissione di controllo. Agendo con molta discrezione sui singoli membri di essa, ho fatto si che gli aumenti di spese della Sezione economica non siano stati approvati, nonostante la calda difesa fattane dal Segretario Generale e dallo stesso Sir Arthur Salter. È la prima volta dall'inizio della S. d. N., che la Commissione di Controllo non approva una parte del bilancio e !o invia puramente e semplicemente all'esame della IV Commissione.

Tutta la prima parte del rapporto redatto da tale Commissione è una violenta requisitoria

contro la pericolosa tendenza del Segretariato ad accrescere, oltre i limiti stabiliti dal Patto, le

sue funzioni. Il Comitato di controllo invita l'Assemblea a considerare attentamente la situa

zione, ritenendo impossibile "assicurare il necessario coordinamento tra le attribuzioni minori

della Lega se anche queste non vengono riportate alla dovuta proporzione con gli scopi pei

quali la S. d. N. fu originariamente creata... ».

Alla tendenza monopolizzatrice della Lega dovrebbe opporsi, a mio avviso, il criterio di

ripartire il lavoro internazionale tra più organismi. Ciò spezzerebbe l'unità di direttiva e,

grazie al giuoco dei reciproci contrasti, diminuirebbe il pericolo d'un organo centrale troppo

potente. Sono note ad esempio le rivalità tra Ufficio Internazionale del Lavoro e Società

delle Nazioni... •·

Cfr. anche le considerazioni dello stesso Paulucci circa il progetto di c tregua doganale •

e circa gli interventi della S. d. N. in materia economica, contenute nel R. rr. 52 del 29 ottobre

1929 del quale si pubblicano i brani seguenti:

« La proposta anglo-franco-belga di partecipare ad una conferenza per la conclusione

della tregua doganale ha raccolto in linea di principio, l'adesione dei delegati della Germania,

della Cecoslovacchia, della Svizzera, della Danimarca, dell'Olanda, dell'Ungheria. Alcuni dele

gati, tuttavia, il delegato Italiano, lo Svedese e quello Norvegese hanno tenuto a dichiarare

che l'adesione del loro Paese doveva intendersi subordinata a quella della totalità o della

larga maggioranza degli altri paesi, ovvero a quella di determinati Paesi.

Contro la tregua, invece si sono dichiarati i delegati dell'Irlanda, del Canadà, dell'Africa

del Sud, dell'Australia, e della Nuova Zelanda. Tutti costoro hanno rivendicato pei loro Governi

piena libertà d'azione in materia tariffaria, facendo presente che tale libertà risponde all'esi

genza fondamentale di non vincolare in alcun modo lo sviluppo delle giovani industrie dei

loro Paesi....

In tale modo non è certo che la Conferenza possa aver luogo ed è pure improbabile che,

attuandosi, essa metta capo ad un risultato positivo. È infatti da osservare che i movimenti

che hanno inspirato i promotori della tregua doganale differiscono profondamente tra loro.

La Francia vorrebbe imbastire una nuova Conferenza Economica -non più di esperti

come nel 1927, ma di diplomatici -allo scopo precipuo di accrescere la propria potenza

mettendosi alla testa del movimento di ricostruzione dell'Economia europea.

La Germania dal canto suo tende alla formazione di una unione doganale Europea che

darebbe modo alle sue industrie di sopraffare quelle meno saldamente attrezzate e organizzate

degli altri Paesi.

L'Inghilterra da ultimo si preoccupa di conseguire delle riduzioni daziarie a vantaggio

delle sue esportazioni e vede con occhio tutt'altro che favorevole uno c Zollverein • europeo,

al quale non potrebbe associarsi senza spezzare la unità dell'Impero, ma dal quale, in pari

da tutti i giornali viennesi, questo mi bastava per farmi sapere avere massimo rappresentante Governo centrale Tirolo dichiarato fra l'altro che cocente ferita non si è affatto cicatrizzata bensì è sempre aperta e duole come per il passato e non vuole chiudersi e che si crede colà fermamente dover giungere giorno in cui sarà necessario procedere ad una revisione giacchè diritto è dalla loro parte e non può essere all'infinito conculcato. Peter contro il solito non ha cercato giustificare l'inqualificabile (l) ed insieme a sue ripetute manifestazioni rincrescimento, si è limitato dire che nessuna notizia preventiva gli era stata data di un simile discorso ancor meno nessuna visione suo tenore, c10 che possibile. Da parte mia ho ripetuto per la millesima volta che sino a che Governo centrale non si deciderà parlare apertamente e fermamente ai capitani provinciali ed a far loro considerare conseguenze loro azione non vi potrà essere durevole miglioramento nostri rapporti. Che anzi poichè ricostituzione italianità Alto Adige procede egregiamente, è prevedibile che essi un giorno diverranno

tempo. non potrebbe restar fuori. senza staccarsi dall"Europa, che è la sua migliore cliente.... Spetta adesso al R. Governo di esaminare l'opportunità o meno di partecipare ad una Conferenza Diplomatica per la conclusione di una tregua doganale.Sin dal Maggio 1928 mi sono permesso attirare ripetutamente l'attenzione di V. E. sui piani egemonici della S. d. N. nel campo dell'economia mondiale.... Queste mie previsioni che allora potevano sembrare a qualcuno troppo pessimiste, sono state e sono purtroppo ogni giorno di più, confermate dai fatti.

Ritengo opportuno far, ancora una volta, presente a V. E. che il programma del Segretariato si ispira al criterio di una stabilizzazione della situazione economica attuale e cioè al consolidamento, mediante intese internazionali, della posizione di predominio dei Paesi attualmente meglio attrezzati, (Francia, Inghilterra, Germania, ecc.). Si estenderebbe cosl al campo economico il criterio del mantenimento dell'equilibrio politico attuale.

Credo opportuno ripetere, anche, che oltre le intese industriali dirette a regolarizzare la produzione delle nazioni produttrici il mezzo, di cui intende valersi l'Organizzazione Economica della Lega per stabilizzare le condizioni produttive è quello di sottrarre gradatamente dalle mani dei Governi la politica doganale, concentrandola in quella dell'organizzazione ginevrina. Il principio affermato al riguardo è: che occorre sostituire al sistema dei trattati bilaterali, il sistema di accordi plurilaterali, per gruppi di prodotti.

Non v'è dubbio che un tale indirizzo venga col tempo a vulnerare gravemente la sovranità degli Stati. La libera iniziativa dei Governi in materia tariffaria non è soltanto il mezzo più efficace per proteggere l'economia interna ed assicurarne lo sviluppo; ma è anche una garanzia delle condizioni del lavoro della tranquillità sociale e della sicurezza militare del Paese. Potrebbe essere assai pericoloso sminuire questo attributo particolarmente delicato ed importante della sovranità dello Stato....

La tregua doganale è innegabilmente il primo anello di una nuova catena con la qualesi tende a legare più o meno saldamente all'Istituto Ginevrino l'attività economica degli Stati, che crederanno aderirvi.

Anche se la tregua doganale può presentare dal punto di vista teorico ed in determinate condizioni qualche vantaggio ed anche se essa fosse realizzata con le più minute garanzie e precauzioni, in considerazione delle tendenze e dei metodi che prevalgono in questiambienti essa non potrà in definitiva tradursi se non in un vantaggio degli stati economicamente più forti, ed in un danno di quelli più deboli....

Nel campo economico l'anima di questa burocrazia è Sir Arthur Salter, laburista.

uomo attivissimo, tenace, metodico; egli, V. E. non l'ignora, non è un amico del nostro Paese.

Al fondo ai suoi piani egli vagheggia l'unificazione economica del Continente Europeo

a profitto del suo paese, dando magari, pur di riuscire una qualche partecipazione agli utili

alla Francia ed alla Germania.

Il Segretariato costituisce, nella sua grande maggioranza lo strumento di dominio del

l'Inghilterra nella S. d. N .....

In tali condizioni i nostri interessi difficilmente possono esser fatti valere in questi

ambienti, a meno che non collimino con quelli delle potenze qui prevalenti: Inghilterra

e Francia.

È per questa ragione ch'io mi sono permesso sempre di insistere sia con V. E. nelle J?~e

relazioni, sia nei miei colloqui coi Rappresentanti a Ginevra del R. Governo sulla necessita.

che ogni iniziativa, che può rappresentare un danno per il nostro paese, sia qui soffocata

in germe, combattendola risolutamente, e con tutti i mezzi, prima che se ne cominci la

realizzazione. (Vedi la mia relazione n. 36 Ris.ma del 28 maggio 1929 "l'Attività Economica

della S. d. N.").

Purtroppo l'azione svolta dai delegati Italiani nel campo economico non ha ll;vuto un~

costante unità di indirizzo, e talvolta, non ha opposto quella oculata e ~erma resistenza a:

progetti megalomani di questo Istituto, resistenza necessaria per meglw salvaguardare l

vitali interessi del nostro Paese....

È per queste considerazioni, che indipendentemente dai vantaggi o dagl_i svantag!(i.

che teoricamente possano risultare per il nostro Paese da una tregua doganale, 10 non estto

ad esprimere il mio modesto ma fermo parere contrario alla partecipazione del R. Governo

ad una conferenza avente per iscopo la conclusione di una tregua doganale.... ».

al di là nostra frontiera sempre più tesi. Ad ogni modo gli presentavo protesta formale per il discorso, lo invitavo dare comunicazione protesta al cancelliere federale tornato stamane da Ginevra, restavo attesa conoscere che seguito questo avesse creduto dare discorso Stumpf e mi riservavo riferire quanto precede all'E. V. per sua notizia e per le eventuali istruzioni.

(l) Decifrazione incerta.

6

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 6075/2080. Belgrado, 17 setternbre 1929.

Dai miei telegrammi stampa n. 414, 415, 416 del 14 15 e 16 corrente V. E. avrà già rilevato quale reazione abbia avuto in questa stampa la pubblicazione di alcune fotografie prese durante il congresso della Fidac e pubblicate dal Piccolo Giornale d'Italia dell'H corrente sotto il titolo, a grossi caratteri, di

• Bande armate • (1).

La reazione è sproporzionata alla pubblicazione, si serve delle consuete banalità altezzose e dei vieti argomenti cui siamo ormai abituati da questi mediocri giornali. Ha cominciato la Pravda, seguito il Trgovinski Glasnik, continuava ieri il Vrerne. Tutti vanno al di là di ogni necessario ammesso limite.

Visto ieri il Ministro Aggiunto Jeftich questi mi ha intrattenuto dell'argomento dolendosi della nostra campagna di stampa. Ho subito fatto rilevare gli eccessi della replica ed affermato non ne vedevo sufficienti giustificazioni.

La causa occasionale della grossolana reazione erano le fotografie di cetniki in pubblica vendita, la dizione • bande armate • corrispondeva esattamente alla parola cetniki, che il nostro pubblico non conosce, mentre il Giornale d'Italia non poteva più parlare di comitagi (parola di uso ormai internazionale e da tutti comprensibile) poichè la esistenza di comitagi il governo SCS aveva smentito (avevo dato istruzioni al Dott. Solari Bozzi di rispondere ironicamente allo stesso modo al Capo di questo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio), non capivo quindi la irritazione e sopratutto non giustificavo gli eccessi.

Subito dopo le assicurazioni di Jeftich che la esagerata reazione verrebbe smorzata, ho aggiunto che in fondo consideravo una fortuna che la stampa italiana si occupasse di tali argomenti e non di quelli sgradevoli dei quali ero costretto ad occuparmi io ed intrattenerlo.

Non volevo dare carattere tragico alle cose. Ma se all'obbrobrioso trattamento subito dal connazionale Pieno durante la sua detenzione a Zagabria e del quale avevo già intrattenuto il Ministro degli Affari Esteri 1'11 corrente aggiungevo le ingiurie contro l'Italia, il Regime, l'Esercito Italiano pronunciate a Zagabria dal Commissario di Polizia Zuccon durante l'interrogatorio dell'ingegnere Ginzburg, gli schiaffi del gendarme ai giovani italiani Sintich Rimbaldo e Carabaich ed al Signor Marcecich di Veglia, le percosse date anche da un gendarme di Pago all'italiano Palcich, la evidente indifferenza delle autorità ai reclami del vice console Assettati offeso per via (quando invece una

insolente vigilanza poliziesca e spionistica si usa in tutta la Jugoslavia sui RR. Agenti italiani me compreso) etc., la situazione era tuttavia estremamente seria e poteva divenire grave e preoccupante se il governo SCS non prendesse sanzioni contro qualche agente, se non desse istruzioni tassative circa il trattamento da farsi agli italiani in Jugoslavia, poichè essi hanno convenzioni che li tutelano e debbono essere rispettate, e non sono foglie al vento con le quali sia lecito ogni capriccio ed ogni cattiveria delle autorità. Confidavo egli provvedesse, e perchè la situazione non prendesse un aspetto pericoloso e per essere coerente alla espressami volontà di voler raggiungere una buona atmosfera fra i due paesi. Le sue espressioni, come egli già sapeva, avevano trovata simpatica eco da parte di S. E. il Capo del Governo (telegramma di S. E. Mussolini

n. -1883/243 del 10 corrente) (1). Ecco perchè era quasi meglio per la Jugoslavia che la nostra stampa si occupasse di comitagi e cetniki. Qui almeno essa poteva replicare qualche cosa. Ma che avrebbe replicato se i fatti che gli esponevo fossero di dominio pubblico? Egli vedeva che le nostre autorità prendevano subito e prontamente le misure contro giovani ardenti che lanciavano qualche innocuo grido a Zara (telegramma di V. E. n. 11369/245 del 14 corrente) (2). Mi attendevo di sapere quali provvedimenti il governo SCS avrebbe preso sui vari seri fatti che gli avevo esposto. (Per ciascuno di essi riferisco separatamente in data odierna). S. -E. Jeftich è stato visibilmente impressionato dalla precisa incontrovertibile enumerazione da me fattagli. Ha rinnovato le sue promesse, ripetuto i suoi intendimenti. È ora da attendere quale sia il risultato di questo ultimo colloquio.

Se esso sia nullo, se le difficoltà opposte ancora agli italiani su ogni circostanza ed in ogni luogo (permessi di soggiorno, di impiego, lavoro etc. etc.), se incidenti quali quelli di cui ho fatto cenno all'E. V. si rinnovino, vedrà

V. E., se non sia il caso di far chiaramente sentire la nostra decisione di ricorrere alle rappresaglie delle quali ho recentemente scritto (3), essendo questo il solo argomento che possa avere qui efficacia.

Ma tornando al primo punto della mia conversazione con S. E. Jeftich, mi permetto subordinatamente di attirare tutta l'attenzione di V. E. sulla campagna del Giornale d'Italia, di altri giornali maggiori come il Piccolo di Trieste, e di minori come il Littorio Dalmatico, un giornale di Genova del quale mi sfugge in questo momento il nome, etc. Mentre riconosco appieno la grande opportunità di determinati attacchi, la convenienza di dare alla nostra opmwne pubblica conoscenza degli elementi costitutivi di questo Stato e della sua vera intima essenza massonica e brigantesca, mentre è certo indispensabile mostrare quanto qui si opera e si fa direttamente o indirettamente contro di noi, da qualche settimana mi vado tuttavia chiedendo se, anche perchè altri possibili nostri attacchi o precise rivelazioni possano avere maggiore effetto internazionale, e trovare maggiore risonanza nell'anima nazionale, non sarebbe opportuno o sospendere per qualche tempo, o quanto meno attenuare il tono dei nostri giornali quando parlino della Jugoslavia, specialmente del Giornale d'Italia.

Mi sia lecito poi fermarmi in ispecie alla Dalmazia. La questione dalmata è una delle più gravi e delle più doloranti per i nostri cuori. lvi la situazione degli italiani, delle nostre posizioni culturali, industriali, economiche è in continua discesa. Contro ogni attività italiana autorità e privati SCS si accaniscono con ogni mezzo, e tanto più eccitati quanto più trovano, dal loro punto di vista, argomenti nei nostri fogli. Quindi ogni articolo, ogni incitamento alla resistenza italiana in Dalmazia, ogni accenno a rivendicazioni, mentre politicamente, diplomaticamente, storicamente non modifica la situazione a nostro vantaggio, vale invece, secondo me a peggiorare la attuale situazione nostra in quella terra.

Ripeterei per la Dalmazia la celebre frase di Déroulède per l'Alsazia: Pensarvi sempre non parlarne mai.

È indiscutibile poi che dalla instaurazione del governo dittatoriale questa stampa ha tenuto ben diverso atteggiamento verso di noi, che non nel periodo precedente. Ciò non corrisponde ad alcun mutamento di sentimenti e di intendimenti. È solo tattica. Ma intanto internazionalmente questi signori possono vantare il loro silenzio, la linea adottata, e contrapporvi con artificiosi argomenti la nostra. E ne possiamo anche sorridere. Ma gli è che in tal modo mi sembra che la efficacia delle nostre documentazioni, e delle nostre inoppugnabili rivelazioni sia diminuita.

Tanto mi premeva esporre all'E. V. per quel conto che vorrà farne. E mi sia permesso aggiungere che non è certo tenerezza verso questa gente che mi inspira.

(l) Cfr., Il Piccolo di Roma, 11-12 settembre 1929, sotto il titolo « Le bande armate dei " cetnici " sfilano per le vie di Belgrado •.

(l) -Il tel. è del giorno 9, ore 24. (2) -Di piccola registrazione, che non si pubblica. (3) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 603.
7

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONCINI DUCA, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Roma, 18 settembre 1929.

Ho ricevuto la lettera del 15 corr. n. 6150 (l) che Ella si è compiaciuta di inviarmi in risposta alla mia confidenziale (2) circa la celebrazione del 20 settembre; e dico subito che La ringrazio per la Sua franchezza. V. E. mi scrive che la celebrazione è fissata dalla legge e che non intende di modificare la legge. Quindi non è più per me il caso di insistere. Mi permetto tuttavia di replicare alcuni punti ai rilievi di V. E.

Ella mi oppone che in nessun articolo del Concordato è menzione della celebrazione o meno del 20 settembre. Non sono in questo d'accordo con V. E. Il Concordato non parla esplicitamente della celebrazione del 20 settembre perchè era troppo evidente che tale festa dovesse cadere, dato tutto l'insieme del documento che suppone piena intesa e amichevole collaborazione tra le due Alte Parti; inoltre nel preambolo del Trattato si dice che la Questione romana è sorta nel 1870 e che la Santa Sede e l'Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio tra loro esistente. Quindi mi pareva di essere nella lettera e nello spirito dei documenti pregandoLa di tra

sferire al giorno 11 febbraio, giorno della concordia, quanto si faceva per una data riconosciuta dal Trattato come principio della discordia.

V. E. aggiunge che gli italiani non possono rinunciare alla celebrazione del 20 settembre in quanto, senza gli avvenimenti del 20 settembre 1870, non ci sarebbero stati quelli dell'H febbraio 1929. Una tale ragione non può persuadere nè i cattolici, nè gli italiani amanti della conciliazione, che sono più: per essi il 20 settembre ha aperto un dissidio che solo 1'11 febbraio ha sanato, ed essi non comprenderebbero che bisogna celebrare la malattia perchè c'è stata la guarigione.

È vero che V. E. ritiene che il 20 settembre 1870 sia stato un bene per tutti, e anche per la Chiesa. Ma qui sta proprio il dissidio: tutti i Pontefici, da Pio IX a Pio XI, hanno sempre ritenuto il contrario, ed altrettanto hanno ritenuto e ritengono i cattolici. Questo giudizio non è stato mutato col Trattato dell'H febbraio 1929.

E nemmeno giova dire che il 20 settembre rientri nei disegni della Divina Provvidenza, perchè anche il male rientra nell'ordine della Provvidenza, la quale solamente lo permette e ne ricava sempre il bene, ma ciò non toglie che il male resti sempre male, pure quando ne è seguito il bene. Per queste riflessioni mi sembra doveroso confermarLe quanto Le dicevo nella lettera precedente, che la festa del 20 settembre non può ottenere il consenso di tutti gli italiani, anzi che recherebbe oggi sorpresa ai cattolici di tutto il mondo.

Questi, Eccellenza, sono i punti che volevo esporLe in risposta alla Sua lettera. È schietto ossequio alla verità se aggiungo che per gli Accordi del Laterano, i quali hanno dato all'Italia la sua compiuta unità, il nome di V. E. resterà nella storia congiunto con la data dell'll febbraio.

Mi son permesso di scriverLe tutto questo con quella apertura di animo con cui sempre Le ho parlato e che V. E. si è degnata sempre di gradire (1).

(l) -Cfr. n. 3. (2) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 621.
8

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. R. P. 2293. Budapest, 18 settembre 1929.

Il 10 c. m., trovandomi al Ministero degli Affari Esteri, appresi dal Segretario Generale che S. E. Walko si sarebbe recato a Roma (2) per intrattenere il Capo del Governo e V. E. della situazione che va maturandosi in Austria. Non sto quindi a ripetere le notizie rese già note da questo Ministro degli Esteri e dal Direttore Generale degli Affari Politici Barone Apor.

• Nel mentre nel campo fascista il discorso del Papa ha prodotto un senso di sdegno e il desiderio di dare qualche severa lezione a tutti coloro che manovrano le file della gioventù cattolica e delle associazioni affini, nel campo dell'antifascismo si è esultanti. Basta incontrare un ex massone, un ex socialista, un ex repubblicano ecc. per udire esclamazioni di gioia ed il riaprirsi di speranze che si ritenevano definitivamente sepolte.

Qualche massone oggi mi diceva: Questo è ancor nulla.... vedrete cosa combineranno preti.... daranno del filo da torcere a Mussolini.... ed altre frasi del genere •.

Il 13 ed il 14 c. m. il nostro Addetto Militare ebbe due colloqui in proposito tanto con questo Ministro della Difesa Nazionale quanto col S. Segretario di Stato allo stesso Dicastero. Il conte Csaky, ripetendo le note informazion: in forma più particolareggiata, terminava la sua esposizione domandando al Col. Oxilia di informare opportunamente il R. Ministero della Guerra e fargli quindi conoscere la linea di condotta che sarebbe stata adottata dal R. Governo nella eventualità di un intervento czecoslovacco.

Pregai il nostro Addetto Militare di attendere che io mi abboccassi col Signor Walko prima di fare qualsiasi comunicazione in proposito al suo Dicastero. Il 14 c. m. mi incontrai due volte col Ministro degli Esteri, tornato quel giorno stesso da Roma. Rimanemmo d'accordo di soprassedere a trasmettere qualsiasi notizia, fino a che non gli pervenissero ulteriori informazioni da persona di fiducia in Vienna. Queste gli furono fornite il 15 corr. e lo stesso giorno ebbe luogo un colloquio Walko-Csaky. Il 16 fui nuovamente chiamato a conferire ed appresi quanto S. E. Walko fa conoscere direttamente a V. E. nel memoriale che è mi è stato rimesso oggi e che ho l'onore di trasmettere qui unito in duplice esemplare (1). Nel consegnarmelo, il Signor Walko mi ha pregato di farne pervenire una copia a codesto incaricato d'affari d'Ungheria. Sarò grato a V. E. se vorrà provvedervi.

Considerata la segretezza e la delicatezza della materia, abbiamo convenuto col Ministro degli Esteri, d'accordo con questo Ministro della Difesa Nazionale, che il rapporto redatto dal R. Addetto Militare e le richieste in esso contenute siano trasmesse all'E. V., che giudicherà dell'opportunità o meno del successivo inoltro al nostro Ministero della Guerra. A tal uopo ho l'onore di accludere detto rapporto (2) e relativi allegati (3) in duplice esemplare per l'eventuale trasmissione di uno di essi a S. E. il Generale Gazzera.

Quale che sia per essere la decisione che V. E. adotterà in merito, mi permetto di rivolgere preghiera a che una qualsiasi risposta sia data al Conte Csaky pel tramite del Col. Oxilia. Come ho avuto occasione di notare io stesso, la sfera di attività lasciata a questo Ministero della Difesa Nazionale è molto ampia ed in essa l'elemento militare si muove con una certa autonomia. Ora, a noi conviene favorire la confidenza che i dirigenti di detto Dicastero addìmostrano sempre più verso il nostro Addetto Militare, anche per avere un eventuale controllo per le notizie provenienti dall'elemento politico.

Il Signor Walko mi ha oggi annunciato che egli partirà domani per Vienna

e che farà pervenire ulteriori informazioni direttamente a V. E. con un corriere

che partirà da Vienna sabato 21 c. m. (4).

Come ho avuto occasione di constatare personalmente, questo Ministro

degli Esteri ha già messo al corrente delle ultime notizie tanto S. A. S. il

Reggente quanto il Conte Bethlen.

Akten zu den geheimen Verbindungen zwischen der Bethlen-Regierung und der osterreichischen Heimwehrbewegung, in "Acta Historica" XI, Budapest, 1965, pp. 328-330). Sulle relazioni dell'Italia e dell'Ungheria con le Heimwehren durante il periodo compreso nel presente volume cfr. in generale dello stesso L. KEREKES, Abenddiimmerung einer Demokratie. MussoUni, Gombos und die Heimwehr, Wien-Frankfurt-Ztirich, 1966, pp. 44-71; e anche NEMES, op. cit., pp. 143-157, 321 sgg.

Ritengo infine opportuno trasmettere all'E. V. il fascicolo • Verso la liberazione dell'Austria • (l) pervenuto oggi da Vienna al Dr. Mosettig senza alcuna lettera di accompagnamento. Il Cav. Mosettig ritiene che esso sia stato inviato dai dirigenti della • Organizzazione austriaca per la Difesa del Lavoro • i quali, all'epoca del congresso tenuto lo scorso anno a Budapest (mio telegramma posta n. 1533/602 del 21 giugno 1928), gli promisero di tenerlo informato dei movimenti e dell'opera dell'organizzazione stessa, che è in stretto contatto con la Heimwehr. Nel libretto sono esposti i principi essenziali del Partito della Heimwehr il quale, unito alla borghesia che appoggia sempre più largamente il movimento, intende giungere alla • Marcia su Vienna • rifiutando ogni trattativa con i socialisti e adottando metodi di intransigenza.

P. S. In piego separato vengono allegati:

l) lettera n. 430 del R. Add. Mil. (in duplice copia) 2) lettera n. 431 3) aide-mémoire del Min. Aff. Est. 4) pubblicazione: • Verso la liberazione dell'Austria •.

ALLEGATO l.

SITUATION EN AUTRICHE

(Ed. in ungherese in KARSAI, op. cit. pp. 328-329)

18 settembre 1929.

L'action de la Heimwehr a fait dernièrement des bons progrès et le nouveau régime en Autriche s'amène. Il est très important que le Gouvernement actuel de

M. Streeruwitz soit empeché d'avoir l'emprunt que devra recevoir le Gouvernement de la Heimwehr; si le régime actuel réussissait d'avoir l'emprunt, toute l'action de la Heimwehr serait compromise.

En tete du mouvement de la Heimwehr sont placés le dr. Steidle, son remplaçant

M. Pfrimer (chef de la Heimwehr de la Styrie), les Généraux Lustig et Hilgert. Ils sont complètement d'accord avec Schober et Vaugoin. Les personnages susindiqués ont établi Jeur plan d'action pour trois éventualités.

l. D'accord avec les partis bourgeois ils veulent prochainement faire démissionner en toute règle M. Streeruwitz, mettre à sa piace un homme de confiance de la Heimwehr, probablement Schober, qui gouvernerait d'après le programme des Heimwehr. Il rassemblerait le parlement éventuellement dans une ville de province où les socialistes n'oseraient pas venir et ferait voter par ce parlement le changement de constitution.

2. -Si l'accord des partis ne pouvait se faire, les Heimwehr, assistées d'une neutralité bienveillante de la part de Vaugoin et Schober, provoqueraient par des machinations hors du parlement et des partis la chute du régime actuel, porteraient au pouvoir un homme de confiance de la Heimwehr, probablement Schober, qui dissoudrait le parlement cet automne meme. 3. -Au cas où les possibilités susindiquées ne pouvaient se réaliser, les chefs de la Heimwehr s'empareront du Gouvernement de façon révolutionnaire d'après le modèle des fascistes. Cette éventualité cependant exige préalablement quelques préparatifs et organisations supplémentaires qui ne permettront de monter le coup qu'en hiver.

En fait d'armes les Heimwehr ont besoin avant tout d'un nombre considérable de mitrailleuses. Les socialistes à Vienne subissent actuellement une crise de dépression morale. Ils sentent s'approcher la fin de leur régime, les Chefs se reprochent mutuellement

d"avoir amené le désastre par leurs fautes commises. Le meilleur signe du désarroi dans le parti socialiste est que le maire de Vienne M. Seitz fait tout son possible pour se reconcilier avec Schober. Il est allé le voir, lui a demandé pardon pour toutes les injures qu'il ,lui a faites, lui a proposé de dissoudre la police communale socialiste de Vienne. Schober a accepté les excuses, mais est fermement décidé à garder la ligne de conduite de la Heimwehr, qui du reste, selon toute probabilité, va le porter sous bref délai à la tete du Gouvernement. Une combinaison Seipel semble actuellement écartée et meme une combinaison Rintelen ne paraìt vraisemblable.

Pour le 29 Septembre quatre grande réunions de la Heimwehr seront tenues dans quatre quartiers de Vienne, qui sont connus pour etre les plus rouges. Les Chefs de la Heimwehr sont décidés à faire dérouler la démonstration meme au cas où le maire de Vienne s'y opposait. Dans ce cas ils sont prets à user de la force. Un détachement spécial est organisé pour empecher les ouvriers socialistes de Wiener Neustadt de venir au secours des socialistes Viennois. Les chefs de la Heimwehr n'ont pas l'intention de faire un coup ce jour là, à moins qu'ils soient provoqués par les socialistes.

L'importance de ce jour consiste dans le fait, qu'à cette occasion le dr. Steidle va donner le programme officiel qui liera le futur Gouvernement-Heimwehr.

ALLEGATO Il.

OXILIA A GAZZERA

L. 430. RR. P. Budapest, 14 settembre 1929.

S. E. il conte Csàky, Ministro della Difesa Nazionale, e successivamente S. E. il Generale Algya, Sottosegretario allo stesso Dicastero, hanno voluto ieri ed oggi conferire con me per mettermi al corrente della situazione che va manifestandosi in Austria e che -secondo le opinioni delle sfere dirigenti ungheresi -si presenta in modo tale da far ritenere come prossimi torbidi, notevoli e capaci di suscitare sconvolgimenti interni e possibili ripercussioni esterne.

Secondo quanto mi riferivano i miei due interlocutori, la Heimwehr è venuta assumendo un carattere sempre più nazionalista e ad essa sono venuti accostandosi elementi dello stesso Governo.

Il Ministro della Difesa Nazionale austriaco, Vaugoin, è assolutamente d'accordo con la Heimwehr, con la quale è pure strettamente legato il capo della Polizia austriaca, Signor Schober. Inoltre Monsignor Seipel, per quanto capo del partito cristiano-sociale -che non è in armonia con la Heimwehr -è oggi deciso ad aderire non solo alla Heimwehr, ma ne è sottomano il dirigente politico.

Monsignor Seipel si riprometterebbe dall'appoggio dato alla Heimwehr di stabilire un nuovo Governo cattolico-nazionalista (o cattolico-fascista, come il conte Csàky lo chiama), con tendenza a riunire attorno a Vienna tutti i Tedeschi del Sud: Baviera, Tirolo, Austria attuale. Secondo quanto poi mi è stato riferito dal generale Algya, Seipel mirerebbe a concepire come lontano programma di affidare la Corona di questo nuovo Stato o al principe Ruprecht di Baviera, o -dato che questi non ha figli -meglio e di preferenza all'arciduca Ottone figlio di Re Carlo.

A parte le concezioni politiche di Monsignor Seipel, secondo notizie, ritenute sicure, del Governo ed in particolare del Ministero della Difesa Nazionale ungherese, la Heimwehr si prepara a breve scadenza ad un moto rivoluzionario appoggiato dall'Esercito, dalla Polizia e dalla Gendarmeria, allo scopo di finirla col Partito socialista, di impadronirsi del Governo e sviluppare successivamente la sua azione.

Dei prossimi moti è già trapelata notizia nei corridoi della recente conferenza di Ginevra, ma solo in questi ultimi giorni ne è apparsa .Ja portata e l'importanza. Sembrava che il movimento Heimwehr dovesse iniziarsi il 29 corrente; da notizie recentissime invece risulta che il 29 corrente si avranno solo piccoli moti

di provincia allo scopo di mascherare il movimento finale. Nella prima quindicina di ottobre verrà mantenuta la massima calma; il moto finale scoppierà il 22 o il 27 ottobre.

Il Ministero della Difesa Nazionale è al corrente del piano di operazione degli Heimwehr.

Sommariamente: in esso è prevista la segreta e sollecita riunione di vari gruppi armati nei dintorni di Vienna, composti esclusivamente con uomini della Provincia.

È inoltre prevista la formazione di tre gruppi: un primo destinato come e'lemento di difesa contro ogni possibile intervento cecoslovacco; un secondo con analoghi compiti verso la Jugoslavia; un terzo infine per tenere a bada i forti nuclei socialisti o comunisti di Wiener Neustadt. Gli affiliati alla Heimwehr della Capitale e degli immediati dintorni si raccoglieranno in città per coadiuvare in Vienna le operazioni dei gruppi esterni.

Al momento convenuto i gruppi esterni suddetti marceranno su Vienna, occuperanno i locali dei socialisti e dei comunisti, gli edifici statali, e si impadroniranno del Governo.

Il conte Csàky mi assicurava che il movimento ha molta probabilità di riuscita perchè è certo che Esercito, Polizia e Gendarmeria faranno causa comune con la Heimwehr rinforzandone il movimento.

Bisogna però tener conto del contro movimento socialista, a capo del quale sta i1 Signor Adler, e comunista. Il Signor Bauer, in una riunione segretissima dei capi socialisti e comunisti tenutasi il 2 settembre, avrebbe dichiarato che la Helmwehr acquistava terreno e che perciò egli aveva deciso di stabilire un fronte unico coi comunisti. Egli si era inoltre assicurati i fondi necessari (la cui provenienza era evidentemente quella di Mosca). Se anche il movimento Heimwehr aveva assunto un carattere fascista-nazionalista, appoggiato da simpatie dei dirigenti e di forze statali, i socialisti si sarebbero opposti ad esso con tutta la tenacia e prima di riuscire gli Heimwehr avrebbero dovuto combattere con gli operai una dura battaglia e spargere molto sangue.

Non era improbabile, aggiungeva il Bauer, l'intervento di una Nazione confinante, ma se questa si fosse mossa le sarebbe spettata una dura sorte, più grave della mutilazione avuta dopo la guerra (accenno all'Ungheria e alla possibile costituzione del famoso corridoio ceco-jugoslavo).

Anche i socialisti hanno preparato il loro piano di operazione che per alcuni dati non si differenzia molto da quello della Heimwehr. Questo piano è venuto in possesso di uno dei numerosi agenti ungheresi ed il conte Csàky ml dichiarava di averne egli stesso data comunicazione agli Heimwehr che non ne erano prima venuti a conoscenza.

Le sfere governative ungheresi si preoccupano che il moto rivoluzionario austriaco possa produrre un intervento degli Stati confinanti, specie della Cecoslovacchia. Se difatti le informazioni giunte sinora fanno escludere l'intervento armato diretto della Cecoslovacchia in Austria, pure il conte Csàky mi diceva che in Ungheria si è fortemente propensi a credere che la Cecoslovacchia agevola già ora ed agevolerà il partito socialista austriaco, consentendo il passaggio di armi e di elementi socialisti attraverso la frontiera. Che se poi il movimento Heimwehr non riuscirà ad affermarsi rapidissimamente ristabilendo l'ordine ne1l'interno dell'Austria, l'intervento cecoslovacco non solo non può escludersi, ma deve ritenersi come probabile o comunque come possibile. Ragione attendibile sarebbe quella di ristabilire l'ordine nell'Austria, e specie nel Burgenland, nell'interesse della pace e della civiltà.

Qualora questo intervento si verificasse, esso con tutta probabilità si ripromet

terebbe, secondo il conte Csàky, uno scopo finale, che sarebbe quello di costituire,

o riaccampare diritti per la costituzione del corridoio ceco-jugoslavo, al quale non si è mai rinunciato, come dimostrano i noti nuclei di operai cecoslovacchi dislocati materialmente lungo di esso.

Ammesso l'intervento cecoslovacco e il suo scopo, sorge la ipotesi di un possibile intervento della Jugoslavia, essa pure interessata quale nazione confinante.

Sugli intendimenti jugoslavi non si possiede alcuna notizia, ma con le premesse

suesposte questo Ministero della Difesa Nazionale arriva a supporre come possi

bile tale intervento.

Ho voluto naturalmente conoscere quale condotta si propone il Governo ungherese sulle varie situazioni che si andassero delineando, e se siano stati decisi provvedimenti di carattere militare. Dalle notizie parziali fornitemi dal conte Csàky e dal generale Algya, risulta che il Ministero della Difesa Nazionale austriaco

(Vaugoin) avrebbe per ora avuto dei semplici scambi di vedute con l'addetto militare ungherese a Vienna (ten. colonnello Fabry) nel corso dei quali avrebbe fatto comprendere che vedrebbe molto favorevolmente un appoggio armato attraverso al Burgenland su Wiener-Neustadt, allo scopo di minacciare e dominare quella città fortemente socialista. (Copia di un rapporto dell'addetto militare ungherese a Vienna mi risulta già comunicata a S. E. Grandi da S. E. Walko).

Quanto meno sarebbe gradito un appoggio potenziale mediante concentramenti di truppe lungo i confini.

Al tenente colonnello Fabry che prospettava l'ipotesi che simili mosse da parte dell'Ungheria avrebbero causato e giustificato un intervento cecoslovacco nel Burgenland ungherese, il Ministro Vaugoin si sarebbe limitato a rispondere:

• Ma voi, Ungheresi, avreste sempre alle spalle l'Italia •. Il conte Csàky mi riassumeva il contegno ungherese come segue: -assoluta necessità di intervento armato nel caso che truppe cecoslovacche

(o comprovati nuclei armati irregolari notevoli) penetrassero in territorio austriaco;

-convenienza e possibilità di intervento celato o palese, pel quale non è stata ancora presa una decisione, nel caso che la Heimwehr richiedesse un aiuto per la riuscita del movimento e tale aiuto fosse consigliato da moti o sconfinamenti in Ungheria di elementi social-comunisti.

Scopo dell'intervento: impadronirsi del Burgenland che potrebbe rappresentare un certo compenso, di cui il Vaugoin avrebbe fatto qualche velato accenno, per l'aiuto fornito dall'Ungheria.

Secondo quanto poi mi ha riferito il generale Algya, lo Stato Maggiore ungherese sta studiando le necessarie predisposizioni militari per assicurarsi contro ogni evenienza.

Sarà disposto che con gli elementi sotto le armi ogni brigata mista formi un nucleo misto delle varie armi (complessivamente sette). Questi nuclei, almeno in parte, saranno dislocati poco distanti dalla frontiera, sì da poterne disporre di massima il pronto impiego entro un termine di sei ore. Presso le guarnigioni ordinarie resteranno nuclei di quadri e truppa destinati ad inquadrare i riservisti, per i quali viene predisposto, con speciale precetto, il richiamo sotto le armi per una mobilitazione parziale dell'Esercito. I sette nuclei succitati disporranno in complesso di 17.000 combattenti, armi, artiglierie, ecc.

La loro radunata sarà tenuta celata per quanto possibile e spiegata con ragioni di spostamenti periodici resi necessari a manovre finite e per rinforzare la polizia e gendarmeria.

Le predisposizioni studiate sarebbero state comunicate anche al conte Bethlen che le ha approvate.

Infine come ultima notizia segnalo che si dà per certo che il noto agitatore comunista Béla Kun è giunto in Austria, ma è per ora invano ricercato, e si vuole che esso sia mandato dal Governo di Mosca per sommuovere la situazione in Austria, come ultimo tentativo bolscevico dopo il fallimento dei moti inscenati e falliti nei vari centri europei nel maggio e nell'agosto scorsi.

Il conte Csàky concludeva la sua esposizione pregandomi vivamente: a) di informare di quanto sopra V. E. ed il R. Governo, ai quali rivolgeva, per mio tramite, la preghiera di -fargli conoscere la linea di condotta adottata dall'Italia per l'occasione del manifestarsi del movimento Heimwehr, ed il contegno che il R. Governo adotterebbe qualora detto moto avesse ripercussioni esterne, con intervento di forze cecoslovacche, e -per questa ipotesi -le eventuali predisposizioni militari che venissero studiate;

b) di mantenermi in stretto contatto sia col Ministero della Difesa Nazionale

ungherese, sia con quello della guerra italiano nel periodo precedente i movimenti

austriaci preannunciati e durante il loro sviluppo.

A guisa di conclusione mi permetto alcune osservazioni personali.

Mi sono ben noti, ed ho spesso messi in rilievo, i contrasti e lo stato di tensione

esistenti tra l'Ungheria ed i due Stati della Piccola Intesa confinanti con l'Austria.

È certo che in simile stato di cose anche un piccolo fatto può rompere un equili

brio instabile.

In questo travagliato ed agitato mondo danubiano e balcanico, però, le fantasie

galoppano e le concezioni politiche e i progetti di nuovi raggruppamenti fioriscono

senza tener conto, ben spesso, della volontà delle Grandi Potenze, e del fatto che un

qualunque movimento rivoluzionario in Austria, per affermarsi, a mio modo di

vedere, dovrebbe basarsi su una premessa di rispetto ai trattati.

D'altra parte, per le stesse ragioni di equilibrio instabile, le ipotesi che pos

sono sembrare a prima vista fantastiche hanno sempre una sia pur scarsa proba

bilità di avverarsi. Questa pur piccola probabilità va prospettata per non essere

colti alla sprovvista.

Il movimento austriaco, se sono esatte le notizie della piena adesione ad esso

delle forze armate dello Stato e dei loro capi, presenta un'importanza politica

notevolissima, come sono militarmente importanti le predisposizioni cui pare

verrà dato corso tra breve da parte dello Stato maggiore ungherese.

Ho perciò ritenuto mio stretto dovere segnalare tutte le notizie in mio pos

sesso all'E. V., e di affidarle in una lettera personale dato il segreto col quale ven

gono trattate:

l. -Perchè ne sono stato categoricamente invitato da questo Ministro della Difesa Nazionale;

2. --Perchè occorre tener presente che molta parte della questione, ed in genere dell'attività ungherese, viene svolta direttamente dalle autorità militari alle quali quelle politiche lasciano una notevole libertà d'azione; 3. --Perchè V. E. voglia degnarsi di farmi avere elementi di risposta o, eventualmente, di consiglio per il conte Csàky, onde non venga sminuita di fronte alle autorità ungheresi la posizione dell'Addetto militare italiano che, comunque stiano i fatti, le suddette autorità hanno ritenuto doveroso informare, dando così prova di riguardo e, in certo qual modo, di subordinazione all'Esercito che egli rappresenta (1). S. -E. il Capo del Governo ha preso visione di tali rapporti, e ritiene opportuno che una risposta sia data dal Tenente Colonnello Oxilia direttamente al Conte Csaky. V. -E. ove lo creda, potrà pertanto dare istruzioni a quel R. addetto militare di recarsi dal Conte Csaky, e di comunicargli che la linea di condotta dell'Italia nei confronti del movimento Heimwehren, rimane quella fissata da S. E. il Capo del Governo nel suo recente colloquio col Ministro degli Affari Esteri Ungherese e di confermargli anche a nome dell'E. V. la solidarietà italiana coll'Ungheria.

È però altresì opportuno che il Tenente Colonnello Oxilia faccia presente che il R. Governo non ravvisa probabile un'ipotesi di intervento cecoslovacco in seguito alle ripercussioni di tale movimento e che raccomandi anche da parte dell'E. V. la massima prudenza in ogni manifestazione ».

Dei due rapporti Oxilia cui accenna Grandi, uno è quello qui pubblicato. L'altro è presumibilmente quello cit. a p. 14, nota 3. Gazzera diede istruzioni ad Oxilia di fare la comunicazione prescritta in data 30 settembre.

Cfr. il seguente brano del t. posta r. 3.351/1857 di Auriti del 19 settembre 1929: «mesi fa, quando la possibilità della marcia su Vienna delle "Heimwehren" sembrava più ammissibile, uno dei membri più attivi del gabinetto si preoccupava, per un tale caso, della eventualità di un'entrata di truppe ceche nel territorio austriaco, conoscendo le vecchie e semprevive simpatie di Benes per questi socialisti. Ma quel ministro, considerando che il movimento per l'annessione alla Germania ha natura principalmente economica, che una vittoria dei borghesi austriaci sui socialisti, i quali fanno una politica economica di classe, avvantaggerebbe l'economia di tutto lo Stato e pertanto farebbe meno sentire il bisogno della annessione intesa come il più efficace mezzo per migliorare la situazione economica austriaca, che infine la Francia ha ogni interesse ad evitare l'annessione, diceva sperare che, data e non concessa quell'ipotesi, il governo della Repubblica avrebbe trattenuta la Cecoslovacchia da interventi armati in Austria •.

(l) Cfr. il seguente brano di un'informazione sul discorso tenuto dal Papa alla Gioventù Cattolica, in data Genova 18 settembre 1929, che Mussolini inviò a Grandi e questi, il 22 settembre, trasmise a De Vecchi:

(2) Si riferisce al viaggio per il quale cfr. serie VII, vol. VII, p, 612 nota l.

(l) -Cfr. allegato I. (2) -Cfr. allegato II. (3) -Trasmessi da Oxilia con l. 431. Non si pubblicano. (4) -A Vienna Walko si incontrò il giorno 19 con Seipel e il 20 con Steidle (L. KEREKES,

(l) Manca.

(l) -Cfr. quanto scriveva Grandi a Gazzera il 27 settembre con l. p. rr. 6482: • Mi pregioqui uniti trasmettere alla E. V. due rapporti del R. addetto militare in Budapest, diretti alla E. v ....
9

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ALDROVANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. s. 59/562. Berlino, 19 settembre 1929, ore 21,40 (per. ore 0,20 del 20).

Koepke, riprendendo il discorso di cui al mio telegramma per corriere

n. 1342 (1), constatava che una volta regolata questione dei territori renani, Germania avrà maggior libertà manovrare nel suo atteggiamento verso l'Italia. Egli osservava che ciò non significherà possibilità di alleanze che non potrebbero essere giovevoli nè alla Germania, nè all'Italia, ma possibilità di rapporti ancora più cordiali degli attuali, che egli definiva però • cordialissimi •; egli accennava all'opportunità che uomini come Mussolini e Stresemann si incontrassero • ciò che dopo regolamento territori renani potrebbe avvenire senza ombre per la Francia •. Ho ricordato a Koepke che se tale incontro più volte annunziato non era ancora avvenuto ciò non era stato per colpa italiani.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 3358/1863. Vienna, 19 settembre 1929.

Dopo il mio ultimo rapporto sulle • Heimwehren • in data del 31 agosto

u. s. n. 1778 (2), poco di nuovo è avvenuto, e quel poco sono andato esponendolo con i miei successivi telespressi sull'argomento.

I giornali delle • Heimwehren •, dei vari partiti borghesi e dei socialisti rigurgitano di interviste e articoli accompagnati da minacce reciproche, ed è noioso ufficio leggere quotidianamente, per sentimento di dovere, queste migliaia di caratteri gotici diversamente combinati, senza che se ne possa trarre, in compenso di così sgradevole fatica, qualche chiara conclusione.

La questione principale appare sempre quella della riforma della costituzione, che le • Heimwehren • chiedono, e che i socialisti si dichiarano in massima disposti a discutere: il Governo annuncia starne preparando il progetto da presentare alla possima riapertura del Parlamento. Tutta la lotta dovrebbe concentrarsi su questo argomento, che è l'oggetto attuale del movi

mento delle • Heimwehren • come mezzo per giungere alla legale diminuzione del potere dei socialisti, e lo scopo per conseguire il quale esse minacciano l'uso della forza qualora i socialisti non vi consentano. II punto essenziale in questa riforma è quello secondo cui Vienna dovrebbe essere solo capitale della repubblica e perdere quindi la qualità di provincia a sè. I socialisti, che fin da ora si mostrano disposti a discutere, se non anche ad accettare, le varie altre proposte, affermano recisamente che in ciò non possono assentire.

Se Vienna infatti fosse incorporata nella provincia della Bassa Austria, la città passerebbe in mano dei borghesi che con l'aiuto della campagna otterrebbero la maggioranza, e i socialisti perderebbero con il potere politico anche l'economico: questo deriva loro dall'imponente gettito di imposte della capitale ed è il più efficace sostegno di quello.

La situazione per ora è alquanto confusa, e qualche chiarimento potrà aversi solo nei prossimi giorni: il Parlamento riprenderà i suoi lavori verso il 26 settembre, e il 29 le • Heimwehren • terranno quattro adunate in paesi vicino a Vienna, le quali vorrebbero essere secondo quanto essi affermano, con qualche spavalderia, il loro ultimo monito prima di passare dalle parole ai fatti. Le previsioni sono discordi fra gli stessi componenti della maggioranza. Chi dice che il presente Cancelliere cadrà al più presto, e chi afferma che rimarrà per fare approvare dai socialisti quelle tra le progettate riforme costituzionali che essi, con qualche concessione dall'altra parte, sarebbero disposti ad accettare; salvo a lasciarsi sostituire dopo ciò, essendo inviso alle

• Heimwehren • per la sua debolezza e il suo spirito di conciliazione, da qualche uomo più energico che dovrebbe con le buone o con le cattive fare accettare ai socialisti anche il resto: Vaugoin, Ministro della Guerra; o Rintelen, Capitano provinciale della Stiria; o Schober prefetto della Polizia, che sembra il più adatto per intelligenza, esperienza, rettitudine ed equilibrio. Tutto pare dipenderà dal contegno dei socialisti, sul quale le opinioni sono in genere concordi solo nell'affermare che essi, malgrado le loro millanterie nei comizi e nella stampa, hanno addosso una gran paura che fa loro esagerare i pericoli della situazione nella speranza di qualche intervento straniero.

Secondo molti i socialisti sarebbero disposti alla fine a cedere in tutto, e senza resistenza di azione; e alcuni di quelli che credono nella loro sottomissione incruenta se ne rammaricano in quanto stimano sarebbe necessario, per togliere lòro dal capo velleità di posteriori ribellioni quando la situazione fosse mutata, domarli con l'uso non delle semplici minacce ma della forza effettiva.

Come conclusione dirò, pur confermando la mia precedente previsione, che nulla di drammatico avverrà almeno per ora, che qualora nelle prime settimane dopo la riapertura del Parlamento si vedrà non esservi altro di mutato se non che ai ludi cartacei dei giornali si sono aggiunti quelli oratori dei deputati, si potrà essere sicuri che l'anno di grazia 1929 terminerà in Austria con la stessa tranquillità con cui è cominciato. I gregari delle • Heimwehren ., che sono in maggior parte contadini, dovranno attendere ai lavori dei campi, e i dirigenti saranno costretti ad aspettare gli zeffiri primaverili per ricominciare a pronunciare tetre parole di sangue e rovina.

5 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) -Cfr. n. l. (2) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 607.
11

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 4402/525. Innsbruck, 20 settembre 1929.

Telespressi 243794/183 e 246518/197 del 28 Agosto e 14 Settembre (1).

Le informazioni da me raccolte non confermano i dati di fatto pervenuti al Ministero dell'Interno da fonte fiduciaria e cioè che in seno alle Heimatwehren siano stati costituiti e siano per esserlo speciali reparti di montagna, raggruppamenti di guide alpine, depositi di vestiario e vettovaglie ed armi in alta montagna sulla nostra linea di confine. Che nelle formazioni della Heimatwehr vi possano essere anche delle guide alpine non è da escludersi (vi sono perfino degli altoatesini, come ebbi già da tempo a riferire) ma che esse siano state riunite in aggruppamenti speciali con fini determinati non sembra fondato. Né mi è risultato che quella organizzazione abbia proprio in questi ultimi tempi nominato dei fiduciari nelle vallate di confine: essa ha da gran tempo i suoi fiduciari in tutti i villaggi del Tirolo per ragione organizzatìva e ritengo perfettamente che quelli tra costoro i quali risiedono in prossimità del nostro confine non manchino di fornire informazioni di carattere militare riguardanti l'Italia, ciò interessando naturalmente una organizzazione come la Heimatwehr, senza che quest'ultima abbia, attualmente almeno, propositi aggressivi nei nostri riguardi. È da ritenere piuttosto che interessi alla Heimatwehr lo studio e la preparazione di una eventuale azione difensiva (alla quale essa parteciperebbe senza alcun dubbio) contro una possibile nostra aggressione. Non mi è risultato, d'altra parte, che le direttive generali dell'Heimatwehr parlino del • secolare nemico che si accampa al Brennero, sacro ad ogni cuore tedesco •. Le Heimatwehren hanno sempre evitato di formulare un qualsiasi programma di politica estera ed hanno perfino ingiunto ai propri aderenti di astenersi dall'emettere qualsiasi opinione, che non fosse strettamente personale ed estranea all'organizzazione, nei riguardi della politica estera. Questa prudente riserva, necessaria a non crearle ostacoli e difficoltà nel periodo organizzativo e nello sforzo di realizzazione del suo programma di politica interna, non significa tuttavia disinteressamento o agnosticismo in politica estera in generale e in quelle que

I patti d'intesa sono stati condotti a Monaco e ad Innsbruck per iniziativa del maggiore von Pabst, capo di Stato Maggiore delle Heimwehren, e del capo politico di queste il tirolese Dr. Steidle. Non si conoscono i dettagli ma per indiscrezioni avute essi si riassumono così: accettazione integrale da parte delle Heimwehren del programma ideale e di quello politicoperseguiti dalla Associazione Kaiserjiiger.

Programma di lotta contro l'Italia e contro il Fascismo.

Piano d'azione interno. Piano d'azione contro l'Italia.

Programma e realizzazione dell'unione del Tirolo alla Baviera....

Queste per sommi capi le basi dell'accordo Sfmzionato. Per la Associazione Kaiserjiiger

ha trattato il Reut Nicolussi. Pare anche che a quest'ultimo sarà assegnato l'Ufficio Stampa del Comando Heimwehren, che avrà sede a Salisburgo. n Reut Nicolussi si è recato ultimamente a Klagenfurt, dove si è incontrato con parecchie personalità slovene >.

stioni, in particolare, che interessano direttamente l'Austria e, in complesso, il mondo germanico. Le Heimatwehren si pronuncieranno in un secondo tempo, dopo aver regolato le questioni interne. Su questo punto io ho già da lungo tempo e ripetutamente espresso il mio pensiero, maturato di assidue osservazioni nei frequenti contatti coi dirigenti di quella organizzazione, e non credo inopportuno ripetere ancora quanto a varie riprese ho scritto in proposito: il 28 Maggio 1928, cioè ben sedici mesi or sono, (mio rapporto 2631/206) (l) io sviluppavo le stesse idee, aggiungendo: • naturalmente alle Heimatwehren appartengono uomini di tutte le gradazioni dei partiti borghesi e certamente la gran maggioranza dei suoi membri sono decisi partigiani tanto dell'" Anschluss ", quanto delle rivendicazioni territoriali in confronto dell'Italia •. Il 13 Novembre 1928 (mio rapporto 5716/471 (2) io diceva: • questa organizzazione militarizzata, che forse imprudentemente è stata sopportata in Austria, è diretta -sebbene i capi, riservandosi, come ho spesso avvertito, l'avvenire, si astengano accuratamente dal confessarlo, attribuendole soltanto finalità di politica interna -a risvegliare lo spirito nazionalistico e le speranze -comechessia e quandochessia -di una riscossa e di un redressement. Questo movimento spirituale, non ancora confessato, ma percettibile a chi lo osserva da vicino, è degno di esser da noi attentamente seguito perché fatalmente si volgerd domani contro di noi, tanto più che le Heimatwehren hanno il peccato di origine di essere nate in Tirolo •.

Del resto, il Capo supremo di quella organizzazione, il Dr. Steidle, uscendo, sia pure accortamente e parcamente, dal suo abituale riserbo non ebbe forse a dire in un'intervista concessa al periodico locale Bergland (mio r_apporto 4073/306 dell'll Agosto 1928): • come tirolese, vorrei ancor dire che, secondo le umane previsioni, un'Austria antibolscevica avrebbe verosimilmente da attendersi concessioni di natura culturale pei suoi connazionali viventi fuori dei confini, piuttosto che un'Austria in cui il marxismo ha una situazione dominante e decisiva •? Parole calcolatamente misurate ma che sono al tempo stesso rivelatrici e non cessano dal preoccupare quando si pensa che le • concessioni culturali •, mirando alla conservazione del germanesimo in Alto Adige e di tutti i fili spirituali che legano le minoranze atesine al popolo tedesco, sono il trasparente schermo col quale si usa mascherare le rivendicazioni territoriali. È fatale che le Heimatwehren, una volta padrone dell'Austria, sian portate a prender netta posizione in questa questione nella quale dubito sia possibile, tanto da parte loro quanto dalla nostra, una di quelle soluzioni, che si suoi chiamare di compromesso. Non mi pare pertanto che noi siamo particolarmente interessati al loro successo. I socialisti austriaci odiano il Fascismo per naturale avversione e fondamentale incompatibilità di principio e anche quando han l'aria di fare dell'irredentismo non fanno in realtà che dello antifascismo, essendo forse i soli che non nutrano veramente rivendicazioni territoriali, ma la borghesia, che alimenta le file della Heimatwehr, non lo odia meno, non tanto per le pretese oppressioni che gli vengono addebitate

in Alto Adige, quanto perché hanno la sensazione ben netta che esso costituisce una muraglia di granito contro l'irredentismo rivendicatore del territorio. Più, dunque, che il pieno successo delle Heimatwehren, mi sembrerebbe ci interessi che le lotte interne dell'Austria vadano a sboccare -come è, del resto, il desiderio di molte frazioni della stessa borghesia austriaca -in una soluzione di compromesso che continui a tenere questo paese in una condizione precaria di malessere e di disagio politico.

Che le Heimatwehren abbiano negli ultimi tempi fatto molti progressi non soltanto nei riguardi dell'accrescimento numerico delle loro file ma anche nello spirito pubblico, ho ripetutamente segnalato. In questi ultimi giorni numerose adesioni collettive sono pervenute a quella organizzazione in tutta l'Austria, ma per limitarmi alla mia giurisdizione, citerò quelle del • Bauernbund » tirolese, del • Buergerliche Staendebund • nonché di un ben nutrito gruppo di ferrovieri non iscritti alle organizzazioni rosse. D'altro canto l'organizzazione stessa diviene ogni giorno più attiva e più aggressiva e più categorica nelle sue richieste. Le sue adunate si vanno moltiplicando e, a parte quelle avvenute in questa giurisdizione e sempre segnalate, estendendo anche a quelle provincie che erano più permeate dalla propaganda e dall'organizzazione marxista, senza eccettuare la stessa Vienna, dove domani ancora altre adunate verranno convocate. Le sue richieste, come dicevo, van divenendo più categoriche e, mentre pel momento si concretano in quella di un mutamento radicale della costituzione, vengono accompagnate da moniti e minaccie significative: è di ieri un articolo dell'Alpenlaendische Heimatwehrblatt, che è l'organo ufficiale di quella organizzazione, che invita i partiti politici ad adattarsi alle richieste da essa desiderate ed il governo del Sig. Streeruwitz di lasciar il posto, occorrendo, ad altri più capaci, ammonendo che l'ora delle tergiversazioni è passata e che • est periculum in mora •. Sono moniti agli avversari ma anche agli amici poiché non sono lievi le difficoltà anche nel campo dei partiti borghesi aderenti in principio o sostenitori delle Heimatwehren e queste ultime hanno da combattere specialmente le correnti tiepide, quelle correnti che credono possibile ed auspicano la • soluzione di compromesso •. È imminente una marcia su Vienna? Credo che gli stessi dirigenti supremi delle Heimatwehren non potrebbero categoricamente rispondere a questo quesito. Imminente tuttavia non la credo principalmente pel fatto che attualmente da un lato fervono i pourparlers e le trattative per progettare una soluzione soddisfacente per le Heimwehren e dall'altro perché in questo momento i contadini sono presi dai lavori agricoli e non possono essere impiegati in spedizioni politico-militari.

Quanto, poi, alle notizie giunte al Ministero dell'Interno del progetto di far convergere ad Innsbruck tutte le Heimatwehren del Tirolo col pretesto di una messa campale, esse sono prive di qualsiasi fondamento. Una nuova adunata ad Innsbruck da un lato non sembra prevista e dall'altra non avrebbe necessità alcuna di pretesti, la devozione del Capitano provinciale del Tirolo alle Heimatwehren essendo assoluta e completa. Né miglior fondamento ha la notizia della minaccia di uno sciopero ferroviario (~he sarebbe impossibile in Tirolo) in caso d'un eventuale viaggio a Roma del Dr. Steidle. Corre invece qui la voce sempre più diffusa e naturalmente propagata dai socialisti che l'Italia sovvenzioni le Heimatwehren: da notizie confidenziali ricevute mi risulterebbe anche che qualche membro di quella organizzazione avrebbe confidato ad un amico che attualmente avverrebbero delle esercitazioni con fucili italiani.

(l) Con i quali venivano trasmesse notizie sull'ambiente tirolese provenienti da un informatore della direzione generale della Pubblica Sicurezza. Si pubblicano solo alcuni brani di un altro rapporto proveniente dalla stessa fonte, datato Innsbruck 9 settembre 1929: « ...È da notare che la nota associazione tirolese dei Kaiserjiiger è stata completamente assorbita dalle Heimwehren....

(l) -Cfr. serie VII, vol. VI, n. 367. (2) -Cfr. serie VII, vol. VII, p. 85 nota l.
12

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS

T. (P. R.) 11648. Roma, 21 settembre 1929, ore 24.

Pregola tenermi regolarmente e sollecitamente al corrente di tutto quanto ha attinenza al movimento • Heimwehren •.

13

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 780. Parigi, 22 settembre 1929.

La crisi ministeriale provocata dalle dimissioni del Signor Poincaré alla vigilia della Conferenza dell'Aja, la Conferenza dell'Aja, la X sessione del Consiglio della Società delle Nazioni hanno avuto per effetto di rallentare, quest'anno più del solito, la vita politica della capitale francese nelle vacanze estive. Né essa ha ancora ripreso il suo ritmo abituale: i Signori Briand, Berthelot, Léger -lontani dal Quai d'Orsay -si riposano delle fatiche dell'Aja e di Ginevra. Il Signor Corbin è anche egli assente. Al Ministero degli Affari Esteri non si incontrano che i funzionari incaricati di reggere temporaneamente gli Uffici e quelli ritornati per prendere parte alle Commissioni del Piano Y oung.

Eppure il pubblico sente che gli ultimi avvenimenti hanno una ripercussione che diventa ogni giorno più sensibile sull'orientazione della politica estera francese. Esso ha la sensazione che vi è qualche cosa di profondamente cambiato: il tono dei rapporti con l'Inghilterra. Sente che con i Signori Mac Donald e Snowden è meno agevole trattare che coi loro predecessori; che è ormai finito quell'accordo che esisteva con Baldwin e con Chamberlain che faceva sì che in quasi tutti i problemi europei e mondiali Francia ed Inghilterra potevano far prevalere il loro punto di vista precedentemente concordato. Gli avvenimenti politici di tutti i giorni si incaricano di confermare questa impressione: ieri erano gli attacchi di Snowden all'Aja, oggi le proposte di Cecil a Ginevra, domani sarà, forse, l'accordo navale che si prepara a Washington tra Inghilterra e Stati Uniti. L'opinione pubblica francese, disorientata, fa il bilancio della politica di ieri -che può iscrivere al suo attivo l'amicizia costosa e pericolosa colla Piccola Intesa e quella poco produttiva

col Belgio e colla Polonia -e si domanda quale sarà la politica di domani: Stati Uniti d'Europa? Intesa colla Germania? Accordi coll'Italia?

I parigini, che non cessano mai di esercitare la loro ironia su uomini e cose di casa loro e di casa altrui, hanno, con elegante discrezione, già fatto giustizia dell' • annuale sogno estivo , dell' • illuminato , Presidente Briand, che la satira politica giornaliera paragona a quel filosofo greco che camminando colla testa fra le nuvole non si avvedeva dei precipizi che gli si aprivano dinanzi. Una caricatura, apparsa recentemente in uno di questi giornali ed intitolata • Stati Uniti d'Europa •, mostra il Signor Briand che fa da poltrona a S. E. Mussolini ed ai Signori Stresemann e Mac Donald.

Ad una intesa con la Germania troppe difficoltà -a me sembra -si oppongono ancora. Anche a non voler tener conto del fattore psicologico, che nonostante Locarno, Ginevra ed il Patto Kellogg, nonostante l'amicizia personale di Briand per Stresemann, non cessa di costituire per la generazione attuale, (che è quella che ha fatto la guerra) un ostacolo ad una vera intesa colla Germania; anche a non voler prendere in considerazione gli interessi divergenti fra l'industria tedesca e quella francese creati dal trattato di Versaglia, non si può, nell'esame dei rapporti franco-tedeschi tralasciare di tener conto della mutata situazione della Germania. Essa • realizzando • sempre più la • liquidazione della guerra • e sentendo di poter oggi più sicuramente appoggiarsi all'Inghilterra ed all'America esiterà ad accordare la sua amicizia o, per lo meno, cercherà di venderla molto cara.

Quanto alla possibilità di accordi con l'Italia, non credo di essere lontano dal vero constatando che da qualche tempo l'opinione pubblica francese (per timore, forse, dell'isolamento verso il quale questo paese si vede forzatamente andare) si domanda se fu saggia politica quella seguita finora nei riguardi della vicina di oltr'Alpi e se non varrebbe meglio cercare di intendersi, in maniera definitiva, colla Nazione la cui forza e potenza essa vede, non senza gelosia, giornalmente ingrandire. Molti rimpiangono di non poter sostituire all'intesa coll'Inghilterra, l'intesa coll'Italia. È un rimpianto non ancora espresso in chiare parole, ma che pur si fa strada attraverso molteplici segni, che la stampa si compiace di mettere in evidenza: l'accordo franco-italiano all'Aja, la coincidenza del punto di vista italiano con quello francese nella questione del disarmo a Ginevra, l'analogia degli interessi franco-italiani di fronte alla probabile intesa anglo-americana per le eostruzioni navali.

L'atmosfera si va rischiarando verso le Alpi; l'ambiente esterno appare ed è innegabilmente migliorato. Un osservatore ottimista potrebbe dedurne che il momento è opportuno per un eventuale negoziato. Il che mi pare non sia per ora possibile affermare: occorre ancora che la Francia muti spirito e mente a nostro riguardo, sì che l'interesse superiore del paese non sia sacrificato né a viete ideologie demagogiche né a particolari interessi settari; occorre che le rivendicazioni italiane siano considerate e valutate in rapporto a tutto il peso che apporta oggi, nel quadro generale della politica europea e mondiale, l'amicizia dell'Italia.

Tale trasformazione dell'animo francese è ancora lontana, ma gli avvenimenti politici di domani, aumentando l'isolamento della nostra vicina, potranno, forse, affrettarla.

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IL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI (1), AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3856/782/503. Parigi, 23 settembre 1929, ore 20,15 (per. ore 1,30 deL 24).

... (2) nelle conversazioni di questi giorni con delegazione inglese e francese, quest'ultime hanno indicato le loro idee circa il regolamento riparazioni austriache ungheresi e bulgare. Le loro indicazioni si sono limitate alle linee generali soluzione indicata. Francia e Inghilterra prendono per punto di partenza lo stato attuale dei pagamenti dei tre Paesi, e quindi lo stato di moratoria dell'Austria, lo stato di semi moratoria dell'Ungheria, e lo stato dei pagamenti della Bulgaria. Esse intenderebbero di liberare Austria da ogni obbligo di riparazioni, e di limitare gli obblighi dell'Ungheria ai pagamenti che essa deve effettuare fino al 1943: pagamento di una annualità media di circa 12 milioni all'anno di corone oro da effettuarsi ancora per 14 anni. Tuttavia i francesi favorirebbero la richiesta all'Ungheria di altri pagamenti dopo il 1943. Gli inglesi sarebbero contrari a tale ulteriore richiesta. Quanto alla Bulgaria, essa ha, come è noto, uno stato di pagamento che stabilisce il suo debito in 2250 milioni di franchi oro, e ne effettua il pagamento con due c tranches •, di cui una (a) consiste in una annualità di 10 milioni di franchi oro all'anno, che aumenta nel 1934 fino a 43 milioni e dura fino al 1983; e un'altra (b) per il saldo rimanenza, di cui non è ancora stabilito modo di pagamento. Francesi e inglesi sarebbero favorevoli ad abbandonare la seconda c tl·anche • (b) ed a ridurre la prima (a); il modo non è stato indicato. Il presente telegramma continua col numero successivo.

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IL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3857/783/504. Parigi, 23 settembre 1929, ore 20,15 (per. ore 22,40).

Seguito al numero precedente. Per parte nostra, premesse opportune indicazioni circa nostro atteggiamento favorevole ad ogni soluzione che tenga conto dell'interesse particolare che le riparazioni orientali hanno per l'Italia, abbiamo dichiarato nei riguardi speciali dell'Austria, di essere contrari alla sua liberazione da ogni obbligo di pagamento. L'Austria, oltre agli obblighi di riparazioni verso tutti gli stati creditori, ha verso di noi -sempre in dipendenza del trattato di S. Germain e degli accordi conseguenti -obbligazioni particolari per importi rilevanti. Inglesi e francesi sarebbero contrari anche

soddisfazione di queste obbligazioni alle quali essi non hanno interesse. Francia e Inghilterra ritengono che l'Austria non è in condizioni di effettuare pagamenti di sorta, oltre quelli che fa attualmente per l'interesse e lo ammortamento del prestito del 1923 e per pagamento buoni • relief •. Esse osservano che per la eventuale liberazione dell'Austria da ogni obbligo di pagamento (come del resto per i minori pagamenti da chiedere all'Ungheria ed alla Bulgaria) l'Italia trova già compenso pel di più che le assegna il piano Young sulle riparazioni tedesche. Continuiamo a mantenere nei riguardi dell'Austria la posizione indicata. Pare evidente però che il nostro interesse consisterebbe non tanto nell'ottenere che l'Austria paghi le somme di riparazioni che debbano essere ripartite con gli altri stati, quanto nel portare l'Austria stessa ad assumere obblighi diretti verso di noi soltanto. Salvo diverse istruzioni di V. E. ci proporremmo pertanto di regolarci per modo da tentare di fare dipendere in definitiva adesione italiana ad una eventuale cancellazione delle riparazioni austriache dalla conclusione di un accordo col Governo austriaco per quanto riguarda i crediti particolari dell'Italia. Con rapporto a parte vengono fornite informazioni complementari circa questi crediti particolari dell'Italia, il loro importo ecc. Prego comunicare ministero Finanze.

16.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALLA DELEGAZIONE NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI

T. 1982/693. Roma, 25 settembre 1929, ore 24.

La Bulgaria mi ha fatto in questi giorni nuove vivissime premure perché

R. Governo le conceda anche con qualche eventuale sacrificio tutto il proprio appoggio in materia di riparazioni orientali.

Fino a che non perverranno ulteriori istruzioni da parte di questo ministero, codesta delegazione vorrà mantenere nei riguardi della Bulgaria atteggiamento riservato, e nelle questioni fra Bulgaria e Grecia, accentuare leggermente il nostro appoggio alla Grecia, riferendo dettagliatamente a questo ministero per le eventuali istruzioni definitive da impartirle.

Nei riguardi dell'Ungheria codesta delegazione potrà tenere un atteggiamento amichevole senza riserve. Nei riguardi infine dell'Austria, vorrà invece continuare resistenza ad ogni concessione.

(l) -Nella prima Conferenza dell'Aja dell'agosto 1929 era stata decisa la costituzione di tre comitati di esperti per predisporre uno schema di sistemazione delle riparazioni orientali, delle consegne in natura e della liquidazione degli oneri passati. Le riunioni dei comitati iniziarono in 16 settembre e durarono fino alla fine dell'anno. Delegati italiani erano Brocchi e Buti. (2) -Gruppi indecifrati.
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IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 3877/180. Sofia, 26 settembre 1929, ore 11,30 (per. ore 14).

Liapceff mi ha oggi pregato di comunicare a V. E. che tanto lui personalmente quanto la Bulgaria si raccomandano e confidano in V. E. per un benevolo trattamento italiano nella questione delle riparazioni orientali. Liapceff ha rilevato la grande propaganda che Serbia sta facendo in Bulgaria circa assicurazioni date Ginevra da Marinkovich, relativamente alla massima condiscendenza che Governo di Belgrado mostrerà Bulgaria nella suddetta questione.

All'incontro, parecchi giornali di Sofia pongono oggi problema atteggiamento Italia in questione così grave per Bulgaria, dichiarando attenderne risultato con ansietà e curiosità data nota amicizia italiana per Bulgaria.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 3891/290. Vienna, 26 settemb1'e 1929, o?'e 22,30 (pe1'. O?'e 2,30 del 27).

Mio telegramma n. 289 in chiaro.

Senza voler esagerare in rosee previsioni e pur tenendo presente che specialmente nell'attuale momento nuovo Governo non può inimicarsi tirolesi, è da prevedere che i nostri rapporti con l'Austria potranno avere qualche miglioramento. Schober mi si è dichiarato amico dell'Italia ed ammiratore di

S. E. Mussolini già negli anni passati quando nessun secondo fine politico poteva esservi nelle sue parole e il ministro della guerra Vaugoin, nominato ora vice cancelliere, mi disse nel maggio scorso che egli era partigiano, per il giorno in cui la borghesia austriaca avesse preso il sopravvento in contrasto definitivo con i socialisti, di una intesa con l'Italia e con l'Ungheria, aggiungendo parole di entusiasmo per S. E. Mussolini. V. E. vorrà considerare se non convenga che la nostra stampa accolga con commenti favorevoli il nuovo Gabinetto, persona di Schober, il quale gradisce assai questa attenzione.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 26 settemb1'e 1929.

Il 22 Luglio u. s. I' Ambasciatore Beaumarchais Ti rimetteva personalmente una nota di replica del Governo Francese alla controproposta in data 29 Giugno 1929 del Governo italiano sulla questione libica e tunisina (1).

Nel consegnarmi il documento francese, mi avvertivi ,che, durante la conversazione col Signor Beaumarchais, questi aveva insistito nel rilevare l'inesattezza di alcuni dei dati di fatto sui quali era basato il documento itaHano. Il Beaumarchais aveva fatto nella occasione un largo sfoggio di erudizione africanista ad avallo delle sue asserzioni.

Obiettai che molto probabilmente il Beaumarchais si era limitato a considerare e ricordare soltanto il primo capitolo dei rapporti itala-francesi in materia di questioni africane e cioè il periodo che va dall'accordo Prinetti-Barrère

(l" Novembre 1902) al Patto di Londra, fingendo di ignorare o dimenticare il secondo periodo che va precisamente dal Patto di Londra al negoziato presente. Questo periodo è infatti quello che soltanto ci interessa oggi, e che interessa le attuali trattative.

Ti pregai tuttavia di !asciarmi il tempo necessario per confrontare una seconda volta l'intera documentazione, anche sulla scorta degli appunti a lapis (l) da Te presi durante la conversazione coll'Ambasciatore Beaumarchais.

Mi sono ristudiato, come del resto avev·o fatto prima del giugno u. s., l'intera questione, documento per documento, e ho dovuto concludere che il Signor Beaumarchais aveva detto cose del tutto contrarie alla verità, tentando di far deviare su altro terreno il negoziato, con un procedimento, bisogna pur dirlo, assolutamente nuovo nelle abitudini della diplomazia di un grande Paese.

Ho voluto rassicurarmi ancora maggiormente, sebbene non ve ne fosse bisogno. Ho mandato il Ministro Guariglia dall'Ambasciatore Beaumarchais (2), onde confrontare la documentazione in nostro possesso colla documentazione in possesso di Palazzo Farnese e del Quai d'Orsay, e verificare se per avventura qualche documento ci fosse sfuggito e non si trovasse più nel nostro archivio. La conversazione Beaumarchais-Guariglia ha confermato quanto ho detto sopra. Il Signor Beaumarchais ha dovuto riconoscere che la nostra nota del 29 Giugno 1929 procedeva da elementi di fatto esatti, ed ha avuto l'aria di accorgersi per la prima volta che le nostre richieste ·si basavano sopra un accordo internazionale di carattere solenne che, in verità, è tutt'altro che segreto: il Patto di Londra, ma di cui ·tuttavia i diplomatici francesi, a furia di negarne l'efficacia, giungono talvolta col negare addirittura l'esistenza.

Oltre che sull'art. 13 del Patto di Londra (3) il nostro documento del 29 Giugno u. s. ha il suo fondamento sull'Accordo Bonin-Pichon del 12 Settembre 1919 dove è esplicitamente detto al Paragr. 2: « Par sa décision du 7 Mai dernier, le Conseil Suprème des Alliés ayant reconnu que le Gouvernement italien était fondé d réclamer le bénéfice de l'art. 13 du Traité de Londres, le Gouvernement de S. M. le Roi d'Italie et le Gouvernement de la République se sont déjà mis d'accord sur les points suivants, tout en réservant d'autres points pour un prochain examen »·

All'Accordo Bonin-Pichon fa seguito la nota italiana del Settembre 1923 a firma Mussolini diretta all'Ambasciatore di Francia. In detta nota il Governo Italiano, nel dare comunicazione a quello francese dell'intenzione di procedere alla ratifica dello Accordo Bonin-Pichon dichiarava testualmente ai Par. 3 e 4: « Il Governo italiano tiene a mettere particolarmente in rilievo che gli accordi mggiunti mediante lo scambio di lettere Bonin-Pichon del 12 Settembre 1919, non costituiscono -come risulta dalle lettere stesse in cui si riserva un prossimo esame d'altri punti -la definitiva soluzione delle questioni derivanti dall'applicazione dell'art. 13 del Patto di Londra (1915).

I detti accordi non possono essere infatti considerati come adeguata soddisfazione dei diritti a veri e propri compensi coloniali che il citato articolo riconosce all'Italia, diritti che rimangono inalterati e che potranno formare ulteriore oggetto d'esame fra i Governi francese ed italiano».

Vi sono da ultimo, 'per quanto si riferisce più precisamente al confine sud delle Colonie libiche (hinterland libico), le nostre ripetute dichiarazioni di non riconoscimento della convenzione anglo-francese del 1919, a cominciare dalla nota 12 Dicembre 1921 per finire a quella del 27 Marzo 1924, dirette al Governo di Parigi.

Nulla di nuovo è intervenuto d'allora in poi a modificare questa elementare « posizione di diritto » de1l'Italia.

In data 5 Settembre nello stesso giorno del mio arrivo a Roma dall'Aja, l'Ambasciatore Beaumarchais ha telefonato a Palazzo Chigi pregandomi di riceverlo per una comunicazione urgente. L'ho ricevuto il mattino dopo (6 settembre). Egli era insolitamente complimentoso. Mi ha detto che era stato dolente per non avermi potuto vedere prima della mia partenza per l'Aja, è entrato poi direttamente nell'argomento delle trattative ita1o-francesi, ed ancora più direttamente nell'oggetto della conversazione avuta col Capo del Governo il 22 luglio

u. s. A tal proposito il signor Beaumarchais ha ammesso di riconoscere all'Italia il diritto di avanzare richieste, prendendo ·come punto di partenza il Patto di Londra, le riserve italiane contenute sia nella nota Bonin-Pichon, sia nella nota Mussolini del Settembre 1923, nonché le dichiarazioni del 1921 e 1924 di non riconoscimento della convenzione anglo-francese del 1919 relativa all'hinterland libico, salvo beninteso al Governo francese il diritto di contestare e limitare l'entità materiale di tale diritto.

Ed è precisamente sulla entità materiale, non sulla esistenza del diritto, che riposa il disappunto dell'Ambasciatore della Repubblica francese.

La verità si è che ad un certo momento il Signor De Beaumarchais, si è troppo presto creduto sicuro di poter ottenere l'accordo sulla base della cessione dell'oasi di Giado, e che ancor più prematuramente ha trasmesso a Parigi-e ne ha ottenuto il benestare -tali proposte come la richiesta del Governo italiano.

Perciò quando il Signor De Beaumarchais ha ricevuto le controproposte ufficiali italiane da servire di base per gli ulteriori negoziati si è trovato nella necessità, per nascondere il suo disagio, di affettare la sua meraviglia.

Beaumarchais mi ha domandato infine il mio parere personale sulla questione. Gli ho risposto che mi limitavo a prendere atto che egli riconosceva la legittimità della nostra • posizione di diritto •. Ma non potevo dirgli di più.

Passando a parlare della questione tunisina, non ho potuto fare a meno di osservare al Beaumarchais che era molto triste per l'Italia dover constatare, dopo un anno e mezzo di trattative, come adagio adagio, per volontà del Governo francese, il negoziato avesse subìto una tale deformazione e un tale capovolgimento dall'impostazione primitiva, per cui l'Italia dalla sua incontestata qualità di creditrice, finiva oggi col passare alla posizione di debitrice, e dovere, proprio essa stessa, qualcosa alla Francia.

A quale punto siamo infatti arrivati? Anziché migliorare, sia pure di pochissimo, l'attuale situazione degli Italiani in Tunisia, la Francia ci dichiara brutalmente, senza sottintesi, che la Tunisia è una colonia francese e che tutti i diritti

compresi negli Statuti a favore degli Italiani, debbono essere, subito o gradualmente, aboliti.

In secondo luogo la Francia esige l'assoluta e definitiva tacitazione da parte italiana di ogni diritto derivante all'Italia dal Patto di Londra e dal non riconoscimento dell'attuale confine franco-inglese del 1919 (hinterland libico). In sostanza la Francia domanda di rimettere l'Italia nell'identica posizione diplomatica e giuridica degli Accordi Prinetti-Barrère (1902), e tutto ciò in cambio di poche decine di migliaia di km. di sabbia desertica costituenti l'oasi di Giado sulla quale tuttavia l'Italia non potrà esercitare che un diritto di sovranità relativo.

Cosa dirà l'opinione pubblica italiana -ho detto a Beaumarchais-quando invece di trovarsi di fronte ad un accordo italo-francese per il quale la Francia si decide finalmente a pagare sia pure in scarsissima misura, un suo debito di guerra all'Italia, si trova invece di fronte ad un accordo per cui l'Italia, in cambio di una piccola fascia desertica di nessun valore coloniale, dichiara di rinunciare alle sue aspirazioni africane, e riconosce alla Francia nientemeno che il diritto di disporre degli Italiani di Tunisia, come di sudditi? Non sente il Governo francese come -a parte ogni altra considerazione -c'è qualcosa di illecito in un consimile negozio giuridico?

Beaumarchais dopo aver fatto le solite obiezioni • che molto tempo è passato ecc. •, che • in Francia non si tollererebbe, dopo dieci anni, una ripresa della questione nei termini lasciati nel 1919 ecc. •, ha finito col dire, sia pure in termini piuttosto vaghi, che forse il Governo francese finirebbe col concedere una proroga delle Convenzioni del '96 per dieci anni, alla condizione esplicita tuttavia che il Governo italiano si impegni sin d'ora, spirato il termine di 10 anni, di • disinteressarsi • della questione tunisina.

Gli ho risposto che io non intendevo entrare, con quanto avevo detto, nel negoziato, e che egli avrebbe potuto parlare di tutto ciò con S.E. il Capo del Governo, ma che era mia impressione essere molto difficile, se non impossibile, che il Governo fascista potesse accettare un simile impegno.

Passo ora a riassumere, secondo il desiderio espresso dal Capo del Governo, l'• essenza •, per così dire, dei precedenti storici, giuridici, diplomatici della questione libica e tunisina, il più schematicamente possibile. Essi sono, in verità, molto chiari e molto semplici.

QUESTIONE LIBICA

l) Accordi Prinetti-Barrère. -Nell'anno 1899 (21 Marzo) i Governi di Francia e d'Inghilterra si mettono d'accordo per delimitare le rispettive zone d'influenza nei territori dell'Africa Equatoriale sahariana (hinterland libico), fra il Sudan Egiziano ed i territori francesi dell'Africa equatoriale, territori ancora sotto la sovranità dell'Impero Ottomano. Conclusa questa • Convenzione fmnco-britannica del 21 Marzo 1899 • i Governi di Parigi e di Londra ne diedero comunicazione al Governo di Roma, invitandolo a riconoscere questo accordo che divideva praticamente in due parti la Libia e cioè in Libia Mediterranea ed in Libia africana (retroterra libico).

Il Governo italiano riconobbe questo accordo, ed ebbe come corrispettivo della rinuncia ai suoi eventuali diritti sui territori libici dell'Africa equatoriale

il riconoscimento solenne dei nostri diritti sulla Libia Mediterranea (Tripolitania

e Cirenaica), e la dichiarazione di neutralità francese in caso di complicazioni

africane.

In questo consistono precisamente gli accordi Prinetti-Barrère det 1" no

vembre 1902 (Allegato n. l) (1). Questo accordo costituisce il punto di partenza

della questione libica fra Italia e Francia. Ma siamo atta preistoria ancora. Oc

cupata la Libia Mediterranea da parte dell'Italia, i Francesi hanno infatti alla

loro volta proceduto (1912-1914) all'occupazione delle regioni del Tibesti, del

Borcu, dell'Eunedi, dell'Unianga, ancora difese, qua e là, da deboli resistenze

turche. Queste regioni si trovano a sud della linea tracciata dalla Convenzione

franco-britannica del 1899 (2).

Se tutto fosse rimasto allo stato degli accordi Prinetti-Barrère, la tesi dell'Ambasciatore Beaumarchais (la cui cultura africanista sembra si soffermi a quella data) sarebbe difficilmente contestabile. Non brillante sarebbe, ad es., la nostra posizione se avessimo nelle trattative colla Francia seguito il ragionamento dell'On. Federzoni ex-Ministro delle Colonie. Quando, nel suo rapporto del 26 Marzo 1928 (3), pretende per l'Italia il diritto ai territori dell'Africa equatoriale fino al Lago Tchad, e ciò soltanto in virtù dei diritti che ci competono quale Stato successore dell'Impero Ottomano, nell'hinterland libico, l'On. Federzoni fa della letteratura coloniale, che è purtroppo di nessun valore se la si prende come serio elemento di negoziato diplomatico.

Ma noi non abbiamo seguito la tesi del Ministro delle Colonie. Nel testo della nostra nota del 29 Giugno u.s. alla Francia, e nelle numerose conversazioni verbali sull'argomento, mai il Governo italiano ha prospettato questa interpretazione dei nostri colonialisti, i quali per voler tutta l'Africa fino all'Atlantico, trovavano che il Patto di Londra ci avrebbe dato troppo poco... e così finivano (gli estremi si toccano) ad avvicinare la loro tesi giuridica nientemeno che a quella di ... Beaumarchais.

C'è di meglio, in verità, su cui fondare it buon diritto dell'Italia.

2) Convenzione franco-britannica dell'8 settembre 1919, e non riconoscimento italiano di detta convenzione. -Come abbiamo detto sopra la convenzione franco-britannica del 1899, accettata dall'Italia colla nota Prinetti-Barrère del 1902 segnava una • ligne frontière • la quale doveva costituire il limite massimo dell'espansione africana francese verso il Nord. Questa linea divideva altresì la sfera di influenza francese da quella inglese. Ma l'Inghilterra non considerò mai come territori di pertinenza del Sudan Anglo-Egiziano i territori che si trovano ad oriente di tale linea, né mai si attribuì ad es. alcun diritto su Cufra. Anzi la Gran Bretagna dichiarò sempre il contrario. Ne deriva di conseguenza che qualsiasi ingrandimento territoriale da parte della Francia oltre tale linea è un'estensione territoriale che si verifica a danno della Libia.

L'8 Settembre 1919 il Governo francese e quello inglese stipulano infatti una nuova convenzione mediante la quale lo statu qua nei confini dell'hinterland libico stabilito nella precedente Convenzione franco-britannica del 1899 accet

tata dall'Italia nel 1902, viene sensibilmente modificato (V. carta geografica annessa n. 3). Con questa modificazione si vengono a togliere all'Italia più di

175.000 km. di territorio (secondo i calcoli degli uffici cartografici italiani, molto meno secondo i calcoli degli uffici cartografici francesi), e parimenti le vie di comunicazione fra l'oasi di Cufra e i limiti meridionali del Sudan. Con questa nuova • ligne frontière • (stabilita senza nulla domandare all'Italia) il territorio italiano è limitato all'ultimo villaggio sud dell'oasi di Cufra, e la sfera di influenza francese (che il Governo francese aveva dichiarato nel 1899 « de ne vouloir pas dépasser •) viene sensibilmente accresciuta, a evidente danno dell'Italia. Nel 1902, cioè a dire quando la Tripolitania faceva ancora parte dell'Impero Ottomano e non rappresentava che un'aspirazione per l'Italia, il Governo francese si era fatto premura di prendere accordi col Governo italiano (lettere Prinetti) sopra tale linea di frontiera. Nel 1919, dopo la guerra insieme combattuta, la Francia non ha esitato a mettersi d'accordo coll'Inghilterra, a nostra insaputa, su di una questione che violava apertamente i nostri interessi.

Contro questa violazione l'Italia ha protestato (nota 12 Dicembre 1921 e nota 27 Marzo 1924, Allegato n. 2) dichiarando di non riconoscere e non accettare i termini della Convenzione anglo-francese del 1919. Il Governo francese (nota 21 Giugno 1924, Allegato n. 2) dichiara che nessun diritto italiano è stato leso ma che, ove un pregiudizio esistesse, il Governo della Repubblica

, s'empressera de réparer le préjudice causé .... •.

Ma nonostante tutto ciò la violazione è rimasta e mentre l'Ambasciatore africanista Beaumarchais finge di cadere dalle nuvole, il suo Governo • s'empresse • nel suo progetto del 21 dicembre u.s. (1), non già di • réparer le préjudice causé •, bensì di richiedere (sempre in corrispettivo dell'oasi di Giado) che il Governo italiano formalmente dichiari (Par. III) di riconoscere • que la ligne qui marque la limite des possessions françaises est la ligne définie par l'Accord franco-britannique du 9 Septembre 1919 ... • (Allegato 5) (2).

Tanto alla Francia preme che l'Italia prenda atto di questa convenzione.

3) Patto di Londra (Art. 13) -Accordo Bonin-Pichon del 13 Settembre 1919 -Dichiarazione Mussolini del Settembre 1923 (Allegato 3 -Allegato 4) Questi sono i tre atti internazionali importanti, fondamentali, strettamente connessi tra loro, per i quali la questione libico-africana, chiusa per l'Italia in seguito agli accordi Prinetti-Barrère nel 1902, si riapre nel 1915-1919. Un periodo assolutamente nuovo si riapre per l'Italia, la quale riprende interamente la sua libertà d'azione e la posizione di diritto perduta nel 1902, e tale posizione di diritto le è, a più riprese, solennemente riconosciuta.

L'accordo Bonin-Pichon, per il quale l'Italia ottenne la rettifica dei confini libico-tunisini da una parte, e dall'altra alcuni speciali vantaggi alle nostre collettività in Tunisi (uguaglianza fiscale in determinati contratti di vendita, uguaglianza fra il regime delle scuole private italiane e francesi, provvedimenti per gli Italiani infortunati sul lavoro, accordo sui fosfati), rappresenta l' • inizio • delle concessioni francesi, il • primo tempo • nelle fasi del negoziato italo

francese in tale materia. ( • ... tout en réservant d'autres points ... •). Francia

ed Italia sono d'accordo di riservare un ulteriore esame alla questione.

Dal 1919 si arriva al 1927. Otto anni di interruzione.

Durante questa lunga pausa la Francia si è abituata all'idea di non dover più nulla all'ex-alleata, e di aver ormai soddisfatto il suo debito (malgrado le proprie dichiarazioni in contrario) colle magre concessioni territoriali fatte nel 1919 alla frontiera tunisina;

La tensione dei rapporti italo-francesi nell'anno 1927, l'unanime spirito di rivolta nella pubblica coscienza italiana contro la provocatrice attitudine dei partiti antifascisti francesi, la • gaffe • francese della firma del patto colla Jugoslavia, hanno preoccupato dapprima il Governo di Parigi fino al punto di deciderlo ... a riprendere le conversazioni sulla base dell'interrotto negoziato del 1919.

Ricordo ad esempio che nelle conversazioni con Briand a Ginevra nel settembre 1927, l'Italia parlava di • miglioramento delle convenzioni del '96 • senza neppure porsi la questione della scadenza, e la Francia si trincerava sull'offerta della • proroga delle convenzioni del '96 •.

Ma poi il Governo francese, passato il primo momento di seria preoccupazione di complicazioni coll'Italia, ha pensato di trarre partito da questa riapertura di negoziato, per affrontare nella sua interezza H delicatissimo problema tunisino, puntando su quella che i francesi chiamano • cupidigia territoriale • nostra, e, col miraggio di una irrilevante cessione territoriale, risolvere di colpo una questione ben più grave per la Francia, quelLa tunisina; questione che lo stesso Clémenceau non ha osato toccare, per timore del peggio, durante le trattative di pace. Di qui la nomina di Beaumarchais, fedele strumento del Quai d'Orsay, quale Ambasciatore a Roma, e il ritiro di Besnard, meno comodo e malleabile, per una trattativa così delicata.

Giungiamo così alla presentazione di • un progetto di patto d'arbitrato e d'amicizia • (estate 1928) (1), e successivamente (21 dicembre 1928) alla presentazione del testo di due distinte convenzioni, l'una relativa • au statut des Italiens en Tunisie • (Allegato 6), la seconda relativa alla • rectification de la frontiè1·e de la Tripolitaine et des possessions françaises d'Afrique • (Allegato 5) (2).

4) Progetto francese di convenzione (21 dicembre 1928) per la rettifica della frontiera itala-francese in Africa (Allegato n. 5). -La convenzione consta di tre articoli. Il primo stabilisce la cessione da parte francese dell'oasi di Giada. Il secondo contiene una solenne dichiarazione da parte dell'Italia.di completa soddisfazione dei diritti spettanti dall'art. 13 del Patto di Londra. Il terzo contiene una non minore solenne dichiarazione di accettazione da parte dell'Italia dello statu quo, stabilito nell'accordo franco-britannico del 9 Settembre 1919, accordo non riconosciuto dall'Italia.

In aggiunta ai tre articoli c'è un paragrafo la cui ironia è forse bene non rilevare: .... la cession stipulée n'acquerra son effet qu'après occupation définitive par l'!talie •.

Bisogna riconoscere che l'importanza di questa cessione e il suo valore coloniale sono assai scarsi (Carta Annessa n. 1). L'oasi ha 600 abitanti, un numero imprecisato di kmq. di sabbia desertica (25 mila secondo i nostri calcoli, 42 mila secondo i calcoli francesi). Il territorio inutilizzabile compreso nei limiti geografici dell'oasi ci è ceduto senza riserve. Ma le uniche due piste carovaniere esistenti rimangono invece sotto la sovranità comune dell'Italia e della Francia. Il Governo francese si riserva inoltre il diritto di rifornimento ai pozzi (gli unici di tutta l'oasi) e di tappa, nel villaggio di Giado per i suoi convogli, carovane e truppe (1).

5) Controproposte italiane del giugno 1929 alle proposte francesi del 21 dicembre 1928. -Come il Capo del Governo ricorda, il Ministero delle Colonie, richiesto del suo competente avviso sulle controproposte da inviarsi a Parigi in materia di concessioni francesi in Africa, domandò addirittura che le nostre richieste fossero avanzate fino al Lago Tchad. È questa indubbiamente la grand6' direttrice di marcia della nostra espansione africana. Ma configurare oggi questa aspirazione in un negoziato diplomatico come quello attuale, significa per lo meno non avere il senso delle proporzioni e della realtà. Il Ministro delle Colonie ripiegò, in seguito, su tre progetti, di portata minore, ma non realizzabili tuttavia.

Riesaminato il problema, il Capo del Governo diede istruzioni che le nostre controproposte fossero limitate ad una zona compresa fra gli attuali confini sud della Libia ed il 18° Par. (V. Carta annessa n. 2) zona che viene praticamente a comprendere il solo massiccio del Tibesti. La nostra nota del 29 Giugno (Allegato n. 7) fu lungamente meditata, riveduta e lo stesso Capo del Governo vi introdusse numerose correzioni nella forma e nella sostanza. È redatta in un tono estremamente conciliante e cortese.. Le nostre domande sono ragionevoli. Esse avrebbero dovuto costituire un punto di partenza equo per reciproche concessioni. È una nota fatta bene. Essa ha suscitato il cattivo umore dell'Ambasciatore Beaumarchais, soltanto perché non c'è proprio niente a ridire, e la sconclusionata replica francese del 22 luglio u.s. lo dimostra.

Per quanto si riferisce alla questione tunisina l'Italia proponeva in detta nota la proroga pura e semplice per dieci anni delle Convenzioni del '96.

6) Replica dell'Ambasciata di Francia in data 22 luglio 1929 -e conversazione Beaumarchais dello stesso giorno, col Capo del Governo. Ne abbiamo parlato in principio della relazione. Questa lettera Beaumarchais (Allegato 8) scritta evidentemente in un momento di ira, è di un estremo interesse. Il Governo francese, per dirla con una vecchia frase, getta la maschera. La lettera Beaumarchais rivela e tradisce tutto il segreto gioco francese durante questo negoziato, meglio, lo scopre dichiarandolo brutalmente.

Questa lettera o è il frutto, come ho detto, di un momento d'ira, o fa parte di una tattica che vuol essere intimidatrice, la quale è un po' del resto (almeno cogli uffici del Ministero) la tattica Beaumarchais. Ritengo che, qualunque possano essere gli sviluppi del negoziato, questa lettera deve avere una nostra risposta. Una tranquilla, ma ferma risposta. Alcune affermazioni di questa lettera vanno contestate e respinte non foss'altro perché le carte siano in regola. In questa lettera la Francia dichiara per iscritto, che non ci deve più nulla per il Patto di Londra, ed è la prima volta che osa dire ciò in un documento ufficiale. In secondo luogo dichiara come • définitivement abrogés • tutti i privilegi capitolari in Tunisia ed altresì estinti tutti i • privilèges nationaux •. È la prima volta anche che la Francia dichiara ciò in un documento ufficiale. Ed infine il Governo francese dichiara: • ... en offmnt pour obtenir l'adhésion de l'Italie à ses p1·opositions sur le Statut des Italiens dans la Régence, de renoncer à Djado

etc. etc. •, cioè il capovolgimento completo dei termini del negoziato itala-francese in cui c'è, secondo la Francia, da una parte l'oasi di Giado, dall'altra il regalo di 100.000 Italiani ed il tacito riconoscimento della Tunisia come colonia francese.

Ho l'impressione che Beaumarchais abbia capito di essere andato troppo avanti con questa lettera, che sembra fatta apposta per irrigidire un negoziato, assai più che per facilitarlo.

Il suo tono, nell'ultima conversazione del 6 Settembre u.s. col sottoscritto è stato, almeno in apparenza, un po' meno scortese. Ha ammesso (contrariamente a quanto dice nella lettera) che l'Italia ha • diritto di chiedere •, per l'art. 13 del Patto di Londra e dichiarazioni susseguenti. Ha ammesso che c'è un malinteso da esaminare a proposito della convenzione franco-britannica del 1919. Ha ammesso che i territori dell'Oltre Giuba e di Giarabub datici dagli Inglesi, hanno ben diverso valore se confrontati colle zone di frontiera tunisina dateci dalla Francia nell'accordo Bonin-Pichon del 1919. Non ha ribattuto quando gli ho fatto osservare che era strano che la Francia citasse l'accordo franco-inglese (Accordo Curzon-Saint Aulaire del 24 maggio 1923, Allegato n. 9) per i sudditi britannici in Tunisi come un precedente contro di noi. I sudditi britannici in Tunisi si riducono a poche centinaia di maltesi, e non altro. Come si può fare un onesto confronto fra poche centinaia di maltesi ed i 100 mila italiani colle loro istituzioni, i loro interessi, la loro lingua, la loro tradizione, ed il contributo che essi hanno dato alla rinascita civile della Tunisia? Inoltre i Maltesi non erano protetti come lo sono i sudditi italiani dalle Convenzioni del '96, e potendo quindi il Bey di Tunisi considerarli a tutti gli effetti sudditi tunisini della Reggenza, il Governo Britannico ha preferito di gran lunga un accordo che li considerasse sudditi francesi, anzichè tunisini. Questa è stata (Beaumarchais stesso lo ha detto al Ministro Guariglia nel colloquio avuto con lui a Palazzo Farnese) la ragione per cui il Governo di Londra ha sottoscritto a questo accordo, la cui portata pratica è, ad ogni modo, assai limitata.

Circa lo Statuto degli Italiani in Tunisia ha confermato l'impressione già data nel suo colloquio del 22 Luglio u.s. al Capo del Governo, che cioè una proroga delle Convenzioni del '96 forse non è impossibile a condizione che l'Italia dichiari fin d'ora che essa si disinteresserà fra dieci anni della situazione degli Italiani in Tunisia.

6 -Documenti dipLomatici -Serie VII -Vol. VIII

QUESTIONE TUNISINA

Ne riassumo i punti più salienti:

l) Convenzioni del 1896 dette anche accordo Hanotaux-TornieHi. -Essendo venuto a scadere nel 1896 il Trattato concluso nel 1868 fra il Regno d'Italia ed :Il Bey di Tunisi (nel 1881 si era stabilito frattanto il • protettorato • francese sulla reggenza beycale di Tunisi) vennero negoziate e concluse a Parigi fra il nostro Ambasciatore Tornielli ed il Ministro degli Esteri francese Hanotaux tre distinte convenzioni:

l o -Convenzione di commercio e navigazione 2o -Convenzione consolare e di stabilimento 3o -Convenzione di estradizione.

Eravamo all'indomani della battaglia di Adua. Situazione interna ed internazionale molto difficile per l'Italia. Le convenzioni del '96 rappresentarono un grande successo diplomatico francese ed un sacrificio per l'Italia che dovette accettare, suo malgrado, il compromesso proposto dal Ministro degli Esteri Hanotaux. L'idea centrale dei patti del '96 può riassumersi così: • L'Italia si obbliga a non intralciare la situazione di fatto creata dalla Francia in Tunisia, e la Francia garantisce la tutela degli interessi italiani ivi esistenti ». Le convenzioni del '96 non implicano tuttavia, per parte italiana, alcuna rinuncia al regime capitolare. Le capitolazioni rimangono • sospese • nulla più. Ragione per cui l'abolizione delle Convenzioni del '96 importerebbe soMo l'aspetto diplomatico e giuridico la rimessa in vigore delle garanzie capitolari.

Ecco perché il Governo francese, pur possedendo tutti i mezzi per attuare con atti interni della Reggenza e del Protettorato la sua politica di snazionalizzazione italiana in Tunisia, ci tiene tanto a sbarazzare dal terreno diplomatico questa incontestabile posizione di diritto dell'Italia.

2) Scambio di lettere Barrère-Sonnino (9 settembre 1918). -Le Convenzioni del '96 dovevano rimanere formalmente in vigore fino al 1° Ottobre 1905, salvo tacito rinnovo. Nessuna delle due partì ha denunciato le convenzioni fino al 1918. Il 9 Settembre 1918 l'Ambasciatore Barrère inviava una lettera al Barone Sonnino per denunciare la prima e la seconda Convenzione del '96, aggiungendo tuttavia che detta denuncia aveva soltanto scopo economico, volendo la Franda ave1·e mano libera nel sistemare il suo regime commerciale, dopo che fossero terminate le ostilità. L'Ambasciatore Barrère dichiarava inoltre che, in attesa di negoziati per nuovi accordi, le convenzioni del '96 avrebbero continuato a considerarsi rinnovate di tre in tre mesi.

In realtà la Francia si preparava fin dalla vigilia (settembre 1918) dell'armistizio ad affrontare la discussione sulla Tunisia in seno alla Conferenza della Pace. Si preparava, ma non • osò • farlo, neppure nell'ebbrezza della vittoria conseguita, neppure contro l'Italia quale era nel 1919. Il Ministro degli Affari Esteri Sonnino prese atto della lettera Barrère, ma prese nello stesso tempo atto della dichiarazione Barrère che la denuncia escludeva qualsiasi • arrière-pensée politique • e che si riferiva esclusivamente a modificazioni da apportarsi nel regime commerciale ed economico. Nulla quindi c'è nella lettera Barrère (l) che possa far presumere la volontà francese di attentare comunque ai diritti sostanziali, oserei dire naturali, degli Italiani in Tunisia, anzi la nota Barrère esclude nettamente questa ipotesi. La nota Barrère, a leggerla attentamente è, al contrario delle odierne interpretazioni francesi, estremamente incoraggiante e benevola nei riguardi dell'Italia. Durante le trattative di pace, la Francia non ha mai parlato della Tunisia dando l'impressione che le Convenzioni del '96 erano ormai fuori discussione e che la proroga tacita iniziatasi nel 1905 e confermata nel 1918, dovesse continuare indefinitivamente. Quando la Francia ha concesso coll'accordo Bonin-Pichon del 1919 altre nuove facilitazioni agli Italiani di Tunisia, non solo non ha parlato della decadenza delle Convenzioni del '96, ma queste concessioni presumono l'esistenza delle Convenzioni deL '96!

Nulla vi è nella lettera del Barone Sonnino (che bisogna leggere dopo avere letto la lettera Barrère, cui risponde) nulla che diminuisca La posizione di diritto itaLiana (Allegato n. 10).

3) Accordo Bonin-Pichon del 30 settembre 1919 in cui, come ho detto prima, non solo, parlando esplicitamente della Tunisia non si fa il minimo accenno alla denuncia fatta nel 1918 dall'Ambasciatore Barrère delle Convenzioni del '96, ma altresì la Francia concede qualche miglioramento, piccolo, ma miglioramento tuttavia, agli Italiani in Tunisia sulla base dei diritti stabiliti dalle Convenzioni del '96 (facilitazioni fiscali, facilitazioni in materia di infortuni, e pareggiamento delle scuole private italiane e francesi).

4) DaL 1919 al 1927 la situazione si può riassumere così: La Francia intensifica in ogni campo, legislativo e politico, il violento processo di snazionalizzazione italiana in Tunisia. I decreti sulla nazionalità del 1921 e 1923 approvati dalla Camera francese, e che si estendono agli stranieri in Tunisia costituiscono un colpo grave per noi. Il Governo italiano protesta ripetutamente con passi e note diplomatiche a Parigi (sopratutto dal 1923 in poi). Se la posizione di fatto è compromessa per gli Italiani in Tunisia, la posizione di diritto è ancora salva tuttavia. Le Convenzioni del '96 sbarrano la strada alla legge francese. Il Governo francese non osa ancora fare il passo decisivo, trasformare cioè la Tunisia da Protettorato in Colonia. Il giorno in cui le Convenzioni del '96 fossero abrogate, la Francia potrebbe, senza timore più di proteste internazionali liquidare finalmente la questione tunisina.

5) Proposta Beaumarchais (Allegato n. 6) per un nuovo statuto degLi itaLiani in Tunisia del dicembre 1928. -Il Capo del Governo l'ha esaminato e lo conosce. È quello di cui discutiamo. Gli Italiani in Tunisia si troverebbero ridotti alle medesime condizioni degli stranieri in Francia e nelle altre colonie francesi. Gravi poi sono i provvedimenti relativi al divieto di esercizio delle professioni liberali. Ciò equivale alla distruzione in pochi anni della borghesia italiana in Tunisi, ossia dei nuclei italiani che maggiormente resistono all'azione snazionalizzatrice francese. Gravissima la soppressione delle RR. Scuole, cioè a dire la

fine dell'educazione e dell'istruzione italiana. La facoltà di trasformare le scuole regie in scuole private è praticamente nulla. Dal 1896 al 1919 nonostante le 1·ipetute domande rivolte alle autorità francesi nessuna scuola privata italiana fu possibile apri1·e in Tunisia. Gli accordi Bonin-Pichon concedettero ufficialmente all'Italia il diritto di aprire scuole private in Tunisia, oltre le scuole regie esistenti. Dal 1919 ad oggi malgrado tale accordo e malgrado ogni sforzo possibile nessuna scuola privata fu possibile aprire in Tunisia.

6) Contropmposte italiane del 29 Giugno 1929. -Proroga pura e semplice di dieci anni delle Convenzioni del '96.

CONCLUSIONI. -Ho cercato di seguire, nella presente relazione, soltanto il filo conduttore e centrale della questione che ci interessa quale si può trarre fuori dall'esame accurato dei • dossiers », molto voluminosi, presso il Ministero degli Esteri. Ho dovuto trascurare molti dettagli, che pure sono interessanti, e portano luci di scorcio di certo valore su tutto il negoziato. Mi sfuggono tuttavia molti dati, e sono certo quelli decisivi, relativi a conversazioni fra il Capo del Governo e l'Ambasciatore Beaumarchais durante l'anno 1928 e 1929.

Il Capo del Governo soltanto è in grado e può trarre quelle conclusioni che sono nel reale interesse del Paese. Egli solo, che è la Sintesi della vita dello Stato, può giudicare se allo stato delle trattative convenga resistere sulle posizioni della nostra nota del 29 Giugno u.s. protraendo in ulteriori fasi il negoziato, oppure se convenga ripiegare sulla proposta francese dell'oasi di Giado (l) insistendo sulla proroga pura e semplice delle Convenzioni del '96 per dieci anni. È superfluo dire che qualsiasi impegno, contratto oggi dall'Italia, per quando verrà a scadere la proroga (di qui a 10 anni) distruggerebbe l'effetto politico della proroga medesima. Essa equivarrebbe ad una dichiarazione di rinuncia la quale giocherebbe subito a tutto nostro svantaggio, anche se, di fatto, la sua pratica applicazione fosse 1·itardata di dieci anni.

Sarebbe infatti piuttosto difficile domandare ai nostri connazionali di Tunisia il sacrificio di resistere all'azione francese quando essi sanno fin d'ora che questo loro sacrificio è praticamente inutile, e che la loro sorte, anche se dilazionata, è pur tuttavia decisa fin d'ora. La proroga pura e semplice di 10 anni lascia impregiudicate le situazioni di fatto ed accresce, anziché scemare, le speranze.

La strada che sceglierà il Capo del Governo, nel suo infallibile senso realistico, è quella che più conviene all'Italia.

(l) Cfr. serie VII, vol. VII, nn. 515 e 557.

(l) -Non rinvenuti. (2) -Sull'incontro, che avvenne il 24 o il 25 luglio 1929, cfr. serie VII, vol. VII, n. 560.

(3) PATTO DI LONDRA (articolo 13). Dans le cas où la France et la Grande-Bretagne augmenteraient leurs domaines coloniaux d'Afrique aux dépenses de l'Allemagne, ces deux Puissances reconnaissent en principe que l'lta!ie pourrait réclamer quelques compensations équitab!es, notamment dans le règ!ement en sa faveur des questions concernant !es frontières des co!onies italiennes de l'Erythrée, de la Somalie et de !a Lybie et des co!onies voisines de la France et de la Grande-Bretagne. [Nota del documento].

(l) -Gli allegati non si pubblicano. (2) -La minuta a questo punto così proseguiva: « riconosciuta dall'Italia nella nota PrinettiBarrère, come il confine sud della nostra colonia libica». (3) -Cfr. serie VII, vol. VI, n. 208. (l) -Cfr. serie VU, vol. VII, n. 121 allegato III. (2) -lbid., p. 147o (l) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 121, allegato I. (2) -Ibid., allegati II e III.

(l) Ad un certo momento io stesso mi sono domandato se, in vista dello scarso interesse coloniale rappresentato dall'offerta francese dell'oasi di Giado (dato che non si possa ottenere altro) non valesse la pena di restringere il negoziato italo-francese alla sola questione tunisina e accantonare la questione africana lasciando aperto (la nostra dichiarazione -Paragr. 2 e 3 della Convenzione proposta da Beaumarchais -di soddisfazione e di tacitazione di ogni diritto derivanteci dal Patto di Londra ci ripone indubbiamente nella posizione dell'Accordo Prinetti-Barrère del 1902) il nostro credito rispetto alla Francia. Questo credito costituirà sempre un elemento giuridico, diplomatico e polemico a nostro favore. Il problemadelle nostre aspirazioni africane è indubbiamente un problema di forza e di potenza: un problema futuro quindi, ma che tuttavia ha bisogno di essere preparato fin d'ora. [Nota del documento].

(l) Nell'originale è riportata in nota la lettera Barrère, che non si pubblica.

(l) In questo caso io ho l'impressione che Beaumarchais non è alieno dal considerare anche la questione dell'hinterland libico modificando a nostro vantaggio la linea frontiera stabilita dalla Convenzione franco-britannica del 1919, e non accettata da noi. Si tratterebbe insomma di riportare questa linea alla linea precedente stabilita dall'Accordo Prinetti-Barrère del 1902. Siamo proprio noi che domandiamo, in questo caso, la linea Prinetti-Barrère, violata dai Francesi colla Convenzione franco-britannica del 1919. In questo modo si verrebbe a realizzare (rimane, è vero, dopo, ad intendersi cogli Inglesi ma non è difficile ottenere ciò in sede di regolamento di confini tra il Sudan egiziano e la Cirenaica ancora da farsi) una zona che anche se non è di 180.000 km. come sostengono i nostri colonialisti, è certo di estensione maggiore dell'oasi di Giado, e di un valore coloniale più concreto (comunicazioni fra l'oasi di Cufra ed i! Sudan). Ho l'impressione che Beaumarchais non sia sfavorevole a trovare un'intesa su questo terreno (Vedi Carta Annessa n. 3) [Nota del documento].

20

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 26 settembre 1929.

L' • Ufficio Ebraico • al Ministero degli Esteri esiste già. Però non ha questo

nome, nè, (almeno io penso) è opportuno che diamo a quest'ufficio un impianto

solenne come appare essere nel desiderio del rabbino Prato. Tanto meno poi

accettare soldi da questa gente per tale ufficio.

Per le altre proposte S. E. il Capo del Governo mi darà le Sue eventuali

istruzioni (1).

21

RELAZIONE DELL'UFFICIO II EUROPA E LEVANTE PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 26 settembre 1929.

Questo Ministero, in conformità delle istruzioni a suo tempo impartite da S. E. il Capo del Governo, già da qualche tempo ha provveduto a prendere qualche discreto contatto con alcune personalità ucraine, residenti all'estero e che dirigono il movimento che si propone il distacco dell'Ucraina dall'URSS e la sua costituzione in Stato autonomo ed indipendente.

Recentemente il prof. Alessandro Choulguine, una delle personalità più serie ed autorevoli fra gli emigrati suddetti e già da un pezzo in frequenti contatti con un fiduciario della R. Ambasciata in Parigi, ha chiesto di poter venire a Roma a conferire con un funzionario di questo R. Ministero.

(l} Annotazione di Mussolini: • Atti».

L'appunto di Grandi si riferiva a una lettera del Gran Rabbino di Alessandria d'Egitto,David Prato, a Mussolini del 18 settembre 1929, di cui si pubblicano i brani seguenti:

• A mio modesto avviso sarebbe necessario costituire in Italia un Ufficio per gli Affari Ebraici, come esiste presso altri Governi di paesi europei. In questi paesi la opportunità di tale Ufficio è giustificata dalla importanza numerica della popolazione ebraica e dalla necessità di regolare i problemi dei rapporti fra il Governo e una popolazione, che senza essere considerata ufficialmente come una minoranza nazionale, ne ha tuttavia tutti gli aspetti. In Italia, se pure non si presenta questa necessità, perchè la fisionomia dell'ebraismo italiano è diversa da quella dei paesi dell'Europa centro orientale, tale ufficio si dimostra invece necessario per i rapporti con l'ebraismo del bacino del Mediterraneo e per quegli sviluppisuccessivi che non è dato fin da ora prevedere. Che questo Ufficio sia fisicamente e notoriamente aggregato al Ministero degli Esteri, poco importa e forse sarebbe meglio che non lo fosse. L'essenziale è che la sua attività si svolga in perfetto accordo con l'Ufficio del Levante, col quale ogni attività dovrebbe essere concordata e coordinata. A reggere questo ufficio dovrebbe essere chiamata persona di provata fede ebraico-italiana, di alta competenzanella storia delle due civiltà e particolarmente nelle lingue parlate dagli ebrei del Mediterraneo (ebraico, spagnuolo, arabo e francese). Scopo precipuo di questo Ufficio dovrebbe essere la creazione di una federazione delle comunità ebraiche del Mediterraneo con sede a Roma, il consolidamento del Collegio Rabbinico di Rodi, nonchè del Collegio Rabbinico Italiano, attualmente residente a Firenze e della Scuola Rabbinica di Livorno....

Nessun contributo a questa Federazione, ed alle iniziative che da essa saranno promosse, dovrà essere dato dal Governo Italiano. Gli ebrei italiani stessi si sentiranno onorati di partecipare ad un'opera di questo genere, tanto più quando sapranno che essa ha ottenuto l'autorevole consenso dell'E. V. Sol che si sappia, col necessario e naturale riserbo, che l'iniziativa trova le simpatie di chi oggi dirige le sorti della nuova Italia, non mancherà da parte degli ebrei italiani il gesto, che sarà un dovere •.

La sua venuta è stata regolarmente autorizzata ed egli è stato ricevuto dal Capo dell'Ufficio 2° E. L., al quale ha detto che scopo della sua visita era soltanto il desiderio di ringraziare il R. Governo della benevolenza che esso va dimostrando per la causa dell'indipendenza ucraina e di mettersi a disposizione del R. Governo qualora esso, al momento opportuno, ritenesse necessari più frequenti rapporti e più stretto contatto con i dirigenti del movimento stesso.

Il prof. Choulguine, che appare persona seria e dabbene, ha detto rendersi conto delle ragioni che impedivano, almeno per ora, al R. Governo di accogliere alcuni desiderata dei rifugiati ucraini (aiuti morali e finanziari), ma che egli si riteneva pago dell'assicurazione che questo R. Ministero seguiva con interesse lo svolgersi del movimento separatista ucraino, il cui successo avrebbe avuto la più grande importanza pel maggior sviluppo dei rapporti politici, economici e commerciali fra l'Italia ed Ucraina.

Il Prof. Choulguine ha infine espresso il desiderio di presentare personalmente i suoi omaggi a V. E., assicurando che si sarebbe astenuto dal presentare qualsiasi richiesta e che avrebbe evitato ogni pubblicità intorno alla udienza concessagli.

La Direzione Generale Europa e Levante ha pertanto l'onore di sottomettere tale richiesta a V. E. e si permette esporre ìl subordinato avviso che, qualora V. E. non reputi opportuno accordare udienza al Prof. Choulguine, egli venga almeno ricevuto dal Capo Gabinetto di V. E.

Il Prof. Choulguine risiede da anni a Parigi, ove dirige la Missione diplomatica ucraina che quivi venne ufficiosamente inviata dal Governo Nazionale Ucraino di Petliura nel 1919 e che da allora è sempre restata in Francia, col tacito consenso di quel Governo. Egli riveste inoltre la carica di Ministro degli affari esteri nel Governo ucraino costituito all'estero da Petliura dopo la sua cacciata dall'Ucraina, e che, dopo la morte di Petliura, viene diretto dal Prof. Levitzki. Questo • Governo ucraino » del prof. Levitzki costituisce certo l'organizzazione più seria ed autorevole fra i numerosi gruppi di rifugiati ucraini all'estero. Risulta che esso è in stretto contatto col Governo Polacco, da cui è anche sussidiato, e mantiene buoni rapporti anche col Governo Francese. Il Prof. Choulguine, e gli altri dirigenti del gruppo, sono stati numerose volte pubblicamente ricevuti ed in aperta relazione con alte personalità responsabili francesi e polacche (1).

Cfr. due appunti di Diana: « Il Capo di Gabinetto dice di indirizzare il prof. Choulguine al Dr. Forges Davanzati, al quale ha quindi fornito tutti i precedenti in archivio. 17 settembre 1929 ». « Il Dr. Forges Davanzati essendo assente da Roma, il Prof. Choulguine è stato ricevuto da me, all'Ufficio II E. L. 25 settembre 1929 •. I contatti a Parigi con Choulguine erano tenuti da G. Omnis Delicati, membro della

delegazione italiana presso la commissione delle riparazioni.

Sulla questione dell'Ucraina cfr. una relazione di Cerruti, in data Mosca 9 maggio 1928:

« ••• Una Ukraina indipendente presenta per noi un enorme interesse. È difficile stabi

lire come e quando il regime bolscevico potrà cadere: ma non è certo nel nostro interesse di vedere al posto dell'Unione sovietica, praticamente assente dal campo delle competizioni internazionali, ricostruirsi una entità statale russa dai confini dalla Polonia al Pacifico. Un nur:>vo governo borghese riprenderebbe le tradizioni di politica europea della Russia imperiale: Conquista di Costantinopoli, e degli stretti, predominio nei Balcani. Una Ukraina indipendente, stabilita solidamente sul litorale del Mar Nero si eleverebbe a barriera dell'espansione russa verso gli stretti. Minacciata di assorbimento da una politica "panslavica"

(l) Appunto marginale di Grandi: « Mantenere diligenti contatti col movimento ucraino e i suoi esponenti. Questi contatti debbono essere mantenuti diligentemente dal!'Ufficio II. Io non ricevo questo signore. Bisogna metterlo nelle braccia di R. Forges Davanzati •.

22

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 2382/988. Budapest, 26 settembre 1929.

Faccio seguito alla mia lettera riservata personale N. 2293 del 18 corrente (l) ed al mio telegramma Gabinetto N. 162 del 23 corrente.

Fino a ieri sera nulla risultava di nuovo a questo Ministero degli Affari Esteri sulla situazione in Austria. Giorni or sono un mio informatore personale mi ha comunicato che sono stati sospesi gli invii in congedo ed in licenza della truppa ungherese, che normalmente seguono alle manovre annuali.

Mi terrò giornalmente in contatto col Barone Apor e segnalerò telegraficamente all'E. V. ogni notizia degna di rilievo. Con telegramma-posta N. 2381/987 in data odierna ho trasmesso la recensione di quegli articoli che non siano pura e semplice riproduzione di notizie pubblicate dalla stampa viennese.

Riferendomi poi a quanto ebbi l'onore di far presente nella mia precedente lettera, per quanto riguarda le comunicazioni di questo R. Addetto Militare al R. Ministero della Guerra, ho l'onore di trasmettere due copie del rapporto N. 449 del 24 corrente redatto in merito dal colonnello Oxilia. L'E. V. giudicherà della opportunità o meno di inviarne una a S. E. il Generale Gazzera.

Questo R. Addetto Militare rinnova la preghiera di essere messo in grado di rispondere in qualsiasi maniera ai quesiti posti dal conte Csaky di cui all'allegato alla mia precedente lettera.

ALLEGATO.

OXILIA A GAZZERA

N. 449. RR. P. Budapest, 24 settembre 1929.

Faccio seguito ai fogli 430 (2) e 431 Ris.mo Personale del 14 corrente. Il Sottosegretario alla Difesa Nazionale, generale Algya Pap, mi ha personalmente consegnato ieri gli uniti documenti (3) redatti dallo Stato maggiore ungherese:

-Esame sintetico della situazione austriaca;

-5 allegati; perchè mi compiacessi farne traduzione e copia e li trasmettessi personalmente all'E. V.

essa sarebbe naturalmente portata, al pari della Polonia ad opporsi in ogni modo all'espansione russa nei Balcani, espansione di cui l'esponente naturale, come per il passato, sarebbe la Jugoslavia.... ».

Cerruti proseguiva sostenendo l'opportunità di « preparare all'estero una organizzazioneche possa un giorno, forse non lontano. inquadrare i sentimenti e le aspirazioni popolari • dell'Ucraina. Il gruppo di Lewizki era quello che sembrava a Cerruti il più meritevole di appoggio e di incoraggiamento.

« Le potenze da cui l'Ukraina spera appoggio sono l'Inghilterra e l'Italia. Sopratutto

quest'ultima che ha ora una concezione dinamica dei problemi di politica estera, che ha

interessi vitali nel prossimo oriente e che è interessata a non vedere risorgere un impero

russo imperialista e panslavista, che, in forza della sua politica balcanica è interessata a

impedire una unione dei popoli slavi dal Pacifico al Mediterraneo sotto l'egida russa •·

Lewizki chiese, e il Governo italiano diede il suo consenso di massima (peraltro poi

non mantenuto, cfr. n. 39), che alcuni giovani ucraini fossero ammessi per istruzione nella

nostra Marina e nella nostra Aviazione (cfr. il t. posta rr. 201/876 di Majoni, Varsavia 22 otto

bre 1928; e una relazione per Mussolini dell'Ufficio Il E. L. dell'li gennaio 1929). Fiduciario a

Roma del Lewizki era Jeremiev.

Attenendomi alla preghiera del generale Algya, mi permetto di far rilevare che dalla memoria redatta da questo Stato maggiore emana un senso di maggior ponderatezza nell'esame della situazione austriaca. Anche la possibilità di intervento cecoslovacco è considerata come ipotesi per ora del tutto incerta.

In un abboccamento oggi avuto col Capo del Servizio informazioni ungherese, questi mi confermava che lo Stato maggiore vede la cosa con notevole calma e che un accordo su basi politiche non è per ora da escludersi definitivamente.

Il mio collega addetto militare francese, incontrandomi ieri, ha voluto sentire cosa pensassi della situazione austriaca. Avendogli detto che ritenevo si facessero troppe parole perchè ne sortissero dei fatti veri, egli non mi nascose invece le sue preoccupazioni e le complicazioni di carattere interno ed estero che una guerra civile in Austria avrebbe potuto causare. È ben probabile che queste idee siano quelle stesse dell'addetto militare cecoslovacco, che è in continui rapporti con quello francese.

La stampa ungherese si occupa diffusamente della situazione in Austria, ma nessuna notizia importante appare da essa.

Segnalo infine che quest'anno, al termine delle manovre, non sono stati effettuati i consueti congedi parziali di truppa e che sono state sospese anche agli ufficiali le licenze ordinarie.

(l) -Cfr. n. 8. (2) -Cfr. n. 8, allegato. (3) -Non si pubblicano.
23

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 3898/291. Vienna, 27 settembre 1929, o1·e 16,32 (per. ore 17,50).

Steidle e Pabst hanno detto a Morreale che pur essendo soddisfatti di essere riusciti a suscitare la crisi e a risolverla nel nome di Schober, considerano presente ministero una tappa per le ulteriori conquiste delle Heimwehren nel Governo. Hanno confermato che Schober aveva offerto loro un portafoglio purchè fosse attribuito a qualcuno dei loro membri più in vista, ma che essi non lo avevano accettato considerando che anche nuovo ministero è troppo ligio ai vecchi metodi parlamentari e che come tale potrebbe mettere movimento Heimwehren nel pericolo di dannosi compromessi. Da parte mia osservo che il valore di queste dichiarazioni potrà essere misurato soltanto fra qualche giorno alla stregua del programma politico di Schober e degli ulteriori avvenimenti parlamentari.

24

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. (P. R.) 11924. Roma, 27 settembre 1929, o1·e 24.

Informola per sua opportuna conoscenza che ho ricevuto in questi giorni il deputato bulgaro Ivan Petroff venuto a Roma, secondo quanto egli mi ha dichiarato, con la missione confidenziale, affidatagli da Buroff, di impetrare dal

R. Governo l'appoggio -anche a costo di qualche sacrificio materiale da parte dell'Italia -a favore della Bulgaria in materia di riparazioni orientali. Il Petroff ha cercato di assolvere la sua missione profondendosi in magniloquenti espressioni di gratitudine per quanto l'Italia ha fatto per la Bulgaria. Gli ho chiaramente esposto il pensiero del R. Governo sulla politica di Buroff, non senza incidentalmente fargli rilevare che per una questione cui la Bulgaria attribuiva tanto interesse, il signor Buroff sarebbe anche potuto venire personalmente a Roma per prospettare direttamente la cosa a S. E. il Capo del Governo.

Gli ho riassunto per sommi capi i numerosi concreti benefici che l'Italia disinteressatamente ha arrecati alla Bulgaria in tutti questi anni e come questi benefici siano stati contraccambiati da una politica come quella dal signor Buroff svolta da un anno a questa parte che, volendo usare un eufemismo, si potrebbe qualificare di • poco chiara •. Il signor Buroff non deve quindi rammaricarsi se egli ora corre il pericolo di raccogliere i frutti di questa politica e se l'Italia si trova nella necessità di favorire ad esempio la Grecia dell'attitudine della quale l'Italia non ha sinora da dolersi.

25

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3901/293. Vienna, 27 settembre 1929, ore 22 (per. ore 5 del 28).

Chiaro programma del nuovo Governo di cui V. E. riceverà sunto con telegramma a parte mi sembra notevole per più punti in relazione al presente momento. È la prima volta che un cancelliere riconosca apertamente ed ufficialmente in parlamento importanza Heimwehren nonchè del pensiero che esse rappresentano e dichiari volere mantenere con loro durevoli rapporti. È anche la prima volta che un cancelliere annunzia intendimento sia di fare attribuire al presidente della repubblica facoltà emanare decreti sia di fare modificare ordinamento costituzione di Vienna. Queste sono le due questioni più ostiche ai socialisti. Le altre dichiarazioni mi sembrano di importanza relativamente minore almeno per il momento. Quelle poi sulla politica estera sono incolori nè vi era da aspettarsele. Si parla di nuovo della necessità del prestito e lo si mette in relazione con presenti discussioni Parigi sulle riparazioni orientali ciò che conferma quanto l'altro giorno mi disse Schi.iller e cioè essere suo intendimento cercare regolare colà anche tale questione.

Pur essendo chiara nella enunciazione sostanza delle riforme, Schober ~usa frasi un poco generiche forse per riservarsi una certa libertà nella loro definitiva formulazione in relazione alle prossime discussioni con i socialisti.

Ma annunzia necessità lavorare rapidamente.

Se Schober tiene fermi suoi precedenti propositi vi è da credere agirà prontamente ed energicamente. Parlandomi in grande confidenza anni fa sulla situazione mi diceva essere ormai questa favorevole al ristabilimento per via legale dell'autorità dello stato possedendo Governo forze armate adeguate ed

essendo socialisti deboli per stato di animo e scarsezza di armi. Occorre però, aggiungeva, che il cancelliere si decida a dire finalmente una parola di volontà. Ciò è necessario ma è anche sufficiente. La parola di volontà Schober l'ha detta nel suo discorso, il quale può riassumersi colle frasi ricostituzione e rafforzamento dei poteri dello stato. Sta ora anche a lui metterla in atto.

26

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS

L. RR. P. 6487. Roma, 27 settembre 1929.

Ho letto con interesse il Suo rapporto Riservato Personale del 18 c.m.

n. 2293 (1), relativo ai colloqui intercorsi fra :la S. V. ed il Ministro Walko, fra codesto R. Addetto Militare ed il Ministro ed il Sottosegretario della Difesa Nazionale Ungherese.

Ho provveduto a rimettere a questo Incaricato d'Affari di Ungheria copia del promemoria rimesso da S. E. Walko a V. E.

Ho altresì provveduto a rimettere a S. E. il Ministro della Guerra il rapporto del Tenente Colonnello Oxilia, accluso al rapporto della S. V. sopra citato, con i relativi allegati, ed ho pregato S. E. il Generale Gazzera di rispondere direttamente al R. Addetto Militare, onde metterlo in grado di dare a sua volta una risposta al conte Csaky così come V. S. mi ha proposto.

La S. V. infine potrà comunicare al Ministro Walko che ho esaminato con attenzione il promemoria rimessomi, e che lo ho sottoposto alla visione di S. E. il Capo del Governo, e che è avviso del Governo italiano doversi continuare nella linea di condotta concretata nei colloqui qui avuti dal Signor Walko con

S. E. il Capo del Governo durante il suo ultimo soggiorno.

Per quanto concerne l'ipotesi di interventi stranieri la S. V. vorrà far comprendere al Signor Walko che il Governo italiano non considera tale ipotesi, specialmente di fronte ad un chiaro ed energico atteggiamento diplomatico dell'Italia; la S. V. potrà comunque assicurarlo della nostra solidarietà con l'Ungheria in questa eventualità, ma vorrà altresì fare considerare a codesto Governo che la massima prudenza è indispensabile in tutte le singole manifestazioni se si vuole dominare la situazione e conservare intiera libertà di movimento di fronte allo svolgersi degli avvenimenti.

Di quanto precede ho dato comunicazione a questo Incaricato d'affari di Ungheria.

(l) Cfr. n. 8

27

APPUNTO DELL'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE (l)

Vienna, 27 settembre 1929.

Ho avuto negli scorsi giorni occasione di incontrarmi col dott. Krnjevic, Segretario generale del Partito croato dei contadini, rifugiatosi anche egli a Vienna. Dalla sua conversazione non ho appreso gran che di particolarmente interessante nei riguardi dell'attuale situazione interna in Croazia: un punto su cui il Krnjevic insiste molto è l'assoluta preparazione morale e materiale dei contadini di tutta la Croazia alla rivolta. Egli afferma che l'organizzazione dei ·collegamenti è ottima e che si dura fatica ad infrenare lo spirito di ribellione dei contadini: questi hanno nei capi la massima fiducia, non è però da escludersi che i tentennamenti dei capi possano a lungo andare scuoterla, e perciò il Krnjevic è del parere che non si debba tardare oltre la fine dell'autunno od il principio dell'inverno un eventuale tentativo. Ho avuto l'impressione che il Krnjevic sia stato perfettamente a posto nella sua carica di segretario generale del partito perchè deve avere qualità organizzative, ma a mio parere gli mancano quelle del propagandista. Mi ha pregato di metterlo in contatto coi giornalisti inglesi ed americani ed ho cercato di farlo indirettamente, valendomi di un collega, ma con scarso esito, poichè i giornalisti suddetti non hanno ritenuto che il nome di Krnjevic abbia tale risonanza all'estero da giustificare una intervista, nè che la questione croata sia per H momento attuale.

Quasi a ·COnferma della bontà e vastità del servizio di spionaggio della Jugoslavia, il Krnjevic mi ha detto di constargli in modo sicuro che la Prefettura di polizia di Zagabria fu a conoscenza della presenza del deputato Kosutic a Fiume, subito dopo la fuga dalla Jugoslavia, due ore e mezzo dopo che il Kosutic si era presentato alla Prefettura di Fiume. Non ha saputo però dirmi quale fosse la fonte dell'informazione a Fiume.

Ho intrattenuto il Krnjevic sull'atteggiamento dell'Austria e delle Heimwehren austriache nei riguardi della questione croata e gli ho fatto notare che non sarebbe male che gli emigranti più autorevoli prendano anche qui dei contatti per cercare di concretare l'atteggiamento genericamente favorevole della popolazione nei loro riguardi. Il Col. Percevic, presente al colloquio, mi ha dichiarato che le personalità ufficiali del Governo (l'ex governo Streeruwitz) pur interessandosi personalmente alla sorte dei croati e commiserandoli, non vogliono sentirne parlare ufficialmente perchè temono rappresaglie o fastidi da parte di Belgrado. Mi ha assicurato che nessun contatto gli emigranti hanno ancora avuto colle Heimwehren: era stato fissato altra volta un abboccamento tra uno dei capi di questa organizzazione e Pavelic, ma poi questi dovette partire per la Bulgaria ed il colloquio non ebbe più luogo. Altri tentativi non sarebbero stati fatti (quindi neanche da parte del Generale Sarkotic, il quale non si ritiene come il Percevic stesso autorizzato a parlare in rappresentanza dei croati, tanto più ora che rappresentanti diretti del popolo si trovano all'estero). Ho suggerito a Krnjevic di fare qualche tentativo in tal senso egli stesso, in

modo da ottenere dalle Heimwehren ora che non sono ancora al potere, e perciò più arrendevoli, qualche assicurazione. Krnjevic si è mostrato convinto della opportunità di qualche avvicinamento nel semo sopradetto.

È interessante infine rilevare che tanto Krnjevic come Percevic, malgrado le mie precise richieste, mi hanno negato che Trumbic si sia rifugiato all'estero. Perchè? devo escludere infatti che ad entrambi sia ignota la residenza attuale del capo dei federalisti.

(l) Morreale era anche corrispondente da Vienna del Popolo d'Italia.

28

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3910/299. Vienna, 29 settembre 1929, ore 1,15 (pel". o1·e 4,10).

Mio telegramma n. 293 (1).

La seduta di ieri nel parlamento si è svolta in una calma e con un ordine cui da tempo non si era qui abituati. Le dichiarazioni Schober sono state accolte senza interruzione dai socialisti. Stessa critica da loro fatta è stata di una moderazione inconsueta. A chi considera ora la situazione mi pare si presentino due incognite in relazione alle proposte opposte dei socialisti e delle Heimwehren.

La incognita socialista era espressa nella conclusione odierno articolo Arbeiter Zeitung. Schober vuole attuare disegno riforma costituzione legalmente, ma poichè gli occorrono i due terzi dei voti, accarezza anche una parte di quelli socialisti e poichè i socialisti pur essendo pronti ad accettare alcune riforme non possono accettarne altre, quali facoltà emanare decreti legge del presidente della repubblica e il mutamento nella situazione di Vienna, ne deriva che Schober o dovrà fare rinunzia o valersi di mezzi non legali. A ciò invece si potrà rispondere essere già molto che i socialisti si siano dichiarati disposti ad accettare in massima mutamento costituzione e la discussione sulle varie modificazioni, e per di più avere essi fatto giungere alle orecchie di Schober che le loro obiezioni in parlamento non devono essere prese in modo strettamente letterale.

L'incognita delle Heimwehren deriva dal non sapere se esse che hanno rifiutato far parte del Gabinetto Schober, per non dividere responsabilità con vari uomini politici dei vecchi partiti, vorranno rimanere fuori e lasciare a Schober ed agli altri ministri, se azione del gabinetto si paleserà efficace, tutta la gloria dell'attuazione della riforma costituzionale. A ehi oppone ciò, si risponde qui che Schober, secondo ha dichiarato ieri, si ter:eà in continue relazioni con le Heimwehren e che queste potranno far valere i loro progetti e i loro meriti sia con tali rapporti, sia mediante quei membri del gabinetto che rappresentano le loro idee, pur non appartenendo all'organizzazione, quali il vice cancelliere Vaugoin ministro della guerra.

Bisogna ad ogni modo riconoscere che un primo beneficio è già derivato dalla nomina e dalle dichiarazioni di Schober e cioè quello di un diffuso otti

mismo tra questa borghesia la quale dalla fine della guerra ha vissuto in un accorato ironico pessimismo. Ed è certo che l'ottimismo ove mantenuto nei limiti del ragionevole, è condizione necessaria ma non sufficiente per qualunque successo.

Il presente telegramma continua.

(l) Cfr. n. 25.

29

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3912/300. Vienna, 29 settembre 1929, ore 1,15 (per. ore 4,40).

Seguito precedente telegramma.

L'importante è ora qui che Schober ha mostrato voler agire con rapidità e decisione. Rapidità, per non far cadere questa onda di generale fiducia che ha adesso sollevato il Governo, decisione, per la sopravvenuta rivalità dei partiti e dell'egoismo dei singoli. Quanto ai mezzi, molti dicono che non importa se legali od illegali ed alcuni giungono ad affermare preferirebbero, ai mezzi derivanti da una legge inspirata non dal superiore interesse dello stato, ma dai particolari bisogni del partito che due anni fa la formulò, l'impose, i mezzi offerti dalle armi e dalla forza, stimando essere nuovo Governo persuaso che soltanto il fuoco sana. Ma molti sono coloro i quali vorrebbero che tutto si accomodasse alla buona, intanto aspettazione è grande e si spera non sia delusa.

Parlamento riprenderà le sue sedute non appena ministero Schober esaminerà progetto riforme costituzionali preparato dal ministero Streeruwitz, lo avrà modificato ed approntato per essere presentato alla discussione della Camera. Sarà forse allora che potrà farsi qualche più fondata previsione sul corso ulteriore degli avvenimenti. Heimwehren terranno domani le quattro adunate nei dintorni di Vienna già fissate sotto precedente ministero. Ma se già con Streeruwitz se ne prevedeva tranquillità molto maggiore tranquillità si prevede ora con Schober.

30

IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 48. Ginevra, 29 settembre 1929. Da fonte fiduciaria, mi si comunica quanto segue:

• Per Sua conoscenza, Le comunico che nell'ambiente sionista internazionale esiste una viva agitazione contro il Comm. Catastini e specialmente contro il Marchese Theodoli.

Quest'ultimo è accusato di maltrattare la questione ebraica in sede di commissione dei mandati e si sta ora montando contro di lui una campagna di stampa (da scatenarsi durante la sessione straordinaria che la Commissione

stessa terrà per esaminare le conclusioni della Commissione di Inchiesta sui fatti (1), ora costituita dal Governo britannico e che inizierà il suo lavoro ai primi di ottobre), la quale si inizierà sul "Times ". Scopo della campagna è quello di mettere in evidenza come da parte del cognato di Theodoli che, in sede di Commissione, affetterebbe di non credere alla possibilità economica di sistemazione degli ebrei in Palestina, si siano invece vendute a carissimo prezzo terre agli ebrei in Palestina, e di agire sull'opinione pubblica perchè essa giudichi se sia equo che alla carica di presidente della Commissione dei mandati permanga, nella situazione attuale, persona apparentata <:on famiglie siriane influenti, appartenente all'aristocrazia nera e nota per il suo antisemitismo.

Il Dottor Weizmann, capo del sionismo, éi,ccennerà certamente alla cosa a

S. E. Mussolini, ch'egli conosce personalmente, e che si ripromette di vedere a Roma nel viaggio che farà colà (2), di ritorno dall'America, dove si recherà il 21 corrente, per prendere il verbo degli ambienti americani sulle misure da attuarsi nei confronti del movimento stesso in questo momento di crisi.

Tuttavia, da parte sionista, si vuole evitare che la campagna contro Theodoli possa sembrare inspirata ad ostilità contro l'Italia: perciò, si è scartata l'idea di rivolgersi ad Henderson perchè queBti agisca attraverso l'Ambasciatore inglese a Roma presso il nostro Governo e si sospenderebbe anche la campagna, se, allegando motivi di salute, il Signor Theodoli restasse assente durante la sessione straordinaria precitata della Commissione dei mandati •.

L'agitazione di questi ambienti sionisti ha avuto qualche ripercussione nell'animo del Segretario Generale, il quale ha cereato d'indurre il Comm. Catastini a consigliare al Marchese Theodoli di non partecipare alla sessione straordinaria della Commissione dei Mandati.

Da parte mia, non ritengo opportuna l'assenza del Marchese Theodoli. Essa potrebbe essere interpretata come un gesto di debolezza del Presidente della Commissione dei Mandati, e potrebbe, in avvenire, menomare la sua autorità. In tal senso, ho parlato al Comm. Catastìni che concorda colla mia opinione.

31

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALLA DELEGAZIONE NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI

T. 19961704. Roma, 30 settembre 1929, ore 24.

R. ministro a Sofia telegrafa quanto segue (3).

Ho già spiegato a Piacentini (4) che se non ci sentiamo oggi ben disposti verso Bulgaria nella liquidazione delle riparazioni orientali, ciò si deve attribuire alla politica tortuosa di Buroff della cui attitudine a nostro riguardo non possiamo davvero essere soddisfatti. Rimangono quindi ferme le istruzioni di massima di cui al mio telegramma n. 693 del 2~5 corrente (5).

Quanto all'accenno fatto da Liapceff alle promesse di Marinkovich, mi interessa conoscere se ed in quale forma benevolenza jugoslava verso Bulgaria si sia effettivamente manifestata durante lavori di codesto comitato.

(l) -Allude agli incidenti tra arabi ed ebrei avvenuti a Gerusalemme il 23 agosto 1929. (2) -Dall'autobiografia di C. WEIZMANN, TriaL and l~rror, New York, 1949, non risulta lb data dei suoi incontri con Mussolini. Ma sulla questionE' Theodoli cfr. pp. 370-371. (3) -Cfr. n. 17. (4) -Cfr. n. 24. (5) -Cfr. n. 16.
32

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. RR. 2000/197. Roma, 30 settembre 1929, ore 24.

Suo telegramma n. 180 (1).

Le ho già telegrafato (2) il sunto di quanto ho detto al deputato Petroff che mi ha esposto le aspettative di Buroff drca il nostro contegno nella questione delle riparazioni. La S. V. potrà ora intonare la sua risposta a Liapceff a tali mie dichiarazioni che pongono in chiaro, all'infuori di ogni equivoca circonlocuzione, la questione del nostro atteggiamento di tronte a questo come di fronte ad altri interessi bulgari. Liapceff sa quante e quali prove efficaci e risolutive abbiamo dato del nostro favore in tutti i problemi che hanno toccato la Bulgaria, anche quando ,siamo stati soli a sostenerne le ragioni. In compenso, sotto specie di asserita prudenza, il contegno dell'attuale Gabinetto bulgaro nei confronti dell'Italia è stato quanto mai incerto, sospettoso e tortuoso. Nè potrebbero valere a farlo apparire diverso gli abituali appelli alla nostra amicizia nell'imminenza di scadenza di qualche gravità. La stampa bulgara che si pone il problema dell'atteggiamento e dell'amicizia italiana nella questione delle riparazioni, qualora fosse messa al corrente della segnalata condotta di codesto Governo, non potrebbe che rivolgere il suo disappunto verso l'azione del suo ministero degli esteri.

È questa, quindi, un'occasione, da noi non provocata, che si offre alla S. V. per chiarire francamente con Liapceff la questione delle nostre relazioni.

33

APPUNTO DBL, CAPO DELL'UFFICIO SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 30 settembre 1929.

Negli ultimi giorni della mia permanenza a Ginevra ho avuto occasione di discutere in via accademica della questione del disarmo navale con alcuni membri della Delegazione francese: fra gli altri ,col mio collega al Quai d'Orsay, Massigli, e coll'esperto navale Comandante Deleuze.

Da questi colloqui ho tratto l'impressione che i francesi vedono con molta preoccupazione la prossima conferenza di Londra.

Essi considerano oramai come tramontata l'intesa con l'Inghilterra e sospettano il Governo laburista di voler fare, in materia di disarmo, una politica anti-francese. Essi temono che, raggiunto l'accordo cogli Stati Uniti sulla base

della parità navale, l'Inghilterra metta la Francia davanti al dilemma: o accettare le proprie condizioni o vedersi attribuita la responsabilità del fallimento della Conferenza.

I francesi non contestano l'opportunità ehe l'Inghilterra abbia cercato di mettersi d'accordo prima con gli Stati Uniti (come il Governo francese aveva fatto nel 1927 col gabinetto ·conservatore) per eliminare le divergenze esistenti nella questione degli incrociatori. Essi sostengono però che fra Londra e Washington non si doveva arrivare che ad un accordo di massima sui metodi da applicare alle limitazioni navali. Invece, l'accordo che è stato raggiunto

o che sta per essere raggiunto -fra Inghilterra e Stati Uniti, si concreta in cifre precise di tonnellaggio. Ora -osservano i miei interlocutori -se l'Inghilterra pretende di presentare alla Conferenza di Londra l'accordo angloamericano come base per un accordo generale fra le cinque grandi Potenze Navali, la Francia si vedrà ·costretta a fare ampie riserve. Essa non è disposta ad accettare senz'altro una formula di limitazione che, pur essendo conveniente agli anglo-americani, non tenga conto degli interessi delle altre Potenze.

I miei interlocuto.ri osservavano inoltre ehe se Francia Italia e Giappone accettassero la formula anglo-americana e si arrivasse così a Londra ad un accordo concreto per la limitazione degli armamenti navali, l'Inghilterra non avrebbe più alcun interesse a ménager le Potenze continentali nel campo degli armamenti terrestri. Ne deriverebbe come logica conseguenza che nelle prossime riunioni della Commissione preparatoria e nella Conferenza Generale per il disarmo i delegati laburisti non avrebbero più alcun ritegno ad assumere una attitudine intransigente nelle questioni che interessano particolarmente la Francia e l'Italia (riserve istruite e materiali stockés), come ha già cercato di fare Lord Cecil a Ginevra durante l'ultima Assemblea.

Concludendo, Massigli sosteneva che a Londra si dovrebbe discutere e dovrebbe cercarsi un accordo unicamente sui Criteri di massima e sui metodi della limitazione. La fissazione delle cifre dei rispettivi tonnellaggi dovrebbe invece essere lasciata alla Conferenza generale del disarmo.

Gli ho osservato che se lo scopo della Conferenza di Londra era quello di trovare una base d'accordo fra le cinque grandi Potenze Navali che rendesse meno difficile, in sede di Conferenza del disarmo, un accordo generale, non si poteva fare a meno di discutere già a Londra di cifre, o per lo meno di quote proporzionali. Non mi pareva neanche opportuno che le Grandi Potenze si presentassero a Ginevra con tutte le loro divergenze ancora insolute. (È evidente che i francesi preferiscono invece di rinviare la discussione sulle cifre alla futura conferenza generale del disarmo, dove potranno contare sull'appoggio degli Stati Minori che gravitano nella J.oro orbita politica).

Ho osservato pure ·che, da un punto di vista formale, non mi sembrava possibile di rifiutare di. partecipare alla Conferenza di Londra unicamente per la ragione che Stati Uniti ed Inghilterra si erano già accordati per conto loro sul rispettivo tonnellaggio di incrociatori. Tale accordo non legava i terzi, che avrebbero diritto di discutere e fare le loro proposte.

Massigli ne ha convenuto: ma ha osservato che, quando si tratterà di rispondere all'invito inglese per la Conferenza di Londra, converrà esaminare l'opportunità di fare due riserve esplicite: la prima per dichiarave ·che le cifre concordate fra Stati Uniti ed Inghilterra per gli incrociatori non debbono necessariamente essere prese come base per la limitazione proporzionale del tonnellaggio delle altre tre Grandi Potenze; la seconda, per mettere bene in chiaro che l'accordo che si raggiungesse eventualmente in materia navale non entrerebbe in vigore se non quando un accordo fosse raggiunto anche nel campo degli armamenti terrestri ed aerei.

Massigli mi ha ·chiesto se credevo che sarebbe stato possibile che Francia ed Italia si mettessero d'accordo per una risposta comune. Ho osservato che occorreva prima conoscere come l'invito sarebbe stato formulato.

Nelle mie conversazioni con Massigli e col Comandante Deleuze si è pure fatto cenno al suggerimento che Mac Donald ha rivolto ai nostri due Governi, di ingaggiare delle conversazioni preliminari per cercare una base di accordo fra Italia e Francia. Ci siamo trovati d'accordo nel ritenere conveniente di evitare, se possibile, che a Londra si venga a creare un conflitto italo-francese, il quale verrebbe sfruttato per attribuire ai nostri due paesi la responsabilità di un eventuale fallimento della ·conferenza.

Ho preso l'occasione per ripetere ai miei interlocutori che l'Italia avrebbe mantenuto fermo il principio della parità. Essi mi hanno osservato che « la questione era molto difficile da risolvere» ma non hanno escluso l'utilità di conversazioni preliminari fra Roma e Parigi.

Superfluo dire che le mie conversazioni sopra riferite hanno avuto il carattere di scambi di vedute del tutto personali, essendosi premesso da entrambe le parti che non si conoscevano ancora le intenzioni dei rispettivi Governi.

Tenuto ·conto del suggerimento rivolto tanto all'Italia che alla Francia dal Primo Ministro inglese, importa esaminare se sia conveniente o meno di provocare delle conversazioni preliminari con Parigi.

Nella questione degli armamenti terrestri abbiamo con la Francia degli interessi comuni: quello, principalmente, di opporsi all'offensiva che i delegati laburisti a Ginevra non mancheranno di lanciare alla prossima occasione per la limitazione delle riserve tstruite e del materiale in deposito.

Nel campo navale, invece, è da prevedersi che la Francia si opporrà alla nostra domanda di parità, e che in via subordinata cercherà di ottenere che tale parità rimanga unicamente teorica. Nel momento attuale però, e cioè per effetto dei timori e dei sospetti sollevati in Francia dall'accordo anglo-americano, non mi pare sia assolutamente da escludere ·che il Governo francese senta l'interesse ed il desiderio di cercare una base di intesa con l'Italia e di costituire un fronte comune contro la minaccia di egemonia navale da parte del blocco anglo-americano.

Trattasi dunque di esaminare se delle conversazioni •preliminari fra Roma e Parigi siano utili od opportune

l) in relazione alle nostre direttive di politica generale;

2) in relazione alla tattica che si intende seguire alla prossima Conferenza di Londra (1).

cart. 3177/8).

7 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) -Cfr. n. 17. (2) -Cfr. n. 24.

(l) Sulle trattative per il disarmo navale cfr. una nota di Grandi al ministro della Marina in data Roma 21 settembre 1929: • ... È superfluo mettere in evidenza l'eccezionale importanza che nei riguardi del nostro Paese, riveste l'insieme delle trattative di cui si tratta, trattative che ... potrebbero essere forse la conclusione, di tutti i negoziati intercorsi. su tale materia, fra le maggiori Potenze navali dalla Conferenza di Washington in poi. (USM,

34

IL MINISTRO A PRAGA, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 3952/199. Praga, 30 settembre 1929 (per. H 3 ottobre).

Telegramma per eorriere di V. E. n. 1929 del 16 corrente (1).

L'avvento di Schober al potere e le sue dichiarazioni costituiscono, a giudizio di questi circoli competenti e mio, un nuovo sbalzo indietro per la politica danubiana di Benes nonchè la ,stroncatura del tentativo di adescamento da lui fatto presso Streeruwitz e a suo tempo segnalato dal R. ministro a Vienna col telegramma n. 54 e da me con telegramma n. 171.

La situazione torna così ad essere simile a quella che si produsse nel giugno 1928 dopo le famose dichiarazioni di Sei.pel e credo che da questo Iato la irrequieta attività del ministro degli esteri cecoslovacco dovrà forzosamente !asciarci tranquilli per qualche tempo.

35

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 6316/2188. Belgrado, 30 settembre 1929.

Come ebbi già l'onore di informare V. E., le pubblicazioni del Giornale d'Italia (2) sui comitagi e sulle condizioni economiche SHS provocarono una vivace e smodata reazione da rparte di questa stampa, reazione che registra ancora in tono minore qualche strascico nei giornali belgradesi di questi ultimi giorni.

Intanto il Corriere della Sera del 2,4 corrente pubblicava il rilevante articolo di Aldo Valori dal titolo • I croati •, mentre nello stesso tempo il Manchester Guardian portava due fierissimi colpi allo stato SCS con due articoli, di cui uno (quello del settimanale Manchester Guardian) denuncia lo stato di disordine e di barbarie in cui viene tenuto questo paese, e l'altro (quello del quotidiano Manchester Guardian (3) getta un grido d'allarme sui pericoli che la situazione jugoslava nasconde per la pace europea, terminando col chiedere che· la Gran Bretagna richiami all'ordine il Governo di Belgrado.

La stampa Belgradese non ha risposto al Manchester Guardian. L'Avala ha però diramato all'estero una smentita.

Non ha risposto nemmeno al Corriere deUa Sera. Segno evidente che si è preferito non portare a cognizione del pubblico gli attacchi di così autorevoli organi dell'opinione pubblica europea. Una risposta al Corriere della Sera si è avuta sulle Novosti di Zagabria del 27 corrente con un articolo di fondo, in

cui è detto che la stampa italiana scrive sotto l'influenza dei rifugiati croati, ed il suo interessamento per i croati è molto sospetto, avendo per mira la riunione della Dalmazia all'Italia, la creazione di uno stato cuscinetto fra Fiume e Budapest.

Intanto il 22 corrente il giornale Politika ed il 29 corrente l'ufficioso Pravda pubblicano due articoli in tono minore, insolito in vero su questa stampa, la cui violenza contro di noi non ebbe mai posa, perfino negli anni 1924, 1925, quando il patto di Roma era ancora operante.

Il linguaggio anzi del giornale Pravda assume un tono mellifluo e commosso, auspicando ai due popoli vicini l'amicizia coll'« aprirsi l'anima l'uno all'altro». Tale articolo non manca di abilità, e la sua costruzione potrebbe essere gabellata per moneta buona se non fossero più che note Ie ragioni di opportunità del momento che spingono l'organo ufficioso a tenere un simile linguaggio. In esso vengono confutate le possibili ragioni di divergenza fra noi e la Jugoslavia e cioè: nessun programma di espansione della Jugoslavia verso occidente, bensì tendenza alla tradizionale via verso Salonicco; nessuna convenienza per l'Italia di occupare la sponda opposta dell'Adriatico, rocciosa e povera, e suo bisogno di espansione coloniale per la quale nulla ha da temere dalla Jugoslavia, bensì da qualche eventuale nuovo raggruppamento di Stati Danubiani, cui aspira • la megalomania ungherese •; nessun timore che la Jugoslavia possa essere la longa manus della Russia, che sotto il regime dei Soviet è orientata verso l'Asia; nessun pericolo per l'Italia dall'amicizia Franco-Jugoslava, diretta alla conservazione dei trattati di pace; convenienza anzi della Jugoslavia che Francia e Italia giungano ad un'intesa di fronte al pericolo tedesco ed a quello scaturente da un'int·esa anglo-americana; rina,scita della simpatia che il popolo serbo avrebbe sempre nutrito per il popolo italiano, e necessità che la grande cultura italiana venga a nutrire l'anima del popolo jugoslavo.

Tale linguaggio non è effetto di alcun revirement nelle secrete intenzioni di questi circoli dirigenti, ma va riguardato anche esso come mezzo tattico diretto a mostrare all'opinione pubblica estera che l'Italia attacca, mentre la Jugoslavia offre all'avversario il ramoscello d'ulivo, ed a facilitare quindi con un'apparente remissività la conclusione del grande prestito. È infatti notorio che una delle condizioni poste dalla casa Rothschild è appunto quella che siano migliorati i rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia. Si tende forse anche a trovare fin da ora una difesa per la eventualità che la sospensione della intesa cordiale da temporanea si muti in permanente, e tenuto presente che se in Francia vi possono essere tendenze pronte a ,sacrifi·care gli interessi polacchi per un accordo con la Germania (vedi rivelazione sui passati approcci della destra tedesca), ve ne possono essere anche di maggiori pronte a sacrificare gli interessi SCS per un accordo con l'Italia. Sui risultati della X assemblea della Società delle Nazioni, cosi scrive del resto il Vreme: «Essa ha permesso di intravedere più nettamente la nuova orientazione delle grandi potenze, in particolare l'allontanamento della Francia dalla Gran Bretagna, il riavvicinamento angloamericano, il riavvicinamento eventuale fra la Francia e Italia. In pari tempo ci si è potuto rendere conto dell'affermarsi della posizione internazionale della Germania».

Dato quindi il recentissimo contegno remissivo della stampa belgradese e il rsuo vero valore, sembrami sia il caso di esaminare quale possa essere l'ulteriore linea di condotta da tenere dalla stampa italiana.

La campagna della nostra stampa, ed in particolare modo del Giorna~e d'Italia ha avuto l'innegabile effetto: l) di i.lluminare il pubblico italiano sull'essenza psicologica vera dei dirigenti serbi, e sulla fragilità della costruzione jugoslava; 2) di denunziare all'opinione pubblica mondiale l'ana·cronistica esistenza nel centro d'Europa di uno stato in uno stadio di evidente inferiorità civile, ed i pericoli da esso derivanti alla paee europea.

L'ignoranza delle cose jugoslave che esisteva nella stessa Italia ancora negli anni del dopo guerra, fino al primo patto di Tirana, è ora cessata e nella nostra pubblica opinione si è formata la profonda persuasione di avere un vicino incomodo, turbolento e minaccioso.

Ciò posto, e tenuto conto della nostra posizione di malcelato contrasto, anzi di lotta, con questo Stato, sottopongo all'alto apprezzamento di V. E. la subordinata considerazione che non sia il caso di dover insistere troppo nel forzare le tinte deHa nostra stampa nei riguardi della Jugoslavia, senza incorrere di fronte all'estero nella legittima suspicione di agire per ostilità preconcetta, svalutando quindi l'effetto stesso che vogliamo internazionalmente raggiungere (1).

L'articolo, ad esempio, sui «Croati» del Corriere della Sera, di cui sopra, è tempestivo ed in tanto più efficace in quanto equilibratissimo. Esso pone di fronte all'opinione pubblica mondiale il problema croato in tutta la sua realtà. Ma, perchè esso possa conservare tutto il suo valore di grido d'allarme, mi sembrerebbe necessario che non fosse seguito da altri articoli, che, dando particolari, sia pure ,sensazionali sul sacrificio del popolo croato, vengano a convalidare il sospetto già denunciato dalle Novosti di Zagabria, che il grande organo milanese sia a disposizione dei rifugiati croati in Italia.

Chè dalla lettura dell'articolo delle Novosti si deduce appunto quale sia la delicatezza del nostro appoggio (specialmente di stampa) alla questione croata, e come manovrando abilmente due o tre temi (nostre manifestazioni di varia natura pro Dalmazia quando sola difesa ad eventuali nostre rivendicazioni su quelle regioni è Belgrado, secolare contrasto fra italiani e croati già strumento di oppressione austriaca, bassa incoerenza dei fuorusciti croati nel chiedere aiuto per la loro causa proprio all'Italia) po.ssa essere possibile al governo di Belgrado di staccare il favore delle masse croate dai loro capi fuorusciti.

E poichè la stampa inglese e tedesca, col Manchester Guardian, la Fmnkfurte1· Zeitung ed il Berliner Tageb~att alla testa, sono entrate nel vivo del contrasto che incombe sui popoli uniti dai trattati di pace nel dominio del ·serbtsmo, sembrami possa convenire tacere per qualche tempo sulla nostra stampa, cercando, se possibile, di alimentare con tutti i possibili mezzi l'interessamento della stampa estera per le cose e fatti di questo stato.

Quanto ,sopra non dovrebbe in alcun modo significare che si debba giungere al punto da far credere a nostra acquiescenza!

La stampa italiana dovrà sempre seguitare ad occuparsi delle cose jugoslave con una cronaca esatta e spassionata dei fatti e dei fenomeni di questo paese, fatti e fenomeni, che di per se stessi sono già e ,saranno sempre eloquentissimi.

E del resto se si voglia continuare nella nostra stampa un'attitudine ostile non manca varietà di materia. Fra l'altro: l) illuminare le difficili condizioni fatte agli italiani in Jugoslavia negli ultimi mesi e delle quali ho riferito a

V. E. e dovrò riferire ancora. 2) La serie di petizioni accolte dalla Società delle Nazioni contro lo stato jugoslavo -importantissima quella della • Ligue des Droits de l'Homme • (documenti diplomatici n. 1028) e così via.

Chiedo venia a V. E. di avere con larghezza e sincerità espresso il mio subordinato parere in materia di tanta importanza. Vi sono incoraggiato dalle istruzioni impartitemi costà verbalmente da S. E. il Capo del Governo e confermate con telegramma n. 1883/243 del 10 corrente (1), e che tendono a fare apparire le buone intenzioni del R. Governo per un avviamento alla normalità dei rapporti fra i due paesi (2).

(l) -Col quale veniva comunicato il doc. ed. in serie VII, vol. VII, n. 617. (2) -Cfr. n. 6. (3) -Un riassunto di questo articolo, uscito nel giornale inglese del giorno 24, in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Rassegna settimanale della stampa estera, anno 4o vol. IV, pp. 2211-2212.

(l) Annotazione di Mussolini: c Approvato •·

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IL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO, GASPARRI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

N. 2160/29. Dal Vaticano, 1 ottobre 1929.

Certamente Ella ricorda quello che fu detto e scritto qui, affinchè, nella impossibilità di subito abrogare la legge che erigeva a festa nazionale il 20 settembre, quella legge rimane,sse almeno senza alcuna esterna applicazione ed esecuzione; esecuzione ed applicazione, che, dopo le Convenzioni Laterane e massime a così breve intervallo di tempo dalle Convenzioni stesse, non potevano non riescire illogiche a tutti gli italiani aventi notizia e comprensione delle dette convenzioni, illogiche e penose a tutti i cattolici e d'Italia e del mondo intero. Illogiche, perchè sarebbero state per festeggiare il giorno nel quale fu aperta la Questione Romana ossia (come bene accennarono S. M. il Re e V. E.) nel quale fu turbata e rotta l'unità degli spiriti e de' cuori in Italia, nel quale nel fianco d'Italia veniva infissa una spina.

Quello che veniva all'ultima ora suggerito appunto per diminuire in qualche modo e misura quella inevitabile impressione di illogicità e di pena non poteva voler dire che la Santa Sede meno le sentisse; doveva e voleva anzi dire che

« È perciò seriamente da temere che le difficoltà croate siano per qualche tempo sedate. Ed esse costituiscono il solo punto debole di questo Stato nello svolgimento del suo programma politico militare economico che comunque si sviluppi è fatalmente diretto contro di noi.

Si può concludere affermando che la nuova legge costituisce lo sforzo supremo dell'elemento militarista per la fusione ed il livellamento di tutte le schiatte, compresa anche la serba, in un popolo solo che elimini il principale elemento di debolezza di questo Stato. Ed è innegabile la abilità e la perseverante forza del gruppo militare dirigente.

Il tentativo ultimo nuò anche fallire se le nazionalità resistano; ma se riesca non potrebbe lasciare indiffere-nti gli stati vicini. In primo luogo non può lasciare indifferenti ed inattivi noi per agire finchè esso non abbia acquistato tutta la forza cui aspira, e non abbia completato tutti gli strumenti di offesa che affina senza mai interruzione né posa •·

le sentiva più di ogni altro. Non è punto necessario dimostrare che tale rimedio e sollievo era, per necessità di ·Cose, destinato ad avvantaggiare il Governo d'Italia assai più che la Santa Sede, ciò che viene pure confermato da comunicazioni e notizie alla stessa Santa Sede pervenute.

Non sembra che i fatti e le ovvie considerazioni che precedono, lasciassero sopravvivere la possibilità di procedimenti come quelli adottati ed eseguiti dal Prefetto di Como e dai poteri centrali nei riguardi di quella Federazione di Gioventù Cattolica Italiana.

Debbo aggiungere alcune poche osservazioni:

l) Si tratta di un telegramma ordinario, non destinato alla pubblicità, con due firme che si riducono ad una sola, nerchè il Sacerdote Assistente era assente nè aveva autorizzata la firma in casu, spedito da chi non conosceva il rimedio e sollievo purchessia qui escogitato all'ultima ora, e senza regolare consultazione della Federazione interessata e di quell'Ecc.mo Vescovo. Non si vede come e dove siansi trovati gli estremi per procedimenti così fulminei e così gravi, ai quali non ,si sarebbe certamente addivenuti anche solo se il Prefetto di Como avesse interpellato quel Vescovo, e il potere centrale la Santa Sede per mezzo del Nunzio Apostolico o dell'Ambasciatore d'Italia, il che sarebbe stato pienamente ·conforme allo spirito ed alla lettera del·le Convenzioni Laterane.

2) Il telegramma di cui sopra non era destinato alla pubblicità, ma era destinato e indirizzato al Santo Padre.

3) Il trattamento fatto al telegramma è stato tanto più inatteso e penoso alla S. Sede ed a moltissimi in Italia ed all'estero per essere venuto dopo quello di piena tolleranza, per dir poco, recentemente fatto ad articoli tendenziosi ed irriverenti apparsi in giornali quotidiani di Roma e d'altre città d'Italia, ed alle irriverenze grossolane di un settimanale illustrato molto diffuso; e intanto il Prefetto di Verona faceva sequestrare il n. 28 (21 Settembre) del giornale Idea Giovanile per l'articolo di fondo Paternità santa, articolo, che, se è filialmente pio e devoto verso il Santo Padre, non offende punto persona od istituzione alcuna.

È quasi superfluo aggiungere che il Santo Padre attende con desiderosa fiducia le opportune disposizioni dei poteri eentrali che valgano a ristabilire al più presto e ad assicurare per l'avvenire quella serena tranquillità, che è e non può non essere nel desiderio di tutti; desiderio che nel Santo Padre è vivissimo.

(l) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 616. (2) -Commentando la legge del 4 ottobre sul riordinamento amministrativo del Regno Jugoslavo (e non più S.C.S.), Galli cosi concludevn il R. 6470/2251 del 7 ottobre:
37

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 3950/307-308-309-310. Vienna, 2 ottob1·e 1929, ore 20 (per. ore 22,30).

Schober ha tenuto stamane primo ricevimento del corpo diplomatico. Ha accolto con tanta maggiore cordialità miei rallegramenti per la sua nomina in quanto in questi ultimi mesi ero andato a vederlo varie volte per informarmi sulla situazione. Gli ho domandato quali previsioni facesse sul contegno dei socialisti e su quello delle Heimwehren che erano secondo me le due incognite.

Quanto socialisti Schober mi ha detto crede che • ingoieranno • tutto, compreso mutamento di situazione costituzionale di Vienna e che difatti già vanno pur con qualche difficoltà preparando le masse ad acconsentire al rapido reciso voltafaccia. Sembra che l'idea di Schober sarebbe di mettere città Vienna alla dipendenza diretta del Governo centrale e di ,privarla della sua indipendenza economico-finanziaria, la quale è arma di difesa ed offesa più effi.cace che socialisti abbiano in mano. Questi progetti e in seguito altre J."iforme saranno presentnti alla Camera deputati settimana ventura o seguente. I socialisti dovranno accettare « tutto » in caso contrario ha aggiunto con molta tranquillità e decisione Schober bisognerà raggiungere lo scopo altrimenti. Io ho chiesto se volesse fare le nuove elezioni e mi ha risposto di no. Allora ho osservato non resta che l'uso della forza. Schober sorrise leggermente e non mi ha contraddetto.

Circa Heimwehren mi ha assicurato non essere vero quello che esse per tenersi alte nella considerazione del pubblico vanno ripetendo e cioè che egli avesse offerto loro un posto di ministro nel gabinetto. (V. E. ricorderà che come ho riferito con il mio telegramma n. 291 (l) Steidle e Pabst lo avevano dichiarato anche a Morreale e questo prova con quanta prudenza devono essere accolte loro affermazioni anche ·con noi). Ha mostrato loro essere innanzi tutto necessario .che fossero riabilitate nella opinione pubblica europea ove eccetto Italia e Ungheria tutti gli stati si erano nella loro stampa mostrati diffidenti e avversi nei riguardi di esse. Non ha mancato di fare ciò nelle sue dichiarazioni in parlamento e già giornali esteri hanno notato il linguaggio. Nulla si oppone in 'seguito qualora Heimwehren ,si rmostrino affiatate disciplinate e obbedienti venga loro dato qualche ministero.

Queste dichiarazioni Schober in qualità di cancelliere concordano con quelle che egli mi aveva fatte da prefetto di polizia. Idea Schober è stata sempre che la riforma costituzionale doveva e poteva farsi dal Governo cui le forze dell'esercito della polizia e della gendarmeria erano sufficienti. Non mi ha mai mostrato temere resistenza dei socialisti o iniziativa Heimwehren considerando che gli uni e le altre non avevano mezzi adeguati a tale compito in rapporto con quelli di cui Governo può disporre. Conclusione che può trarsi dal mio colloquio di questa mattina è che Schober ~ deciso attuare tutte le riforme costituzionali compresa quella di Vienna; che egli c11ede socialisti daranno all'attuale Governo loro voto necessario per ottenere richiesta maggioranza di due terzi; che per il caso ciò non avvenga egli è pronto a ricorrere ad altri mezzi, e questi mezzi non sono nuove elezioni; che non può escludersi possa ricorrere alla forza di cui Governo dispone.

Prima di andare via ho detto a Schober che non volevo r>rolungare nostro colloquio durato più di 20 minuti e parlargli diffusamente dello stato presente dei rapporti fra l'Italia e l'Austria e della necessità di un suo intervento nel Tirolo, per usare colà il linguaggio aperto e fermo ·Che occorre, se si voglia una buona volta che le nostre relazioni siano quali dovrebbero essere. Ero giunto per

primo al ricevimento del corpo diplomatico ed il salone era pieno di ministri che aspettavano con impazienza il loro turno. Ma mi promettevo fare ciò ad un'altra occasione quando fossero state risolte le questioni interne presenti gravi. Schober mi ha risposto che si sarebbe volent:leri intrattenuto con me su questo argomento. Ma che non voleva !asciarmi prima di avermi pregato di rinnovare a S. E. Mussolini espressione della sua gratitudine per l'invio della fotografia, il quale gli è stato tanto più accetto in quanto era avvenuto allorchè egli era ancora come prefetto polizia un semplice funzionario (1).

(l) Cfr. n. 23.

38

APPUNTO DELL'UFFICIO V EUROPA E LEVANTE PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 2 ottobre 1929.

S. E. il Principe di Scalea, Presidente del «Comitato Italia-Palestina», ha comunicato al R. Ministero l'unita lettera (2) direttagli il 2 settembre u. s. dall'On. Alberto De Stefani, Vice Presidente del Comitato stesso, per informarlo di aver ricevuto una visita del dott. Dante Lattes, Capo dell'Ufficio romano dell'Organizzazione Sionista, il quale ha chiesto che cosa intende fare il « Comitato ItaliaPalestina», come protesta per i massacri di ebrei recentemente avvenuti in Palestina.

Poiché un tale « Comitato » (costituito ]ln Italia dietro autorizzazione di

S. E. il Capo del Governo, a simiglianza di quanto fu fatto in Francia ed in Germania, oltre che in Inghilterra, per raggruppare le simpatie che il movimento sionista raccogliesse nel nostro Paese) esiste tuttora, sembra all'Ufficio che, da un punto di vista di pura politica estera, ,sarebbe stato forse opportuno che il « Comitato » avesse, a suo tempo, elevata una qualche protesta -sia pure formale -per tali massacri, e ciò sempreché gli analoghi Comitati di Francia e di Germania avessero fatto altrettanto. (L'Ufficio ha in proposito interpellato le Regie Ambasciate in Parigi e Berlino per conoscere se tali proteste, da parte dei locali • Comitati • siano avvenute ed in qual forma).

Ma, a distanza di circa due mesi dagli avvenimenti palestinesi, sembra all'Ufficio che una tale protesta sarebbe del tutto intempestiva e quindi tale da non esser consigliata.

Desiderando S. E. di Scalea direttive in proposito, l'Ufficio rimane in attesa degli ordini che V. E. riterrà di impartirgli (3).

• La concessione della fotografia di S. E. Mussolini a Schober poche settimane prima della nomina di quest'ultimo a cancelliere appare qui come un atto che non si riduce a una semplice coincidenza. La notizia di tale dono si va diffondendo per opera dello Schober e il suo prestigio se ne accresce di fronte ai dirigenti dei partiti di maggioranza e specialmentedi fronte ai capi delle " Heimwehren" •.

(l) Cfr. t. gab. (p.r.) per corriere 78 del l• ottobre col quale Auriti comunicava:

(2) -Non si pubblica. (3) -Annotazione marginale di Grandi: « Dire all'an. Di Scalea che dato che ormai è tardi non è il caso».
39

PROMEMORIA DEL CAPO DELL'UFFICIO II EUROPA E LEVANTE, DIANA

Roma, 2 ottobre 1929.

Il Prof. Choulguine si è presentato di nuovo a questo R. Ministero (1). Ha detto volere aggiungere a voce qualche schiarimento circa il memoriale consegnato lo scorso maggio a Parigi al Comm. Omnis Delicati, e nel quale sono indicati i desiderata ucraini. Fin da ora i dirigenti del gruppo Levitzki si preoccupano di preparare la futura organizzazione del nuovo stato ucraino indipendente; i primi bisogni di questo Stato saranno un forte prestito per le prime spese di organizzazione, amministrazione ed armamento ed una rapida fornitura di un ingente quantitativo di armi, munizioni ed equipaggiamenti.

Pel momento, come già indicato nel memoriale ed a mezzo di altre personalità ucraine, il gruppo Levitzki sarebbe gratissimo al R. Governo di un piccolo aiuto finanziario, da impiegarsi sopratutto in spese di propaganda, e dell'ammissione di qualche giovane ucraino nelle nostre scuole militari e nella nostra aviazione. Il Prof. Choulguine sapeva che pel momento non era possibile accogliere tali desiderata, ed egli quindi non vi insisteva, teneva solo a ricordarli perchè fossero tenuti presenti al momento opportuno.

Il Prof. Choulguine ha accennato quindi come il suo gruppo potrebbe assumere impegno fin d'ora di riservare all'industria ed al capitale italiano molti ed importanti lavori da compiersi nella nuova Ucraina: centrali elettriche, lavori portuari, costruzioni di navi da guerra e mercantili, automobili ecc.

Il Prof. Choulguine ha infine fatto rilevare abbastanza esplicitamente come i primi colloqui col comm. Omnis Delicati fossero avvenuti ad iniziativa di questi, come fosse stato questi a chiedergli di redigere un memoriale circa l'opera ed i desiderata del gruppo ucraino Levitzki, e come poi d'un tratto il Comm. Omnis Delicati avesse evitato di avere nuovi colloqui, non avesse dato nessuna risposta al memoriale ecc. Il Prof. Choulguine si chiedeva se il R. Governo non portasse più interesse al movimento ucraino, se qualcosa del memoriale fosse dispaciuto. Egli era pronto a modificarlo ed a discuterne i particolari.

Gli è stato risposto che il Comm. Omnis Delicati aveva agito di propria iniziativa, ma che aveva subito riferito a questo R. Ministero le informazioni raccolte; che questo R. Ministero seguiva sempre con interesse il movimento ucraino ed avrebbe sempre gradito la trasmissione di ulteriori informazioni in proposito; che egli poteva considerare come prova di tale interessamento il fatto stesso di essere stato ricevuto al Ministero; che peraltro al momento presente non si credeva di passare a qualche maggiore dimostrazione di più pratico interessamento.

Il Prof. Choulguine ripartiva stasera per Parigi. Durante il suo soggiorno a Roma egli aveva veduto anche S. E. Majoni (che già a Varsavia aveva avuto frequenti contatti con altre personalità ucraine dello stesso gruppo) e l'Incaricato d'Affari di Polonia (sono noti i contatti che il gruppo Levitzki ha col Governo Polacco, dal quale non è dubbio venga anche sussidiato).

(l) Cfr. n. 21.

40

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. R. P. 2423. Budapest, 2-3 ottobre 1929.

Il 28 dello scorso mese sono stato chiamato dal signor Walko il quale mi ha domandato se avevo ricevuto istruzioni di effettuare il versamento di una certa somma. Risposi negativamente e ·lo pregai di attendere l'arrivo del corriere diplomatico che sarebbe qui giunto due giorni dopo. Gli domandai poi cosa pensasse delle dichiarazioni fatte da Schober il giorno precedente al Consiglio Nazionale ed in particolare del passo: «Sappiamo di essere concordi in questa politica con il Reich tedesco verso il quale vogliamo conservare una fraterna fedeltà nella buona come nel·la cattiva fortuna». Egli mi rispose di non averle rilevate. Lo pregai di leggerle e considerare quale valore vi si dovesse dare specie nei riguardi dell'Anschluss.

Il 30 settembre scorso ebbi un colloquio eol Direttore Generale degli Affari Politici barone Apor, al quale comunicai, in assenza di Walko, che nessuna istruzione mi era pervenuta in relazione al noto versamento. Il barone Apor mi disse che codesto Incaricato d'Affari di Ungheria aveva conferito in proposito col cav. Ghigi dal quale aveva appreso l'intenzione del R. Governo, considerata la nuova situazione venutasi a formare ·eon l'avvento di Schober al potere, di ridurre la sovvenzione promessa. Egli mi spiegò che ciò sarebbe stato pericoloso poichè occorreva mantenere le Heimwehren in piena efficienza allo scopo di esercitare utile pressione sul nuovo Gabinetto. Mi disse che aveva telegrafato a Wodianer pregandolo di sollecitare il versamento della somma promessa dal

R. Governo.

Egli poi mi illustrò i vantaggi del movimento soffermandosi su quelli della « libertà di transito attraverso il terrif.orio federale » e dell'allontanamento del pericolo dell'Anschluss.

Oggi mi sono nuovamente incontrato con Walko al quale ho fatto le comunicazioni di cui alla lettera di V. E. N. 6487 del 27 settembre (1). Egli mi disse di aver ricevuto un telegramma in data P corrente da Wodianer col quale questi preannunzia un suo rapporto in merito alla nota questione del versamento. Il latore del rapporto dovrebbe arrivare domattina. Il signor Walko mi esponeva la necessità che la promessa da lui fatta a Steidle (sollecito ve11samento da parte del R. Governo della metà della somma globale promessa) fosse mantenuta, salvo a considerare la possibilità di economizzare sulla seconda metà della somma.

Siamo rimasti d'accordo che qualora vi fossero delle comunicazioni da fare in seguito al rapporto che arriverà qui domattina, egli mi trasmetterà subito un appunto scritto ·che farei partire col corriere di passaggio da Budapest domani alle ore 13 oppure, se ciò non fosse consentito dalla ristrettezza del tempo, per telegramma. Mi disse di aver ricevuto un rapporto dalla Legazione di Ungheria in Vienna secondo il quale le dichiarazioni relative alle Heimwehren

e quelle nei riguardi della Germania erano state inserite da Schober nel suo discorso poco tempo prima della seduta parlamentare in .seguito ad una riunione dei capi-partito. Nel corso di tale ,seduta i capi delle Heimwehren e quelli del partito pangermanico avevano richiesto ·che fossero rispettivamente inserite le due dichiarazioni. Mi informò infine che la persona di sua fiducia verrà da Vienna in questi giorni. Egli mi terrà al corrente di quanto gli sarà riferito. Tenuto conto del carattere del signor Walko mi è sembrato notare un certo nervosismo da parte sua per la questione del ver,samento al quale egli sembra tenere in modo particolare.

Non so se questo suo zelo abbia relazione col fatto di veder messa in pericolo la questione della libertà di transito attraverso il territorio federale, che sembra sia qui considerata come vitale per l'Ungheria.

3 ottobre, ore 12.

In questo momento mi ha telefonato il signor Walko per avvertirmi che non gli occorre servirsi del nostro corriere dato che il Ministro Hory parte domani per Roma. Mi ha pregato di andargli a far visita domattina.

Ho l'onore di trasmettere qui unita all'E. V. copia di un rapporto diretto in proposito da questo R. Addetto Militare al R. Ministero della Guerra e traduzione delle dichiarazioni fatte dal conte Bethlen in relazione alla situazione austriaca.

ALLEGATO I.

OXILIA A GAZZERA

R. RR. 464. Budapest, 3 ottobre 1929.

A seguito del telegramma N. 454 del 27 settembre, segnalo che mi sono stati comunicati dal Ministro della Difesa Nazionale i rapporti redatti dall'addetto militare ungherese a Vienna e dal generale di divisione Janky, addetto al servizio informazioni a Vienna. Non ritengo di inviarne le traduzioni perchè nel complesso essi contengono notizie già note.

Rilevo solo che il 29 settembre sino alle ore 11,30 non era stato osservato dagli agenti ungheresi nessun provvedimento da parte cecoslovacca nelle zone di frontiera con l'Austria. Solo avvertita l'attiva crociera di due monitori cechi fra Pozsony e Dévény.

Gli informatori ungheresi segnalano inoltre èhe al Ministero della Reichswehr tedesco si seguivano attentamente gli avvenimenti austriaci, per i quali si prevedeva una soluzione pacifica. Presso detto Ministero non si riteneva probabile una azione armata della Heimwehr, comunque si escludeva l'appoggio dell'associazione degli Stahlhelm in favore degli Heimwehr, nonostante che la massa delle organizzazioni di destra bavaresi siano entrate nelle file degli stessi Stahlhelm. Se però i Reichsbanner si fossero intromessi negli avvenimenti d'Austria, in favore dei socialisti, il Ministero della Difesa Nazionale tedesco supponeva che a loro volta anche gli Stahlhelm non sarebbero rimasti inattivi. Era tuttavia assai difficile che i Reichsbanner fossero in condizioni di svolgere un'azione in favore dei socialisti austriaci.

Sempre secondo gli informatori ungheresi, sarebbero esatte le notizie di avvenuti sequestri di depositi di materiale bellico presso organizzazioni socialiste a Wiener-Neustadt e a Neuenkirchen. In questi ultimi giorni, anzi, 1500 fucili e 15 mitragliatrici sarebbero stati ritirati e consegnati a magazzini militari.

ALLEGATO II.

DICHIARAZIONI DI BETHLEN AL 8 ORAI UJSAG RELATIVE ALLA SITUAZIONE AUSTRIACA

Quanto alla situazione austriaca, sarebbe prematuro fare delle dichiarazioni circa le intenzioni del nuovo Gabinetto. È certo però che non può che riuscirmi simpatica la tendenza che si manifesta in Austria di dare i poteri ad un Governo forte e l'unione degli elementi borghesi, la quale tende a far sì che scompaiano dalla vita austriaca certi aspetti dovuti solamente agli elementi radicali. Tali tendenze fanno sorgere insieme in me la speranza che, qualora esse saranno coronate da successo, i buoni rapporti che finora suss:istettero fra Ungheria ed Austria potremo costruirli ed approfondirli in misura molto maggiore. Perchè, naturalmente, anch'io ammetto che nei rapporti internazionali le conformazioni di politica interna hanno grande importanza. Il fatto però che proprio da Vienna sono sparse molte volte contro l'Ungheria le notizie dovute agli emigranti ungheresi, non solo non era una cosa piacevole, ma aveva una certa influenza anche nello sviluppo dei rapporti tra i due paesi. È nostro grande interesse che in Austria subentri un regime duraturo e forte, perchè abbiamo la speranza che in tal caso potremo più intensamente far conto sull'amicizia di quel paese.

(l) Cfr. n. 26.

41

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ATENE, ARLOTTA

T. (P. R.) 12201/1294. Roma, 4 ottobre 1929, ore 8,45.

Prego V. E. di vedere Mikalakopulos, e, al suo ritorno, Venizelos (1), e di esprimere loro vivo compiacimento di S. E. il capo del Governo e mio per avvenuta firma del contratto che affida ai nostri cantieri navali la costruzione di due moderne unità della marina ellenica, questione deUa quale ho personalmente trattato con Venizelos alla recente conferenza dell'Aja (2). V. S. dirà a Venizelos che dall'avvenimento traggo i migliori auspici per il futuro della stretta collaborazione italo-greca nel campo politico ed economico consacrata nel patto firmato or è un anno.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. 2014/201. Roma, 4 ottob1·e 1929, ore 10.

Suoi telegrammi 183, 184, 185, 186 (3).

Che deputato Petroff avesse o no missione fiducia da parte di Buroff, cw ha poca importanza. Ho profittato del carattere che egli ha dato sua visita al sottoscritto per trasmettere a Sofia colla certezza che sarà largamente ripetuta eco doglianze Governo italiano nei riguardi politica Buroff. Ciò del resto ha portato alla necessità da parte di Liapceff di fare a V. E. dichiarazioni di una

certa importanza e di considerare colla dovuta preoccupazione il delicato pro

blema dei nostri rapporti. Prendo atto dell'apprezzamento di Liapceff nei riguardi

della condotta francesizzante del suo ministro degli esteri ·che egli non approva.

Ma questo non può bastare. Se Buroff ha ,l'idea fissa come dice Liapceff di fare

il «piccolo Briand balcanico pacifista » colla marcata preoccupazione di non

avere nulla di comune coll'Italia, questa è cosa che deve interessare il Governo

bulgaro e non l'Italia la quale non può fare discriminazioni e vede davanti a

sè non questo o quel ministro bensì l'effettiva politica ·estera della Bulgaria.

Credo alla ,sincerità dei sentimenti di Liapceff ma ciò non toglie che l'Italia debba tener conto dei sentimenti troppo evidenti e troppo palesi di Buroff tanto più .che questi e non quelli caratterizzano l'azione della politica estera attuale della Bulgaria. Non si spiega d'altra parte perchè Liapceff ordinando a Buroff e Moloff di recarsi a Parigi a patrocinare presso il Governo francese gli interessi della Bulgaria nella questione delle ~iparazioni non abbia ordinato ai suoi due ministri di passare per Roma non fosse altro che per esporre esattamente e concordare nei dettagli i desiderata bulgari, il che non ha mancato di fare lo stesso presidente del consiglio Venizelos, le richieste del quale erano assai minori di quelle che ci vengono oggi avanzate dalla Bulgaria. Il Governo italiano non desidera «incrudelire duramente » verso la Bulgaria. La situazione è semplice e non va drammatizzata. Il Governo italiano ha tutta la buona intenzione di continuare nella sua benevola attitudine verso la Bulgaria, il che è un dato fondamentale della politica fascista nei Balcani. In cambio di questa benevolenza l'Italia non ha contropartite da chiedere. Però occorre che il Governo bulgaro sappia che l'amicizia di una grande potenza ·come l'Italia va curata e guadagnata ·colla stessa solerte preoccupazione con cui la Bulgaria cura e cerca di guadagnare l'amicizia di altre grandi potenze. Ecco tutto. La Bulgaria raccoglie quello che Buroff ha seminato da due anni a questa parte.

Da ultimo mi ha stupito l'accenno che Liapceff le ha fatto circa le di lui resistenze alla liquidazione della questione macedone quasi a valorizzare ciò come un servigio reso all'Italia. Deve essere ben chiaro che, a parte le ragioni generali di giustizia e d'umanità, l'Italia considera la questione macedone nel preciso quadro dell'interesse e dei sentimenti del popolo bulgaro. Ma niente di più. Dica tutto ciò a Liapceff (1).

(l) -Venizelos faceva un viaggio ufficiale in Germania, Cecoslovacchia e Ungheria. (2) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 594. (3) -T. 3935/183-184-185-186, che non si pubblica.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS

T. R. P. 2011/188. Roma, 4 ottobre 1929, ore 24.

Questo incaricato d'affari d'Ungheria mi ha comunicato che ,secondo informazioni pervenute a codesto ministero affari esteri, Venizelos avrebbe intenzione in occasione sua visita costà, di proporre a codesto Governo la conclusione di un trattato di amicizia e arbitrato. Signor Wodianer ha aggiunto che

(t. 2017/204, 5 ottobre).

Governo ungherese è disposto a concludere trattato arbitrato, ma che per quanto concerne trattato amicizia, pensa di dare risposta evasiva alla proposta relativa del signor Venizelos.

Incaricato d'affari mi ha domandato se R. Governo approvava tale linea di condotta. Gli ho risposto affermativamente (1).

(l) Analoga comunicazione Grandi fece il giorno dopo al Ministro di Bulgaria Volkov

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L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R) S. P. 79/164. Budapest, 4 ottobre 1929, o1·e 21,10 (per. ore 0,31 del 5).

Mi riferisco alla lettera riservata n. 2423 (2) partita ieri col corriere di gabinetto. Walko, comunicandomi stamane di non avere ricevuto ciò che attendeva, mi ha ripetuto quanto ho esposto a V. E. a pagina due, secondo capoverso, della mia lettera (3).

Riferisco a V. E. nuove pressioni fatte da questo ministro affari esteri per stretto dovere di ufficio e su richiesta di Walko astenendomi dal comunicare particolari che ministro Hory, giungendo co:stì domenica, riferirà dettagliatamente a V. E.

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IL MINISTRO DELL'AERONAUTICA, BALBO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. R. P. Roma, 4 ottobre 1929.

Ti unisco ,la memoria di Von Brandenburg che, ,come ti ho detto, mi ha chiesto riservatamente d'interessare il Duce per la questione delle ferrovie tedesche (4).

Il Duce, al quale ho sottoposto le ,richieste di Von Brandenburg, mi ha ordinato di passare la pratica a te, per competenza. Egli non è contrario ad usare una cortesia ai tedeschi, a patto però che non costi assolutamente nulla agli interessi italiani.

c Walko mi disse che un patto di amicizia non sembrava opportuno considerato che

proprio ora si discuteva a Parigi la questione delle riparazioni orientali, in cui Ungheria e

Grecia avevano interessi opposti. L'Ungheria aveva inoltre con la Turchia un patto di amicizia

e questo intendeva osservare con una lealtà che sarebbe stata offuscata dalla firma di analogo

patto ungaro-greco proprio quando le relazioni greco-turche non apparivano certo le mi

gliori. Numerose questioni infine attendevano di essere risolte prima di poter giungere ad

un atto internazionale cui l'Ungheria attribuiva pur sempre un certo valore. Walko aggiunse

di aver telegrafato chiedendo il parere dell'E. V. (mio telegramma n. 165).

La mattina del 4 il signor Venizelos, nel corso della visita resa al conte Bethlen, fece

l'offerta che il Presidente del Consiglio ungherese declinò, per la parte che riguardava il

patto di amicizia....

II Governo ungherese non ha.... avuto da pentirsi della freddezza protocollare con cui è stato accolto l'ospite. Infatti l'avvenimento si è svolto fra l'indifferenza delle sfere governative e la generale freddezza della stampa e dell'opinione pubblica •.

Debbo onestamente dichiararti che Von Brandenburg nelle questioni aeronautiche è stato sempre cortesissimo ed amico nostro.

Nel Ministero delle Comunicazioni del Reich, occupa la carica di Direttore Generale -rappresenta la continuità burocratica ed ammintstrativa di fronte alla politica -ed è il Capo riconosciuto dell'Aviazione tedesca.

Non entro nel merito di quanto chiede. Mi sembra però, da un rapido scambio di idee avuto nell'ultimo Gran Consiglio con Bianchini, che la richiesta sia conciliabile con i nostri interessi.

(l) Analogo contenuto nel t. 3969/165 di De Astis, Budapest 4 ottobre. Sulla visita di Venizelos a Budapest cfr. quanto riferiva lo stesso De Astis con R. 2505/1205 del 7 ottobre:

(2) -Cfr. n. 40. (3) -Allude alla questione dei denari per le Heimwehren. (4) -Von Brandenburg chiedeva che il Governo italiano appoggiasse la richiesta tedesca di eliminare il controllo sulle ferrovie tedesche imposio dal piano Dawes.
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IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, ROCHIRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) RR. UU. 80/134. Zagabria, 5 ottobre 1929, ore 10,20 (pe1·. ore 13,45).

Macek mi fa sapere che inchiesta governativa su Banca contadini ha già da qualche giorno iniziato lavori. Dagli incartamenti banca risulta una spesa di 350.000 (dico 350.000) dinari per scopi politici partito. Per evitare conseguenze giudiziarie contro dirigenti banca che sono al tempo stesso alla testa dell'opposizione croata occorre reintegrare tale somma. Relativo incartamento non verrebbe presentato alla commissione controllo. Macek prega quindi vivamente gli sia ·concessa tale somma massima urgenza a titolo prestito pel quale verrebbe lasciato un valido documento di ricevuta. Aggiungo che la direzione banca spera ancora su decisioni favorevoli Banca Commerciale a cui riguardo non è ancora giunta risposta definitiva.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS

T. (P. R.) 12282/189. Roma, 5 ottobre 1929.

Suo telegramma-posta n. 2377/985 del 26 settembre u. s. c·on allegato rapporto addetto militare da cui risulta diverso trattamento fatto alla missione militare italiana in confronto di quello fatto a ufficiali superiori tedeschi durante fase conclusiva manovre esercito ungherese.

V. S. faccia presente al ministro Walko che Governo italiano ha rilevato questa circostanza. Conte Bethlen in occasione mia visita a Budapest ebbe ad assicurarmi che stato maggiore italiano non avrebbe avuto più occasione di dolersi condotta stato maggiore ungherese. Mi pare al contrario che siamo al punto di prima (1).

(l) La protesta di Grandi si riferiva alla notizia di una riunione degli ufficiali superiori ungheresi con partecipazione di due ufficiali tedeschi, riunione a cui non erano stati invitati né gli addetti militari né la missione italiana.

48

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, ROCHIRA

T. GAB. (P. R.) RR. P. 72/23. Roma, 6 ottobre 1929, ore 12,45 (1).

Suo telegramma n. 134 (2).

Somma richiesta è disponibile per lo scopo indicato. Prego V. S. telegrafare urgenza quale mezzo ella ritenga più pratico e riservato per farla pervenire costà e per effettuare cambio nella valuta locale a meno che ella non preferisca recarsi ritirarla personalmente a Trieste (3).

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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS (4)

N. 6694. Roma, 7 ottobre 1929.

Ho ricevuto la lettera di V. E. n. 183 del 22 Luglio u. s. (5), con la quale Ella si è compiaciuta comunicarmi la risposta del Governo della Repubblica alle proposte contenute nella lettera del 21 Dicembre 1928, relativa al regolamento della rinnovazione delle Convenzioni del 1896 per la Tunisia, e delle frontiere della Libia.

Devo però purtroppo rilevare, come avevo già fatto nella mia lettera del 29 Giugno scorso (6), che i punti di vista dei due Governi, pur desiderosi di raggiungere un accordo, differiscono in special modo sulla impostazione delle due questioni.

V. E. dichiara infatti che • en offrant, pour obtenir .l'adhésion de l'Italie à ses propositions sur le Statut des Italiens dans la Régence, de renoncer à Djado ... etc. • il Governo Francese sarebbe arrivato • jusqu'à la limite des sacrifices territoriaux compatibles avec la sécurité intérieure de ses possessions et avec le maintien des communications entre l'Afrique Occidentale et l'Afrique EquatO"riale française • .

Ora, il R. Governo non ha mai, né mai poteva, considerare le due questioni come fra loro connesse, se non nel tempo in eui si presentano per essere risolte in modo soddisfacente per le due Parti.

La nostra richiesta di rinnovazione della Convenzione del '96 relativa allo Statuto degli Italiani in Tunisia, ha la sua origine dalle comunicazioni fatte dal

Governo francese il 9 Settembre 1918, allorché S. E. Barrère partecipava al Barone Sonnino che il Governo della Repubblica si era proposto di denunciare

• d'une façon générale les Conventions commerciales et autres accords qui constituent le statut économique de la France vis-à-vis des Pays étrangers •.

Fra queste Convenzioni erano comprese la Convenzione di Commercio e di Navigazione del 28 Settembre 1896 e la Convenzione Consolare e di Stabilimento relativa alla Tunisia parimenti del 28 Settembre 1896.

S. E. Barrère aggiungeva infatti: • Les indications que j'ai données plus haut à V. E. Lui indiquent suffisamment la portée exacte de cette mesure, où n'intervient aucune arrière-pensée politique. Mon Gouvernement n'a été amené à la prendre que parce que les deux Accords en question contiennent, meiées à d'autres stipulations, des clauses d'ordre économique qui ont fait partie jusqu'ici du régime conventionnel de la France avec l'étranger, et auquel il a décidé de mettre fin pour les raisons d'ordre général auxquelles j'ai fait allusion plus haut •.

Di fronte a tali esplicite dichiarazioni, il Barone Sonnino prese atto di quanto gli era stato comunicato con la nota n. 33701 dell'll Ottobre 1918, in base alla quale il R. Governo si è limitato a chiedere la rinnovazione pura e semplice delle Convenzioni per la durata di dieci anni.

D'altra parte, nel richiedere un definitivo regolamento della questione delle frontiere della Libia, il R. Governo si è basato soltanto sull'art. 13 del Patto di Londra, prescindendo, nel negoziato attuale, da ogni altro precedente di fatto e di diritto relativo a detta frontiera, e dalla situazione dell'Italia di fronte alla Convenzione anglo-francese dell'8 Settembre 1919. Se il Governo della Repubblica ritiene • d'avoir déjà satisfait à l'article 13 du Pacte de Londres du 26 avril 1915 •, ciò contrasta con le lettere scambiate dal Ministro degli Esteri della Repubblica, Pichon, e l'Ambasciatore d'Italia, Bonin Longare, il 12 Settembre 1919, regolanti alcuni punti relativi a detto articolo 13, e nelle quali è, senza possibilità di equivoco, dichiarato che i due Governi si riservano • d'autres points pour un prochain examen •.

Sono questi i punti che il R. Governo desidera ora regolare.

Indicando nelle sue proposte da servire di base per i negoziati come soluzione minima una definizione di frontiere secondo l'andamento generale di cui alla lettera sopra citata del 21 Dicembre 1928, sembra al R. Governo di aver

formulate richieste eque e misurate, e tali che se accolte, corrisponderebbero da un lato allo spirito ed alla lettera degli accordi sopra accennati, né d'altro lato porterebbero alcuna menomazione alla sicurezza interna dei possedimenti francesi ed al mantenimento delle comunicazioni fra l'Africa Occidentale e l'Africa Equatoriale-francese.

Credo infine utile rilevare alcune affermazioni contenute nella lettera di

V. E. cui rispondo.

Non posso infatti concordare nell'affermazione • di concessioni fatte • da.l Governo francese in occasione della revisione dello Statuto di Tangeri, concessioni che, in ogni caso, furono comuni alle altre due Grandi Potenze firmatarie della Convenzione del '23, né convenire nella citazione a questo proposito degli accordi itala-francesi per la Libia e per il Marocco, quando sembra ormai dover essere pacifico specie dopo la Conferenza di Parigi con la partecipazione del

8 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

l'Italia che tali accordi non potevano essere estesi a zona di cui era stato certamente stabilito il carattere internazionale.

Per quanto concerne la Tunisia, l'esplicita dichiarazione di V. E. che la Francia • poursuit en Tunisie l'extinction graduelle des privilèges nationaux qui sont les survivances du régime càpitulaire • non è certo conforme alla comunicazione di S. E. Barrère ed è anzi la prima volta che vien fatta dal Governo Francese.

D'altra parte, i • privilegi nazionali • si identificano sostanzialmente nel diritto concesso ad uno straniero di conservare la propria nazionalità. Ciò non è mai stato considerato un privilegio capitolare, ma una situazione che quasi tutte le Potenze Europee -l'Italia compresa -hanno sempre rispettata e di cui hanno sempre goduto i Francesi residenti da diverse generazioni nel Regno.

Né l'asserzione che il Governo Francese considera • abrogés les accords auxquels se sont substituées les Conventions de 1896 • risulta da alcun articolo della Convenzione citata, che non era quindi nell'intento dei negoziatori dovesse sostituire, come sarebbe stato altrimenti esplicitamente dichiarato, gli accordi precedenti.

Tutto ciò mi è sembrato opportuno far presente all'E. V. nell'intento appunto di chiarire su ogni dettaglio il presente negoziato.

Mi piace inoltre credere che questi chiarimenti precisi e leali, segneranno una tappa in avanti nel negoziato, la cui importanza -anche ai fini dei rapporti amichevoli fra i due Paesi -è realizzata altamente dal R. Governo (1).

(l) -Nei registro esiste un'altra copia dello stesso telegramma, datata 7 ottobre, ore 12,45, con l'indicazione precedenza assoluta. (2) -Cfr. n. 46. (3) -In un primo tempo Macek aveva suggerito che la Hrvatska Banka, filiazione della Banca Commerciale Italiana, assorbisse, con cirea 5 milioni di dinari. la Banca dei contadini croati, ma Rochira aveva risposto • che Hrvatska Banka appunto perchè notoriamente nelle mani della Commerciale è la meno indicata a fare una operazione di carattere politico come quella proposta • (t. gab. (p. r.) per corriere 76/125, Zagabria 13 settembre 1929). (4) -In occasione della consegna della lettera pubblicata ci fu un colloquio tra Mussolini e Beaumarchais. (5) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 557. (6) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 515.
50

NOTA DEL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI INGLESE, HENDERSON, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

Londrra) 7 ottobre 1929.

Ho l'onore d'informare l'E. V. che le conversazioni sul disarmo navale che si sono susseguite a Londra negli ultimi tre mesi tra il Primo Ministro e l'Ambasciatore degli Stati Uniti hanno raggiunto una fase nella quale è possibile dire che un accordo è stato raggiunto sui seguenti principi: 1°) Le conversazioni sono state uno dei risultati del Patto di rinuncia alla guerra firmato a Parigi nel 1928. 2o) Si è convenuto di adottare il principio della parità in ciascuna delle varie categorie del naviglio da guerra e che tale parità dovrà essere raggiunta col 31 dicembre 1936. 3°) La questione della forza delle navi da battaglia è stata pure trattata in queste conversa2:ioni e ci si è accordati che, subordinatamente all'assenso delle altre Nazioni fLrmatarie, sarebbe desiderabile di riesaminare il programma di sostituzione de1le navi da battaglia contemplato nel Trattato di Washington del 1922 allo scopo di diminuire la quantità di costruzioni per il rinnovo. 4°) In vista degli scopi di queste discussioni i due

governi ritengono assai opportuno che si debba convocare una Conferenza per considerare le categorie non contemplate nel Trattato di Washington e disporre circa le questioni contemplate dall'art. 21 di quel Trattato. Il Governo di S. M. del Regno Unito e quello degli Stati Uniti d'America sono d'accordo che tale Conferenza sia tenuta a Londra al principio della terza settimana del gennaio 1930 e sperano che il vostro Governo vorrà nominare i rappresentanti che parteciperanno ad essa. Il Governo britannico ha tenuto l'E. V. al corrente delle recenti discussioni; così ora il Governo di S. M. è disposto, nel tempo che precede la proposta Conferenza, a continuare ad informare l'E. V. su ogni punto che possa richiedere delucidazioni. L'importanza di riesaminare presto l'intera situazione navale è così vitale agli interessi del disarmo generale che io confido che il Governo di V. E. accetterà tale invito e che la data proposta sarà accolta. Il Governo di S. M. spera che si potrà redigere un testo il quale faciliterà il compito della Commissione Preparatoria della Società delle Nazioni e quello di una ulteriore Conferenza generale pel disarmo (1).

(l) -Questo capoverso è stato aggiunto di pugno Cii Mussolini. (2) -Nota analoga fu rimessa ai Governi Francese e Giapponese. Il testo, più ampio, della nota stessa in Foreign Re!ations of the United States (FRUS), 1929, vol. I, pp. 263-265.
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IL GOVERNATORE DELLA BANCA D'ITALIA, STRINGHER, AL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI

L. R. P. Roma, 7 ottobre 192.9.

I delegati della Banca d'Italia al comitato di Baden-Baden (2), mi hanno dato, per telegrafo, su l'andamento delle riunioni fin qui tenute dal Comitato medesimo, le seguenti notizie.

Si è fin dall'inizio manifestata una divergenza di vedute tra la delegazione inglese e le altre delegazioni presso che concordi.

La delegazione inglese ha sostenuto che la costituzione della • Banca Internazionale dei pagamenti • debba provenire dai Governi firmatari del protocollo dell'Aja, prevedendo fin d'ora la possibilità che, dopo un certo tempo, l'atto costitutivo della c Banca • possa essere riveduto, con l'intervento non solo dei Governi firmatari del detto protocollo ma anche dei Governi di quegli altri Paesi presso i quali saranno collocate azioni della progettata Banca internazionale.

La nostra delegazione ha sostenuto invece la convenienza di tenere distinti l'atto di costituzione della • Banca • dal mandato che i Governi interessati nelle riparazioni affideranno alla • Banca » medesima.

La costituzione e l'ordinamento della • Banca • sono funzioni attribuite dal

piano Young alle banche centrali dei sette paesi iniziatori (Inghilterra, Francia,

Germania, Italia, Belgio, Giappone e Stati Uniti d'America), mentre il servizio

delle riparazioni darà luogo a un mandato che sarà confidato dai Governi alia

• Banca • con speciale atto (contratto trustee) che disciplinerà i limiti e le mo

dalità del mandato medesimo. Resta al Comitato il diritto di modificare e approvare il • contratto trustee •, stabilendo in esso tutte quelle cautele che, in relazione alle caratteristiche della • Banca •, alle sue funzioni e al suo ordinamento, possano giovare alla politica monetaria in generale e alla più efficace esecuzione del mandato onde trattasi.

La proposta inglese, più sopra riportata, circa la possibilità di futura revisione della carta costituzionale della • Banca • porterebbe, nell'opinione della nostra delegazione, e, pare, delle altre, a dare alla « Banca • caratteristiche di universalità, simili a quelle della Società delle Nazioni, così che, nel corso del tempo, sarebbe difficile di evitare una coordinazione delle due istituzioni, coordinazione auspicata dagli inglesi.

E però ritengono i nostri delegati, al pari di quelli francesi e belgi, che convenga, da una parte, mantenere integro il potere dei Governi in materia di riparazioni e dall'altra contrastare la tendenza di avviare la • Banca •, mediante la forma della sua costituzione, a poter divenire, più o meno prossimamente, uno strumento della Società delle Nazioni.

Io concordo pienamente su tali punti di vista, che trovano fondamento nel piano Young, e ne ho dato comunicazione ai nostri delegati.

Infatti, secondo il piano Young, il futuro consiglio della • Banca • avrà sì facoltà di apportare modificazioni allo statuto di essa, ma. senza l'intervento dei Governi, e entro i limiti della • carta costituzionale •.

Ho stamane ricevuto un altro telegramma dei nostri delegati che chiarisce e completa le precedenti informazioni, sul contenuto del quale io sono perfettamente d'accordo.

Ne rimetto il testo all'E. V., aggiungendo che del sottocomitato per la redazione dello schema del • contratto trustee • fanno parte il Comm. Azzolini, e il Dott. Del Vecchio di codesto Ministero (1).

(l) -A proposito di questa nota cfr. c Appunti sulla questione del disarmo navale • del ministro della Marina per il ministro degli Esteri. Nello scritto si auspicava un accordo preventivo con la Francia (USM, fase. 3181). (2) -Istituito per studiare la creazione della Banca per i regolamenti internazionali.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI

T. u. 2022/717. Roma, 8 ottobre 1929, ore 24.

Questo Ministro d'Ungheria mi ha fatto rimettere stamattina a nome del suo Governo una comunicazione del seguente tenore: • Secondo informazioni confidenziali ricevute dal Governo ungherese commissione per regolamento riparazioni orientali porrebbe entro domani all'Ungheria seguenti condizioni:

lo -Ungheria verserà a titolo riparazioni dodici milioni marchi oro annui dal 1929 al 1966; 2° -Ungheria rinuncia alle indennità reclamate da optanti verso Rumenia Cecoslovacchia e Jugoslavia per immobili sequestrati contrariamente alle disposizioni del trattato di Trianori.

Governo ungherese giudica inammissibile che questione optanti, la quale è assolutamente indipendente, venga messa in un modo qualsiasi in rapporto con questione riparazioni. D'altra parte annualità delle riparazioni ungheresi sono state fissate per periodo dal 1924 al 1943 e Governo ungherese non potrebbe consentire che annualità vengano ulteriormente aumentate. Opinione pubblica ungherese non accetterebbe mai soluzione del genere. Governo ungherese confida che delegato italiano negherà suo consenso alla imposizione delle predette condizioni all'Ungheria •.

Ho detto al Ministro d'Ungheria che V. S. aveva già ricevuto istruzioni di massima di tenere nei riguardi dell'Ungheria atteggiamento favorevole e che tali istruzioni di massima avrei confermato in questa occasione. Naturalmente però dovevo lasciare alla S. V. di giudicare circa il modo più opportuno e più efficace in cui nostro appoggio potrà estrinsecarsi nel corso dei lavori di codesta commissione.

V. S. vorrà adunque esaminare possibilità di aderire alle richieste del Governo ungherese. Ella terrà in pari tempo presente interesse che R. Governo annette ad una composizione amichevole della vertenza romeno-ungherese per questione degli optanti, facendo attiva opera di persuasione presso entrambe delegazioni perchè si cerchi anche costì terreno d'intesa.

Prego telegrafarmi in proposito.

(l) La delegazione italiana era guidata da Beneduce e da Azzolini.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P. R.) PER CORRIERE 12835. Belgrado, 8 ottobre 1929 (per. il 10).

Il Dott. Solari Bozzi corrispondente del Giornale d'Italia trasmette oggi al suo giornale una esposizione estremamente serena ed obiettiva sullo sviluppo degli armamenti in Jugoslavia, in risposta alla asserzione del Trgovinski Glasnik affermante che gli armamenti jugoslavi sono una favola e che la Jugoslavia non si prepara alla guerra. La esattezza dei dati è stata controllata dal Colonnello Visconti. Malgrado la sua serenità ed obiettività, simile replica susciterà qui un pandemonio e rinnovate, accese polemiche. Mi permetto quindi richiamare le considerazioni svolte a V. E. nei miei due rapporti n. 2080 e n. 2188 del 17 e 30 settembre u.s. (1).

Chiedo venia se ripeto ancora quanto sarebbe utile a mio subordinato avviso che siffatti articoli fossero pubblicati invece in qualche organo inglese od americano.

In ogni caso è indispensabile che il Giornale d'Italia eviti di pubblicare tale replica col nome del suo corrispondente, ma è preferibile la dia come opera di redazione, o di altro collaboratore (2).

(l) -Cfr. nn. 6 e 35. (2) -Non risulta che n Giornale d'Italia abbia pubblicato in questi giorni l'articolo in questione.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 2521/1028. Budapest, 8 ottobre 1929.

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 1:!282/189, del 6 corrente mese (1).

Ho fatto rilevare al Conte Bethlen la circostanza del mancato invito della nostra Missione Militare alla conferenza tenuta dopo la fase conclusiva delle Manovre dell'Esercito ungherese, cui invece avevano partecipato gli ufficiali superiori tedeschi. Egli fu spiacente e contrariato del fatto. Mi promise che ne avrebbe mosso appunto al Ministero della Difesa Nazionale.

Mi consenta tuttavia l'E. V. di chiarire che la questione ha carattere puramente formale e non di sostanza. Numerosi fatti lo provano: innanzi tutto la nostra Missione Militare ha assistito alla parte delle esercitazioni che avevano carattere segreto. Inoltre essa è stata messa al corrente di cose che presuppongono piena fiducia verso di noi da parte dello Stato Maggiore ungherese. A questo proposito trasmetto qui unita copia del rapporto N. 472 di questo R. Addetto Militare.

La situazione da me prospettata col rapporto Riservatissimo Personale

N. 448/191 A 5 del 19 febbraio 1929 (2) ha subìto profonde modificazioni: il Ministero della Difesa Nazionale, l'ufficio informazioni e lo Stato Maggiore dimostrano verso di noi una sempre maggior confidenza e franchezza. Essi vogliono darci la sensazione di non aver segreti per noi. Questi risultati appaiono notevolissimi se si consideri che Ungheria e Germania sono state unite nella guerra, accomunate dalla sconfitta e che i rispettivi ufficiali mantengono relazioni personali che datano dalla guerra ed anche da prima.

La visita di V. E. a Budapest, quelle di Gombos, Janky e Roder in Italia, lo scambio di missioni, hanno potentemente contribuito a far cadere pregiudizi ed a stabilire utili contatti personali.

Non sono alieno dal credere che il mancato invito della nostra missione possa essere dovuto da una parte alla circostanza che i nostri ufficiali non avrebbero compreso una parola della conferenza tenutasi in ungherese e tedesco, e dall'altra al fatto che le cose ben più importanti di quelle esposte nella conferenza stessa erano state portate a conoscenza dei nostri ufficiali. Resta sempre la questione di forma e per questa la nostra osservazione è giunta molto opportuna. Mi riservo comunque di farne parola anche al signor Walko attualmente assente da Budapest.

ALLEGATO.

OXILIA A GAZZERA

R. RR. 472. Budapest, 8 ottobre 1929.

Con foglio 447 Ris.mo del 23 settembre u.s. ho già riferito sommariamente sulla permanenza in Ungheria della Missione militare italiana. Le visite da essa fatte possono ritenersi completate col programma svolto dal Signor colonnello Balocco.

In sostanza, la Missione assistette alla fase principale delle manovre, non solo, ma anche nei primi due giorni ad un periodo dal quale furono esclusi gli addetti militari esteri perchè vi prendevano parte aereoplani e monitori fluviali. Ai singoli componenti della missione furono fornite tutte le notizie richieste sui particolari delle operazioni, degli armamenti, delle operazioni e organizzazioni e furono lasciati esaminare i particolari che li interessavano.

Nello sviluppo del programma del Signor colonnello Balocco, le autorità militari ungheresi spiegarono l'organizzazione di alcune istituzioni, fornirono chiarimenti, dati, notizie, sull'organizzazione del servizio tecnico di artiglieria e sulla produzione e capacità dei vari stabilimenti ed infine sui quesiti che egli ritenne di dover porre.

Così, ad esempio, egli potè assumere sicure notizie sulla situazione dell'economia generale del Paese, avere i dati della capacità di produzione di materiale bellico, in più di quella prevista dal trattato di pace, visitare stabilimenti come quelli della produzione di maschere da gas, avere notizie sulle armi portatili ed artiglierie in esperimento ed in istudio. Dati quasi tutti tenuti in linea di massima segreti, anche se in parte a me già noti.

Quanto sopra ho voluto segnalare per mettere in evidenza che le autorità militari ungheresi, a mio parere, hanno usato verso la Missione italiana e colonnello Balocco non forme ufficiali, ma larga ospitalità ed una franca sincerità.

Se si tiene presente:

-che il programma tracciato dal generale Algya nella primavera scorsa

(veri mio foglio 166 Ris.mo del 22 aprile 1929) ha avuto un completo sviluppo;

-che molti ufficiali ungheresi stanno studiando la lingua italiana e che presso le scuole di reclutamento e in diverse Sedi di importanti presidi si sono aperti corsi di lingua italiana;

-la sensazione di maggiore franchezza che io avverto nei contatti quotidiani con le autorità militari ungheresi; -il programma di una • collaborazione • con le autorità militari itali2ne chiaramente espresso dall'On. Gombos

si può conchiudere che nelle relazioni militari tra l'Ungheria e l'Italia sulla poca chiarezza delle quali non mancai di attirare l'attenzione di cotesto Superiore Dicastero -è subentrato un notevole miglioramento.

Non intendo con questo asserire che tutti i nei rilevati in passato siano scomparsi (ciò che, data la loro natura, sarebbe stato impossibile), ma, col rientro della Missione militare e del colonnello Balocco in Italia -che mi sembra chiudere in certo qual modo una tappa delle relazioni militari tra i due Paesi -, io ritengo poter asserire che la situazione si sia per lo meno chiarita ed offra la possibilità di intendersi più sinceramente e quindi di più aperti sviluppi.

(l) -Cfr. n. 47, in realtà del 5 ottobre. (2) -Cfr. Serie VII, vol. VII, n. 267.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 2542/1038. Budapest, 8 ottobre 1929.

In relazione alla precorsa corrispondenza relativa al viaggio dell'On. Gombos in Italia ho l'onore di trasmettere qui unita all'E. V. copia del Rapporto

N. 473 in data odierna inviato da questo R. Addetto Militare al R. Ministero della Guerra.

ALLEGATO.

OXILIA A GAZZERA

R. RR. 473.

In una conversazione avuta con me in questi giorni, poi rinnovata alla mia presenza col signor Colonnello Balocco (l) durante la visita di congedo che questi gli fece, l'On. Gombos mi informò che, nei colloqui avuti a Roma con S. E. Mussolini, venne parlato e furono gettate le basi di una • collaborazione • tra le autorità militari dei due Paesi. Nel desiderio che a questa • collaborazione • venga dato al più presto inizio e sviluppo, l'On. Gombos mi dichiarò di aver provveduto, d'accordo col Ministro Conte Csàky, per la nomina di apposita commissione che dovrebbe iniziare gli studi con analoga commissione italiana.

Sempre secondo quanto riferitomi dall'on. Gombos, gli studi da attuarsi avrebbero un carattere tecnico, riferendosi essenzialmente all'esame dei tipi di artiglieria e all'unificazione di munizioni, e fino ad un certo punto di armamenti, allo scambio di materiali, ecc., ma dovrebbero proporsi anche, in secondo tempo, lo esame di accordi strategici.

Non conosco esattamente l'argomento delle conversazioni scambiate a Roma dall'on. Gombos, nè fino a qual punto giungano gli accordi da lui accennatimi (bisogna tener presente che egli è personalità notevole, ma a volte un poco esaltato e spinto), nè infine cosa si pensi da parte nostra.

Tuttavia ritengo che la proposta dell'an. Gombos parta dal desiderio di approfondire sinceramente le relazioni militari tra :l due Paesi.

Non è improbabile che a questo egli e le autorità militari ungheresi possano essere anche spinti dall'osservazione di ciò che si sta svolgendo fra i Paesi della Piccola Intesa. Per quanto non si conoscano i risultati segreti delle varie conversazioni (Sosnkovski, Lerond, conferenza di Belgrado fra i Capi di Stato Maggiore ed il generale Nollet a Bucarest, incontro alle manovre in Moravia degli stessi Capi di S.M. e del generale Pétain) si ha qui l'impressione che questo lavorio della Piccola Intesa sia riattivato dopo il trattato militare franco-jugoslavo (dicembre 1927) e si ha quindi logicamente tendenza a pensare che i nuovi accordi siano diretti contro l'Ungheria, e, più di prima, contro l'Italia.

Di conseguenza le sfere militari ungheresi possono ritenere questo momento opportuno per accordi italo-magiari.

La valutazione della convenienza di un accordo militare vero e proprio da bilanciare oltre che nel campo militare sopratutto in quello politico -esula dalle mie mansioni.

Per quanto concerne una collaborazione di carattere tecnico-informativo, è mia opinione che essa sia opportuna, data la direzione nella quale le relazioni militari tra i due Paesi si sono instradate, per affiancarsi a quelle politiche.

Ciò anche perchè, al punto in cui siamo, una troppo lunga battuta d'aspetto, rallenterebbe quella buona volontà che sta animando verso di noi anche le sfere dirigenti militari. Occorre dunque, a mio modo di vedere: eliminare, se del caso, qualche nostra diffidenza; dar corso a contatti per l'esame delle questioni che interessino nel campo tecnico e informativo, regolandone gli sviluppi a seconda delle esigenze dei nostri interessi (2).

(l) -Il colonnello Riccardo Balocco fece, sul suo colloquio con Gombos, un promemoria per Gazzera, datato Roma 7 ottobre, che non si pubblica. (2) -Mussolini dispose che fosse costituita una commissione di tecnici militari per studiare la questione con l'analoga commissione ungherese (cfr. lettera 20799 rr. di Gazzera a Grandi, 17 ottobre 1929).
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI

T. 2025/721. Roma, 9 ottobre 192.9, ore 24.

Suo telegramma n. 33.

Approvo linea di condotta seguita da V. S. Nei riguardi dell'Austria sarebbe opportuno esaminare se esiste possibilità di legare in qualche modo sistemazione delle riparazioni con problema dell'Anschluss. All'uopo autorizzo V. S. in via preliminare a intrattenere della questione codesti suoi colleghi di Francia e Inghilterra, ai quali vorrà in un primo tempo parlare a titolo esclusivamente personale, riferendomi poi al riguardo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) 12467/268. Roma, 9 ottobre 1929, ore 24.

Concordo considerazioni genere esposte suo rapporto 6316/2188 del 30 corrente (1). Sono state date istruzioni in tal senso.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 170. Roma, 9 ottob1·e 1929.

In risposta al foglio 6590 del 1° ottobre di V. E. ho l'onore di significare di aver preso in attento esame il Regolamento allegato per la applicazione del Concordato Lateranense.

Come ho già avuto occasione di riferire verbalmente confermo la mia subordinata opinione che i rapporti politici in genere e quelli generatori di fatti e situazioni politiche in ispecie dovrebbero avere sempre una interdipendenza col

R. Ministero degli Affari Esteri al quale attraverso lo speciale ufficio di recente costituzione ed attraverso questa Ambasciata debbono pure necessariamente affluire tutti i rapporti colla Santa Sede quanto meno quando questi trovano un attrito od una incrinatura (2). Voglio riferirmi specialmente al Cap. I del Regola

mento che, regolando la procedura per le nomine dei Vescovi e dei Parroci, ne sottrae anche qualunque cognizione al Ministero degli Affari Esteri ed • a fortiori • a questa Ambasciata così che l'intervento diplomatico si limita in ultima analisi od a semplice comunicazione di risposte o peggio al puro intervento nel caso dei più gravi conflitti senza avere nè voce nè mezzi per poter prevenire questi conflitti. Si aggiunga che soltanto con una concorde azione interministeriale fra gli Esteri, gli Interni e gli Affari di Culto sarà, a mio sommesso parere, possibile, specie in questi e nei prossimi tempi assai difficili, compiere l'opera, che dovrebbe essere preliminare ad ogni altra se pure di lunga durata, di creazione di un clero nazionale e di maneggio politico dello stesso.

Per gli altri capi del Regolamento le osservazioni da farsi non sembrano fondamentali come per il precedente in quanto si tratta più che altro di questioni amministrative il cui riflesso politico non può essere che indiretto.

(l) -Cfr. n. 35. (2) -In margine ad una lettera del 12 ottobre Chiavolini annotò il desiderio di Mussolini che il carteggio fra lui e la Santa Sede venisse conservato presso il ministero degli Esteri e non presso la segreteria del Duce.
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IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. u. 4016/201. Sofia, 10 ottobre 1929, ore 14 (per. ore 17) (1).

Ho avuto lungo colloquio con Liapceff seeondo ordini telegramma di V. E.

n. 201 (2).

Redigerò domani riassunto che telegraferò. Comunico intanto che giornale Mir del partito Narodniak cui appartiene Buroff, pubblica oggi insidioso articolo a firma noto giornalista bulgaro Antonoff appartenente al partito Malinoff di aspra opposizione al Governo Liapceff, e che con sorpresa si vede ora collaborare nel Mir. Antonoff è corrispondente del Times. Articolo lunghissimo sarà trasmesso per corriere. Oggi mi preme indicare che in esso viene insinuato che fino a quando

S. E. Mussolini ha diretto politica estera italiana, Italia ha sempre appoggiato Bulgaria senza chiedere da essa altra condizione che quella di non unirsi ai nemici dell'Italia. Telegramma da Sofia lo ottobre alla Tribuna (che Antonoff afferma scritto a Roma) fa dubitare che Italia torni alla politica di Tittoni che nel 1919 alla conferenza della pace, chiamato quale arbitro per soluzione questione costa bulgara mare Egeo preferì accordarsi privatamente con Venizelos consegnando Tracia occidentale alla Grecia anziché concedere uno sbocco sul mare alla Bulgaria. Antonoff dopo aver sollevato tesi che Bulgaria si trova ora in presenza di due gruppi: Italia-Grecia e Francia-Jugoslavia, dice che se Italia negherà sua amicizia alla Bulgaria questa dovrà abbracciare amicizia francese, tanto più che Belgrado non solleverà difficoltà per riparazioni bulgare ... (3) conferenza dell'Aja. Articolo conclude affermando che questione riparazioni è questione politica. Attitudine Italia apre possibilità alleanza politiea serbo-bulgara. Chiusa dell'articolo è testualmente questa: • Noi crediamo con fermezza che Belgrado comprenderà bene importanza di questo momento •. Sono personalmente convinto che

Buroff da Parigi abbia completato tale articolo di cui nel momento attuale mai avrebbe osato autorizzare pubblicazione. Pertanto domani chiederò vedere nuovamente Liapceff per segnalargli inopportunità questa stampa, specie autorevole come Mi1·, nell'attuale delicato momento nostre relazioni, e per protestare contro insinuazioni di Antonoff. Prego pertanto per mia opportuna norma personale informarmi circa quanto esposto da Antonoff su preteso • arbitrato • senatore Tittoni a Parigi e suo patto particolare con Venizelos per Tracia occidentale. Io fui con gabinetto senatore Tittoni sino a settembre anno 1919, ma senatore Tittoni restò ancora Parigi : di qui mia preghiera informazioni che potranno essermi utili sia presso Liapceff, sia eventualmente presso questa opinione pubblica che pur senza voler dare eccessiva importanza articolo giornale si cerca evidentemente da parte francese e serba sobillare contro di noi (1).

(l) -Questo telegramma venne redatto a mezzanotte del 9 ottobre. (2) -Cfr. n. 42. (3) -Gruppi indecifrati.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ORSINI BARONI E AL MINISTRO A TIRANA, SOLA

T. 2031. Roma, 10 ottobre 1929, ore 24.

In relazione recenti dissapori fra Governo Kemalista e Governo albanese informo V. E. che Governo fascista pur avendo interesse essere al corrente di tutto quanto si riferisca relazioni turco-albanesi non desidera prendere iniziativa di sorta che possa eliminare l'attuale stato di frizione fra Angora e Tirana. È evidente interesse dell'Italia e dell'Albania che si allentino sempre più fino a cessare completamente gli antichi legami secolari esistenti fra Albania e impero ottomano di cui Turchia kemalista ama atteggiarsi come l'erede. È altresì interesse dell'Albania di sottrarsi per quanto possibile dal complesso giuoco dei contrasti balcanici per assumere ognora più sua funzione eminentemente adriatica. Quanto sopra per conoscenza personale di V. E. e per informare a questi concetti propria azione (2).

(t. 2044/209 di Grandi a Piacentini, 14 ottobre):

• Non sono mai stato chiamato a fungere da arbitro circa le pretese di Venizelos sulla Tracia e circa la questione dello sbocco bulgaro all'Egeo. È semplicemente assurdo il pensareche date le disposizioni franco-inglesi ed americane che trovai giungendo a Parigi nei riguardidella nostra situazione in Asia Minore in contrasto con aspirazioni elleniche, situazione che dovetti liquidare mediante il noto diretto accordo con Venizelos, si potesse in quel momento affidare al Rappresentante dell'Italia un simile compito. Il Consiglio Supremo ebbe solamente a pregarmi di ascoltare Venizelos ed esaminare le sue richieste per la Tracia per vedere se vi fosse stata possibilità di un compromesso diretto fra Grecia e Bulgaria. Mi feci esporre da Venizelos i suoi intendimenti. Sarebbe stato evidentemente assai facile ed anche assai utile per le conversazioni che avevo in corso con Venizelos per le questioni greco-italiane, il manifestare al Consiglio Supremo un parere favorevole alle aspirazioni greche, parere che il Consiglio, date le sue note disposizioni nei riguardi della Bulgaria, si sarebbe affrettato a fare oggetto di una decisione sfavorevole a questa. Ho invece riferito al Consiglio Supremo che dall'esame della questione avevo tratto la convinzione che le pretese greche erano eccessive e tali da precludere ogni speranza di una amichevole intesa e da consigliare di rimettere allo stesso Consiglio una decisione del punto di contrasto. Il Signor Antonoff ha quindi completamente svisato la verità delle cose •.

(l) Sulla questione Grandi interpellò Tittoni il quale gli dichiarò quanto segue

(2) Cfr. il tel. firmato da Lojacono ma annullato da Grandi, del precedente 12 marzo indirizzato a Durazzo con l'ordine di esercitare pressioni sul Governo albanese per un riavvicinamento a quello turco.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. P. 2547/1043. Budapest, 10 ottobre 1929.

Ho l'onore di fare all'E. V. un resoconto della mia conversazione del 4 corrente col signor Walko, oggetto del mio telegramma segreto personale n. 164 del 4 c. m. (1).

Il Ministro degli Affari Esteri mi disse c:he il corriere giunto il giorno precedente non gli aveva portato la somma che urgeva far pervenire al Dott. Steidle. Spiegò che la promessa da lui fatta a Steidle doveva essere mantenuta per permettere ai dirigenti delle Heimwehren di fare intensa propaganda e di acquistare armi ed equipaggiamenti. Le manifestazioni di forza dovevano continuare per mantenere alto lo spirito degli squadristi e per imporsi all'opinione pubblica. Ciò avrebbe consentito di esercitare una forte pressione sul Gabinetto e di controbilanciare razione degli altri partiti specie per far accettare i punti della riforma costituzionale concernenti:

l) elezione popolare del Presidente della Repubblica; 2) facoltà al Presidente della Repubblica di nominare il Gabinetto e di sciogliere le Camere; 3) ampliamento dei poteri del Presidente della Repubblica e del Capo del Governo; 4) diminuzione dell'importanza politica e finanziaria della capitale. Walko aggiunse che il giorno precedente era giunta a Budapest da Vienna la persona di sua fiducia. Questi lo aveva messo al corrente della situazione austriaca, manifestando la sua soddisfazione per il nuovo stato di fatto ed esprimendo il parere che, ora più che mai, bisognava sostenere il movimento per la propaganda e le adunate. Un'importante manifestazione avrebbe dovuto aver luogo il 20 o 27 ottobre. Disse che al momento della composizione dell'attuale Gabinetto al potere, si era pensato di mettere a capo del Governo il Signor Vaugoin ma si era preferito di lasciar questi come Vice-Cancelliere e far ricoprire la carica di Cancelliere a Schober, sapendo così di andare incontro ai desideri di

S. E. Mussolini, cui Schober era persona grata.

Walko concluse informandomi di avere disposto a che il suo fiduciario si incontrasse col Ministro Hory prima della sua partenza per Roma, e pregandomi di rendere nota a V. E. la nostra conversazione.

Fino a questa mane nessuna nuova informazione è pervenuta a questo Ministero degli Affari Esteri. La stampa ungherese in questa ultima settimana non ha pubblicato nessuna notizia degna di rilievo sulla situazione austriaca.

(l) Cfr. n. 44.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) P. 84/321. Vienna, 11 ottobre 1929, ore 14,10 (per. ore 16,45).

In questi ultimi tempi mi sono indirettamente pervenute richieste cosi di fondi come di mitragliatrici da parte Heimwehren. Non ho fatto rispondere in modo concreto tanto più che mi era stato qui assicurato essere le Heimwehren in rapporti con Roma direttamente. Siccome però è probabile che tale richiesta mi sarà rinnovata sarei grato a V. E. se volesse telegrafarmi in qual modo debbo rispondere. Ho fatto dire a Steidle che desidererei vederlo quando verrà a Vienna. Mi terrò pure con lui sulle generali, fino a quando non mi saranno pervenute le istruzioni di V. E., per il caso che egli tocchi questo argomento delicato nei riguardi sia di Schober sia degli obblighi dipendenti dalle clausole dei trattati di pace sul disarmo austriaco.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. S. N. Belgrado, 11 ottobre 1929.

Ho avuto ieri un lungo colloquio con Marinkovich. Lo avevo incontrato, dopo la lunga sua assenza per la Conferenza all'Aja e la successiva a Ginevra, soltanto al pranzo offerto in onore di Venizelos, ma non avevo avuto agio di parlargli.

Egli non ha toccato l'argomento della stampa, ed io mi sono guardato bene dall'entrarvi. Ma ho stimato utile riassumergli rapidamente tutte le difficoltà di questi ultimi mesi, tutti gli incidenti, e la situazione fatta agli italiani che svolgono una qualsiasi attività in Jugoslavia. V. E. conosce già tutto ed è quindi superfluo enumeri il dettaglio della mia esposizione, la quale aveva anche lo scopo di far sentire al Ministro degli Affari Esteri quale sia la esatta attuale situazione fra i due paesi che se non si trova nello stato di acuta tensione che ha avuto spesso in passato, non cessa per altro dall'essere seria, e non deve e non può in ogni caso permettere alla Jugoslavia di affermare internazionalmente ai fini diretti del suo credito che le sue relazioni con noi sono ora buone.

Non sto quindi ad entrare nel dettaglio della mia esposizione ma mi preme far notare a V. E. che due volte sole il Signor Marinkovich mi ha interrotto: la prima per affermare che davo troppa importanza all'incidente occorso al vice console Assettati a Spalato, al che ho vivacemente replicato; la seconda per dirmi che io rilevavo soltanto la parte positiva della situazione non la negativa, cioè la diminuzione degli incidenti rispetto al periodo precedente, ed anche qui ho replicato rilevando che la sua giustificazione era soltanto degna della grande fama di avvocato che egli si era acquistata, ma che non potevo accettarla.

In tutto il resto del nostro colloquio egli non ha espresso una parola di rammarico, neppure quando mi dolevo degli spiani che mi avevano insolentemente sorvegliato a Bled, non una espressione cordiale di simpatia, non una promessa di provvedere. Si è limitato di tanto in tanto a prendere qualche breve nota di quello che gli esponevo.

Ma la impressione mia durante tutto lo Egradevole colloquio è stata di trovarmi di fronte ad una persona decisamente ostile, caparbia, senza nessuna sincera disposizione, come ne ho sentita tutta la malvagità balcanica. Ed ho creduto segnalarla personalmente all'E. V. sopratutto perché Marinkovich è salito al potere, dopo Nincich, con una falsa aureola di sincera italofilia e di volontà ad accordo con noi, e questa falsa aureola egli ha. lungamente sfruttato (1).

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 3667/2036. Vienna, 11 ottobre 1929.

Mi riferisco al mio telegramma odierno n. 323 (2). Il Cancelliere Schober mi ha ricevuto stamane con la consueta cordialità, e il nostro colloquio è durato più di un'ora.

Gli ho dichiarato innanzi tutto ch'io non avevo speciali istruzioni, bensì solo l'autorizzazione generica di parlargli di quello che è per i nostri due paesi l'argomento più importante. Egli sapeva con quale soddisfazione, anzi con quale entusiasmo, fosse stata accolta e unanimemente salutata in Italia la sua venuta al potere: mi bastava accennargli, come al segno più importante, a quanto ne aveva detto il nostro Foglio d'Ordini (3) ch'io avevo, appena ricevuto, rimesso a Peter affinchè glie ne desse immediata comunicazione. Nei molti anni da che ero qui non avevo mai veduto in Italia un diffuso stato d'animo più favorevole all'Austria e al Capo del suo Ministero. Questo dunque mi pareva il momento più adatto per esaminare i nostri rapporti e considerare ehe cosa vi fosse da fare affinchè divenissero quali avrebbero dovuto essere e purtroppo non erano finora stati. Di tale rincrescevole stato di cose non poteva eerto darsi all'Italia la colpa. Dall'invio di viveri subito dopo la guerra, alla rinuncia per venti anni alla esazione dei nostri crediti; dal progetto per speciali facilitazioni doganali a vantaggio dell'Austria (non attuate a cagione dell'opposizione cecoslovacca), alle favorevoli transazioni per regolare varie pendenze, alla nostra iniziativa sullo scioglimento della Commissione Militare Interalleata di Controllo, per non toccare che i punti principali, tutto era stato fatto da noi quanto le nostre possibilità ci consentivano. A ciò aveva risposto il Tirolo con le sue continue manifestazioni antiitaliane,

" Marincovich è il motore di tutta l'azione contro di noi, perciò sempre secondo Nincic, iJ Re comincerebbe ad essere malcontento e gli rimprovererebbe di avere condotto le relazioni con l'Italia al punto in cui esse sono. Ninci.c stima che se Marinkovich finirà con l'andarsene ciò sarà dovuto in parte ai rimarchi che gli si fanno per i rapporti con l'Italia con la quale egli non avrebbe più contatti...

Pur facendo la debita parte all'intimo desiderio di Nincic di tornare a dirigere la politica estera, le sue informazioni e le sue impressioni sono utile conferma dei motivi che spinsero la campagna jugoslava dopo la sentenza di Pola allo sfrenato attacco contro di noi e dei mezzi che furono impiegati •.

aveva risposto Seipel con il suo pubblico accenno • alla ferita ancora cocente » e con il discorso famoso in Parlamento (1), il quale aveva nociuto agli interessi politici dell'Austria raffreddando i suoi rapporti con l'Italia, aveva nociuto ai suoi interessi economici impedendole la conclusione di un prestito (2) a condizioni che forst: non torneranno più, e non aveva giovato in nulla alla sua politica interna e alla posizione del gabinetto stesso. Quando ero tornato dalla mia lunga assenza, nel luglio del 1928, avevo detto a Seipel che il minimo chiesto da noi era che il Governo austriaco separasse nettamente e pubblicamente la sua responsabilità da quella degli agitatori tirolesi (3). Se Seipel avesse dichiarato al Capitano Provinciale e ai deputati di quella regione che era interesse fondamentale per l'Austria avere buoni rapporti con l'Italia, che tali rapporti non potevano coesistere con le loro agitazioni e manifestazioni, che ove queste si fossero rinnovate essi avrebbero dovuto assumerne su di loro le conseguenze, comprese le eventuali dimissioni del gabinetto, ero sicuro ci saremmo trovati oggi in altre condizioni. Senonchè Seipel non solo aveva creduto di non far nulla, ma era andato sino a minacciare in un suo discorso i protettori dell'Ungheria circa i pericoli di una discussione sulla revisione delle frontiere del Burgenland. Se in tal modo parlava lo stesso Cancelliere, come ci si poteva meravigliare di quanto facevano i Tirolesi? E così, dal mio ritorno nel luglio dell'anno scorso, io andavo passando qui il mio tempo in ininterrotte proteste di cui l'ultima era appena di ieri l'altro. Ora, se si voleva attuare un nuovo stato di cose nei nostri rapporti, nessun momento pareva più idoneo, sia per le favorevoli disposizioni dell'opinione pubblica in Italia, sia per la considerazione di S. E. Mussolini verso il nuovo Cancelliere, cui ne aveva data prova prima ancora che questi venisse al potere, sia per l'ammirazione di Schober verso il Capo del Governo, sia infine perchè il nuovo gabinetto austriaco, i] quale pone a base della sua riforma costituzionale l'assestamento e il rafforzamento dell'autorità statale, non poteva consentire che materia così delicata come i rapporti internazionali fossero alla mercede di irresponsabili agitatori. Se il miglioramento delle nostre relazioni era questione importante per noi, esso era assai più importante per l'Austria; e non solo per il suo prestito e per le altre questioni che deve ancora regolare con noi. Più che mai mentre si accinge non senza difficoltà ad effettuare il suo piano di ricostruzione politica, l'Austria abbisogna di appoggi morali. Certo non li chiederà alla Cecoslovacchia e alla .Jugoslavia, nè alla Francia, nè all'Inghilterra. La Germania di Marx non sembra avere grandi simpatie per il gabinetto Schober. L'Ungheria da sola non basta. Chi rimane dunque se non l'Italia? E chi meglio dell'Italia d'oggi? Tutte le premesse esistevano, ed io speravo poter comunicare al R. Governo che il Cancelliere

ne avrebb~ tratte le necessarie conseguenze.

Schober, che aveva seguito il mio lungo discorso qui riassunto con continui cenni di approvazione, ha risposto che consentiva in tutto con me. Vecchio austriaco, egli è amico schietto dell'Ungheria; ma sa che questa da sola è poca cosa per l'Austria, la quale ha bisogno dell'appoggio di una grande Potenza. Quest'appoggio non può venirle dalla Francia che protegge Stati, quali la Cecoslovacchia

e la Jugoslavia, interessati al mantenimento di un'Austria debole; non dall'Inghilterra, troppo lontana; non dalla Germania • che ha ancora le gambe rotte •. Non può quindi venirle che dall'Italia, dalla quale non si può però pretendere che lo dia finchè si vada qui avanti come finora. Una potenza come la nostra non ammetterebbe interventi neanche della grande Germania in questioni che toccano una propria provincia, e quindi soltanto la propria politica interna; molto meno può ammetterli dell'Austria. Gli agitatori tirolesi danneggiano, oltre gli interessi generali della loro Patria, anche quelli degli stessi allogeni dell'Alto Adige cui pretendono voler giovare. Egli conosce i Tirolesi e sa quanto pericoloso sia mostrarsi loro deboli; l'unico modo di trattarli è di mostrarsi energici: solo allora si piegano. Seipel non poteva farlo pe:rchè non disponeva di altra forza oltre quella della maggioranza parlamentare, e per non perderla doveva avere riguardo anche ai Tirolesi dei voti dei quali abbisognava. Ma egli è in diversa situazione: se vi sono deputati che non gli concedono il voto ciò non gli cagiona nessun danno, giacchè dispone di altri mezzi per governare, grazie ai quali può fare a meno dei suffragi dei Tirolesi. Parlerà come si conviene a Stumpf e agli altri, ed è deciso ad ottenere sia posto termine, a qualunque costo, alla partecipazione di uomini pubblici nelle manifestazioni private antiitaliane in Tirolo. Fatti come quello cui gli avevo accennato, dell'intervento di rappresentanti del governo provinciale di Innsbruck ai discorsi del signor Reut Nicolussi, non dovevano più accadere. Egli conveniva con me non doversi ammettere che persone le quali, non facendo parte del Governo, non avevano alcuna responsabilità di fronte al Parlamento, potessero danneggiare quelle relazioni internazionali il cui buon mantenimento è affidato al governo stesso e solo ad esso. In poche parole -ha conchiuso -egli era risoluto a rimuovere ogni ostacolo impedisse che i rapporti dell'Austria con l'Italia fossero quali dovevano essere. A renderli tali contribuirà anche il suo viaggio in Italia, che potrebbe avvenire dopo finita la prima parte dei lavori parlamentari, quella concernente cioè la riforma costituzionale, la quale comincerà la prossima settimana e non dovrebbe durare a lungo. Serbava ottimo ricordo delle attenzioni usategli allorchè fu in Italia come Cancelliere, in occasione del congresso internazionale di Genova con i bolscevichi,

• -per quanto Schanzer non sia Mussolini •. Dovette durante quel suo cancellierato fare la sua prima visita a Benes, ma per ragioni dipendenti non dalla propria volontà bensì da quella del precedente Presidente della Repubblica austriaca signor Hainisch. Senonchè oggi le cose erano mutate; poteva assicurarmi che in ogni caso il suo primo viaggio sarebbe stato Ll. Italia e la sua prima visita per S. -E. il Capo del Governo Italiano.

Ho ringraziato cordialmente Schober per così amichevoli franche e soddisfacenti dichiarazioni, e gli ho detto che non avrei mancato di comunicarle al

R. Governo, cui ero certo sarebbero riuscite oltremodo gradite. Io ero sicuro interprete dei propositi di S. E. Mussolini dichiarandogli che egli avrebbe trovato nel nostro Duce le più desiderabili disposizion:l.

Il discorso da me oggi fatto a Schober l'avevo ripetuto per tre anni e mezzo, non potrei dire quante volte, a Seipel e a Peter. Oggi è la prima volta in cui mi si risponde francamente che abbiamo ragione, ehe si farà quanto chiediamo. Non so quante volte sono andato in questi tre anni e mezzo al palazzo federale, ma so che stamani è stata la prima ch'io ne sono uscito contento.

(l) Con t. per corriere 4342/2448 del 5 novembre Galli riferiva una conversazione avuta con Ninèié. Del telegramma si pubblicano i brani seguenti:

(2) -T. 4029/323 del 12 ottobre, ore 10,05, che non si pubblica. (3) -Del l o ottobre. (l) -Accenna al discorso pronunciato da Seipel il 23 febbraio 1928. (2) -Sulla questione del prestito all'Austria cfr. Serie VII, vol. VII, nn. 128, 139, 151, 163, 271, 332, 347, 496, 559, 619; e. nel presente volume, n. 8 allegato I. (3) -Cfr. Serie VII, vol. VI, nn. 459, 460.
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IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 5005/564. Innsbruck, 11 ottobre 1929.

Telegramma 4959/40 del 10 corrente.

Come accennai nel mio telegramma suindicato, ieri mattina i decorati di medaglia d'oro al valore, in numero di 56, si riunirono al Berg Isel, ove, presenti le autorità civili e militari nonché una compagnia d'onore del Reggimento Alpenjaeger N. 12, ricevettero dalle mani del Landeshauptmann Dr. Stumpf la • medaglia commemorativa • del Tirolo. Ieri stesso i decorati predetti, fra i quali una parte preminente ha avuto il Dr. Reut-Nicoìussi, medaglia d'oro del Col di Lana, si son dichiarati costituiti in associazione, confederata a quelle similari delle altre provincie austriache. Dopo la cerimonia ebbe luogo un banchetto offerto da questo Capitano provinciale e ierisera una serata d'onore in questa sala dell'esposizione, alla quale convenne numeroso pubblico. Queste pubbliche onoranze sono intese a valorizzare l'opera ,compiuta dall'ex esercito imperiale sui campi di guerra nelle persone dei suoi più valorosi esponenti, valorizzazione cui finora lo spirito pubblico è stato tetragono per mille ovvie ragioni che è perfettamente superfluo ricordare. Tuttavia, mentre è sintomatico che per queste cerimonie si sia scelto il giorno della ricorrenza dell'annessione dell'Alto Adige all'Italia e il Berg Isel, colle sacro del patriottismo tirolese, i discorsi tenuti in tutte le tre fasi di quella manifestazione non lasciano dubbio circa lo spirito ed il programma con cui la nuova • associazione delle medaglie d'oro tirolesi • si presenta alla vita pubblica. A parte le parole, pur significative, del Dr. Stumpf, che, ai piedi del monumento ad Andreas Hofer, disse • mancano però quelli che una pace impostaci con la vi0lenza ci ha strappati, ma che han qui il loro posto. Ad essi mandiamo il nostro più cordiale saluto ringraziandoli per tutto quanto han fatto per la grande patria • , è precisa e chiara la dichiarazione che, alla presenza delle autorità costituite, venne fatta in nome della neo associazione dal suo presidente, medaglia d'oro e consigliere comunale, Signor Bator: • il direttorio dell'associazione si sente nell'obbligo di coscienza di porsi al servizio della causa tirolese della difesa della frontiera e ciascun membro si metterà, come fiduciario propagandista, agli ordini della "Hilfestelle fuer Suedtirol" (il noto ufficio della Salurnerstrasse 18) e si obbliga ad abbonarsi al periodico Der Suedtiroler •. In conseguenza di queste esplicite dichiarazioni ho disposto che a tutti i membri della neo-associazione sia d'ora innanzi negato il visto al passaporto per l'ingresso nel Regno: il mezzo è più efficace di quanto forse non si pensi per far rinsavire più d'un esaltato.

Al banchetto del Landeshauptmann il discorso principale fu tenuto dal ReutNicolussi, il quale si limitò per una volta tanto al panegirico delle gesta dell'ex esercito imperiale ed ai ringraziamenti alle autorità per l'appoggio dato alla valorizzazione dell'opera compiuta dai valorosi che parteciparono alla guerra. Egli lesse, tuttavia, un telegramma di adesione del Signor Landesrat Illmer, così concepito: • dai cippi di confine, che poterono esser piazzati solo mercé l'infedeltà e la perfidia, mandiamo ringraziamenti e saluti ».

9 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Alla sera, nella sala dell'esposizione, tenne un lungo discorso, intonato al più esplicito irredentismo, il Nationalrat, Signor Kurt Schuschnigg, e fu poi rappresentato un dramma in tre atti • Der Held an der Grenze •, di composizione del Signor Hans Bator, a soggetto irredentista, imperniato sulla favola di un giovane altoatesino, che, non potendo sopportare la schiavitù politica e la soggezione allo straniero, tenta disertare oltre il confine, ma viene miseramente ucciso dalle guardie di frontiera.

È notevole, come telegrafai, che a questa serata di carattere essenzialmente antitaliano il Dr. Steidle abbia invitato i membri delle Heimatwehren ad accorrere numerosi. È questo un sintomo di non lieve importanza che serve a giustificare tutte le riserve che da lungo tempo io sono andato esprimendo sui veri sentimenti che animano quella organizzazione nei nostri riguardi e sugli sviluppi futuri che si può attendersene.

Comunque, è mio dovere constatare che la propaganda antitaliana non soltanto non prende qui respiro ma va invece sempre intensificandosi ed assume talvolta, come nel recente caso della ditta Gottardi, forme lesive dei nostri più vitali interessi e pericolose anche per il nostro prestigio. Questa campagna, che trova compiacenti e complici le autorità locali, è in stridente contraddizione con le dichiarazioni freschissime del Cancelliere Schober di voler seguire una politica di cordialità • specialmente coi vicini • e mi parrebbe opportuno, se non vogliamo alla fine essere • débordés • e mettere anche questi pochi connazionali, che già vivono in condizioni non facili, nella situazione di sacrificare i propri interessi più legittimi, di dar modo al Governo federale di riflettere seriamente che questo stato di cose non può e non deve prolungarsi indefinitamente (1).

66

IL CAPO DELL'UFFICIO IV EUROPA E LEVANTE, DE MARSANICH, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

TELESPR. R. 251956/351. Roma, 12 ottobre 1929.

Segnalo a V. S., per l'eventualità che non Le fosse già noto, l'accluso articolo del Times del 23 settembre scorso, circa il movimento macedone (2).

Interessa a questo Ministero avere dalla S. V., quanto prima possibile, notizie recenti ed esatte della situazione presente delle rivalità e delle tendenze dell'Organizzazione rivoluzionaria macedone. Interessa in particolar modo avere un quadro preciso della forza e delle possibilità politiche dei macedoni nella situazione interna della Bulgaria di fronte ad eventualità di mutamenti della compagine ministeriale attuale.

« Ella vorrà far comprendere al Dott. Steidle, in oecasione di un suo incontro con lui, che le circostanze su accennate hanno prodotto incresciosa impressione, e tale che se avessero a ripetersi, porterebbero il R. Governo alla necessità di dover riesaminare il suo atteggiamento verso le Heimwehren •.

(l) In relazione a quanto riferito da Ricciardi c:fr. un documento, destinato ad Auriti, del quale si pubblica il brano seguente:

(2) A pag. 13, sotto il titolo "The Macedonian Murders "·

67

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 3270/1365. Budapest, 12 ottobre 1929.

Mi riferisco a precedente corrispondenza e da ultimo al mio Telegramma

N. 169 del 10 c.m.

L'anno scorso ebbi l'onore di lumeggiare all'E. V., con miei numerosi rapporti, l'evoluzione compiuta dall'On. Gombos nel campo politico. Riferii allora a V. E. che antica ambizione di Giulio Gombos era quella di partecipare attivamente alla vita politica ungherese non solo come collaboratore ma come dirigente. Egli aveva tentato di raggiungere lo scopo all'interno facendo dell'opposizione, ma non vi era riuscito in seguito al fallimento del cosidetto • movimento per la difesa della razza ». Il suo stesso orientamento in politica estera si dimostrò errato ed in antitesi con gli interessi del paese: egli fu il primo ungherese che avrebbe voluto rompere l'isolamento politico dell'Ungheria stabilendo stretti rapporti con la Jugoslavia. Sarebbe dovuto, anzi alla sua influenza il famoso discorso pronunciato dal Reggente a Mohàcs nell'agosto del 1926.

Il nuovo indirizzo politico del Gombos si manifestò praticamente nel 1928. Egli cominciò col mutare rotta in politica estera : le sue prime dichiarazioni di lealismo verso l'Italia risalgono alla primavera dello scorso anno. Ciò, a mio parere, si deve a tre fattori: intervento del Conte Bethlen, convinzione che, dati i tempi, la sua serbofilia non lo avrebbe portato molto lontano, riconoscimento di maggiore utilità per il suo paese. Il senso di opportunismo, che egli possiede in misura eccezionale, lo spinse poi ad offrire la sua attiva collaborazione al Conte Bethlen: appoggiato dal Reggente e dalla stessa moglie del Presidente del Consiglio, egli chiese di essere messo a capo di qualche dicastero, ma gli fu offerto invece un sottosegretariato. Il Gombos espresse allora il desiderio di essere destinato agli Interni o agli Esteri: ne ebbe un secondo rifiuto e la contro offerta di occupare il posto alla Difesa Nazionale. Egli accettò obbligandosi ad astenersi da qualsiasi attività politica.

A distanza di un anno circa l'On. Gombos passa alla direzione dello stesso dicastero. Con mio Rapporto N. 2326/965 del 24 settembre riferii all'E. V. delle voci e delle ragioni che facevano temere una prossima sostituzione del Conte Csaky, ma osservavo logicamente che, se il Conte Bethlen avesse deciso di disfarsi del suo collaboratore, avrebbe probabilmente lasciato passare qualche tempo. Mi risulta a questo proposito che 1'8 corrente mese il Reggente ebbe a chiamare il Conte Csaky, al quale chiese spiegazione di certe vocii che circolavano sul suo conto. Il Ministro della Difesa Nazionale potè provare ampiamente l'infondatezza degli attacchi. Lo stesso giorno tuttavia il Reggente ricevette il Conte Bethlen, al quale riferì del colloquio, aggiungendo che, pur essendo convinto che nessun appunto poteva muoversi al Conte Csaky, gli sembrava che la sua posizione si dovesse ritenere scossa. Di questa osservazione il Conte Bethlen mise a parte il giorno seguente Csaky, il quale decise di presentare immediatamente le sue dimissioni. Le insistenze del Presidente del Consiglio, che gli faceva considerare l'opportunità di attendere almeno un paio di mesi, affinchè le dimissioni non fossero messe in relazione con le recenti accuse, si infransero contro il deciso atteggiamento del Csaky, che si rifiutò di restare " un minuto di più alla Difesa Nazionale •.

Persone dell' • entourage • di Bethlen mi. hanno confidenzialmente riferito che le dimissioni di Csaky e del generale Algya-Papp, il quale ha anzi chiesto ed ottenuto di esser messo a riposo, non sono state provocate dalla recente questione dei materassi, ma dai continui intrighi tessuti. da Gombos fin dal giorno in cui assunse la carica di sottosegretario. Ciò risulterebbe dalla stessa lettera di dimissioni del generale Csaky in cui egli dice: • durante la mia permanenza al Ministero della Difesa Nazionale ho cercato di mantenere un atteggiamento politico che si proponeva sopratutto di evitare che l'esercito fosse inquinato dal veleno delle lotte di partito. Sento che attualmente non posso più servire tale fine nella misura necessaria nell'interesse delle forze armate •. Ed inoltre dalla notizia quasi certamente data da Gombos stesso alla stampa secondo la quale le pratiche relative alla fornitura dei materassi erano state passate immediatamente agli archivi. Analogamente si erano espresse altre persone col nostro Addetto Militare che ne ha riferito col Rapporto da me trasmesso con Telegramma Posta N. 2482/ 1020 del 3 corrente mese.

Altra notizia confidenzialmente avuta è ehe le dimissioni e la conseguente nuova nomina giunsero così improvvise che il Presidente del Consiglio ne dette comunicazione ai colleghi di Gabinetto per telefono. Questa circostanza destò viva contrarietà dato che le dimissioni di ministri e le nuove nomine vanno discusse in seno al Consiglio. Nessun membro del Gabinetto approverebbe la nomina di Gombos, ritenuto un intrigante, ambizioso ed esaltato. A questo proposito riferisco che il Signor Walko mi ha tessuto gli elogi del Conte Csaky, • uomo intelligentissimo e modesto anche se cinico e un po' indolente •, mentre è stato parco di parole nei riguardi del Gombos, • è uomo onesto e buon organizzatore •. Mi è stata ricordata l'intenzione manifestata lo scorso anno dal Conte Apponyi al momento della nomina di Gombos a sottosegretario, di rinunciare cioè al mandato di delegato ungherese alla Società delle Nazioni. Come ebbi anche l'onore di riferire all'E. V., il Conte Apponyi desistette dall'idea in seguito alle assicurazioni avute dal Conte Bethlen ed alle pressioni di alte personalità. Si teme ora che il Conte Apponyi traduca in atto l'intenzione già manifestata.

Ho appreso infine che all'epoca della nomina di Gombos a sottosegretario, questo Ministro di Germania espresse a nome del proprio Governo la sua meraviglia per il fatto che una carica così elevata venisse affidata a colui che aveva dato asilo per più di un mese agli assassini di Erzberger. Se ne deduce che l'attuale nomina avrà una sfavorevole ripercussione per l'Ungheria nei circoli tedeschi.

Riassumendo quanto ho appreso nei miei colloqui, la nomina di Gombos viene considerata come un atto poco politico da parte di Bethlen, il quale ha voluto affrontare la maggioranza dell'opinione pubblica in un momento politicamente poco propizio. Si ritiene in genere che il Presidente del Consiglio abbia dovuto cedere alle pressioni fatte personalmente dal Reggente, per rafforzare la sua stessa posizione presso il Capo dello Stato. Si è giunti a far circolare la voce che, dato il carattere dell'On. Gombos e considerato l'appoggio che egli ha da parte del Reggente, non è da escludersi che egli pensi perfino di sostituire il Conte Bethlen. Non mi meraviglierei che questa idea possa aver germogliato nella fertile fantasia del Gombos, il quale, come mi risulta già da anni, si compiace di esser paragonato a Napoleone ed ama assumere atteggiamenti napoleonici.

Fatta la debita tara in quanto mi è stato riferito, si possono dedurre alcuni fatti incontestabili e cioè che il Reggente ha ora acquistato decisiva influenza negli affari dello Stato a scapito dell'autorità dittatoriale del Conte Bethlen. Questi non può più disporre delle cose a suo piacimento, come in altri tempi, accorrendogli più che mai destreggiarsi con abilità fra le nuove forze che si vanno sempre più affermando. (Vedi anche mio Telegramma Posta N. 3271/1366 in data odierna). Gèimbos d'altra parte dimostra di procedere molto celermente sulla via per la quale decise di mettersi lo scorso anno. La parola d'onore data a Bethlen, e ripetuta anche quest'anno, di non occuparsi di politica, non sarebbe ritenuta garanzia sufficiente quando gli avvenimenti offrissero il destro al Gèimbèis di agire nei suoi personali interessi.

La stampa non ha reagito nella maniera e nella misura che era lecito prevedere, considerata la ventata di democrazia che passa attualmente sull'Ungheria e tenuto conto del fatto che il Gombèis è un uomo di estrema destra.

Ho l'onore di trasmettere qui unita la traduzione delle lettere, interviste e commenti pubblicati in questa occasione dai giornali di Budapest (1).

« Seppi inoltre, da persone vicine alla Legazione di Jugoslavia, che la nomina di Gombos a Ministro della Difesa Nazionale, mentre era stata accolta con diffidenza dai Romeni e Czecoslovacchi, era riuscita gradita agli Jugoslavi. Il suo viaggio in Italia nell'agosto scorso aveva prodotto una certa contrarietà ma nel novembre scorso, credo, egli avrebbe fatto chiamare l'Addetto Militare jugoslavo dichiarandogli, fra l'altro, che il viaggio in Italia gli era stato imposto e che la sua andata a Roma doveva essere considerata una specie di « andata a Canossa » che aveva dovuto subire e di cui serbava in cuore un profondo rancore dati i suoi sentimenti verso la Jugoslavia...

Ieri il nostro Addetto Militare è stato ricevuto dall'on. Gombos. Questi, dopo avergli esposto il grave compito che gli incombeva per la riorganizzazione dell'esercito, gli disse di aver avuto un colloquio con l'Addetto Militare jugoslavo. Secondo Gombos, il colonnello Antic gli aveva dichiarato che tutti gli sforzi della Jugoslavia tendevano all'organizzazione offensiva del paese contro l'Italia e l'Ungheria. Cosi si spiegava il fatto che il 46 % delle spese di bilancio era assorbito dall'amministrazione della guerra. Il Gombos citava questa circostanza per giungere alla conclusione che, come la Francia aiutava in ogni maniera la Jugoslavia, così l'Italia avrebbe dovuto sostenere l'Ungheria specie con la concessione di un prestito (dell'argomento parlerà all'E. V. il Col. Oxilia che parte oggi per Roma). Una tale conversazione presuppone o la confidenza dell'Antic nel Gombos, o una manovra dell'Antic per dimostrare i pericoli cui è esposta l'Ungheria a causa dell'intimità dei rapporti itala-ungheresi.

Il nostro Capo dell'Ufficio Stampa mi ha informato che nei circoli giornalistici, specie negli ambienti del trust Pesti Naplo, Az Est, Magyarorszag, è diffusa la voce che Gi:imbi:is aveva avuto nell'agosto scorso molti colloqui con Mussolini e che in quella occasione era stato concretato un programma per realizzare in Ungheria un regime simile al Fascismo. Che così si spiegava anche la grande ammirazione che Gombos aveva per Mus.solini. Conoscendo l'uomo, non mi meraviglierei che egli stesso abbia messo in giro la voce, od abbia lasciato pensare una cosa simile, per darsi del credito. Da più parti ho sentito ripetere l'argomento della dittatura, sia pure con il sorriso ironico che generalmente accompagna l'accenno all'attività non sempre chiara del Ministro della Difesa Nazionale...

Il Signor Walko, del quale ho cercato di conoscere il pensiero per interposta persona, ha detto al mio fiduciario che Gi:imbi:is mantiene rapporti con i Croati. Ha aggiunto che il suo collega della Guerra ostenta un vero entusiasmo per Mussolini. A certe domande rivolteglidalla persona di mia fiducia non avrebbe risposto, mostrando però di non approvare il contegno di Gombos.

Da quanto ho esposto con la minuzia richiesta dalla delicatezza dell'argomento, sembrerebbe che le dichiarazioni di lealismo fatte dal Gombos per l'Italia nel 1928 (telegramma posta di questa R. Legazione n. 1073 del 2 maggio 1928 -v. allegato n. 6) siano piuttosto frutto di opportunismo che non di convinzione personale, e le stesse caratteristiche dell'uomo non sembrerebbero dare quelle garanzie che si richiedono invece a chi occupa una posizione in cui è in grado di sapere troppe cose di carattere riservato sull'Italia e sulla politica itala-ungherese •·

Cfr. anche il t. posta rr. 1246/251, Budapest 18 marzo 1930: Gombtis ha detto a Arlotta che • malgrado ogni eventuale possibile contrario apprezzamento a suo riguardo, egli considerava la sempre più stretta intimità di rapporti coll'Italia, come base fondamentale della politica non solo di questo Governo, ma più ancora, se mai, con pieno convincimento, di quella sua propria personale •.

(l) Su Gombos cfr. un successivo R. rr. 28/8 di De Astis in data 4 gennaio 1930, in margine al quale Mussolini ha annotato « Importante •. Se ne pubblicano i brani seguenti:

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IL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BUTI, AL CAPO DELL'UFFICIO SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO

L. P Parigi, 12 ottobre 1929.

Ti ho scritto avanti ieri. Oggi ricevo la tua lettera del 9 e ti ringrazio. M'interessano molto le notizie che mi dai.

Per gli ungheresi abbiamo risposto ieri al vostro telegramma (1).

Vorrei aggiungere qualche parola.

Se gli ungheresi vogliono intendersi, questa è l'occasione. Le riparazioni che essi dovrebbero pagare dopo il 1943 (e che in definitiva sono disposti a pagare, sia pure in misura ridotta e sotto un altro nome: mio telegramma n. 18) e magari anche quelle che pagano attualmente (o parte di queste) potrebbero fornire i mezzi per trovare un accomodamento. Da parte francese e (ora che sono soddisfatti per la propria quota sull'annualità Young) anche da parte inglese, prevale lo stesso spirito spendaccione e generoso dell'Aja, e, pur di mettere d'accordo i varii litiganti (e non i soli ungheresi e rumeni) si è disposti a pagare del proprio come si è fatto all'Aja. Questa volta il pagamento consisterebbe in rinuncie sulle riparazioni orientali. Naturalmente non bisogna voler stravincere nè vincere al 100 %. Bisogna contentarsi di una soluzione che sia soddisfacente.

Se al contrario gli ungheresi non vogliono intendersi, vogliono lasciare aperta la questione degli optanti e (per dirla con le parole di Brocchi) intendono di servirsene come gli italiani di Trieste si servivano della • Università • per scopi di ordine politico -allora è un'altra faccenda. Però, in tal caso, e sopratutto in tal caso, a essere franchi, ci vorrebbe un po' di abilità. Non basta avanzare una tesi. Bisogna sostenerla, giustificarla: preoccuparsi di sostenerla e saperlo fare, sopratutto se la tesi è estrema. Il Barone Koranyi (simpaticone lui!) è mezzo sordo e non ha voce, e quando parla in Comitato non si sente. Brocchi dice che fuma troppo. Non mi diffondo di più.

Quanto a noi: riteniamo nostro interesse che la vertenza si componga o che resti aperta?

Nella prima ipotesi giudicherete voi nel modo che riterrete più opportuno se non sia il caso di far sentire a Budapest quello che dicevo prima, cioè che questa è l'occasione. Se il nostro interesse, nel campo della nostra politica generale e balcanica, è che la vertenza si risolva, mi pare che anche a noi debba importare che gli ungheresi approfittino del momento e delle circostanze. Quanto agli ungheresi potremo in tal caso effettivamente aiutarli nell'elaborazione della soluzione pratica e cercare di ottenere per loro condizioni soddisfacenti.

Se per contro anche a noi conviene di più che la vertenza resti aperta (bada che avremo tutti contro) bisognerebbe lo stesso -anche per noi: per noi di fronte agli altri Stati -che gli ungheresi, come dicevo prima, si dessero un po' più di pena. Tanto più che i precedenti della questione presso la Società delle Nazioni sono tutti piuttosto contro che a favore della tesi ungherese, e che -le circostanze attuali favorendo un compromesso a spese dei grandi alleati -il

rifiuto, se non sia molto abilmente presentato, farà apparire più manifesto lo scopo vero dell'Ungheria. Dico questo anche per quanto ci riguarda, e riguarda i nostri rapporti con la <Rumania. Lo dico pure per i riflessi di vario ordine su tutte le altre questioni -importanti -che ci interessano nel negoziato nel suo insieme.

Ora, sia .che l'Ungheria voglia, o non voglia concludere, a me pare che dovrebbe cominciare coll'accettare l'invito rivoltole di trattare. Koranyi, quando gli parlavamo ieri, tirava fuori un pezzo di carta con le istruzioni: lo leggeva, lo traduceva, lo tornava a rileggere... e non sapeva dir niente. L'invito del Comitato alla Delegazione ungherese -grazie al nostro intervento -è naturalmente tale che l'Ungheria può accettarlo senza compromettere niente: neanche il diritto di rifiutarsi in definitiva di legare optanti e riparazioni. Dipende naturalmente anche dalla formula con cui l'Ungheria accetti di trattare. Quella che ti ho indicata nella mia precedente lettera mi pare che salvaguardi interamente la posizione ungherese. Il nostro atteggiamento e le nostre dichiarazioni in Comitato sono poi tali che ci lasciano piena libertà di movimento.

Come abbiamo telegrafato ieri, Koranyi ha telegrafato a Budapest per istruzioni. La questione è se a Budapest capiranno e vorranno capire.

P.S.-Interesserebbe molto se col prossimo corriere potessi avere i resoconti delle discussioni degli optanti al Consiglio della Società: il duello TitulescoApponyi.

(l) Allude probabilmente al n. 52.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS

T. GAB. RR. 77/196. Roma, 14 ottobre 1929, ore 22.

Suo telegramma 164 (1).

Come già comunicato questo ministro Ungheria provvedo entro settimana nel senso indicato pagina due secondo capoverso suo rapporto 2423 del 2 ottobre (2).

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IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 4043/208. Sofia, 14 ottobre 192.9, ore 19,30 (per. ore 22,40).

Seguito precedente telegramma (3). Liapceff mi ripete sua piena adesione alle giustissime osservazioni del telegramma di V. E. n. 201 (4) che ad ogni buon fine di nuovo rapidamente gli

riassumo specie per quanto riguarda atteggiamento Buroff, politica estera bulgara ispirata più da Buroff che da sentimenti Liapceff; mancata visita Roma di cui Governo bulgaro doveva riconoscere doverosa necessità non solo per riguardo Italia, ma anche per suo stesso interesse; necessità curare Italia per lo meno al pari altre potenze onde mantenerne benevole relazioni. Liapceff che mi fa ripetere a volte mie parole, approva apertamente e mi incarica di assicurare V. E. e S. E. il Capo del Governo che egli pur tra le difficoltà e gli ostacoli cui ha già accennato nel nostro precedente colloquio (mio telegramma 183 e seguenti) e che gli pervengono assillanti da ogni parte: da Parigi, da Belgrado, e anche da Londra, Praga, Bucarest ... (1), resta fedele alla sua politica di parallelismo italabulgaro, corroborata sino ad ora dal generale consenso popolare (tranne i narodniak antichi russofili oggi franco-serbofili: giornali Mi1· e Slavo). Liapceff trarrà ammaestramento salutare da questo • incidente • che egli spera avrà servito a chiarire presso V. E. sue vere intenzioni, perché (e qui Liapceff mi prega di non

(ripeto non) riferire a V. E. quanto mi dirà) bisogna pensare che dopo il Re chi sostanzialmente ·comanda in Bulgaria è lui, Liapceff, e non altri, sia in politica interna che estera, e se egli qualche volta lascia correre gli atteggiamenti di questo o quel ministro (allusione a Buroff) ciò lo fa per le ragioni parlamentari più volte spiegate, e per le ragioni di difficoltà di governo già indicate, ben sapendo però che nella realtà vera delle cose tali atteggiamenti non sono che forme effimere e senza conseguenza ove manchino del suggello della volontà di lui Liapceff.

Quanto all'accenno alla disgregazione macedone ci siamo meglio spiegati nel senso che egli non aveva affermato che con sua politica macedone intenda rendere anche servizio all'Italia, bensì, approfittando delle dichiarazioni politiche che l'occasione lo aveva portato a farmi, aveva voluto esporre anche a me, come rappresentante d'Italia, uno dei punti più delicati della sua politica estera.

Il presente telegramma continua (2).

(l) -Cfr. n. 44. (2) -Cfr. n. 40. Per effettuare il pagamento fu inviato a Budapest Cortese, che vi giunse 11 18 ottobre. (3) -Cfr. t. 4032/204-205, t. 4038/206 e t. 4042/207, del 13 e 14 ottobre, che non si pubblicano. (4) -Cfr. n. 42.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. GAD. 79/273. Roma, 14 ottob1·e 1929, ore 23.

Suo telegramma 321 (3).

V. S. potrà ascoltare dimostrando simpatia ed interessamento, e assicurando

suo appoggio a Roma per quanto riguarda aiuti richiesti. Esistono infatti rapporti ma soltanto indiretti. Segue lettera ( 4).

(-4) Deve trattarsi del n. 101.
(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Non rinvenuto. (3) -Cfr. n. 62.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, MANZONI, A TOKIO, ALOISI, A WASHINGTON, DE MARTINO, AI MINISTRI DELLA GUERRA, GAZZERA, DELLA MARINA, SIRIANNI, E DELL'AERONAUTICA, BALBO

(Ed., con data 15 ottobre, in MINISTERO AFFARI EsTERI, Documenti relativi alla politica navale dell'Italia 1922-1930, Roma, 1934, p. 39) (l)

T. u. 2041. Roma, 14 ottobre 1929, ore 24.

Con telegramma odierno ho dato istruzioni al R. Ambasciatore a Londra di fare a quel Segretario di Stato per gli Affari Esteri la seguente comunicazione:

« Il Governo italiano ha preso nella più seria considerazione la Nota del 7 corr. (2) con la quale il Segretario di Stato per gli Affari Esteri, dopo aver portato a conoscenza del Governo italiano i punti sui quali un accordo provvisorio e non formale è stato raggiunto fra il Governo britannico ed il Governo degli Stati Uniti nel corso delle loro conversazioni sul disarmo navale, ha proposto al R. Governo di partecipare ad una conferenza da tenersi a Londra al principio della terza settimana del prossimo gennaio per esaminare le categorie di navi non contemplate dal Trattato di Washington del 1922 e per trattare le questioni di cui al secondo paragrafo dell'art. 21 del Trattato stesso. Tale conferenza, alla quale vengono invitate le Potenze firmatarie del trattato di Washington, dovrebbe mirare alla elaborazione di un testo atto a facilitare il compito della Commissione Preparatoria della Società delle Nazioni e successivamente della Conferenza generale del disarmo.

Il pensiero del Governo Italiano sul problema del disarmo in generale e del disarmo navale in particolare è troppo noto al Governo britannico perchè accorrano nuove dichiarazioni in proposito. Tale pensiero è stato chiaramente espresso in ripetute occasioni e da ultimo nella Nota Verbale indirizzata il 6 ottobre 1928 all'ambasciata di Sua Maestà Britannica in Roma (3), in risposta alla comunicazione relativa al progetto di accordo navale franco-britannico dello scorso anno.

Desideroso come sempre di collaborare in qualsiasi azione che si proponga di eliminare i danni ed i pericoli degli eccessivi armamenti, e nutrendo la speranza che l'iniziativa britannica possa avere come risultato un reale progresso verso la soluzione del problema generale del disarmo, il Governo italiano è lieto di accettare l'invito del Governo Britannico a partecipare alla Conferenza di Londra.

Il Governo italiano prende atto del proposito manifestato dal Governo britannico di comunicargli le proprie vedute circa gli argomenti da discutersi alla Conferenza e mentre resta in attesa di tali comunicazioni, si riserva di far conoscere a sua volta al Governo britannico, il proprio modo di vedere al riguardo •.

* (Per Parigi soltanto). Prego portare quanto precede a conoscenza di codesto Governo con comunicazione scritta nella quale V. E. vorrà aggiungere che il Governo italiano vedrebbe con piacere l'inizio di un diretto scambio di vedute

fra l'Italia e la Francia allo scopo di esaminare in via preliminare quegli aspetti del problema navale che concernono più da vicino i nostri due Paesi. Resto in attesa di conoscere la risposta del Governo francese a questa nostra proposta.

(Per Washington e Tokio). Prego di portare quanto precede a conoscenza di codesto Governo, al quale V. E. vorrà dichiarare che il R. Governo sarà lieto di mantenere contatti e scambiare i rispettivi punti di vista circa gli argomenti da discutere a Londra.

(Per tutti). Informo ad ogni buon fine che il testo della nostra risposta al Governo inglese verrà comunicato alla stampa la mattina di mercoledì 16 corrente* (1).

(l) -E anche in FRUS, 1929, vol. I, pp. 265-266. (2) -Cfr. n. 50. (3) -Cfr. serie VII, vol. VII, p. 21 nota l.
73

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS

L. RR. 6967. Roma, 14 ottobre 1929.

Il R. Console Generale in Innsbruck m'informa (2) che alla riunione indetta il 10 corrente in quel Salone dell'Esposizione, dalle medaglie d'oro del Tirolo per una manifestazione pro • Siid Tirol • sono stati invitati, per iniziativa del dottor Steidle, anche numerosi membri delle Heimwehren.

Prego la S. V. di voler dire al Conte Bethlen che il R. Governo continua, -come proprio ora -a dare il suo tangibile appoggio alle Heimwehren, ma che lo prega di fare energicamente presente al dott. Steidle che tale suo modo di procedere è assolutamente inspiegabile, e che, se dovesse ripetersi, porterebbe inevitabilmente ad una revisione totale dell'atteggiamento dell'Italia (3).

74

PROMEMORIA DEL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI, PER LA DIREZIONE GENERALE EUROPA E LEVANTE

Roma, 14 ottobre 192.9.

L'Ambasciatore di Turchia, Suad Bey, in un colloquio avuto con S. E. il Ministro il 14 Ottobre, ha fatto presenti le preoccupazioni del suo Governo per l'attività spiegata da Venizelos a Belgrado.

Il Governo turco teme un orientamento della Grecia verso la Piccola Intesa.

S. E. il Ministro ha risposto all'Ambasciatore che, se questo dovesse avvenire, il Governo di Angora dovrebbe incolpare innanzi tutto se stesso. La politica infatti del governo turco nei riguardi della Grecia è stata tale, specialmente negli ultimi tempi, che Angora non dovrebbe meravigliarsi se Venizelos si vedesse costretto a trovare appoggio altrove. La linea seguita dal Signor Tewfik Rouschdy Bey non è certamente quella che può portare alla realizzazione dei piani

concordati a Milano con S. E. il Capo del Governo (1). Analogamente dicasi per la Bulgaria. Tewfik dichiarò che egli rispondeva della politica bulgara e che giammai la Bulgaria avrebbe modificato le linee della sua azione internazionale. L'attività che sta svolgendo il Signor Buroff a Parigi, da parecchi mesi, prova invece il contrario. È necessario che la diplomazia della nuova Turchia kemalista sia più aderente a quella che è la realtà deUa situazione europea ed in special modo balcanica (2).

(l) -II brano fra asterischi è inedito. (2) -Cfr. n. 65. (3) -Annotazione marginale: • Consegnata da Cortese a Durini a Budapest •.
75

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA MARINA, SIRIANNI

L. 6974. Roma, 15 ottobre 1929.

In una recente conversazione che ho avuto con il R. Ambasciatore in Madrid, il Marchese Medici non ha escluso che si possa addivenire fra lo Stato Maggiore della R. Marina e lo Stato Maggiore della Marina Spagnuola a degli scambi di idee e di punti di vista su questioni tecniche che interessino i due Paesi.

Credo la cosa interessante, anche se sprovvista di un immediato vantaggio pratico, sopratutto per la considerazione che lo stabilirsi di rapporti di questo genere possa un giorno dimostrarsi di concreta utilità.

Ti prego ad ogni modo di studiare la cosa e di farmi conoscere il tuo pensiero al riguardo (3).

76

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 6568/2302. Belgrado, 15 ottobre 1929.

Telegramma di V. E. n. 12467/.268 del 10 ottobre corrente (4).

Mi permetto attirare l'attenzione dell'E. V. sulla rassegna stampa del R. Consolato Generale di Spalato del 5 corrente, n. 4553/569, nella quale viene data la traduzione di un lungo articolo del giornale Novo Doba del 3 corrente dal titolo

• Come la stampa italiana parla di noi •.

Detto articolo riporta gli estratti di alcuni giornali Italiani, e principalmente del Popolo della Dalmazia, del Littorio Dalmata, e della Volontà d'Italia, in cui

Sulla politica estera della Turchia in questo scorcio di tempo cfr. quanto comunicava Koch il 7 ottobre (t. 3998/746 e t. 3993/747):

• In questi ultimi mesi Fethi bey ha fatto due non brevi soste in patria e non ha perdutooccasione, a quanto mi viene riferito, per insistere, specialmente nelle frequenti conversazioni col Gazi che lo tratta con una certa intimità, sulla convenienza per Turchia di orientare nettamente la sua politica estera verso Parigi anzichè verso Roma.

Egli fa soprattutto valere in appoggio alla sua tesi la reciproca simpatia e la facile comprensione dei due popoli basata sui legami culturali e spirituali di tradizioni secolari, l'interesse economico e soprattutto finanziario che la Francia presenta per Turchia a preferenzadell'Italia, il grande prestigio e peso che essa ha sulla politica europea in confronto dell'Italia retta da un Regime discusso e minaccioso, la vantaggiosa situazione che verrebbe ad avere la Turchia nei riguardi degli Stati che vivono nell'orbita della Francia dalla Polonia alla Grecia della quale egli lascia intravedere l'entrata nella Piccola Intesa •.

si parla di rivendicazioni Italiane sulla Dalmazia, di cerimonie avvenute nel Regno per affermare l'italianità della Dalmazia anche alla presenza delle RR. Autorità.

Notevole, fra gli altri, un articolo della Volontà d'Italia del 12 settembre

u.s. riportato pure dal predetto giornale spalatino, il quale, parlando dell'anniversario della Marcia di Ronchi, dopo aver criticato con poco senso di giustizia il contegno del capo della delegazione dei combattenti Italiani al Congresso tenuto dalla • Fidac » a Belgrado nel settembre scorso, esce in questa frase: « I combattenti del Regno SCS hanno introdotto nel loro programma, in occasione del congresso della Fidac, anche la visita a Spalato e inviteranno i delegati. I' combattenti Italiani si inviteranno in quella città soli, di loro propria volontà e andranno a Spalato serrati in file di combattimento, sotto la bandiera della Dalmazia"·

Tali manifestazioni di irredentismo dalmata sono seguite da queste autorità e da questa opinione pubblica attentamente, e formano il lievito più proficuo di cui si serve il governo jugoslavo per far fermentare fra la popolazione, ed in particolar modo, fra i croati, l'odio contro l'Italia, e giustificare così i continui sacrifici per sempre maggiori armamenti terrestri e navali chiesti da questo governo.

Una delle tante prove di questo è data dai discorsi pronunciati nella Voivodina in una delle tante riunioni pro • Jadranska Straza , . Un oratore, parlando dell'importanza del mare, disse che la Jugoslavia si trova sulla via del nuovo imperialismo Italiano, ed aggiunse testualmente (vedi anche Stefani dell'li ottobre): « L'odierno caos dell'Europa Centrale attira con forza magica l'Italia la quale tende a fare della regione danubiana una sua colonia e prima tappa a ciò è per essa la conquista della bella Dalmazia. Non servono a nulla le varie frasi convenzionali sull'amicizia ed il Patto di amicizia colla Jugoslavia ricorda fatalmente singoli punti dei patti itala-austriaci. Oggi la Dalmazia è in vero pericolo perchè rappresenta la porta d'entrata nella regione danubiana e ciò devono sapere i patrioti jugoslavi. La Dalmazia è il punto più importante nella grande Jugoslavia ».

Poichè l'E. V. col suo telegramma n. 12467/268 si è benignato concordare in linea di massima con le considerazioni da me esposte col mio rapporto n. 6316/ 2188 del 30 settembre u.s. (1), circa una linea più severa, che dovrebbe tenere la stampa italiana allorchè tratta di questioni del vicino Stato Jugoslavo, sembrami che uno degli argomenti che con più cautela dovrebbe essere trattato dalla nostra stampa dovrebbe essere appunto quello nostro dolorosissimo della Dalmazia, per l'evidente speculazione che sulle manifestazioni irredentiste italiane per la Dalmazia compie questo governo ed a finalità politiche interne e per giustificare la sua politica di armamenti.

Per queste ragioni mi sono permesso di attirare l'attenzione dell'E. V. sull'articolo sopra menzionato del Novo Doba ed esprimo la subordinata opinione che, pur tenendo conto dell'alto sentimento patrio del quale i giornali nostri suindicati sono animati, se nelle loro espressioni irredentiste potesse essere portata una attenuazione, questa gioverebbe anche ai nostri fini della politica dalmata.

(l) -Cfr. Serie VII, vol. VI, nn. 216 e 223. (2) -Annotazione marginale di De Marsanich: • Consento. Atti •. (3) -Con t. gab. (p. r.) 76 del 14 ottobre, ore 23, Grandi aveva invitato Medici a venire a Roma per conferire con Mussolini. (4) -Di piccola registrazione, che non si pubblica.

(l) Cfr. nn. 35 e 57.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 6571/2305. BeLgrado, 15 ottobre 192.9.

In questi articoli si dà molto rilievo alla dichiarazione di Benes riferita integralmente nella rassegna stampa di questa R. Legazione del 14 corrente (vedi anche Stefani di ieri). Ne trascrivo la parte più significativa: • Finora il compito della Piccola Intesa fu, per così dire, negativo... Ora invece iniziamo una politica costruttiva positiva e pratica. Noi vogliamo rinsaldare i nostri reciproci legami ed i rapporti politici culturali ma anzitutto economici; ma, benchè non temiamo conflitti bellici e complicazioni, speriamo di estendere tale attività anche su altri stati: la Polonia, la Grecia, la Bulgaria, l'Austria e l'Ungheria •.

Pur facendo la debita parte al consueto spirito di Benes enunciatore di costanti vasti programmi, non si può negare l'attività della Piccola Intesa per allacciare, ciascuno dei tre componenti là dove il compito si presenta meno aspro, sempre più stretti legami con gli stati dell'Europa Centrale e Balcanica, che non ne fanno parte. Il R. Ministro a Praga ha segnalato gli sforzi di Praga su Sofia che hanno già ottenuto risultato concreto. Ho messo in luce la maggiore intimità che si va realizzando fra Jugoslavia e Grecia.

Debbo di nuovo segnalare come fra la Jugoslavia e Polonia vi siano frequenti sintomi di un maggiore avvicinamento, di cui può essere espressione la visita a Zalesky della quale Marinkovich mi ha fatto cenno il 10 corrente come molto probabile e prossima.

Segnalo inoltre un articolo del giornale di Zagabria Obzor del giorno 8 corrente (vedi rassegna stampa di Zagabria del 9 corrente), nel quale si parla di sforzo fatto dalla Polonia di approfondire la rete delle sue alleanze verso il sud e verso il centro, dopo la • delusione dell'Aja e suo indebolimento ad occidente per causa della evacuazione Renana ».

A tutto ciò vanno aggiunte le voci corse in questi giorni per un più stretto avvicinamento economico fra gli Stati Balcanici, ed i voti sia pure platonici espressi dagli oratori del 27° congresso della pace tenuto in questi giorni ad Atene.

Importanti a tal proposito sono poi le dichiarazioni che il deputato laburista, Signor Smith, segretario parlamentare del Signor Henderson, e delegato inglese al Congresso predetto, ha fatto ieri qui a Belgrado. Egli ha detto come i delegati dei popoli Balcanici accolsero unanimemente l'ordine del giorno chiedente una politica economica in comune fra i popoli balcanici, e che si tenta di creare una specie di • federazione dei popoli balcanici •. Ha auspicato anche degli incontri annuali dei rappresentanti degli stati balcanici, dei quali potrebbe farsi iniziatrice la Società delle Nazioni, ed ha aggiunto perfino che l'impulso a realizzare l'idea di Briand sugli Stati Uniti d'Europa, dovrebbe giungere dai paesi balcanici. Ed a proposito dell'opera della Società delle Nazioni per un'intesa economica nei Balcani va tenuta presente la notizia da me segnalata con telecorriere odierno di una prossima permanenza di 15 giorni del Signor Drummond nei Balcani.

Tutto quanto enunciato fa ritenere che anche sotto le grandi ali del pacifismo e dell'azione del governo laburista e per le altre note forze che agiscono nello stesso senso si stia sviluppando un ampio lavoro centro Europeo-Balcanico per una larga intesa economica, che, facendo centro sulla Piccola Intesa, vorrebbe preludere ad una non meno larga intesa politica.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 3718/2068. Vienna, 15 ottobre 1929.

Ho avuto oggi un colloquio di più di un'ora con Steidle, Pabst e un rappresentante di Pfrimer, secondo capo delle Heimwehren. Esso è avvenuto, per loro desiderio, non nella Legazione bensì nell'alloggio del Dott. Morreale.

Ho detto loro che già conoscevano, da quanto aveva ad essi comunicato da mia parte Morreale, le ragioni per le quali avevo atteso fino ad oggi a procurarmi il piacere di conoscerli personalmente. La mia posizione di rappresentante ufficiale mi aveva imposto un certo riserbo di forma, che non aveva del resto in nulla modificato lo stato di cose nella sostanza, giacchè essi mentre, come mi risultava dalle comunicazioni da loro pervenutemi per mezzo di terzi, non avevano avuto bisogno del mio tramite per tenersi in rapporti diretti con Roma, avevano potuto farmi pervenire le loro informazioni per mezzo, prima di comuni conoscenti, e poi dell'addetto stampa della R. Legazione Cav. Morreale, cui avevo dato istruzioni di tenersi in continui contatti con loro. Oggi, dopo che Schober nel suo discorso in Parlamento aveva dato loro per così dire il riconoscimento ufficiale del governo, ed aveva dichiarato si sarebbe tenuto con essi in costanti relazioni, non esisteva più da parte mia qualsiasi ragione di riserbo. Mi era quindi assai gradito poterli assicurare personalmente della simpatia e dell'interesse non solo del R. Governo ma anche del suo rappresentante in Vienna. Ero qui ormai da circa otto anni, ed avevo potuto così seguire giornalmente i lunghi sforzi di questo stato per la sua ricostituzione economica e politica. Allo stesso modo che quella economica, iniziatasi in precedenza, si trovava già a buon punto, non dubitavo che anche quella politica, cominciata più tardi, sarebbe giunta a compimento. Era stato qui grave errore dei socialisti non comprendere che questo piccolo stato non poteva fare a lungo una politica più avanzata di quella degli stati circonvicini, persino di stati come la Germania e la Cecoslovacchia che pure avevano partiti di sinistra al potere; gli avvenimenti andavano ora confermando questo mio antico convincimento. Frequentissime volte, nei miei colloqui con uomini politici e giornalisti, avevo fatto notare di quanto danno fosse che non si udisse qui una parola per incoraggiare la borghesia, darle fiducia nelle proprie forze, convincerla che principalmente dalla sua volontà dipendeva la possibilità di preparare l'avvento di giorni migliori. Sembrava anzi vi fosse come una tacita congiura per mantenere quest'opinione pubblica nell'abbattimento e nella disperazione, quasi che la crisi per la quale l'Austria stava passando dopo la fine della guerra non fosse stata comune ad altre potenze che pure erano assai più forti ed uscite vincitrici dal conflitto. Il merito principale del movimento delle Heimwehren era per me quello di avere appunto ridestato ed esaltato questa fiducia della borghesia nell'avvenire dello stato, fiducia che pur non essendo sufficiente era condizione necessaria per qualsiasi azione diretta ad abbattere la prepotenza dei socialisti e a ricostituire ed accrescere l'autorità dello stato. In nome dunque di questo mio interesse e di questa mia simpatia li assicuravo che le loro richieste avrebbero trovato in me attento ascolto, e che, non essendo in grado di rispondere loro di mia iniziativa, avrei fatto quello che potevo: mi sarei cioè affrettato a trasmettere le loro domande a Roma pregando il R. Governo di prenderle nel più benevolo esame e di farmi conoscere le sue decisioni a fine di comunicarle loro.

Il signor Steidle mi ha assai ringraziato di queste mie dichiarazioni. Ha detto che si rendeva pienamente conto delle ragioni del riserbo nel quale mi ero tenuto sino adesso, e che non avrebbe mancato di valersi d'ora innanzi delle mie cortesi profferte. Me ne offriva subito la prova, parlandomi di una questione che considerava come di grande importanza. La notizia data ieri da un giornale viennese, di pressioni fatte qui dall'Inghilterra per mezzo del suo Ministro, era solo in parte inesatta. Effettivamente sir Eric Phipps non aveva nulla detto al Cancelliere, ma egli sapeva dallo stesso Schober che per altra via i laburisti inglesi avevano qui fatto pervenire qualche comunicazione in quel senso. D'altra parte gli risultava che, purtroppo, anche la Germania agiva qui contro le Heimwehren e a favore dei socialisti. Alla mia osservazione, che nei vari colloqui da me avuti con Schober, così prima come dopo la sua venuta al potere, egli aveva sempre parlato con me lo stesso linguaggio e mostrata la stessa decisione, Steidle ha risposto che ciò era· infatti vero sino a qualche giorno fa, ma che ora Schober sembrava cominciasse a mutare animo. Ne erano cagione quelle pressioni straniere; ne erano altresì cagione le preoccupazioni che i socialisti e la parte moderata dei cristiano-sociali si adoperavano a destare in lui, facendogli temere i pericoli che per l'economia austriaca sarebbero derivati qualora, non avendo mediante compromessi vinto l'opposizione dei socialisti, fosse stato costretto a valersi della forza. Le Heimwehren si sarebbero rivolte all'Ungheria per chiederle di agire su Schober in senso opposto. Ma più che nella piccola Ungheria mettevano le loro speranze nella grande Italia. Occorreva che questa • facesse a papà Schober un'iniezione di canfora • e che integrasse con la propria la di lui indecisa energia. Senonchè, sembrando che le preoccupazioni economiche avessero gran peso sulle decisioni del Cancelliere, bisognava, di fronte ai danni che dagli altri gli si facevano paventare, fargli vedere qualche vantaggio da parte nostra. Come primo, secondo il maggiore Pabst che spesso interrompeva Steidle per interloquire, avrebbe dovuto esservi la nostra promessa di sostenere lo scellino. Ho risposto che avrei espresso questo loro desiderio al R. Governo; che tuttavia, pur non essendo un finanziere, mi pareva poter dire, valendomi della mia poca esperienza, che quando negli stati si era voluto, con mezzi per cosi dire estrinseci, sostenere una valuta, si erano spesi molti milioni, non si era ottenuto alcun risultato stabile e si era dovuto abbandonare il proposito. Il secondo mezzo dovrebbe essere di

far comprendere a Schober che dal suo contegno nei riguardi dei socialisti sarebbe dipesa la concessione di nostri vantaggi economici all'Austria e in particolar modo il nostro consenso alla conclusione del prestito. Il terzo infine sarebbe di poter fare da intermediari fra l'Austria e quelli tra i banchieri americani che sono favorevoli a un forte governo di destra qui, in modo da poter offrire a Schober il concorso di tali banchieri per la stipulazione del prestito qualora egli si mostrasse intransigente verso i socialisti. Ho risposto che nulla conoscevo dell'attuale situazione del mercato americano e delle nostre possibilità di agirvi nel modo desiderato dalle Heimwehren; che ad ogni modo su tutti questi tre mezzi avrei riferito a V. E.; che come mia opinione personale non vedevo ostacoli a dare a Schober, con le dovute forme e nei dovuti limiti, qualche consiglio di energia per bilanciare l'azione in senso inverso dell'Inghilterra e della Germania, e che in tale occasione avrebbe forse anche potuto farglisi qualche accenno ai conseguenti benefici economici da parte nostra a vantaggio dell'Austria; ma che naturalmente tutto ciò doveva essere subordinato alle istruzioni di V. E. cui mi sarei affrettato a riferire in proposito (1).

Ho chiesto quindi ai miei interlocutori come giudicassero la situazione. Mi hanno risposto poter essere contenti dei progetti promessi dal Cancelliere, soltanto considerandoli come una prima tappa per l'effettuazione del loro programma integrale. Schober è troppo funzionario, troppo uomo d'ordine, ha troppo sfogliato libri di leggi, e il regime che vuole attuare in Austria sta fra il liberale e il conservatore, mentre la concezione delle Heimwehren va assai oltre e si avvicina in molti punti a quella del Fascismo. Previsioni sul futuro sviluppo degli avvenimenti in Austria non hanno saputo farmene. Sull'argomento hanno vicendevolmente interloquito Steidle e Pabst -il terzo ha preso al colloquio una parte meno attiva -ma i discorsi hanno avuto più lunghezza che chiarezza. Quello che se ne può trarre è che essi temono si giunga all'approvazione delle varie riforme senza un'opposizione dei socialisti, la quale richiederebbe l'uso della forza e pertanto addurrebbe una completa vittoria di violenza e non una parziale vittoria di accomodamento; e che temono inoltre tale consenso dei socialisti sia guadagnato a prezzo di concessioni, restando così anche più diminuito quel valore delle progettate riforme che ad essi appare già per sè non grande. Pur rendendosi conto che qui la situazione è assai diversa da quella italiana all'avvento del Fascismo, e che dato il carattere austriaco assai meno impetuoso del nostro occorre alle Heimwehren procedere lentamente e per gradi successivi, esse non possono considerare come un assetto definitivo quello ,che Schober propone.

Nel corso del colloquio, avendo poi Steidle accennato alle gentili accoglienze che riceve quando entra in Italia dal Brennero, gli ho detto che questa parola

Cfr. anche quanto riferiva Ricciardi con t. posta 4914/560, Innsbruck 9 ottobre 1929:

« Ho avuto ieri occasione di intrattenermi in lunga conversazione col Maggiore Pabst

che ha f!ltto un lu~go .soggior'.'o a Vienna durante gli ultimi. avvenimenti politici, il qual~ confidenz1almente m1 dlCeva d1 non essere Pienamente sodd1sfatto della piega delle cose. Sembra che le Heimatwehren, le quali a malincuore (a malincuore sopratutto del MaggiorePabst, che avrebbe voluto rompere gli indugi) han dovuto rinunziare, per ora almeno all'idea di un « putsch •, che ha spaventato molti circoli borghesi sopratutto per preoccupazioni di ordine finanziario ed economico, avrebbero desiderato al posto di Schober una persona come Rintelen di pochi scrupoli e completamente al loro servizio. Ciò, malgrado che, a quanto egli mi assicurò, il Signor Schober abbia formalmente promesso di risolvere la questione costituzionale con un " colpo di stato " ove la soluzione non potesse esser raggiunta per le vie parlamentari e legali, ottenendo l'adesione dei socialisti. Ho avuto la sensazione che le Heimatwehren 0 almeno taluni dei dirigenti, fra i quali il Pabst, non si sentano completamente tranquilli sulle assicurazioni di Schober (sebbene siano state fatte, come egli mi disse, alla prest'nza di varie persone e dello stesso Monsignor Seipel) perchè, avendomi confidato che le H~imatwehren hanno rimesso al Cancelliere un loro particolareggiato progetto di riforme costituzionali, non mancò di aggiungere in tono dubitativo "ma che cosa resterà di quelle proposte nel progetto definitivo del Governo"?».

mi induceva a richiamare la sua attenzione sul contegno delle Heimwehren nei riguardi dell'Alto Adige. Sapevo che nel loro programma c'era di non occuparsi dell'Alto Adige, così come dell'annessione e della questione giudaica. Tuttavia da vari recenti segni mi pareva poter dedurre che le Heimwehren si allontanavano anche da questo discutibile principio di neutralità, e gli ho ripetuto come ultimo esempio quanto ha riferito Ricciardi sulla presenza di parecchi membri di esse alle più recenti manifestazioni antiitaliane di Innsbruck (1). Gli austriaci sono liberi di volere una politica di amicizia o una politica di inimicizia con l'Italia. Ma voler la nostra amicizia e volerei in pari tempo attaccare ed ingiuriare come si fa in Tirolo, sono due cose inconciliabili e che non possiamo ammettere. Tanto Steidle quanto Pabst, pur dandomi ripetutamente ragione, si sono mostrati piuttosto imbarazzati nelle loro spiegazioni, che possono cosi riassumersi: la loro posizione è difficile nel Tirolo, perchè ivi l'Alto Adige è il mezzo con il quale i vari partiti cercano attirare a sè il favore delle masse; i dirigenti delle Heimwehren hanno fatto quanto hanno potuto, ma riconoscono di aver potuto poco per il momento, e Stumpf è un • armer Teufel • che sta fra l'incudine e il martello. Il giorno tuttavia in cui prendessero in mano il potere avrebbero l'autorità e la forza di mutare il presente stato di cose: con un governo austriaco affine al nostro, quale quello ch'essi preparano, i contrasti si appianerebbero. Ad ogni modo mi erano riconoscenti di aver toccato tale questione, che è l'unica spinosa fra i due stati, di aver manifestato schiettamente il mio animo e di aver dato loro modo di spiegarsi. Dal canto mio non ho creduto insistere per ora di più su tale argomento, non sapendo se questo fosse il desiderio di V. E.

Qui è finito il colloquio. I tre miei interlocutori mi hanno di nuovo ringraziato dell'occasione data loro di conoscermi. Siamo rimasti intesi che, quando avremo comunicazioni da farci, continueremo a servirei del dott. Morreale o per prendere appuntamento o per trasmettercele per mezzo suo.

Finora, come risulta da quanto ho riferito, non appaiono contrasti tra Schober e Steidle: le attuali riforme sono per l'uno un punto di arrivo e per l'altro un punto di partenza. Né sembra probabile che almeno per il momento abbiano ad esservi contrasti. Ma, qualora ve ne fossero, la situazione diverrebbe per noi delicata e richiederebbe la maggiore attenzione e circospezione.

Aggiungerò prima di terminare questo rapporto, redatto con molta fretta per approfittare del corriere partente, che dai miei interlocutori di oggi non è stato con me in alcun modo toccato né l'argomento delle armi né quello dei fondi. Se mi è permessa un'osservazione dirò che la concessione di armi mi appare rischiosa perchè per essere efficace dovrebbe essere abbondante, e se fosse abbondante, finirebbe con l'essere conosciuta, ciò che potrebbe attirarci, oltre a complicazioni internazionali, il risentimento di Schober che per ora è qui il più forte. Ma, se il R. Governo volesse soddisfare l'altra richiesta delle Heimwehren, è certo che una somministrazione di fondi sarebbe meno appariscente e presentandosi come un mezzo per sostenere la vitalità delle Heimwehren, non dovrebbe produrre nocive impressioni nell'animo del Cancelliere, il quale le ha riconosciute e ha dichiarato i suoi rapporti con esse; mentre non lederebbe le stipulazioni dei trattati di pace sul disarmo austriaco (2).

10 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIli

(l) Questa parte del colloquio fu riferita da Auriti con t. gab. (p. r.) 87/327 pari data che non si pubblica. ' '

(l) -Cfr. n. 65. (2) -Annotazione marginale di Grandi: « Il M. Auriti ignora a tutt'oggi gli aiuti finanziari dati a mezzo Budapest •.
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IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 2663. Bucarest, 16 ottobre 1929.

La morte del Reggente Buzdugan è una grave perdita per gli interessi italiani in Romania. V. E. è infatti già a conoscenza dei suoi sentimenti di amicizia verso il nostro Paese; delle confidenze da lui fattemi circa il modo con cui egli intendeva interpretare, nei riguardi dell'Italia, l'alleanza romeno-jugoslava; ed altresì delle sue ripetute dichiarazioni relative alla sicura assegnazione alla industria italiana di tutto il naviglio bellico e commerciale della Romania, nonchè di speciali materiali ferroviari.

La situazione delineatasi in seguito alla morte del Signor Buzdugan deve pertanto attirare tutta la nostra attenzione; e se alla perdita del così autorevole nostro patrocinatore si aggiunge l'odierno allontanamento dal governo del Ministro delle finanze, Signor Popovici il quale sia nel contrattare l'ultimo prestito romeno a Parigi che nel discutere ultimamente all'Aja con V. E. e con S. E. Mosconi delle riparazioni romene, ebbe a darci le note assicurazioni circa le forniture che sarebbero state certamente assegnate all'Italia, la situazione stessa persuade ad una nostra energica ed urgente azione.

D'altra parte, rilevo oggi dal Times che il Governo Britannico non è men di noi preoccupato delle perduranti evasioni romene. Difatti il Cancelliere dello Scacchiere, in un banchetto dato in onore del Ministro del Commercio Romeno di passaggio a Londra, non ha esitato a dichiarare pubblicamente che • la promessa contenuta nel protocollo del prestito romeno, e cioè che i paesi ad esso partecipanti avrebbero ottenuto parti proporzionali delle forniture romene, era stata accolta con soddisfazione in Inghilterra, ma che adesso il Governo Britannico era ansioso di venire ai fatti •.

Dal severo richiamo del Signor Snowden e dalle sfavorevoli circostanze innanzi citate, le quali aumentano le preoccupazioni che ebbi l'onore di sottoporre a V. E. anche ultimamente in Roma, non mancherò certo di trar norma per ricordare ancora una volta a questi governanti il loro impegno e le loro promesse per quanto riguarda le assegnazioni all'Italia delle forniture navali e di parte di quelle ferroviarie, richiedendo nella forma più energica che detti affidamenti prendano al più presto veste concreta.

Ma affinchè la mia azione possa riuscire più efficace, segnalo nuovamente l'opportunità che codesto Ministro di Romania, del quale non mi risulta un'adeguata opera di informazione nella questione di cui è parola, sia invitato a far presente al suo governo, ed in tutta la sua misura, la viva e sicura aspettazione di V. E. nell'adempimento dei suindicati impegni presi dal Governo di Bucarest a mezzo dell'ex Ministro delle Finanze, Signor Popovici.

Naturalmente, nell'attesa di conoscere il reale atteggiamento del Governo Romeno, sarà bene tener in sospeso ogni nostra liberale misura nei riguardi delle riparazioni di guerra romene (telegramma di S. E. Mosconi n. 76 dall'Aja, in data 19 Agosto u.s.).

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IL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

TELESPR. 77. Parigi, 16 ottobre 192.9.

Unito rimetto a V. E. uno schema delle proposte (2), che la Delegazione francese ha presentate alla nostra Delegazione ed alla Delegazione britannica, per fissare il proprio punto di vista, sulle varie questioni in discussione. Il punto di vista francese è in gran parte condiviso dai Delegati inglesi.

l) n primo capitolo concerne la questione delle riparazioni austriache. Le due Delegazioni sono d'accordo di procedere senz'altro alla cancellazione di tutte le riparazioni austriache senza alcuna condizione, con riguardo al fatto che l'Austria deve pagare fino al 1969 il debito per i buoni Relief.

Noi insistiamo per la conservazione dell'obbligo al pagamento del debito; ma riteniamo che le altre Delegazioni non cangeranno avviso e saranno tutte d'accordo di sopprimere ogni debito austriaco. Invece è possibile che si riesca a trattare per una compensazione del dare e dell'avere, conseguendo una rinuncia da parte austriaca ad una serie di crediti e pretese austriache; il valore di tale rinuncia si potrebbe fare ascendere a circa 2·60 milioni di lire in effettivo valore attuale al 5 %. (Vedi allegato) (2).

2) n secondo capitolo concerne l'Ungheria.

Nel progetto si propone che l'Ungheria paghi per 37 anni una rata che oscillerebbe fra 7 milioni di corone oro e 24 milioni di corone oro. Nello stesso è ripetuta la richiesta che l'Ungheria rinunci ad ogni pretesa concernente gli optanti.

Abbiamo ottenuto però che sia abbandonato il criterio di avviare le trattative imponendo all'Ungheria delle rinuncie. Il Delegato rumeno aveva proposto, che in difetto di una intesa circa la questione degli optanti, si facesse fissare l'ammontare delle riparazioni ungheresi dalla Commissione delle Riparazioni. Egli ha però aderito, su nostra preghiera, a chiedere alla Delegazione ungherese soltanto di discutere la questione delle riparazioni e quella della liquidazione del passato parallelamente.

La Delegazione ungherese, quantunque siano passati già cinque giorni da quando è stata invitata a dichiarare se era pronta a discutere anche la liquidazione del passato, non ha dato finora alcuna risposta precisa. Essa è stata avvertita dal Presidente che avrebbe potuto fare ogni riserva nei riguardi del proprio punto di vista. Ciò non pertanto -causa mancanza di istruzioni da Budapest il barone Koranyi non si è deciso a fare conoscere le sue decisioni. Le altre Delegazioni diventano impazienti ed incominciano a ritenere che la Delegazione ungherese non voglia risolvere la questione in questa sede per partito preso, nonostante il buon volere dimostrato da parte rumena.

La Delegazione ungherese -a vero dire -sembra convinta dell'opportunità di affrontare la discussione di una soluzione, atta a risolvere la questione

della liquidazione del passato, sulla base di un accantonamento di fondi, per dare agli optanti delle indennità ragionevoli; ma si deve supporre che da Budapest abbiano fatto intendere che è preferibile conservare lo statu quo.

3) n terzo capitolo concerne la Bulgaria. Si prevede un pagamento di annualità che da 10 milioni di franchi oro salirebbero fino a 25 milioni. Il Presidente del Comitato tratta con la Delegazione bulgara su questa base. Il Delegato bulgaro è venuto a pregarci di non essere severi. Gli abbiamo ripetuto che avrebbe dovuto fornire elementi di giudizio sicuri. Continueremo ad appoggiare le proposte greche che fino ad ora sono state sempre equilibrate.

4) n Capitolo 4 concerne la regolazione definitiva della questione dei beni ceduti e del contributo alle spese di liberazione.

Vi si propone di far pagare alla Cecoslovacchia 12 milioni di marchi oro per 37 anni. Ciò significherebbe che i nostri 9 milioni di marchi oro da pagarsi aZl'Inghilterra sarebbero garantiti e coperti dal complesso dei pagamenti cecoslovacchi. Cerchiamo però di ottenere ulteriori miglioramenti della proposta.

La sistemazione della Grecia si compirebbe con il trasferimento alla stessa delle riparazioni spettanti alla Jugoslavia verso l'Ungheria e la Bulgaria e con la cessione di 16 milioni di marchi oro per una volta tanto sulle riparazioni bulgare già incassate o esigibili entro il 1° aprile 1930.

In proposito abbiamo fatto ogni riserva.

A seguito del desiderio espresso dal Presidente Jaspar il Comitato si propone di finire i propri lavori entro il corrente mese.

Allo stato attuale della discussione si pTesentano quindi due soluzioni nei riguardi del Rapporto alla Conferenza :

a) Si può considerare che la questione delle riparazioni orientali è essenziale e pregiudiziale per la questione della approvazione del Piano Young e cioè si può ritenere che, fino a quando non sia accertato quanto si potrebbe incassare per riparazioni dall'Austria, dall'Ungheria e dalla Bulgaria, gli Stati della Piccola Intesa non ammetterebbero l'esistenza di un impegno a svincolare la Germania dalla solidarietà per le riparazioni orientali.

In tal caso, se non si giungesse ad un accordo nè per le riparazioni dovute dall'Austria, nè per quelle dovute dall'Ungheria, il Comitato potrebbe fare delle proposte per deferire alla Conferenza la decisione delle questioni controverse, presentando un Rapporto non unanime.

b) Si può però anche considerare che la questione delle riparazioni orientali non sia pregiudiziale, ma sia accessoria alla questione principale delle riparazioni germaniche e della approvazione del Piano Young.

Difatti il compito della Conferenza, come pure quello dei Comitati qui riuniti, in base alle deliberazioni dell'Aja, era originariamente soltanto quello di regolare in via definitiva i conti reciproci delle Potenze creditrici concernenti i beni ceduti ed i debiti di liberazione; a questo compito è stato aggiunto appena più tardi dalla Conferenza anche quello di regolare le obbligazioni delle Potenze debitrici per riparazioni orientali.

Se si volesse riconoscere che la questione delle riparazioni orientali non costituisce una premessa essenziale per la definizione delle riparazioni germaniche, potrebbe essere presentato un Rapporto unanime, nel quale sarebbe com

presa la soluzione definitiva delle seguenti questioni:

l) questione dei beni ceduti dagli Stati creditori di riparazioni;

2) questione del contributo degli stessi Stati alle spese di liberazione;

3) questione dell'obbligo della Cecoslovacchia di pagare il suo contributo

alle spese di liberazione verso cancellazione del suo debito per beni ceduti; 4) questione dell'integrazione delle quote della Grecia nelle riparazioni orientali allo stato attuale; 5) questione della modificazione delle percentuali dei varii Stati creditori di riparazioni orientali allo stato attuale.

In difetto di altre istruzioni

a) per l'Austria continueremo a preparare gli elementi per un accordo circa i debiti accessori, all'infuori di ciò che sarà al caso stabilito per riparazioni, e fino a nuovo ordine insisteremo per il pagamento delle stesse, pur non potendo contare sull'appoggio delle altre Delegazioni;

b) per l'Ungheria ci adopreremo per indurre i Rumeni a non insistere affinchè l'ammontare delle riparazioni sia fissato dalla Commissione delle Riparazioni e per indurre la Delegazione ungherese ad accettare la discussione di una soluzione che preveda un congruo indennizzo agli optanti;

c) per la Bulgaria non faremo opposizione ad una sistemazione sulla base delle proposte combinate franco-britanniche e greche.

Se nei riguardi delLe riparazioni austriache ed ungheresi un accordo dovesse risultare impossibHe su queste basi, ci adopreremo affinchè venga presentato un rapporto unanime, sulle 5 questioni prima precisate, affinchè non sia ostacolata l'approvazione del Piano Young (1).

(l) -n telespresso venne inviato anche al ministero delle finanze. (2) -Non si pubblica.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A TOKIO, ALOISI, E A WASHINGTON, DE MARTINO

T. 2051. Roma, 17 ottobre 1929, ore 13,45.

Invito formale che ho indirizzato al Governo francese proponendogli di iniziare con noi conversazioni dirette per esaminare aspetti del disarmo navale che riguardano più specialmente nostri due paesi deve persuadere codesto Governo che Italia intende lealmente adoperarsi per buon successo della conferenza. Contatti diretti con la Francia erano stati suggeriti da primo ministro Mac Donald nelle sue conversazioni con (per Londra) V. E. (per gli altri) R. ambasciatore a Londra.

Suggerimento è stato messo in azione giorno stesso in cui R. Governo ha comunicato al Governo inglese propria adesione alla conferenza. Nei suoi contatti con codesti circoli politici V. E. vorrà mettere in opportuno rilievo questa nostra prova di buon volere.

(l) Annotazione a margine di Grandi: • Impartito ordini in merito al delegato comm. Buti chiamato a conferire •·

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 2050/275. Roma, 17 ottobre 1929, ore 18.

Ho ricevuto interessante rapporto 11 corrente n. 3667/2036 (l) ed ho preso atto con compiacimento delle dichiarazioni fattele dal nuovo cancelliere, circa la politica di fermezza che egli proponesi di seguire per un franco miglioramento dei rapporti itala-austriaci.

Non posso se non manifestarmi soddisfatto della visione realistica con la quale signor Schober mostra di apprezzare tutto l'interesse del suo paese a procurarsi nostro amichevole appoggio, cominciando, intanto, col frenare quelle inconsulte e pericolose velleità degli agitatori tirolesi, che così infelicemente hanno pesato sulle relazioni tra i due stati.

Questo ministro d'Austria signor Von Egger Moellwald, s1 e recato a fare atto di omaggio, in nome del cancelliere, a S. E. il Capo del Governo.

Prego la S. V. di voler opportunamente interpretare presso il signor Schober la soddisfazione del R. Governo per propositi coi quali egli ha iniziato, nei riguardi delle relazioni con l'Italia, il proprio Governo ed assicurarlo sin d'ora che, sulla via che intende di battere, troverà franco e simpatico appoggio da parte R. Governo.

Nell'occasione ella potrà inoltre dichiarargli che il R. Governo prende nota, con piacere, che il primo suo viaggio all'estero sarà in Italia. V. S. aggiungerà che tale visita riuscirà particolarmente gradita a S. E. il Capo del Governo.

Continui, naturalmente, a tenermi informato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, PREZIOSI, A PRAGA, VANNUTELLI REY, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS (2)

T. (P. R.) R. 12802. Roma, 17 ottobre 1929.

(Tutti, meno Budapest). Telegramma ministeriale n. 124333 dell'8 ottobre (3).. In data 11 corrente R. incaricato d'affari Budapest ha telegrafato quanto segue: (12897 P.R./170). In data 14 detto, stesso R. incaricato d'affari ha telegrafato quanto segue: (13009 P.R./171).

Ho risposto quanto segue:

(Budapest). Suo telegramma n. 171.

(Tutti). Informazioni codesto giornale economico se esatte non sembrerebbero interamente conformi con quelle da V. S. ottenute a fonte ufficiale.

Interessa particolarmente conoscere anche per ovvi riflessi d'ordine politico quah siano vero punto di vista ed intendimenti codesto Governo. Cosi pure interessa assumere maggiori notizie su trust progettato e sapere se conversazioni condotte Belgrado abbiano probabile conclusione.

Veda sondare opportunamente e quasi a titolo curiosità personale personalità meglio indicate costì e mi riferisca.

(l) -Cfr. n. 64. (2) -Il telegramma fu inviato, per conoscenza, anche al ministero dell'agricoltura. (3) -Non si l>Ubblicano questo e i successivi telegrammi citati nel testo, i quali si riferiscono al progetto di costituire un trust fra Ungheria, Jugoslavia e Romania per la esportazione del granturco.
84

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI (l)

T. GAB. (P. R.) 85/276. Roma, 18 ottobre 1929, ore 18,30.

Suo 327 Gab. (2).

V. E. incoraggi Schober resistere contro socialisti facendogli sperare per l'avvenire benevola attitudine Governo fascista questioni economiche austriache. Ciò beninteso a condizione che Schober sappia risolvere senza tentennamenti e colla dovuta fermezza crisi interna in senso favorevole alle Heimwehren e senza concessioni di sorta alla socialdemocrazia viennese.

85

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CORA (3)

TELESPR. S. 252025/76. Roma, 18 ottobre 1929.

Ringrazio la S. V. per l'interessante rapporto segreto del 14 settembre scorso,

n. 1461/149 (4), col quale Ella mi ha esposto l'attuale situazione delle finanze etiopiche, in dipendenza del programma di riforme, sempre più vasto e costoso, affrontato dal Negus, e La prego di voler attentamente seguire una tale situazione, partlcola:'."mente nei riguardi di un'eventuale modificazione della linea di condotta finanziaria di codesto Governo, nel senso di rimediare all'attuale stato di cose, mediante un ricorso a prestiti esteri.

(1) -Autografo di Grandi. (2) -Cfr. p. 100 nota. (3) -Il documento venne inviato, per conoscenza, anche al Ministero delle Colonie. (4) -Cfr. n. 2.
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MEMORANDUM DEL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Parigi, 18 ottobre 1929.

En comrnuniquant, à la date du 15 de ce mois, au Ministère des Affaires Etrangères, le texte de la réponse de Son Gouvernement à l'invitation du Gouvernement Britannique à une Conférence Navale, l'Ambassade Royale d'Italie a bien voulu ajouter, d'ordre de Son Gouvernement, que celui-ci verrait avec plaisir le commencement d'un échange de vues direct entre l'Italie et la France pour examin2r d'une manière préliminaire les aspects du problème du désarmement naval qui intéressent plus particulièrement les deux Pays (1). Particulièrement sensible à l'attention qu'a eue le Gouvernement Royal de lui communiquer les termes de sa réponse. le Gouvernement de la République tient en outre à marquer combien il apprécie l'esprit dont s'inspire la suggestion du Gouvernement Royal et qui répond pleinement à ses propres sentiments. En ce qui le concerne, les questions qui pourront ou devront se poser au cours des débats de la Conférence envisagée sont actuellement, de la part des autorités compétentes, l'objet d'un examen approfondi qui n'est pas encore terminé. Le Gouvernement de la République n'en attache pas moins un trop grand prix à étre au courant des vues ou suggestions éventuelles du Gouvernement Royal au sujet des délicats problèmes que soulève la Conférence envisagée, pour ne pas étre disposé à les examiner avec le plus amicai intérét, en se réservant de son còté de lui faire part, ultérieurement, de ses propres vues.

87

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI (2)

T. GAB. (l'. H.) 06/277. Roma, 19 ottobre 1929, ore 16.

Suo rapporto n. 3718/2068 del 15 corrente (3).

Approvo sua linea condotta e confermo istruzioni inviatele ieri con telegramma Gab. 85/276 (4). Continui mantenere diligenti contatti incoraggiando quando occorra azione nel senso da noi voluto. Segue lettera (5).

(l) -Cfr. n. 72. (2) -Autografo di Grandi. (3) -Cfr. n. 78. (4) -Cfr. n. 84. (5) -Cfr. n. 101.
88

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. {P. R.) :)3/340. Vienna, 19 ottobre 1929, ore 15,06 (per. ore 18).

Mio telegramma n. 333 (l) e telegramma di V. E. 276 (2).

Steidlc mi manda a dire credere preferibile per ragioni psicologiche e tattiche che io attenda q11alche giorno a fare a Schober comunicazione desiderata. Martedi comiiJct•rà in parlamento discussione sulle riforme ed è prevedibile che in tale occasione pressioni dei partiti su Schober saranno più insistenti. Sarà quello quindi, secondo Steidle, momento più opportuno per il mio intervento. Attendo perta.ntc un nuoyo avviso da parte delle Heimwehren che si sono inoltre riservate farmi pervenir<: altre comunicazioni domani.

89

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 3775/2088. Vienna, 19 ottobre 1929.

Mi onoro far seguito al mio odierno telegramma Gab. n. 341 (3).

Come avevo riferito a V. E. con mio telegramma Gabinetto n. 340 (4), ho creduto opportuno di rimandare di qualche giorno il mio colloquio con Schober per soddisfare il desiderio fattomi manifestare da Steidle. Mi è quindi sembrato

utile andare oggi a visitare Vaugoin, per udire da lui come giudicasse la situazione specie dopo il commento intransigente dell'Arbeiter Zeitung di stamane (mio telegramma in chiaro n. 338) al progetto di riforme presentate ieri dal Cancelliere alla Camera e alle dichiarazioni con cui questi le ha accompagnate. Vaugoin è qui Ministro della Guerra da molti anni ed è suo merito il rafforzamento dell'esercito e la purificazione di questo dai socialisti. È stato nominato vice-cancelliere del Gabinetto Schober ed è considerato come il Ministro che rappresenta in esso le Heimwehren.

Mi ha fatto rendere gli onori militari e trattenuto a lungo nella mia visita, per la quale ho addotto come ragione il pretesto del desiderio di manifestargli il mio compiacimento per i continui progressi di questo esercito, che gli ho detto sono visibili anche dai non militari e di cui la cerimonia di giorni fa (mio telespresso n. 2056) mi aveva dato nuova conferma: Vaugoin mi ha calorosamente ringraziato assicurandomi che le truppe sono ora bene in mano dei loro ufficiali. Mi sono quindi rallegrato di quanto va qui avvenendo, e ho aggiunto essere convinto che, grazie alle nuove idee ed ai nuovi sentimenti che si vanno diffondendo in Austria per merito del movimento delle Heimwehren, la vittoria sui socialisti

non potrà mancare. Dopo aver ampiamente svolto questo argomento e quello sulla necessità di non lasciar passare il presente momento, che appare quanto mai propizio e potrebbe non tornare, per agire con prontezza e decisione, ho proseguito che se ero sicuro sul conseguimento del fine non vedevo ancora chiaramente quali mezzi sarebbero stati impiegati per raggiungerlo, e desideravo quindi conoscere le previsioni che egli faceva sul corso degli avvenimenti nelle prossime settimane.

(Come risulta dai miei telegrammi, mentre fra le Heimwehren si crede e spera che Schober dovrà impiegare la forza, nei corridoi della Camera si preferisce parlare di un plebiscito o di altro analogo espediente pacifico).

Vaugoin si è anzitutto diffuso nell'espormi le necessità politiche ed economiche di un sostanziale mutamento nello stato delle cose: occorre ricostituire l'autorità dello Stato ed abbattere la tirannia dei socialisti in Vienna i quali impediscono la ripresa della vita economica della capitale aggravando di balzelli i contribuenti a beneficio della loro politica di classe: le case popolari, costruite con i denari di questi ultimi, devono servire nell'idea dei socialisti, oltre a molti altri scopi, a quello di fornirli di costruzioni le quali possano essere usate come caserme e quindi come punti di appoggio nella lotta che il c Republikanischer Schutzbund • avesse a sostenere. Per tali ragioni Vaugoin, al pari di Schober, afferma risolutamente che questa riforma • deve • essere effettuata a ogni costo. Anche al pari di Schober, egli prevede che le maggiori difficoltà sorgeranno per quelle riforme le quali priveranno i socialisti del Comune della loro libertà finanziaria, ma crede, come il Cancelliere, che gli austro-marxisti non persevereranno sino alla fine nella loro presente intransigenza verbale: potrebbe ad esempio darsi che si fingessero malati o impediti e disertassero l'aula della Camera lasciando approvare così le riforme dai due terzi dei deputati presenti alla votazione. Tuttavia mentre Schober, per il caso in cui i socialisti non c ingoino • le riforme accenna genericamente all'uso di altri mezzi, Vaugoin ammette specificamente l'impiego della forza. Ci sono due punti, mi ha detto, sui quali non possiamo assolutamente transigere e che sono come le chiavi di volta di tutta la nostra riforma, e cioè il rafforzamento dell'autorità statale e la situazione di Vienna. Se anche volessimo, non solo le Heimwehren ma la stessa opinione pubblica ci si volgerebbe contro. • Io tengo settimanalmente conferenze nei quartieri popolari e sono stupefatto e ammirato dell'entusiamo dei semplici operai. Il Governo deve tener conto di questo movimento che va sempre più diffondendosi, e dare a esso lo sbocco che chiede e ha diritto di avere •. Quanto al mezzo Vaugoin se ne preoccupa poco, sia esso consentito o non consentito dalla costituzione, • giacchè i giunsti provvederebbero poi ad accomodare formalmente le cose •. Per esempio, egli dice che il Governo potrebbe contentarsi anche della semplice maggioranza, quantunque la costituzione richieda i due terzi. L'idea di Vaugoin è che basta valersi di un mezzo qualunque, salvo a integrare la debolezza della sua costituzionalità con la minaccia dell'uso della forza: la Polizia e la Gendarmeria sono nelle mani di Schober e l'esercito, disciplinato agli ordini del Ministro della Guerra, marcerebbe con entusiasmo contro i rossi; se questi volessero tentare di opporre una resistenza armata le cose andrebbero per loro assai peggio che se cedessero. A ogni modo la procedura per la discussione del solo primo gruppo di riforme prenderà vari giorni. Questa comincerà martedì e

durerà due o tre giorni, poi i progetti andranno in seconda lettura, dinanzi alla Commissione parlamentare costituzionale, poi finalmente torneranno, in terza lettura, nella seduta plenaria della Camera, ed allora avverrà la votazione. Del resto gli stessi deputati della maggioranza hanno chiesto un po' di respiro per potere esaminare con ponderazione questi progetti, che essi conoscono ancora incompiutamente e che toccando numerosi ed importantissimi argomenti richiedono qualche tempo e studio. Vaugoin ha quindi accennato ad alcune riforme che, piccole in sè, hanno piuttosto importanza per il loro significato, quali la restituzione del diritto all'uso dei titoli nobiliari, il ripristino dell'antico inno imperiale con testo mutato, la soppressione della falce e del martello dallo stemma dello Stato ecc.

È poi passato a parlare dell'impressione che questo movimento produce all'estero, e ha ricordato la campagna di sospetti e allarme fatta da parecchi giornali stranieri e dovuta principalmente ai suggerimenti di questi socialisti. Ha affermato, senza ch'io gliene facessi richiesta, che finora non vi sono state qui pressioni di altri governi, ma ha mostrato temerle specie per il caso in cui Schober passasse dalle parole ai fatti e dalle disquisizioni costituzionali all'impiego della forza. M'ha chiesto se io credessi che in tal caso l'Austria avrebbe corso il rischio di qualche intervento straniero. Ho risposto che 'gli altri Stati non avrebbero avuto diritto di intervenire in una questione di pura politica interna austriaca, e che credevo non sarebbero intervenuti se si fosse qui agito rapidamente ed energicamente. Ma, come mi aspettavo, la mia risposta non ha calmato tutte le preoccupazioni di Vaugoin, il quale, precisando anche più il suo pensiero, mi ha domandato senza ambagi che cosa io credessi avrebbe fatto l'Italia qualora truppe ceche fossero entrate nel territorio austriaco. Questa preoccupazione della Cecoslovacchia mi era già stata manifestata da Vaugoin in un colloquio ch'io avevo avuto con lui nel maggio scorso e sul quale riferii verbalmente a S. E. H Capo del Governo, quando mi fece l'onore di ricevermi in giugno. Ma allora Vaugoin metteva le sue speranze sull'interesse della Francia a una ricostituzione politica dell'Austria, la quale avrebbe allontanato le probabilità dell'annessione, per credere che essa avrebbe trattenuto Praga. Ero quindi sicuro che egli sarebbe tornato a menzionare la Cecoslovacchia; ma questa volta ha mostrato sperare poter fare assegnamento su noi invece che sulla Francia. Gli ho risposto che io non conoscevo le intenzioni del R. Governo in una simile ipotesi la quale racchiudeva una grave questione, e che non avevo istruzioni per le quali potessi esprimermi al riguardo come Ministro d'Italia. Parlando però a titolo personale e rispondendo ·secondo il mio solo giudizio, io non credevo che in quel caso noi avremmo potuto rimanere indifferenti.

Ciò ha condotto il discorso di Vaugoin sull'Italia. Mi ha parlato degli immensi progressi del nostro Stato in ogni campo, dei quali egli ammira sopratutto l'ordine e la disciplina. Ne ha conferma dai suoi concittadini che tornano dal nostro paese, ove egli vorrebbe pure andare di nuovo, ma, almeno per ora, non può. Un colonnell0 dell'esercito austriaco, stato a Bolzano per una faccenda di rimonta, gli aveva proprio pochi giorni or sono raccontato con stupore tutto quello che aveva visto. Dai progressi dell'Italia il vice cancelliere è passato a parlare dell'opera di S. E. il Capo del Governo, sulla quale si è anche in quest'occasione espresso con parole di profonda simpatia e ammirazione. Mi ha domandato che

pensi S. E. Mussolini dell'andamento delle cose in Austria. Lo ho assicurato che lo segue con il più grande interesse e desidera esserne particolareggiatamente informato specie per quanto riguarda le Heimwehren in cui ripone grande fiducia. In nessun momento io ho sentito, non solo nel capo del nostro governo ma anche in tutta la nazione, una più diffusa benevola attesa nel favorevole risultato degli sforzi con cui l'Austria va riconquistando la sua vera libertà contro quella falsa della tirannia socialista. Qualunque azione il governo austriaco intraprenderà per portare a compimento questa lotta, quando sia condotta senza incertezze e senza concessioni, avrà la simpatia e l'incoraggiamento del Duce, che vuoi dire dell'Italia.

(l) -T. 4109/333 del 18 ottobre, che non si pubblica. (2) -Cfr. n. 84. (3) -Non si pubblica, in quanto trasmetteva il contenuto del terzultimo capoverso del presente rapporto. Era partito da Vienna alle 22,16. Il presente rapporto parti il 20 ottobre. (4) -Cfr. n. 88.
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IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. RR. 20996. Roma, 19 ottobre 1929.

A seguito di quanto comunicato con lettera n. 20799 del 17 corrente (1), trasmetto per conoscenza dell'E. V.: -copia della lettera riservata dell'Addetto Militare a Budapest, n. 469, in data 8 corrente; -copia di un rapporto, in data 15 corrente presentato dal colonnello d'artiglieria in servizio di S. M. Balocco, di ritorno dalla nota missione in Ungheria.

S. E. il Capo del Governo ha già preso visione di questo rapporto.

ALLEGATO I.

OXILIA A GAZZERA

L. 469. Budapest, 8 ottobre 1929.

In ottemperanza alla lettera confidenziale n. 32 della E.V., mi sono recato presso il conte Csàky, Ministro della Difesa Nazionale ungherese, e gli ho riferito quanto in essa contenuto.

Il conte Csàky mi si è dimostrato vivamente soddisfatto e mi ha incaricato di ringraziare l'E.V., specie per il contenuto di cui al N. 2, nonchè di assicurare l'E.V. che in ogni evenienza e manifestazione sarà osservata da parte ungherese la massima prudenza.

Ha soggiunto che, come ha fatto in questi ultimi tempi, mi terrà sempre infor· mato di quanto gli risulti perchè io ne renda edotta V. E.

ALLEGATO II.

BALOCCO A GAZZERA

R. R. P. Roma, 15 ottobre 1929.

In occasione di un pranzo presso il conte Zichy, S. A. Serenissima il Reggente conte Horthy mi ha preso in disparte e mi ha ripetuto quanto già aveva avuto occasione di dire a S. E. l'On. Grandi: • non essere cioè opportuno, secondo le Sue vedute, che l'Italia tenda ad annettersi la Croazia e la Dalmazia, ma piuttosto prometta loro indipendenza ed autonomia. Nel primo caso la Serbia troverebbe

buon gioco a renderei ostili quelle popolazioni; nel secondo invece riuscirebbe facile a noi di staccarle dalla Serbia •.

S. A. Serenissima aggiunse che avrebbe mandato a S. E. l'On. Mussolini un ufficiale con tre regali, e cioè:

• il modo di condurre l'Italia a dominare l'Adriatico; il modo con cui l'Italia potrebbe predominare nel Mediterraneo orientale; il modo col quale si può fare di Milano, di Roma e di altre città dell'interno,

dei porti di mare ben protetti •.

(l) La lettera, che non si pubblica, è citata a p. 76 nota 2.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

L. R. 7066. Roma, 20 ottobre 1929.

Per Sua opportuna conoscenza, Le trasmetto, qui acclusa, copia di una lettera (l) pervenutami da parte del Deputato bulgaro Petroff, che io ricevetti a Roma, come Le è noto, il 19 settembre scorso (2). A tale proposito, credo utile osservare come costì si sia dato un peso eccessivo, e quasi esclusivo -a giudicare dal resoconto telegrafico dei Suoi colloqui con Liapceff (3) -alla circostanza dell'affermata missione ufficiale del Petroff, circostanza che ha importanza assolutamente secondaria e che ha servito soltanto a darmi il destro per chiarire l'attuale fase dei rapporti itala-bulgari e per richiamare codesto Governo all'esatta valutazione di ciò che può comportare nei riguardi dell'amicizia dell'Italia, la tortuosa politica di Buroff.

Abbia o non abbia avuto il signor Petroff un incarico ufficiale, ciò non muta di una linea l'attuale situazione.

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IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) S. 101/215. Sofia, 21 ottobre 1929, ore 14 (per. ore 16,30).

Decifri Ella stessa.

Protogheroff ha svolto sino ad ora ampiamente programma già annunciato sia con propaganda all'estero specie America, Turchia, Romania, Austria, Francia; sia pubblicando due giornali in Sofia diffusi e largamente seguiti; sia inviando due capi supremi, vari ,sotto capi e parecchi gregari in Macedonia serba per rafforzare propaganda macedone e tenere macedoni attaccati alla causa, sia mantenendo all'estero molti studenti loro partito in mezzo a comunità macedoni ecc. Per attuazione questo programma sono servite seicentomila (dico seicentomila) lire versate da R. Governo sul milione promesso che secondo preventivi gruppo

O.R.M.I. avrebbe dovuto bastare sino a ... (4). Mancato versamento da parte nostra

(-4) Gruppo indecifrato.

di lire quattrocentomila al comitato, che ripeto ha perfettamente mantenuto suo programma in base al quale V. E. concesse milione, lo mette in gravissima situazione per impegni presi pel mantenimento propagandisti all'estero, per i giornali e per la lunga lotta combattuta in Serbia. Alcuni giorni or sono per salvare vita capi qui residenti condannati a morte dal tragico pazzoide criminale Mihailoff e per poterli tranquillizzare inviando parziale sostentamento emissari esteri ho dato io di mia tasca 60000 leva cioè lire 8.300 di cui non avendo avuto materiale tempo chiedere autorizzazione non posso domandare rimborso che lascio libero giudizio di V. E. Ma quello che più preme ora è di sapere se restante somma sarà versata da R. Governo come da promessa formalmente fatta quando scissione in due frazioni era già avvenuta e situazione presso a poco era quella odierna con vantaggio, oggi, a favore dei Protogherovisti dalla loro marcata attività macedone in confronto della totale inattività dei Mihailovisti, interrotta solo dai suoi numerosi omicidi ultimo dei quali e più grave quello del Bjadaroff. Data situazione estremamente critica gruppo, mi permetto pregare V. E. accordare sulla somma di lire quattrocentomila, almeno lire centomila ovvero anche settantacinquemila sino all'arrivo mio rapporto che assicuro malgrado enorme lavoro queste settimane redigerò subito con tutta obiettività perchè voglio sperare che V. E. malgrado tutto ciò che si è tentato a Roma da canaglie, da intriganti, da addomesticati in buona o mala fede, vorrà ancora prestare fede a quello che le dico io, assolutamente indipendente, rappresentante italiano e fascista sopra ogni altra cosa e quindi indubbiamente devoto a lei e al Capo del Governo, e che dopo più di tre anni conosco Bulgaria e questione macedone a fondo. Ma questa somma di 100000 ovvero 75000, creda a me V. E., è indispensabile darla perchè l'abbiamo promessa ufficialmente a chi non è venuto meno alle contro partite per cui V. E. concesse tale somma. Inoltre loro condizione è talmente grave sotto tale rapporto che può spingerli ad atti disperati che assolutamente a noi conviene evitare, perchè, come spiegherò meglio e più in dettaglio, questo gruppo di uomini intelligenti, audaci, decisi, fedeli a noi devono stare con noi e non scomparire anche

per causa nostra ovvero rivolgersi ad altri. Prego V. E. voler ritornare compatibilmente sulle sue decisioni. Se eventualmente V. E. credesse annuire concessione somma, migliore sistema sarebbe accreditamento mio conto corrente con telegramma segreto a me che verserei immediatamente somma al gruppo.

(l) -Manca. (2) -Cfr. n. 24. (3) -Cfr. n. 70.
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IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 4147/273. Bucarest, 21 ottobre 1929, ore 14 (per. ore 19,25).

Avant'ieri ministro di Francia ed incaricato di affari d'Inghilterra si sono separatamente recati dal presidente del Consiglio. Dalle indagini espletate mi risulta in modo ineccepibile che oggetto dei due colloqui è stato identico: cioè quello di richiedere informazioni sulla situazione della Reggenza e di far comprendere allo stesso tempo che Francia ed Inghilterra non vedrebbero favorevolmente ritorno Principe Carol. A V. E. sono già note ragioni per le quali la Reggenza appariva da tempo un organo di vita precaria, sia per gelosia nutrita contro di essa dalla Regina Maria (mio telegramma n. 205 dell'l! luglio scorso); sia per partigianeria suoi componenti nominati dal regime liberale; sia per occulta gara fra i partiti politici allo scopo di accaparrarsene benevolenza. A queste principali disparità cercava supplire con alquanto successo equa azione di arbitro espletata dal reggente Buzdugan, senonchè con morte di quest'ultimo situazione è peggiorata dando luogo a profonda preoccupazione, specie in seguito ultimo incidente Regina Maria con attuale Governo (mio telegramma 268) (1). In tali condizioni è sorto il movimento favorevole al ritorno del Principe Carol (mio telegramma n. 269) (2) ed anche un movimento che non sarebbe contrario all'istituzione della repubblica. Intanto ipotesi del ritorno del Principe Carol non sarebbe avversata dai nazionali zaranisti, dal partito del professar larga e dallo stesso presidente consiglio, il quale desidererebbe però che il Principe Carol potesse anzitutto riabilitarsi di fronte al paese con qualche manifestazione accorta e serena. Cosicchè passo francese e inglese ha voluto precisamente pregiudicare suindicata direzione regime nazional zaranista.

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IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 4139/274. Bucarest, 21 ottobre 1929, ore 14 (per. ore 19).

Seguito al numero precedente.

Una personalità politica vicina al Governo mi ha detto che se Governo italiano fosse in genere favorevole ritorno del Principe Carol un siffatto avviso avrebbe evidentemente gran peso. Ora da una parte Principe Carol è di sentimenti italofili e sua amicizia con i liberali è così profonda che potrebbe ritenersi definitiva e dall'altra parte Italia oltre ad interesse di sostenere principio monarchico avrebbe pure quello di impedire qui formazione di una repubblica che asservirebbe in modo definitivo Romania alla Francia. Infine Italia potrebbe avere altresì interesse di non restare a parte nell'importante questione che se è interna della Romania, è stata già tuttavia toccata e pregiudicata in certo modo dal passo delle due grandi potenze su indicate. V. E. vorrà pertanto compiacersi farmi conoscere se io debba toccare qui questione di cui sopra e linguaggio che dovrei tenere, fosse pure esso a semplice titolo personale. Per maggiori informazioni aggiungo che terza soluzione, che potrebbe essere quella della sostituzione dell'attuale dinastia, non troverebbe qui gran seguito. Al riguardo segnalo che segretissimi assaggi fatti nel passato dalla Regina Maria nel senso che Corona passi al futuro consorte della principessa Ileana (sua preferita figliola), non hanno assolutamente incontrato favore (3).

95.

IL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 4145/175. Budapest, 21 ottobre 1929, ore 22,45 (per. ore 23).

Bethlen mi ha pregato richiamare d'urgenza la più seria attenzione di V. E. sull'andamento trattative commissione riparazioni. Egli non sa rendersi conto come proprio comm. Brocchi abbia potuto farsi promotore od almeno portavoce ultime proposte orali fatte a barone Koranyi giorni sono. Presidente del Consiglio mi dichiarò con energia che non potrà mai accettare ed in nessun caso abbinamento questione riparazioni con quella optanti o pagamento a titolo di riparazioni di somme oltre il 1943 come è ora stabilito. Solo si potrà trattare pagamento somme ma sempre inferiori all'attuale, anche dopo tale data ma solo a titolo speciale come da clausola trattato, ma non mai a titolo di riparazioni. Non solo egli ma qualunque Governo si troverebbe nell'impossibilità assoluta far accettare dal paese ogni altro carico tanto più in momento come attuale in cui allo stato precario economia ungherese si è venuto sovrapporre fortissimo pericolo crisi per ribasso prezzo grano e prodotti suolo e per alta importanza danaro. Situazione che evidentemente è ignorata più o meno volutamente a Parigi. Citate proposte da parte di Brocchi, qualora venissero conosciute, susciterebbero in Ungheria violento movimento antitaliano rovinando nostra politica di questi ultimi anni. Bethlen prega V. E. di dare precise istruzioni a Brocchi astenersi da qualunque iniziativa del genere e lasciare eventualmente che vengano presentate e sostenute da altri. Conoscendo precedenti e tenore istruzioni inviate da V. E. a Parigi le illustrai a Bethlen. Ciò nonostante egli mi ha pregato far conoscere testualmente a V. E. quanto ebbe a dichiararmi.

(l) -T. 4049/268 del 15 ottobre, che non si pubblica. (2) -T. 4083/269 del 17 ottobre, che non si pubblica. (3) -In ACS, Minculpop, busta 168, fase. 122 A, si conserva una rel~zione anonima (forsedel marchese Durazzo, ambasciatore a Bruxelles) e senza data (probabilmente della seconda metà del 1928) dalla quale risulta che il principe Caro! e il suo collaboratore politico Barbu Jonesco, avrebbero chiesto l'appoggio dell'Italia per andare al potere in Romania.
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IL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4155/857/551/81. Parigi, 21 ottobre 1929, ore 20,15 (per. ore 23,50). Comitato riunitosi per prendere decisioni nei riguardi Ungheria rinviò deliberazione su mia proposta per permettere delegazione ungherese comunicare decisioni definitive ministro Walko. Questi mi chiese conferire con lui. Spiegò condizioni politica interna e comunicò decisione del suo Governo rispondere non possumus. Delegazione ungherese insisterà continuazione processi pendenti e respingerà qualsiasi offerta stati debitori risolvere controversie con pagamenti immediati anche se cospicui. Fatte presenti conseguenze dannose risposta nettamente negativa dichiarò Ungheria avrebbe fatto sapere essere disposta pagare anche dopo 1943, ma avrebbe rifiutato ogni decisione optanti questa sede consi

derando non leale accettare discussione, essendo preventivamente esclusa possibilità accordo qualunque condizione persino ... (l) soltanto partecipare presidente

del comitato che delegazione ungherese accetterebbe trattare per stabilire limiti discussione questione liquidazione passato. Si tratta evidentemente di decisione Governo immutabile attualmente. Riconobbe buone intenzioni nostra opera conciliazione e assistenza prestata Ungheria deplorando non poter mutare atteggiamento (1).

(l) Gruppi indecifrati.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. RR. 2616. Budapest, 19-21 ottobre 1929.

Il Signor Cortese mi ha consegnato quanto V. E. mi ha inviato (2), che a mia volta ho personalmente rimesso a chi di dovere dopo regolare riscontro da parte di quest'ultimo. Ho fatto in pari tempo le nette dichiarazioni di cui alla lettera di V. E. 14 c. m. (3) dichiarazioni che mi riservo di ripetere ai più alti fattori competenti non appena saranno di ritorno a Budapest.

Il Signor Cortese rimetterà all'E. V. due ricevute debitamente firmate.

21 ottobre 1929.

P.S. Oggi feci la stessa dichiarazione al Conte Bethlen che si meravigliò altamente del modo di agire della persona in questione (4) avendogli egli fatto dire chiaramente che doveva tenersi all'infuori e completamente estraneo anche ad ogni parvenza di agitazione pro • Siidtirol •. Aggiunse che lo avrebbe nuovamente ed ancora più energicamente richiamato all'ordine minacciandolo di abbandonarlo lui pure, a se stesso, essendo il nostro atteggiamento troppo logico e naturale. Recentemente gli fece pure sapere che si attendeva da lui una vera e propria azione energica, non bastando quanto si è già ottenuto e che in ogni caso non dovesse mai accettare patteggiamenti e compromessi dai quali non aveva nulla di buono da sperare. Gli raccomandò infine energia ed intransigenza.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA

T. GAB. (P. R.) 94. Roma, 22 ottobre 1929, ore 14.

In un colloquio che ha avuto luogo il 15 corrente fra il R. ministro a Vienna e Steidle Pabst e un rappresentante di Pfrimer (5), questi hanno espresso timore che Schober, impressionato dai pericoli che gli si fanno intravvedere per l'economia austriaca qualora opposizione socialista debba essere vinta con la forza, possa

11 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

venire a transazioni con i socialisti, in ciò premuto anche dall'Inghilterra e dalla

Germania. I predetti rappresentanti delle • Heimwehren • desidererebbero perciò

che Italia facesse sentire a Schober una parola di incoraggiamento a resistere e

desse assicurazione del suo appoggio economico (concessione del prestito) qualora

Schober tenesse verso socialisti contegno intransigente. Identico consiglio di fer

mezza chiederanno sia fatto pervenire dall'Ungheria. Ho telegrafato (l) al R. mi

nistro a Vienna invitandolo ad incoraggiare Schober a resistere contro socialisti

facendogli sperare per l'avvenire benevola attitudine Governo fascista questioni

economiche austriache. Ciò beninteso a condizione che Schober sappia risolvere

senza tentennamenti e colla dovuta fermezza crisi interna in senso favorevole

alle Heimwehren e senza concessioni di sorta alla socialdemocrazia viennese.

Prego V. S. dare comunicazione di quanto precede a codesto Governo.

(l) -Sui rapporti tra la delegazione italiana e Titulescu cfr. un telegramma di Titulescu del 22 ottobre, ed. in N. TrTULEscu, Documente Diplomatice, Bucuresti, 1967, p. 311. (2) -Cfr. n. 69. (3) -Cfr. n. 73. (4) -Steidle. (5) -Cfr. n. 78.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) 105/346. Vienna) 22 ottobTe 1929) ore 15)50 (per. ore 21).

Steidle è venuto ieri a Vienna per poche ore. Ho avuto un colloquio con lui. Mi ha c~etto non essere ancora in grado di prevedere cosa faranno socialisti e di temere sempre essi accettino tutto per quanto ciò gli sembri impossibile, non può d'altra parte prevedere cosa farà Schober perchè ignora se sia disposto andare fino in fond:o contro socialisti qualora questi siano decisi a resistere. Mi ha assicurato che appena potrà presagire qualche cosa di sicuro me lo farà sapere. Gli ho confermato notizia già inviatagli che io avevo avuto istruzioni di fare su Schober pressione da lui invocata e gli ho domandato quando egli credesse fosse momento più opportuno. Mi ha risposto essere quello in cui socialisti faranno più chiasso, non sapere quando verrà, supporre fra una settimana. Ma lascia qui Pabst e mi ha detto che si servirà di quest'ultimo se avrà qualche comunicazione da farmi pervenire. Gli ho ripetuto che ero pronto a trasmettere a Roma qualunque notizia o richiesta egli desideri. Mi ha molto ringraziato e assicurato si sarebbe valso della mia profferta se ne avesse avuto bisogno (2).

• Potrà invece interessare V. E. qualche notizia sulle dichiarazioni del maggiore Pabst. Circa l'agitazione tirolese affermò che la prima cosa che le Heimwehren faranno allorchè avranno in mano il potere sarà di proibire ai giornali di parlare di tale argomento; e poi converrà prendere qualche energica misura che renda inoffensivi quei quattro o cinqueagitatori Reut-Nicolussi, Riedl, Innerkofler, che vivono sugli effetti dei risentimenti che eccitano fra i Tirolesi. Ma quello che occorrerà sopratutto fare sarà intervenire a Berlino dove il Governo dando una sovvenzione di 200 mila marchi annuali alla Schulverein Stidmark, che è la principale fornitrice di fondi all'Andreas Hofer, dovrebbe imporre alla prima, in nome dei propri obblighi internazionali, di astenersi dal sovvenire la seconda sotto minaccia di privarla di quella cospicua elargizione; da Monaco di Baviera e anche da altrove, compreso il Nord Amcnca, Pabst non crede siano inviate all'Andreas Hofer importanti somme •.

(l) -Cfr. n. 84. (2) -Cfr. quanto comunicava Auriti con R. 3867/2140 del 23 ottobre:
100

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) 106/348. Vienna, 22 ottobre 1929, ore 20,15 (per. ore 22,55).

Ho detto a Steidle che mi pareva che le discussioni parlamenh1ri per la riforma ·Costituzionale si preannunziassero lunghe e gli ho chiesto se non credesse vi potesse essere in ciò pericolo e convenisse abbreviarle. Mi ha risposto assicurandomi che se fra una quindicina di giorni esse non fossero terminate Heimwehren avrebbero fatto • gran chiasso • per ottenere si ponesse loro termine. Ho aggiunto che mi pareva fosse opportuno uscire presto dalla presente situazione e non solo per ciò che concerneva lavori parlamentari e gli ho indicato quello che a mio avviso avrebbe potuto essere a mo' di esempio uno dei mezzi per risolvere rapidamente e con apparente legalità gli ostacoli. Mi ha risposto che nulla poteva

. prevedersi degli avvenimenti nelle prossime settimane e che non escludeva che espediente da me indicato potesse essere attuato. Bisognava però • che con la mia lunga esperienza delle cose di qui io mi rendessi conto che gli austriaci non sono gli italiani •, che gli stessi sistemi non possono applicarsi a popoli diversi e che quello che noi avevamo celermente compiuto e che vorremmo fosse, al punto in cui sono giunti, compiuto altrettanto celermente, non poteva invece essere qui effettuato che per gradi successivi, ciò che le Heimwehren andavano facendo e con successo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

L. R. P. 7123. Roma, 22 ottobre 1929.

Ho preso attenta visione del Suo rapporto, molto interessante, in data 15 corrente (l) e Le confermo la mia approvazione (2) per la linea di condotta tenuta nel Suo colloquio col signor Steidle e col signor Pabst.

Ella continui a tenermi minutamente informato non solo circa lo svolgimento della crisi interna austriaca, bensi anche circa i Suoi contatti sia col Cancelliere Schober, sia coi dirigenti delle Heimwehren.

È superfluo Le ·Confermi tutto l'interesse che il Governo fascista annette ad una vittoria delle Heimwehren. Un mutamento radicale in tal senso oltrechè allontanare l'Austria dall'orbita e dall'azione della social-democrazia massonica operante secondo direttrici diverse, da Praga, da Berlino, ed anche, in certa maniera oggi da Londra e Parig(, ma tutte in senso anti-italiano, verrebbe a stabilire in un altro paese, dell'importanza come quello austriaco, un regime che non potrà non prescindere, per cause determinanti intrinseche, dalla necessità di avvicinarsi al regime fascista.

Finora i nostri contatti coi Capi delle Heimwehren sono stati tenuti pel tramite del Governo di Budapest e lo saranno ancora tenuti, in parte, laddove sarà utile non figuri direttamente l'Agente del R. Governo a Vienna. Ella tuttavia sarà tenuta al corrente di ogni circostanza, onde avvalersene opportunamente nei suoi rapporti personali con Steidle e Pabst.

Esistono precisi impegni del signor Steidle, attraverso il Governo di Budapest, nel senso che le Heimwehren avrebbero, una volta assunta importanza e responsabilità politica, tolto di mezzo ogni questione di attrito derivante dalla propaganda irredentistica nel Tirolo contro l'Italia. L'Italia ha aiutato e sta, tuttora, aiutando con somme di danaro cospicue il movimento delle Heimwehren (in data di oggi saranno versate allo Steidle a Budapest 2.550.000 lire italiane) (1). Il suo avvertimento allo Steidle sull'azione delle Heimwehren nel Tirolo, è stato quindi quanto mai tempestivo e necessario.

Il proposito di un viaggio in Italia del Cancelliere Schober, per incontrarsi con S. E. il Capo del Governo, una volta approvata la nuova costituzione, va coltivato. Penso che Ella stessa, signor Ministro, dovrà accompagnare lo Schober a Roma.

(l) -Cfr. n. 78. (2) -Gia trasmessa con telegramma, cfr. n. 87.
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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T.PER CORRIERE 4174/2364. Belgrado, 22 ottobre 1929 (per. il 24).

Mio telegramma di ieri n. 453 (2). La campagna di stampa nei giornali di Belgrado sembrerebbe, oggi almeno, attenuata, nè ho finora notizia siansi verificate nuove dimostrazioni.

Secondo telegramma del R. console generale a Zagabria quella stampa ha continuato ieri attaccare Italia con violenza, si prepara per giovedì messa per Gortan, e si è verificato ieri a Carlovaz incidente contro cittadino italiano Grabudo. Per quest'ultimo caso presento nota verbale analoga a quella di ieri per i marinai italiani aggrediti a Ragusa, e la rimetto a Marinkovich cui farò presente i gravi inconvenienti che potrebbero derivare dalle dimostrazioni che si preparano a Zagabria per la predisposta messa per Gortan (telegramma da Zagabria

n. 140) (3).

Devesi osservare che la stampa jugoslava è stata in questa occasione di una rara insolente violenza, che le deboli giustificazioni datemi da Jeftic non valgono a mascherare le chiare finalità cui essa tende, anzi manifestano vieppiù lo scopo di servirsi dell'antitalianità per meglio costituire la unità jugoslava, e dimostrano la malafede di questo Governo che forse ha sperato in un'ampia manifestazione antitaliana anche di altra stampa estera.

La violenza della stampa jugoslava prova indiscutibilmente che la sosta negli attacchi verso di noi iniziatasi col Governo dittatoriale fu, come più volte ad ogni occasione da me ricordato, e sarà (se dopo questa parentesi riprenderà) solo un mezzo tattico, non un avviamento verso altra direzione politica, significa anzi

concentramento di mezzi e di forze per procedere più ordinatamente al rafforzamento dello stato e della sua efficienza bellica. D'altra parte la solidarietà mostrata dalla stampa con gli aggressori di Pisino indica quali legami morali vi siano fra Belgrado e tutte le organizzazioni balcaniche che alla nostra frontiera hanno sorretto in ogni possibile modo gli autori dei reati che sono stati commessi dal 1923 in poi.

E per questo motivo che ho sottoposto a V. E. la opportunità di esaminare se sia possibile un passo diplomatico contro le associazioni, gli elementi, i funzionari che sostengono apertamente l'agitazione allogena nella Venezia Giulia e sono stati diretti autori o complici morali e materiali dei 36 reati commessi in questi ultimi sei anni.

Tale passo dovrebbe avere lo scopo di mettere questo Governo in condizioni di dovere o separare nettamente la sua responsabilità dalle associazioni delinquenti che agiscono al nostro confine od ammettere implicitamente i legami che ad esse lo uniscono.

Solo la nostra magistratura ordinaria ed il tribunale per la difesa dello stato possono indicare completamente quali richieste precise sarebbero da fare a questo Governo.

Per quanto posso rilevare dagli elementi in mio possesso potrebbero fare oggetto della nostra richiesta: allontanamento da Sussak del commissario Ujicich (1), consegna (fornendo nuovi elementi) alle autorità giudiziarie di Samsa e degli altri autori di reati che trovato rifugio in Jugoslavia non sono poi stati estradati con pretesti speciosi.

(l) -Cfr. n. 97. (2) -T. 4146/453, che non si pubblica. (3) -•r. per corriere 4094/140 rtel 15 ottobre, che non si pubblica.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) 110/349. Vienna, 23 ottobre 1929, ore 20,04 (per. ore 21,45).

Pabst mi fa stasera pregare di andare da Schober per compiere la pressione. Ho chiesto udienza al cancelliere.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI

T. 2077/765. Roma, 23 ottobre 1929, ore 24.

Suoi telegrammi 1392/29 del 19 corrente (2) e 857/551 del 21 corrente (3).

Approvo suo atteggiamento che ha interpretato perfettamente mie istruzioni. Senonchè conte Bethlen con sua comunicazione odierna ( 4) dichiara che tale

atteggiamento va direttamente contro interesse Ungheria e se ne lamenta vivacemente. Rispondo Bethlen che evidentemente egli non è ragguagliato con esattezza suoi rappresentanti Parigi. Ad ogni modo considerata estrema delicatezza nostra posizione rispetto Governo ungherese il quale non ha accettato finora nostri consigli tendenti facilitare accordo, pregola fare il possibile perchè delegazione ungherese abbia sensazione nostro appoggio incondizionato senza riserve. V. S. mi tenga quotidianamente corrente onde essere in grado giudicare situazione in rapporto con tutela nostri diretti interessi.

(l) -Commissario di pubblica sicurezza jugoslavo. (2) -Non si pubblica. (3) -Cfr. n. 96. (4) -In realtà del giorno 21. Cfr. n. 95.
105

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA

T. GAB. 13/205 (1). Roma, 23 ottobre 1929, ore 24.

Suo telegramma 175 del 21 corrente (2).

Prego V. S. ripetere Bethlen quanto ho detto stamane ministro Ungheria Hory. Ritengo che doglianze Bethlen circa attitudine nostro delegato Brocchi siano ingiustificate e frutto di un malinteso che debbo attribuire ad inesatte informazioni da Parigi. Attitudine nostri delegati di aperta difesa interessi ungheresi non è mutata nè muterà. Ricordo che solo quattro giorni or sono lo stesso conte Bethlen mi ha fatto pervenire suoi ringraziamenti per attività spiegata nostra delegazione Parigi. Nulla di cambiato da allora nell'attitudine delegazione italiana. Al contrario da telegrammi quotidiani che mi pervengono da Parigi risulta che Brocchi ha continuato battersi abilmente e tenacemente per causa ungherese, anche per sopperire deficienza senso tattico e scarsa abilità delegati ungheresi, che non sono assolutamente altezza compito delicato e difficile. Su questa circostanza avevo già, fin dalle prime sedute, richiamato attenzione ministro Hory. Tanto più debbo ritenere essere inesatte informazioni pervenute Bethlen in quanto che Brocchi mi telegrafa essere riuscito modificare primitiva attitudine intransigente intero comitato e sperare ottenere sia offerta Ungheria una sistemazione pratica riparazioni senza. rinunzia diritti ungheresi nella questione optanti. In data 21 delegati ungheresi hanno ripetuto Brocchi loro soddisfazione per assistenza portata in questa difficile circostanza dalla delegazione italiana. Confermo quindi dopo tutto ciò mia sorpresa per quanto Bethlen le ha detto. Posizione Ungheria conferenza Parigi diventa estremamente delicata e difficile dato l'irriducibile atteggiamento Governo Budapest. Governo Budapest ha creduto non potere modificare in senso conciliativo, malgrado nostri ripetuti consigli, suo atteggiamento. Appoggio leale Italia non verrà meno per questo. Occorre però che rappresentanti Ungheria Parigi mantengano fredda calma e non smarriscano senso realtà.

(l) -Il telegramma è stato archiviato anche nella serie dei telegrammi normali col n. 2078. (2) -Cfr. n. 95.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A PARIGI, MANZONI, E A WASHINGTON, DE MARTINO

TELESPR.253251/565. Roma, 24 ottobre 1929.

Credo utile, ad ogni buon fine, segnalare all'attenzione di V. E. l'unito rapporto (l) del R. Ministro a Belgrado circa le disposizioni riscontrate, nei nostri riguardi, nel Ministro degli Affari Esteri signor Marinkovich, nel corso di un recente colloquio. Giova notare che il colloquio stesso ha avuto luogo precedentemente, ma nell'imminenza, dello scatenarsi dell'attuale campagna di stampa e di sobillazione antitaliana in Jugoslavia, che supera in violenza le precedenti.

Quanto sopra affinchè la cosa possa, presentandosene l'occasione, essere tenuta presente dall'E. V. nelle conversazioni che ella avesse costà occasione di avere sopra i rapporti fra Italia ed Jugoslavia e sopra le disposizioni di animo che si hanno a Belgrado nei nostri riguardi.

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IL CONSOLE GENERALE A TUNISI, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 14932/1210. Tunisi, 24 ottobre 1929.

In questi ultimi mesi la progressiva rarefazione della mano d'opera in Tunisia ha attirato l'attenzione delle sfere interessate ed ha formato oggetto di commenti di stampa, non esclusa quella del Regno.

A provocare il fenomeno hanno concorso varie cause: l'afflusso di lavoratori dalla Tunisia alla Francia per soddisfare alla richiesta provocata dall'applicazione della legge Loucheur, il trasferimento in Algeria di altro notevole contingente di operai impiegato nei lavori in corso per le prossime celebrazioni centenarie ed infine, pure in misura sensibile, la progressiva diminuzione di arrivi dal Regno.

E tutto mentre al normale fabbisogno di mano d'opera si è venuto ad aggiungere quello straordinario provocato dall'imminente inizio dei lavori conseguenti all'applicazione in Tunisia della stessa legge Loucheur.

Dalla necessità di provvedere a tale situazione di fatto è nata la convenzione franco-maltese per l'invio di lavoratori isolani in Tunisia, di cui al telespresso di questo Consolato Generale n. 14931/1209 del 24 ottobre 1929.

Ma mentre all'applicazione di tale convenzione ancora si oppongono difficoltà procedurali, e nel corso di essa si opporranno difficoltà di fatto; quand'anche a questa applicazione si dovesse addivenire, il ritmo normalmente crescente di ogni attività nella Reggenza continuerà a mantenere la bilancia del lavoro in squilibrio per difetto di offerta.

11: perciò da ritenersi che le competenti autorità della Reggenza non mancheranno di interessarsi ancora perchè a tale stato di cose venga presto posto rimedio.

Conseguentemente, è possibile che passi in questo senso vengano fatti anche nel Regno; ed in tale ipotesi, nel segnalare quanto precede, mi permetto pregare

V. E. di volermene dare tempestivamente notizia onde aver modo di fornire in ogni caso i maggiori e più esatti elementi di giudizio.

Sin d'ora però, debbo esprimere l'opinione che in linea di massima offerte del genere non siano da prendersi in considerazione, e che anzi salvo casi particolari, si debba ancora restringere il ritmo dell'immigrazione dal Regno.

Perchè il lavoratore che qui giunge con regolare contratto di lavoro (quindi, espatrio temporaneo, sei mesi, un anno, al massimo due) per quanto sia edotto della temporaneità dell'espatrio stesso ha sempre l'intenzione di stabilirsi definitivamente sul posto.

Ne consegue che allo scadere del contratto e delle clausole di tutela in esso contenute, egli ricade nell'ambito della legge locale della domanda e dell'offerta segnando quasi sempre un regresso nella propria situazione, da ogni punto di vista, che lo porta sovente per forza di cose, sapientemente aiutate da una oculata propaganda, a pensare alla naturalizzazione come rimedio necessario sufficiente.

Anche se ciò non avvenisse, egli nei periodi di disoccupazione stagionale o straordinaria verrà a pesare sul bilancio assistenziale di questo Consolato Generale già carico di oneri ingentissimi.

Aggiungo che, prima preoccupazione del lavoratore sposato, che giunge in Tunisia, è quella di farsi raggiungere dalla famiglia. Ed è vano tentare di convincerlo a fare altrimenti. Egli insiste e subisce il veto come una imposizione ingiusta ed illegale. E, convinto di essere vittima di un'ingiustizia, passa, in non pochi casi, dal malcontento alla reazione, e si naturalizza.

Quasi nella impossibilità di conciliare questa sua aspirazione con i concetti attuali che vigono in materia emigratoria, meglio a mio parere (sempre ammesse beninteso ragionevoli eccezioni) vietargli senz'altro l'espatrio. Si eviteranno così gli inconvenienti lamentati, ben più gravi a mio giudizio di quelli rappresentati dalle eventuali difficoltà di un suo collocamento in Patria.

Ma non basta.

Si potrebbe obiettare che l'afflusso continuato di connazionali può servire a colmare i vuoti provocati dalle naturalizzazioni. Può essere, ma è indubbio però che esso fornisca ogni anno nuovo materiale alle naturalizzazioni stesse. E ciò mentre l'aumento numerico della massa eleva ogni giorno le difficoltà per l'azione di assistenza, di propaganda, di vigilanza, ed i mezzi finanziari conseguenti salgono a cifre imponenti.

È ovvio che la Reggenza veda con occhio benevolo ogni nuovo arrivato. Il vuoto che esso può momentaneamente colmare sarà da lui stesso presto o tardi creato, moltiplicato per due. E così di seguito, provocando un aumento progressivo e costante della massa dei naturalizzati in mezzo ai quali connazionali verranno a trovarsi ogni giorno più a disagio.

Su questa strada il tempo lavora decisamente e nettamente per i francesi. Meglio ritengo dare tutti i nostri sforzi alla massa già sul posto, e lavorare su questa sino a farne un blocco sano, solidale, resistente e intangibile.

Operare opportunamente su ogni strato della massa stessa con savia perce

zione dei particolari bisogni, delle singole sensibilità e del modo di essere. Con

durre ,categol'ie singoli alle sensazione della costante, razionale ed insostituibile

presenza del R. Governo in ogni atto o bisogno della sua vita. Ed educare.

Giungere cioè ad essere pari alla somma dei bisogni, il che avrà come conse

guenza logica la scomparsa del bisogno di naturalizzarsi (1).

(l) Cfr. n. 63.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) 113/355-356-357-358. Vienna, 25 ottobre 1929, ore 1,15 (per. ore 4,25).

Schober mi ha ricevuto stasera stessa sul tardi ed il colloquio è stato lungo e cordiale. Mi sono espresso fedelmente secondo istruzioni datemi dall'E. V. con i suoi telegrammi 275 e 276 (2) insistendo particolarmente e decisamente sui concetti del secondo. Ho detto tra l'altro che Austria ha dovuto attendere dieci anni per giungere alle favorevoli circostanze di oggi. Esse forse non si ripresenteranno più per lungo tempo e d'altra parte resistenza economica dello stato non è tale da permettergli forse di sostenere senza danno una seconda volta conseguenze dell'agitazione e del panico presente. In considerazione di ciò e degli effetti degli eventuali intrighi dei socialisti e di altri stati occorre agire con rapidità e decisi.one. Egli dispone dell'esercito della polizia e della gendarmeria, dispone dell'appoggio delle Heimwehren; l'opinione pubblica in Austria se di destra spera in lui, se di sinistra lo teme e lo rispetta; anche l'opinione pubblica estera gli è favorevole. Che potrebbe desiderare di più? Ove risolva crisi interna con fermezza senza concessioni e d'accordo colle Heimwehren potrà fare assegnamento sulle nostre buone disposizioni per regolare anarchia del suo paese. In tal modo troverà in Austria stessa premesse politiche sia morali che materiali ed in noi quelle economiche per condurre a compimento un'azione anti-socialista definitiva ed assicurerà l'avvenire della sua patria.

Schober mi ha ringraziato delle comunicazioni fattegli in nome del R. Governo. I banchieri sono andati a dirgli ieri che la situazione finanziaria va diventando seria ed a pregarlo di far concessioni ai socialisti per ristabilire al più presto la calma e la fiducia. Ma egli ha risposto di no. Ai socialisti ha detto che devono accettare tutte le sue riforme minacciandoli in caso contrario di peggio; essi, pur avvertendolo che continueranno per necessità a fare la voce grossa in pubblico, si mostreranno in privato rassegnati. Alle Heimwehren ha detto: voi potete conseguire il vostro scopo in due modi e cioè senza violenza o

·con la violenza. Se preferite il primo modo affidatevi a me che vi farò ottenere quanto volete senza che passiate alle vie di fatto e limitatevi a fare o non fare

chiasso secondo ve lo indico io. Potete preferire il secondo modo, ma avete voi la forza per lottare e vincere? Convinti hanno risposto di no.

Dopo di che cancelliere mi ha detto e ripetuto e mi ha autorizzato riferire formalmente che data la effettiva esistenza di quella sua situazione particolarmente favorevole a cui avevo accennato, egli può assicurare R. Governo che condurrà la lotta a termine con rapidità con decisione e d'accordo con le Heimwehren. Concessioni importanti non ne farà affatto ma ne farà qualcuna assai secondaria non solo ai socialisti bensì anche alla sua stessa maggioranza. Se

R. Governo lo autorizzasse dichiarare al parlamento che l'Italia accorda autorizzazione prestito ciò lo libererebbe dalle preoccupazioni sulla situazione economica austriaca, le quali sono il suo unico punto debole e gli darebbe così modo risolvere il resto con rapidità, energia e successi anche maggiori. Egli si riserverebbe venire a Roma al più presto possibile per esprimere a S. E. Mussolini la sua profonda gratitudine. Ho replicato che nessuna specifica istruzione io avevo sul prestito e che nulla quindi potevo rispondergli in proposito.

Ignoravo se codesto Governo sarebbe stato disposto non solo a consentire prestito, ma anche a autorizzare cancelliere austriaco a farne pubblica dichiarazione prima che egli fosse venuto a Roma e prima che si fosse discusso di altre questioni economiche che sono di minore importanza, ma che preme a noi risolvere quale quella relativa al deposito in corone a Innsbruck per alcuni nostri vettovagliamenti, quella delle tariffe ferroviarie del Brennero, quella delle lire venete ecc. Al che ha risposto che preferiva assai poter annunziare al parlamento la notizia, ma che anche se non fosse stata destinata pubblicità gli sarebbe riuscita utile.

Dato tutto ciò dovevo !imitarmi ad assicurarlo che ne avrei riferito a V. E. Schober mi è apparso un poco preoccupato per la situazione bancaria ma deciso per il resto. Tra ieri e stamane ha fatto sequestrare alcuni giornali socialisti ed altri pagati dalla Cecoslovacchia contenenti notizie allarmistiche benchè provvedimento adottato non sia stato strettamente legale. Vi è però un certo contrasto tra il modo con cui egli parla delle Heimwehren e quello con cui queste ultime parlano di lui (mio rapporto odierno 2140) (1). Per quanto Steidle sia assente e torni solo per domenica farò chiedere domani mattina che cosa dicano gli altri dirigenti Heimwehren e se abbiano l'impressione che assicurazioni dallo Schober datemi, Sf)Condo il desiderio di V. E., saranno tradotte nei fatti.

(l) -Cfr. una relazione di Guariglia per Grandi del 4 dicembre 1929, nella quale, dopo aver constatato una leggera diminuzione delle snazionalizzazioni degli italiani in Tunisia nel primo semestre del 1929 rispetto al primo semestre del 1928, proponeva di stanziare la somma di L. 457.000 per opere assistenziali in Tunisia. Grandi dispose di diminuire la cifra a L. 300.000. (2) -Cfr. nn. 82 e 84.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 2084/188. Roma, 25 ottobre 1929, ore 20.

Suo telegramma n. 274 riservatissimo (2). Convengo con V. S. che dopo passo franco britannico inteso mostrare contrarietà quelle potenze ad eventuale ritorno principe Carol in Romania rendesi

consigliabile una affermazione punto di vista italiano a tutela nostro prestigio e nostri interessi.

Condivido considerazioni svolte al riguardo dalla S. V. e pare anche a me che si possa tenere in certo conto asserita italofilia principe come pure qualche arrendevolezza già attribuitagli nei rapporti coi magiari.

D'altra parte instabilità cronica della politica romena sembra suggerire pruè..enza nel legarsi a tendenze o a partiti determinati che a volta a volta valgonsi nome Carol per loro scopi egoistici e contingenti. Mentre poi ben conosciuta volubilità carattere stesso principe non può dare troppo affidamento su serietà e continuità suoi propositi.

Entro tali riserve non ho nulla in contrario a che ella trovi modo entrare accortamente in discorso col signor Maniu per accennargli che Italia, vecchia e provata amica della Romania, non ha pressioni od intromissioni da formulare in materia che essa considera dominio assoluto della politica interna romena. Se popolo romeno intendesse richiamare principe Carol di cui apprezziamo del resto simpatici sentimenti verso nostro paese non avremmo obbiezioni da accampare contro libera manifestazione volontà della nazione. Certo e nel suo stesso interesse noi vedremmo con soddisfazione conservazione ordine e sicurezza di cui d'altronde tradizioni monarchiche così degnamente sostenute dal fu Re Ferdinando appaiono salda garanzia.

Lascio poi alla S. V. giudicare sul posto e a seconda del carattere effettiva-: mente avuto dal passo franco britannico se convenga fare tali dichiarazioni a semplice titolo personale o darvi invece tono più autorizzato (1).

(l) -Cfr. p. 118, nota 2. (2) -Cfr. n. 94.
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IL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T.GAB.PER CORRIERE 62/2700. Budapest, 25 ottobre 1929 (per. il 31).

Stamane detti notizia al conte Bethlen del contenuto del telegramma di V. E. in data 24 corrente n. 2078/205 (risposta al mio n. 175 del 21 corrente) (2).

Il presidente se ne mostrò visibilmente soddisfatto e mi pregò di ringraziarne caldamente l'E. V. Mi disse non volere che resti in V. E. l'impressione • di un certo suo nervosismo • ma mi ripetè che era rimasto impressionato dalla notizia che • proprio rappresentante Italia • aveva presentato proposta abbinamento questione riparazioni con quella optanti, proposta sgradevolissima specialmente per lui (che come è noto è pure fra gli optanti) ed impossibile del resto ad accettarsi da qualunque Governo. Inoltre Piccola Intesa ed altre potenze non

avrebbero mancato di farsi forti di tale presentazione per parte dell' • amica Italia » per far pressioni sgradevoli sull'Ungheria.

In quanto all'intransigenza ungherese mi fece ancora presente che solo il suo Governo poteva rendersi conto delle reali tristi condizioni economiche finanziarie dell'Ungheria, che non potrebbe sopportare nuovi aggravi.

(l) -Preziosi rispose con t. per corriere rr. 4368/2846 del 5 novembre: il :ffiinistro degliEsteri romeno « si è mostrato del tutto consenziente alle osservazioni che gh sono andato facendo in stretta conformità a quanto mi aveva suggerito V. E. circa la questione del princip~ Carol, ribadendo anzi egli stesso che in una questione di sì grave momento i voti della maggioranza del paese non potrebbero essere nè negletti nè contraddetti •. (2) -Cfr. nn. 95 e 105.
111

IL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. RR. P. 2690. Budapest, 25 ottobre 1929.

Il conte Bethlen, nel colloquio di ier l'altro, m'informò che tornando da Parigi (mio telegramma 175 del 21 corrente) (l) il signor Walko si trattenne qualche ora a Vienna per conferire col fiduciario ungherese, che mantiene i contatti con le Heimwehren. Potè così apprendere che i capi di tali organizzazioni sono attualmente soddisfatti in massima della politica di Schober e delle concessioni avute. Lo sorvegliano però da vicino e lo spingono all'intransigenza assoluta nel compimento integrale del programma concordato. Due sono le leggi fondamentali che il signor Schober deve far approvare senza indugio ed alla cui redazione ha partecipato Steidle: l) quella della • Abgabenteilung » (ripartizione del gettito delle imposte fra le differenti provincie e città dell'Austria) -e susseguente fissazione dell'ammontare delle somme che la città di Vienna dovrà versare nella cassa dello Stato nonchè severo controllo governativo sull'impiego delle somme che rimangono da spendersi dalla città, contrariamente a quanto attualmente avviene. 2) Quella riguardante la riforma costituzionale. Schober aveva finora Qualche speranza di poter indurre i socialisti a votare le due leggi, data la necessità dell'appoggio di una frazione almeno del partito per potere ottenere la necessaria maggioranza di due terzi della Camera, ma a seguito di una recente riunione fra capi socialisti austriaci, cecoslovacchi e tedeschi i primi si mostrerebbero assai riluttanti ad accordare il loro appoggio, avendo ottenuto la promessa, in caso di necessità, dai citati colleghi esteri di effettivo aiuto in danaro ed anche in armi ed uomini. La prima legge dovrebbe essere condotta in porto, prima di Natale. Se le discussioni andassero per le lunghe, Schober dovrebbe porre un termine fisso alla approvazione declinando in caso contrario ogni responsabilità su quanto potrebbe avvenire, ed infine sciogliere il Parlamento. Secondo le circostanze si formerebbe quindi un nuovo Governo, sia Schober con elementi delle Heimwehren, sia di elemento Heimwehren puro e le leggi sarebbero fatte passare od adottate, se necessario, con la forza.

Steidle fu estremamente soddisfatto d'aver ottenuto in questo momento l'aiuto finanziario fattogli pervenire, essendo completamente • a secco ». Senza quel denaro gli sarebbe stato impossibile organizzare la grande dimostrazione che sta preparando e che egli considera indispensabile, sia per infondere coraggio al

Governo che per fornirgli un'arma per impressionare i socialisti, sia per mostrargli la forza di cui dispone, sia ancora per aiutare e sollecitare lo sgretolamento delle forze socialiste più tepide che già abbandonano il partito per passare a lui. Il denaro gli necessitava pure per rifornirsi urgentemente di armi.

Quanto alla riunione pro • Siidtirol • Steidle avrebbe già date esaurienti spiegazioni alla R. legazione di Vienna. Ma il conte Bethlen ed il signor Walko tengono a fargli pervenire nuove e categoriche ingiunzioni nel senso da V. E. desiderato.

Il signor Walko stamane mi confermò le suddette informazioni.

A Vienna egli tenne a far pervenire al signor Schober le rinnovate assicurazionì della simpatia di S. E. Mussolini e della fiducia che in lui riponeva che avrebbe saputo con abilità ed energia e senza compromessi con la social democrazia, risolvere la crisi interna del suo Paese.

Il signor Arbesser, che si occupa di organizzare l'importazione di armi dall'Italia in Austria, conterebbe venire prossimamente a Roma e desidera sapere

• quando • può farlo e • con chi • debba costì mettersi in contatto. Egli esporrebbe le misure prese, i cambiamenti di personale ferroviario e doganale a Lienz ecc. in vista di rendere possibile ìl passaggio delle armi.

Approfittai stamane del mio incontro col signor Walko, per fargli la comunicazione di cui al telegramma di V. E. n. 94 P. R. Gab. (l) (colloquio del R. Ministro a Vifmna con esponenti delle Heimwehren). Il Ministro mi assicurò d'aver già impart.ite le necessarie tstruzioni al conte Ambrozy (ministro di Ungheria a Vienna).

(l) Cfr. n. 95.

112

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. GAB. (P. R.) 103/286. Roma, 26 ottobre 1929, ore 2a,:w.

Suoi 355-358 (2).

S. E. Capo Governo ha letto con interesse relazione colloquio Schober ed incarica V. S. recarsi nuovamente cancelliere per fargli presenti a suo nome considerazioni seguenti: tattica temporeggiatrice seguita fino ad oggi da Schober rischia compromettere risultati felicemente raggiunti sua energica attitudine primo momento. È chiaro che social democrazia superata prima crisi di disorientamento sta riorganizzandosi attivamente contro di lui. Offensiva finanziaria sostenuta gruppi stranieri cui ha fatto seguito proposta banchieri fare concessioni socialisti sono prova manifesta di tutto ciò. Schober deve profittare attuale simpatia unanime coscienza pubblica austriaca per Heimwehren. Come qualsiasi forza rivoluzionaria Heimwehren vanno impiegate attimo opportuno, trascorso il quale

stessa forza Heimwehren potrebbe essere diminuita circostanze imprevedute a tutto vantaggio avversari di Schober. Se Schober nutre effettivo proposito assicurare suo paese un avvenire di prosperità e d'ordine, deve dare sua azione un

!l) Del 22 ottobre, col quale Grandi dava notizia del colloquio riferito nel n. 78.

ritmo più deciso e più energico prima che nuove imprevedute situazioni e difficoltà gli rendano più difficile azione che oggi è relativamente facile. Soluzione conciliativa su base parlamentare è di assai dubbio risultato. Occorre che Schober vinca ultime perplessità e valendosi direttamente organismo Heimwehren che interpretano oggi maggioranza paese proceda avanti risolutamente, fino a che egli è in tempo, senza preoccupazioni formalità costituzionali che saranno sanate dopo come sempre avviene. S. E. capo Governo non ha difficoltà che Schober dichiari parlamento • poichè nuovo regime austriaco ha come dato fondamentale sua politica di leale amicizia con l'Italia egli (Schober) ha promessa da parte Governo fascista favorevole appoggio in linea di massima questione prestito •. V. S. inviti tuttavia Schober riflettere se gli conviene o no fare pubblicamente questo momento tale dichiarazione. Ma prima ancora di comunicare Schober quanto sopra

V. S. dia comunicazione di ciò a dirigenti Heimwehren poichè potrebbe darsi che Steidle ritenesse più conveniente servirsi di tale autorizzazione per esercitare lui stesso a nome delle Heimwehren una più diretta pressione su Schober. Lascio insomma iniziativa e giudizio di V. S. adottare sul posto linea azione più conforme esigenze mutevoli situazione e più adatta raggiungere scopo prefisso.

(2) Cfr. n. 108.

113

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) S. 118/360-361-362. Vienna, 26 ottobre 1929, ore 21,50 (per. ore 4,15 del 27).

Riferimento mio telegramma Gab. n. 3,58 (1).

Nell'attesa del colloquio con Steidle che avrò stasera e sul quale telegraferò, mi permetto far presente a V. E. una mia idea. Schober ha bisogno del nostro consenso al prestito per ragioni politiche ed economiche che agiscono vicendevolmente le une sulle altre e vorrebbe sino da ora non solo tale nostro consenso bensì anche la nostra autorizzazione a darne pubblica comunicazione. Non sapendo quali siano le idee del R. Governo mi sono tenuto sulle generali, insistendo con lui da un lato sull'affermazione che una sua azione quale noi la vogliamo contro i socialisti faciliterebbe assai nostre concessioni e dall'altra sul dubbio che nello stato presente delle cose sua richiesta potrebbe essere da noi accolta integralmente ed immediatamente. Ora questa carta del consenso al prestito che ci siamo per più di un anno trattenuti dal giuocare è l'unica che per il momento abbiamo. Mi sembra quindi dobbiamo valercene col maggiore utile possibile e trarne qualche immediato profitto: come è provato anche dai nostri dieci ultimi anni di rapporti con l'Austria la riconoscenza ... (2) e tanto meno quanto più passa il tempo dalla sua ... (2). Perciò qualora volessimo accogliere domanda di Schober io mi chiedo se, a parte la richiesta di regolamento delle altre nostre

questioni pendenti, delle quali credo Brocchi abbia già cominciato a discutere con Schtiller a Parigi, non sarebbe questa l'occasione di proporre conclusione di un patto di amicizia o in genere di un qualche accordo inteso a prova di un principio di meno fredde relazioni con l'Austria.

Non so affatto che accoglienza farebbe Schober qui a questa nostra proposta tanto più che avversione non ,solo dei socialisti ma anche dei cristiano-sociali del Tirolo e di tutti i pangermanisti non sarebbe piccola. Perciò se V. E. mi autorizzasse saggerei io terreno come per mia personale iniziativa e naturalmente ponendo qui come condizione che la conclusione almeno di massima dell'accordo da firmarsi poi da Schober in Roma trarrebbe con sè contemporaneamente pubblica concessione del nostro consenso. Anstria ha bisogno di noi, Schober ci è favorevole e la sua posizione in parlamento e fuori, specie quando abbia in mano nostro consenso alla conclusione prestito -che qui credesi in Austria potersi ottenere a condizioni meno onerose in conseguenza della attuale situazione del mercato americano -gli permette ora quanto non era permesso a vari dei suoi predecessori. Dopo il tempo di Renner e del suo accordo coll'Italia, nessuna più favorevole occasione ci si è presentata fino ad ora. Quanto al futuro ipotesi, che per adesso sembra più verosimile, è quella di un rimaneggiamento Gabinetto Schober dopo approvata riforma costituzione colla partecipazione ufficiale delle Heimwehren mediante concessione di alcuni portafogli. Ma così in questo caso, come in quello di un Ministero più accentuato od esclusivamente di Heimwehren stipulazione di un accordo quale quello. suddetto toglierebbe possibilità di concluderne posteriormente un altro di più largo contenuto politico che ci consentisse di annoverare stabilmente anche l'Austria tra quegli stati ove si è affermata influenza del regime.

Ho avuto colloquio con Steidle, Pfrimer, Pabst. Ho detto delle pressioni da me fatte su Schober avant'ieri e della risposta rassicurante datami da questi. Se ne sono molto rallegrati e mi hanno ripetuto espressamente loro ringraziamenti. Erano già stati ieri sera da Schober e avevano notato in lui minore pessimismo sulla situazione finanziaria bancaria ciò che attribuivano all'effetto del mio colloquio e specialmente alle risposte da me date al cancelliere austriaco ... (1), prescrittemi da V. E. di un esame benevolo per il regolamento delle questioni economiche austriache. Essi continuano a dire che riforme di Schober non possono essere che primo grado del loro programma. Assicurano che approvate tali riforme chiederanno nomina del nuovo presidente della repubblica, la quale secondo previsto dalla riforma stessa dovrebbe avvenire tre mesi dopo attuazione di questa ultima. Aggiungono che se Seipel rifiuterà candidatura presenteranno quelle di Steidle, Pfrimer. Nuovo presidente della repubblica indirebbe nuove elezioni e a nuovo parlamento sottoporrebbe un nuovo piano di riforma a cui basterebbe approvazione della maggioranza semplice. Per il momento essi proseguono nella propaganda delle masse a spingere deputati borghesi e a trattenere propri aderenti.

Mi hanno confermato che mi terranno informato di tutto e mi faranno se necessario nuove richieste affinchè nostro lavoro possa continuare a procedere l'accordo.

(l) -Cfr. n. 108. (2) -Gruppi indecifrati.

(l) Gruppo indecifrato.

114

RE ZOG AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Tirana, 26 ottobre 1929.

Profitant du départ de M. le général Albert Pariani pour Rome, je me suis fait un plaisir de le charger de transmettre a V. E. la présente par laquelle il m'est particulièrement agréable de Vous rappeler encore une fois mon entière satisfaction pour l'oeuvre éminente que les organisateurs militaires de tout grade sont en train de réaliser ici avec un dévouement qui fait honneur à la Noble et Grande Nation Italienne.

Cette oeuvre dont le brillant résultat a été constaté pendant la récente revue, M'a d'autant plus satisfait que I'effort réalisé dans l'accomplissement de la mission de préparer notre jeunesse à son futur devoir envers la Patrie, a été l'objet de l'admiration de tout Mon Peuple.

Je termine Excellence et Grand Ami en Vous renouvelant encore Mes sentiments de sincère et cordiale amitié et Mes voeux de grandeur et de prospérité pour la Noble et Grande Nation Italienne, tout en Vous priant de croire à Mon .naltérable affection.

115

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 5907/3326. Parigi, 26 ottobre 1929.

È venuto da me, poco fa, il Signor Buroff, Ministro degli Esteri bulgaro, in~ieme a questo Rappresentante di Bulgaria il quale tosto presentatomi il Signor Buroff si è ritirato, insistendo a !asciarci soli.

Il Signor Buroff mi ha detto che egli sente di non aver più la fiducia di V. E.

~ di non riuscire né a conoscerne le cause né a rendersene ragione. La situazione celi ha detto, richiede un chiarimento, sollecito e franco ed io ne prendo l'iniziativa e ncorro a voi come intermediario per attenerlo, in vista degli interessi generali comuni tra i due paesi i quali corrispondono a quelli particolari di ciascuno.

Il Ministro ha parlato con enfasi, con precisione e con chiarezza. Ha affermato

che dello stato di fatto ne è dolentissimo, pel suo paese e per sé; ha affermato che

tutta la sua politica è orientata ad ottenere l'assenso di tutte le Grandi Potenze,

.:;pecialmente di quelle dell'ex Intesa, particolarmente dell'Italia. Mi ha detto che

)gli non sente di potersi rimproverare di nulla verso il Governo Italiano, ma che

per quanto egli ha fatto egli non è riuscito finora che a sentirsi formulare un solo

grief quello di esser troppo frequentemente a Parigi, e di non arrivare a Roma.

Ora, egli ha continuato, a Parigi devo venire per gli affari delle riparazioni; sono

una volta venuto per un figlio ammalato; sono venuto l'estate scorsa essendo in cura a Vichy, perché ho voluto vedere il Signor Briand per spiegargli la situazione delle divergenze di allora tra Sofia e Belgrado e dirgli quanto sia pericoloso dare la sensazione a Belgrado che può contare sempre sull'appoggio di Parigi; e per vedere il Signor Berthelot, col quale le due conversazioni furono dure assai; ma non vengo qui se non per necessità di fatto che a Roma ben conoscono e che non possono dar motivo a sensibilità ingiustificate.

Nessun altro grief sono riuscito a conoscere dello stato d'animo che, da quanto mi riferisce il Signor Volkoff, so esistere nel Ministro Grandi a mio riguardo. Però esso esiste e sussiste. Mi si dica chiaramente, completamente, tutto, affinché io possa chiarire: non si lasci sorgere e densificare nubi che poi sono difficili a togliere dall'atmosfera: non si crei uno stato di cose che in fine dei conti va e andrà a danno dei rapporti ltalo Bulgari, a svantaggio di entrambi ed a solo vantaggio dei nostri nemici politici. In Bulgaria, ha detto, all'infuori dell'attuale Governo non vi è che un solo altro Governo possibile, quello dei nostri avversarii, gli agrarii, che sono Belgradofili: ogni dissenso dell'Italia con noi va quindi a vantaggio loro. Il Ministro Grandi ha mostrato una grande sensibilità per un recente articolo del Mir (l): lo ha segnalato al Ministro Volkoff: quell'articolo è scritto da un mio avversario politico, per combattermi; perché adombrarsi con me? perché la stampa Italiana lo ha rilevato in modo da provocare reazione nella stampa agraria bulgara a favore dei nostri avversarii? Io non riesco a comprendere quale possa esser la radice del malinteso che a Roma si sta creando contro di me: che possano essere informazioni provenienti da elementi estremi macedoni

o da Italiani che li frequentano a Sofia? Io sono contrario alla loro azione violenta perché trovo che anche nella questione macedone non siamo più all'epoca della dominazione Turca, non si devono usare oggi i metodi di allora, metodi che finiscono per giovare solo ai nostri avversarii: si deve agire oggi da Europei non da balcanici. Roma del resto mi ha sempre, e giustamente, consigliato di agire in modo di aver sempre con noi la ragione e l'opinione pubblica.

Non comprendo dunque la mancanza di fiducia che appare esservi a Roma per me: l'appunto di non esser venuto o di non venir a Roma e di esser venuto ::t Parigi non è giustificato, non è adeguato. Vi prego fate il chiarimento perché voglio evitare che Roma pensi sfiduciosamente a mio riguardo. Non lo merito, non lo voglio pel mio paese.

Ho risposto che io non era al corrente di questo stato di cose: che mi sarei fatto interprete con V. E. di tutto quanto aveva sentito e della sincerità che emanava dalla esposizione fattami e dalla preghiera rivoltami, convinto io pure che tra i nostri due paesi ci sia una sola comune linea da seguire per la salvaguardia dei comuni interessi di pace e di sicurezza, quella della limpidità e della fran

chezza di relazioni, sotto il doppio aspetto obbiettivo e subbiettivo. Il Signor Buroff resta qui ancora cinque giorni.

V. E. vedrà se rispondere a questa sua iniziativa (la parola è del Signor Buroff) per tramite mio o per altro (2).

12-Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) -Cfr. n. 59. (2) -Grandi rispose con telespr. 256393/979 del 15 novembre, riservandosi di far trattare da Piacentini le questioni esposte da Manzoni.
116

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO AL CAIRO, PATERNO'

L. R. P. s. 1234. Roma, 27 ottobre 1929-.

Il Direttore Generale dell'Africa Settentrionale mi informa di una Sua ri

chiesta, diretta ad ottenere una modifica delle istruzioni che, promosse da questo

Ministero, Ella ebbe a suo tempo a ricevere dal R. Ministero degli Affari Esteri,

per quanto riguarda la nostra linea di condotta verso il Saied Idriss es Senussi-.

Devo in proposito avvertire che nulla vi è da modificare nelle istruzioni anzidette, perché, come Ella certamente ricorda, nel colloquio che avemmo di recente, presente S. E. il Maresciallo d'Italia Badoglio, venne convenuto quanto segue:

l) che nessuna iniziativa fosse da prendere da parte nostra nei riguardi di Idriss; 2) che se qualche iniziativa partisse da Idriss, fosse da rispondergli invitandolo a fare atto puro e semplice di sottomissione, pur assicurandolo che il

R. Governo avrebbe tenuto conto di questo suo gesto e non avrebbe ostacolato il suo ritorno in Cirenaica (1).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

r. 2096/294. Roma, 28 ottobre 1929.

Suo Telegramma n. 460 (2).

A giudicare dal riassunto che ella mi ha telegrafato, la nota verbale di codesto ministero degli Esteri in data 24 corrente sembra adeguata al singolare contegno recentemente assunto da Marinkovich nei riguardi di V. S. In sostanza la detta nota:

l) Di fronte ad una simultanea, coordinata, generale campagna di eccezionale insolenza e di sobillazione alla violenza contro l'Italia, esprime • rammarico se qualche giornale jugoslavo ha sorpassato i limiti della cortesia internazionale »;

2) contrattacca la nostra stampa, che nella circostanza di fronte alle provocazioni insistenti e prettamente balcaniche di quella jugoslava, ha dato prova di particolare moderazione, tentando quasi di fare apparire i nostri giornali come causa dell'indecente gazzarra costà verificatasi senza alcun confessabile motivo;

3) sopratutto prende atto di un preteso riconoscimento da parte di codesta

R. legazione delle misure prese dalle autorità per impedire eccessi di dimostranti, i quali hanno avuto peraltro libertà di esprimere delle • opinioni •.

La S. V. comprenderà come non sia il caso dì replicare ad una simile comunicazione col dichiararsi senz'altro soddisfatti, venendo in certo modo a riconoscere per buone le considerazioni nella stessa esposte, facendo pagina bianca di tutto quanto è successo.

È evidente che carteggi del genere vengano dal Governo jugoslavo utilizzati 30pratutto per influenzare ed indirizzare ai propri fini l'opinione degli altri Governi.

Se può convenirci di esaurire costà la trattazione formale degli incidenti di questi giorni, l'esaurimento deve peraltro essere accompagnato e sopratutto 3eguito, fino a tanto che non intervenga un più soddisfacente chiarimento della situazione, da un nostro atteggiamento di riservatezza che dia a Belgrado ed altrove la sensazione che non consideriamo con indifferenza e con eccessivo ottimismo la via sulla quale la Jugoslavia pare voglia mettersi per quanto ci .::oncerne.

La S. V. potrà limitarsi quindi per ora ad accusare semplicemente ricevuta della comunicazione, che ella si è riservata trasmettere a Roma insieme coi documenti e le delucidazioni relative.

(l) -Graziani, con telegramma diretto a De Rubeis, capo gabinetto di De Bono, in dat? Bengasi 27 maggio 1930, si dichiarava nettamente contrario ad eventuali trattative tra Cantalupo e Saied Idris. De Rubeis rispose telegraficamente il 30 maggio, assicurando che De Bono, Cantalupo e Graziani erano pienamente d'accordo, per cui « Senussia che cerca sempre punto mmore resistenza troverà fronte unico contro cui rompersi vecchie corna » (ACS, Carte Graziani, scatola 6, fase. 11). Sulla nota ostilità fra De Bono e Badoglio, di cui si sono trovati i primi evidenti accenni già nel marzo 1929, esistono alcuni documenti conservati in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, fase. Badoglio 389/R: in particolare un telegramma di Badoglio a Mussolini del 4 settembre; un telegramma di De Bono a Mussolini, a Forli del 6 settembre, con la notizia che Badoglio sarebbe giunto l'indomani a Roma e che « si parlerà situazione Cirenaica e io secondo tua autorizzazione gli parlerò idee Governo e nostri comuni apprezzamenti • ; una l. p. Badoglio a Mussolini in data Tripoli 21 novembre: c Non giudichi male gli avvenimenti in Cirenaica. È una chiarificazione salutare. Parte dE'i ribelli si sono schierati con noi e con noi è tutta la popolazione. La nostra reazione fu pronta. Vedo con tutta tranquillità la situazione.; e una l. p. di De Bono a Mussolini del 1° aprile 1930 con allegato un telegramma di Graziani, che era stato nominato vice governatore della Cirenaica: « Da esso vedi il nuovo stile di governo, l'intuizione della situazione e la sicurezza della riuscita. Speriamo soltanto che Badoglio lo lasci fare •. Cfr. anche G. RocnAT, Mihtan e politici nella campagna d'Etiopia. Studio e documento 1932-1936, Milano, 1971. p. 33, nota 25. (2) -T. 4195/460 del 24 ottobre, che non si pubblica.
118

IL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

N. 116187. Roma, 28 ottobre 1929.

Risposta a nota del 20 Settembre 1929.

La Finanza ebbe già a rivolgere preghiera, a codesto On. Ministero, per chiarimenti circa il pagamento di un milione, da parte dell'A.G.I.P., in relazione alla concessione del monopolio dei carburanti in Albania, rilevando che l'erogazione avrebbe dovuto risultare dal bilancio dello Stato.

Venne, in proposito, risposto, con lettera a firma di S. E. il Capo del Governo, facendo presente che codesto On. Ministero era intervenuto per attenuare la corresponsione e che si riservava di precisare se e fino a qual misura i nomi degli intermediari coincidessero con quelli di persone che in passato hanno avuto occasione di prestare effettivi servizi politici non altrimenti compensati.

A questo riguardo sarebbero gradite ulteriori comunicazioni, giacchè, a quanto consta alla Finanza, l'attuazione e lo svolgimento del monopolio di vendita

dei carburanti in Albania avrebbe incontrato, nel periodo iniziale, intralci e difficoltà, che dimostrerebbero non esservi stata, a cura degli jntermediari, una preparazione valida ed efficace (1).

Mentre rimane in attesa di un cortese riscontro, la Finanza si pregia di far presente che oneri di carattere statale, per i quali sono inscritti in bilancio gli occorrenti stanziamenti, non dovrebbero gravare su aziende aventi gestione autonoma.

(l) La lettera fu inviata per conoscenza anche a Mussolini.

119

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4245/365. Vienna, 29 ottobre 1929, ore 2,20 (per. ore 11)0).

Al mio colloquio di stasera con Steidle assisteva il rappresentante di Pfrimer, ma mancava Pabst. Ho fatto a Steidle la comunicazione di S. E. Mussolini (2) insistendo sui pericoli che il prolungarsi delle discussioni parlamentari può addurre non solo interno ma anche internazionalmente circa i quali richiamavo la sua attenzione sui nuovi elementi forniti dalla crisi ministeriale francese e dalle elezioni cecoslovacche. Steidle ne ha convenuto e mi ha assicurato che l'effetto delle sue preoccupazioni e delle impazienze dei suoi partigiani di provincia sono le incessanti pressioni che egli fa su Schober. Le obiezioni che il cancelliere muove a un acceleramento del ritmo e a un suo mutamento da procedura di diritto a procedura di fatto sono di natura economica. Se si agisse qui in modo da eccitare disordini o anche solo agitazioni si desterebbero preoccupazioni all'estero. Il risultato sarebbe innanzi tutto che scellino scenderebbe come conseguenza del ritiro dei capitali stranieri, tanto più che questi appartengono principalmente alla Germania e alla Cecoslovacchia paesi non favorevoli all'attuale movimento e che le banche viennesi, eccetto Rothschild, non auspicano la fine di un Governo debole con cui sono più facili i compromessi. Ma Steidle ravvisa un effetto anche più grave prevedendo che quando anche noi avessimo già concesso nostro assenso al prestito non ne sarebbe possibile conclusione se la nuova situazione qui prodottasi non fosse divenuta tale da rassicurare banche estere. Questo intervallo di tempo durante il quale si avrebbe lo scellino svalutato e il prestito in sospeso sarebbe criticato e potrebbe produrre crollo economico austriaco. Heimwehren aggiungono che pur con ogni più salda volontà di azione rapida e decisa concordano con Schober in questi timori; esse non si sentono pronte a prendere sua successione per attuare un programma che nel presente stato delle cose considerano di gravissimo pericolo specie dal punto di vista economico e tale da compromettere per la reazione opinione pubblica loro esistenza partito e da cagionare immediato avvento di un regime bolscevico.

(l) -Cfr. l'accenno in Serie VII, vol. VII, p. 501 nota. (2) -Contenuta nel doc. n. 112.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4246/366. Vienna, 29 ottobre 1929, ore 2,30 (per. ore 11,15).

Seguito telegramma precedente.

Richiesti da me che cosa credono dovremmo fare per dare loro modo superare quel periodo critico mi ha risposto che sarebbe necessario disponessero, per uno spazio di tempo di una o due settimane, di una apertura di credito che fosse sufficiente garantire corso dello scellino sino a ristabilimento dell'ordine e della fiducia e che calcolano a circa la metà della copertura della Banca Nazionale la quale è oggi 800 milioni scellini. Oltre a ciò sarebbe utile che per mezzo sia delle nostre grandi banche sia del rappresentante italiano dei Rothschild (Signor..... (l) di Firenze) facessimo giungere ai gruppi Rothschild di Parigi e Londra e da questi al gruppo Morgan l'espressione della nostra fiducia nel Governo austriaco e nella situazione del paese.

Dopo avere esaminato con le Heimwehren il da farsi ci siamo intesi come segue. Steidle vedrà stasera di nuovo Schober e lo premurerà di nuovo. Siccome parte stasera stessa per Innsbruck donde tornerà la settimana prossima mi farà sapere per mezzo di un intermediario quale risultato abbia avuto suo colloquio .:!On cancelliere e se egli crede convenga vada anche io da Schober a rinnovare mie pressioni.

Quanto dichiarazioni circa prestito Steidle considera necessario che pur facendo intravvedere possibilità nostro assenso noi non ci affrettiamo darlo giacchè è l'unico mezzo efficace di pressione nelle nostre mani e le difficoltà che bisognerà spronare Schober a vincere non finiranno dopo approvazione del presente primo gruppo di riforme, ma si rinnoveranno per il secondo circa legge elettorale e si aggraveranno pel terzo circa il controllo finanziario di Vienna. In ogni caso fino a che non avrò sua comunicazione non andrò da Schober e soltanto dopo di ciò esaminerò il da farsi. Steidle è assai riconoscente a S. E. il Capo del Governo per il suo grande interessamento e il suo valido appoggio e gli è in modo particolare grato per offerta fattagli di servirsi direttamente con il cancelliere del mezzo di pressione offertogli della nostra dichiarazione circa prestito. Senonchè stima preferibile non valersene per ora per ragioni tattiche. Ad ogni modo egli crede che una pubblica dichiarazione di Schober al parlamento relativa nostro consenso sarebbe per il momento più nociva che proficua.

(l) Gruppo indecifrato

121

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4248/368. Vienna, 29 ottobre 1929, ore 18,42 (per. ore 20,45).

Nel corso colloquio di ieri Steidle mi ha detto che Seipel crede essere Schober troppo ottimista nel giudicare qui la situazione e le sue possibilità di _sormontare opposizione socialista. Steidle si mostrava della stessa opinione di Seipel. Ho trovato in ciò un nuovo argomento per insistere sul nostro punto di vista sulla necessità di una pronta risoluzione.

122

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4249/370. Vienna, 29 ottobre 1929, ore 18,46 (per. ore 20,45).

Pabst mi fa sapere che nel colloquio di ieri sera che Steidle ha avuto con Schober dopo la nostra conversazione quegli ha fatto capire a questo che gli erano state fatte pressioni da parte nostra e che cancelliere pur rallegrandosene ha confermato necessità di non precipitare eventi. Pabst ha aggiunto che Heimwehren hanno fiducia nella serietà di Schober e che sono d'accordo con lui sulla condotta da tenersi per ora. Esse seguiranno i lavori del parlamento continuando esercitare su di questo la pressione delle loro organizzazioni e delle masse simpatizzanti. Pabst ha concluso essere preferibile che io ritardi di qualche giorno la mia azione su Schober.

123

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 2100/190. Roma, 30 ottobre 1929, ore 14.

Suo telegramma 2732 del 22 u. s. (l) e suo rapporto 2663 del 16 ottobre (2).

Ho conferito stamane con Ghika solo ieri di ritorno Roma. L'ho pregato di richiamare vivamente attenzione Governo rumeno su impegni precisi assunti Aja da delegazione rumena nei riguardi forniture rumene in Italia. Ho aggiunto che Italia non potrebbe tollerare essere posposta industria inglese. Ghika mi ha promesso telegrafare subito. Pregola continuare seguire questione che ci interessa enormemente e per la quale Governo fascista è deciso fare tutto possibile onde non lasciarsi sfuggire ordinazioni promesse.

(l) -T. per corriere 4220/2732 col quale Preziosi comunicava l'intenzione del Governo romeno di affidare all'industria inglese la costruzione di una parte delle navi da guerra e di una base navale nel Mar Nero. (2) -Cfr. n. 79.
124

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4284/373. Vienna, 31 ottobre 1929, ore 20,40 (per. ore 3,25 deLl'l novembre).

Poichè Steidle e Pabst sono partiti per Innsbruck e non torneranno che la settimana prossima, ho avuto un colloquio con il membro Heimwehren indicatomi per le nostre relazioni durante le loro assenze. Mi ha detto che al loro ritorno avranno senz'altro conferenze con i capi dei tre partiti della maggioranza per domandare loro di accelerare lavori parlamentari, non fare concessioni ai socialisti e non chiedere troppe modificazioni dei progetti di riforma sia pure nell'interesse della maggioranza stessa. Se le Heimwehren vedranno che malgrado loro pressioni su Schober e sui deputati le cose vanno per le lunghe indiranno una grande adunata a Vienna come protesta per i ritardi. Mio interlocutore mi ha rinnovata la preghiera in nome delle Heimwehren attendere qualche giorno fino a quando me ne daranno avviso, per far nuove pressioni su Schober. Ho risposto che poichè avevo istruzione di udire loro opinioni e di agire di concerto con essi e secondo mio giudizio sulla situazione, potevo assicurarlo che avrei atteso pur ripetendogli mie preoccupazioni sulle conseguenze di questi rinvii. Gli ho osservato sembrarmi che qui facciano troppi calcoli e ragionamenti, ciò che non può non nuocere all'azione. Volere tutto prevedere fissare e regolare con discussioni e negoziati avanti di agire vuoi dire non agire più. Senza contare che tutto quanto si parla oltre essere per tale modo dannoso è anche inutile giacchè il giorno in cui si dovesse applicare quello che fosse stato in precedenza stabilito le nuove circostanze, diverse forse da quelle previste, obbligherebbero a rifare tutto da capo. Occorre avere in mente idee fondamentali, ma occorre poi passare dalle parole ai fatti preoccupandosi solo di agire in modo che i risultati siano rapidamente conseguiti. Più decisa sarà azione e più essa è breve; più è breve, minori sono sue conseguenze anche nei riguardi dell'economia del paese in genere ed in quelli della situazione finanziaria dello stato in specie. Mio interlocutore mi ha pregato di riparlarne con Steidle e Pabst. Ho risposto darò loro volentieri quanti schiarimenti vogliono, ma che l'importante mi sembra sia non tanto quello che io dico bensì quello che essi fanno.

125

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI

TELESPR. 7371. Roma, 31 ottobre 1929.

Risposta alla lettera n...... (1).

Come V. E. benissimo sa, l'operazione è stata disposta da S. E. il Capo del Governo. V. E. sa anche benissimo che l'azione di S. E. il Capo del Governo si è risolta in un grosso risparmio di denaro dello Stato. Inquantochè: l) ha per

messo di diminuire di oltre la metà il quantitativo delle somme che l'A.G.I.P. si era già impegnata a corrispondere a intermediari; 2) ha permesso di impiegare la somma restante per soddisfare a degli impegni già presi in precedenza e per i quali S. E. il Capo del Governo sarebbe stato costretto di chiedere a V. E. uno stanziamento straordinario di una somma superiore a 1.000.000.

Tutto ciò non è ignorato da V. E. Ad ogni modo, poichè mi risulta che S. E. H Capo del Governo ha scritto in proposito a V. E. (con lettera della Presidenza del Consiglio) or non è molto, impartendo al riguardo le sue istruzioni direttamente a V. E., questo Ministero non ha più nulla da dire sull'argomento.

Ove V. E. ritenga del caso non ha che a rivolgersi direttamente a S. E. il Capo del Governo (1).

(l) Allude evidentemente al n. 118.

126

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI

TELESPR.P. 254133/32. Roma, 31 ottobre 1929.

La nota Società • Steweag •, controllata dal gruppo Feltrinelli, ha fatto riservatamente pervenire a questo Ministero l'accluso promemoria (2), inteso ad assicurarsi l'appoggio del R. Governo per ottenere, in Austria, la concessione dello sfruttamento idraulico del fiume Enns.

La • Steweag •. come V. S. ben sa, è una intrapresa che rappresenta la maggiore affermazione industriale italiana non solo nella Stiria, ma in tutta l'Austria. Dimodochè quanto può favorire e consolidare il suo sviluppo costituisce un indubbio e notevole interesse italiano.

Credo pertanto opportuno comunicare alla S. V., in via confidenziale, il promemoria in parola, affinchè, presentandosene l'occasione, in confronto col Signor Schiiller ed in rapporto agli attuali negoziati, Ella possa tener presente tale pratica fra quelle di cui converrebbe promuovere una soluzione favorevole nei nostri riguardi.

ALLEGATO.

LA SOCIETA ANONIMA IDROELETTRICA STIRIANA (STEWEAG) E LA CONCESSIONE DELL'IMPIANTO DELL'ENNS

Graz, 22 luglio 1929.

Nell'anno 1919 per iniziativa del Governo della Stiria e di un gruppo di Industriali Stiriani fu fondata la • Vorbereitung des Ausbaues der Steirischen Wasserkrafte Ges. m.b.H. • per studiare e preparare il razionale sfruttamento delle forze idrauliche della Stiria. A questa accomandita successe nel Marzo 1921 la Steirische Wasserkraft-und Elektrizitats-A.G. (Società Anonima Idroelettrica Stiriana), chiamata brevemente • Steweag •, allo scopo di iniziare l'utilizzazione e il collegamento dei principali impianti idroelettrici della Stiria.

Alla fondazione della Società concorse con una parte del capitale il Governo della Stiria, il quale diede alla Steweag la concessione per lo sfruttamento delle più importanti forze idrauliche del paese, riservandosi inoltre di approvare le tariffe di vendita della energia.

In seguito alla partecipazione della Provincia alla fondazione della Steweag e principalmente in seguito all'apporto delle concessioni, fu riconosciuto nello Statuto della Società il diritto al Governo Stiriano, alla città di Graz ed alla Camera di Commercio di delegare un certo numero di rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione della Steweag.

Come abituale e previsto dalla legge le concessioni furono accordate con diverse prescrizioni riguardo i termini per la presentazione dei progetti di esecuzione e per l'inizio e il compimento dei lavori, termini prolungabili come previsto all'atto della concessione.

Il Governo Stiriano si impegnò inoltre ripetutamente a prolungare questi termini e a mantenere contro altri eventuali concorrenti le concessioni alla Steweag, onde permetterle di portare successivamente a compimento il suo programma dello sfruttamento delle forze idrauliche della Stiria. Queste assicurazioni del Governo Stiriano furono esplicitamente ed ufficialmente espresse con deliberazione in data 19 Settembre 1921, quando con un gruppo di Banche austriache fu concluso il primo contratto di finanziamento della Steweag e ancora ripetute con deliberazioni in data 13 Dicembre 1923 e 3 Gennaio 1924 quando un Gruppo Finanziario Italiano facente capo alla Società Finanziaria di Elettricità di Milano, allo scopo di prendere parte all'opera di elettrificazione iniziata dalla Steweag ed anche per maggiormente affermare la influenza economica italiana in Austria, si interessò nella Società portandovi contributo di forti capitali e di esperienza in questo campo dello sviluppo delle risorse idroelettriche nel quale l'Italia ha fatto così grande progresso. Il Gruppo Italiano ha aumentato sucessivamente la sua partecipazione alla Steweag e possiede attualmente la maggioranza delle azioni della Società. Condizione appunto di questo ingente finanziamento furono le impegnative dichiarazioni del Governo in merito alle concessioni possedute dalla Steweag.

Il primo impianto costruito dalla Steweag è stato l'impianto della Teigitsch ad una trentina di chilometri ad ovest di Graz, entrato in servizio nella primavera del 1925. Viene utilizzato un salto di 240 metri e la potenza attualmente installata è di circa 30.000 HP. La produzione annuale di energia è di circa 50 milioni di chilowattore.

La Steweag ha costruito inoltre un vasto sistema di linee di trasmissione e di distribuzione a 100.000, 60.000 e 20.000 Volt che si diramano nella Stiria per alimentare la città di Graz e gli importanti centri industriali delle valli della Mur e della Miirz e si estendono oltre il Semmering fino a Ternitz dove si trovano grandi stabilimenti metallurgici. Da Ternitz la doppia linea principale a 100.000 Volt sarà presto prolungata fino a Vienna.

Sul finire del 1925 la Steweag ha iniziato la costruzione di un nuovo grande impianto sulla Mur presso Pernegg a circa 40 chilometri a monte di Graz. Viene utilizzata una derivazione di circa 135 m.c. della Mur con un salto di 18 metri, una potenza installata di circa 27.000 HP e la produzione di circa 100 milioni di chilowattore all'anno. La costruzione di C!Uesto impianto eseguita da una impresa nella quale faceva parte principale una Ditta costruttrice italiana specializzata in tale genere di lavori, è proceduta rapidamente, cosicchè l'impianto poté essere messo in esercizio al principio del 1928.

Nell'estate del 1929 la Steweag ha concluso un contratto per la fornitura di una notevole quantità di energia alla città di Vienna e ha perciò deciso di procedere alla costruzione di un altro impianto sulla Mur a valle di quello di Pernegg analogamente allo stesso per una produzione annuale lorda di circa 100 milioni di chilowattore. I lavori saranno iniziati nell'autunno del 1929 e dureranno circa due anni. Contemporaneamente fu deciso di completare l'impianto della Teigitsch mediante un serbatoio di integrazione annuale e i lavori per la costruzione della diga relativa sono già in corso.

Complessivamente la Steweag ha investito in questi ultimi anni per la costruzione di impianti idroelettrici e di linee di trasmissione la notevole somma di circa

60.000.000 di Scellini, mentre per i nuovi lavori deliberati saranno ancora necessari nel prossimo biennio circa 25.000.000 di Scellini.

Ma la più importante delle concessioni possedute dalla Steweag è quella relativa alla utilizzazione del fiume Enns nel Gesause, con una caduta prevista di 200 metri, una installazione di circa 150.000 HP e una produzione annua di 600 milioni di chilowattore e si tratta pertanto del più grande impianto in Austria e uno dei più importanti in Europa. Per ottenere questa concessione la Steweag ebbe a suo tempo a trovarsi in concorrenza con altri aspiranti a questo progetto, ma dopo lunghe trattative il Governo Stiriano e il Ministero competente di Vienna, come pure il Verwaltungsgerichtshof con decisioni in data 24 Giugno 1919, 14 Giugno 1920 e 18 Gennaio 1921 diedero la concessione alla Steweag, riconoscendo essa fosse l'Ente più adatto per lo sfruttamento di questa forza idraulica.

E infatti la Steweag a mezzo dei suoi uffici tecnici specializzati ha provveduto a studiare questo progetto, mettendosi in condizione di poter procedere alla sua costruzione appena il fabbisogno di energia lo avesse richiesto, e impiegando quindi in questo importante progetto notevoli mezzi di energia e di denaro.

È opportuno notare che il Gruppo Finanziario Italiano aveva proposto già poco dopo la sua entrata nella Steweag di por mano alla costruzione dell'impianto dell'Enns, ed è solo per desiderio dei rappresentanti nel Consiglio d'Amministrazione della Steweag degli Enti pubblici ed industriali della Stiria che fu deciso invece dopo il compimento dell'impianto della Teigitsch di iniziare quello di Pernegg sulla Mur e di rimandare a più tardi la costruzione dell'Enns.

Nel Giugno 1926 venne a scadere il primo termine provvisorio a suo tempo fissato per la costruzione dell'impianto dell'Enns e la Steweag a norma della legge, delle prescrizioni contenute nell'atto della concessione e degli affidamenti a suo tempo avuti, presentò in tempo debito alle Autorità competenti domanda di prolungazione.

Il Governo Stiriano invece di dar corso sollecitamente a questa domanda, contrariamente agli impegni assunti, dopo alcuni mesi accolse nella primavera del 1927 la richiesta di un nuovo gruppo facente capo al Kreditanstalt fUr Verkehrsmittel A.G. di Berlino, mettendo pertanto questo gruppo in concorrenza colla Steweag in merito alla concessione dell'Enns.

La Steweag, trovandosi in legale possesso della concessione, non poteva accettare tale concorrenza giuridicamente inammissibile ed espresse il suo buon diritto con motivato ricorso al Governo Stiriano in data 13 Maggio 1927.

La Steweag ha a suo tempo ricevuto regolarmente la concessione dell'Enns

e ha mantenuto gli impegni assunti di studiare e presentare alle Autorità i relativi

progetti. Se la costruzione dell'impianto non è stata ancora iniziata, è perchè le

condizioni del mercato della energia elettrica in Austria non lo hanno consigliato

ed anche perchè i rappresentanti degli Enti pubblici nel Consiglio della Steweag

hanno insistito perchè fosse data la preferenza agli impianti della Teigitsch e della

Mur. Eseguendo questi impianti, la Steweag ha svolto in questi anni ininterrot

tamente il suo programma di utilizzazione delle forze idrauliche della Stiria, met

tendo a disposizione delle città e delle industrie tutta l'energia della quale avevano

bisogno. La Steweag, fidandosi sugli impegni del Governo, ha domandato il pro

lungamento dei termini contenuti nella concessione dell'Enns, riservandosi di ini

ziare la costruzione appena sarà opportuno. La Steweag inoltre è una Società che

si appoggia a potenti gruppi finanziari e sia per questo, sia per quanto già ha

fatto nella Stiria dà pieno affidamento sarà in grado di continuare lo svolgimento

del suo programma.

Nonostante le buone ragioni della Steweag, il Governo Stiriano cedendo alle insistenze ed alle promesse del Gruppo Tedesco con decisione in data 28 Giugno 1927, prese in considerazione le proposte della Kreditanstalt fiir Verkehrsmittel

A. G., dando condizionatamente a questo Ente la concessione dell'Enns e ledendo quindi gli interessi e i diritti della Steweag.

La Steweag fu quindi costretta in data 5 Agosto 1927 a presentare per il tramite del Governo Stiriano ricorso alla competente Autorità Ministeriale di Vienna contro la suddetta decisione, illustrando ampiamente la situazione giuridica e morale della Steweag in questa questione di grande importanza tanto ideale quanto materiale.

Nel mentre si attendeva questo ricorso venisse ad essere preso in considerazione, il Gruppo Tedesco, come era del resto prevedibile, non si trovava in grado di realizzare le promesse fatte e non poteva corrispondere alle condizioni poste nell'atto di concessione; per conseguenza col l Gennaio 1928 il Kreditanstalt fiir Verkehrsmittel veniva di nuovo a perdere la concessione stessa e dopo di aver inutilmente presentato ricorso per cercare di ottenere un prolungamento dei termini fissati, rinunciava a ulteriormente interessarsi in questa questione.

La concessione dell'Enns veniva quindi automaticamente di nuovo ad appartenere alla Steweag e solo il Governo Stiriano doveva procedere a prolungare i termini fissati per la costruzione.

Nonostante le sollecitazioni della Steweag il Governo Stiriano continuò a rimandare una decisione in merito, dando così possibilità al sorgere di altri gruppi concorrenti, che poterono solo con difficoltà essere eliminati.

Finalmente con decisione in data 28 Giugno 1929 il Governo Stiriano ha prolungato i termini della concessione, confermandola alla Steweag, ma alla condizione che questa a sua volta debba passarla immediatamente ad una nuova società da fondarsi con partecipazione del 60 % della Steweag e dèl 40 % della Provincia Stiriana.

Anche contro questa decisione, la Steweag ha dovuto in data 3 Luglio 1929 presentare ricorso, perchè in diversi punti di essa i diritti e gli interessi della Steweag non sono stati convenientemente considerati.

Intanto la Oweag (Oberosterreichische Wasserkraft-und Elektrizitats-A.G.) ha presentato in questi giorni al Ministero competente di Vienna un nuovo progetto in concorrenza col progetto della Steweag. Riguardo questo nuovo progetto le Autorità non si sono ancora pronunciate, ma la Steweag confida che non abbia ad essere utilizzato per rimettere di nuovo in discussione la questione della sua concessione sull'Enns, alla quale, in seguito alle promesse a suo tempo avute ed alle opere fino ad ora compiute, essa ha incontestabilmente diritto.

127.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA

L. 7364. Roma, 31 ottobre 1929.

Le allego copia dei telegrammi 355 a 358 da Vienna e copia del telegramma 103 P. R. Gab. di questo Ministero in risposta e copia dei telegrammi 360, 361 e 362 da Vienna (1).

V. E. ne informi il conte Bethlen, in linea confidenziale, e gli dica altresì essere nostra impressione ,che il cancelliere Schober sta perdendo un tempo veramente prezioso e rischiando, a mio avviso, di compromettere colla sua azione

temporeggiatrice, i risultati che l'Italia e l'Ungheria si attendono dall'attuale crisi interna austriaca (1).

Informi il conte Bethlen che lo terrò al corrente di tutte le notizie utili e che non riterrei inopportuno un suo personale intervento sul Cancelliere Schober per consigliarlo ad accelerare il ritmo della sua azione in senso più deciso.

(l) -Annotazione marginale di Grandi: • Approvato da S. E. il Capo del Governo cui ne ho dato visione stamane 31 ottobre 29 ». (2) -Manca. Ma si tratta con ogni probabilità del documento che si pubblica qui come allegato.

(l) Cfr, nn, 108, 112, 113.

128

IL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BUTI, AL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI

L. P. Parigi, 31 ottobre 1929.

Poche parole a complemento ed illustrazione di quanto è stato riferito al Ministero in questo ultimo periodo.

Ungheria. -Il rifiuto ungherese pieno e netto ha irritato la Piccola Intesa e ... anche la Grande. Ma, come ha esagerato Bethlen, hanno a loro volta esagerato, con la minaccia di non ratificare il Piano Young e di non collaborare ulteriormente ai lavori del Comitato, anche le Delegazioni della Piccola Intesa.

In ogni modo, nessuna decisione è stata o sarà presa contraria all'Ungheria. Niente rinvio quindi alla Commissione delle Riparazioni. (Forse la Piccola Intesa ricorrerà per ~onto proprio alla Commissione, ma gli effetti saranno completamente diversi). Nemmeno, giudizi o apprezzamenti sull'Ungheria contrari al suo atteggiamento. Resta il rifiuto di trattare, ma esso è stato deliberatamente voluto da Budapest; e Koranyi si è dichiarato soddisfatto dell'andamento delle cose, e ci ha ringraziati (2).

Piano Young e lavori del Comitato. -Francesi e inglesi sono decisi ad approvare e a mettere in vigore il Piano Young anche senza la Piccola Intesa. Ugualmente per quanto riguarda i lavori del Comitato, le due Delegazioni sono decise a non seguire i tre paesi protestatarì nei loro propositi.

• Ho avuto un colloquio con Schober sugli avvenimenti di domenica scorsa. Mi ha detto essere stato da essi provato quanto egli avesse avuto ragione nell'autunno 1929 impedendoalle Heimwehren di agire. Ho risposto essere io stato categoricamente di opinione che un'azione non avrebbe potuto qui compiersi con successo se non medmnte l'unione delle Heimwehren con tutte le forze armate del Governo. Appunto per ciò lo avevo tanto esortato ad osare in quell'autunno 1929 quando opinione pubblica era in attesa, i socialisti in spavento, le Heimwehren pronte a seguirlo ed egli, come Cancelliere, disponeva di tutti gli ordinamenti militari dello Stato •.

« Il reciso rifiuto del Governo ungherese di trattare qualsiasi soluzione la quale garan

tisca la Romania, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, che non avranno da pagare all'Ungheria

per la questione degli optanti somme maggiori di quelle che l'Ungheria dovrebbe pagare a

tutti gli Stati creditori dal 1943 in poi, minaccia di far andare in secca la conferenza. La

Piccola Intesa punta i piedi e non vuole aderire al Piano Young •·

Sulla questione dei beni ungheresi in Transilvania cfr. un promemoria di De Marsanich

per l'Ufficio Società delle Nazioni del 4 novembre, di cui si pubblica il brano seguente:

« La materia è per noi sempre assai delicata, date e l'estrema sensibilità ungherese in questioni consimili, e la funzione di equilibrio che, nei limiti del possibile, ci siamo proposti di esercitare nei rapporti ungaro-romeni. Ogni oculata misura rendesi pertanto necessaria; ma se difficoltà più gravi dovessero poi sorgere, parrebbe indispensabile tenere conto della particolare cordialità delle nostre relazioni politiche con l'Ungheria •.

Così per quanto riguarda il credito per spese di liberazione, siamo stati lealmente appoggiati da Francia e Inghilterra, e la richiesta per 14, rispettivamente 12 milioni, rivolta alla Cecoslovacchia apparirà come richiesta comune italo anglo francese, e come tale sarà presentata alla Conferenza. (C'è ora in più dell'Aja l'accordo anglo francese con noi, e nella richiesta di pagamento e nella cifra. Inoltre e naturalmente resta in piedi l'impegno francese dei tre milioni e mezzo a nostro favore).

Analogamente per tutte le altre questioni. In mancanza di meglio, Delegazione francese e Delegazione inglese presenteranno, insieme con noi, alla Conferenza, le proposte che, questione per questione, veniamo concordando in comune. A tali proposte si associeranno certamente le Delegazioni delle altre due Potenze invitanti, Belgio e Giappone, ed è sperabile quelle di altre Potenze minori.

Il tentativo di allargare la questione ungherese a tutti i lavori del Comitato resta così contenuto e ridotto quanto più possibile; e non è escluso che la determinazione mostrata possa indurre da ultimo i 3 Alleati minori a maggiore ragionevolezza.

Naturalmente la vertenza fra Ungheria e Piccola Intesa sarà ripresentata in ogni caso e in pieno alla prossima Conferenza e nel periodo preparatorio; e Titulescu e soci si sforzeranno di darle tutto il colorito politico possibile.

A questo proposito mi pare che sieno da tener presenti due fatti:

primo, che, se i francesi si sono acconciati finora (almeno in seno al Comitato, se non nella stampa) ad una linea di condotta press'a poco comune con la nostra nella questione ungherese (sicchè è stato possibile di evitare ogni decisione contraria all'Ungheria: e non è stata cosa agevole) le simpatie della Francia si mantengono per la tesi della Piccola Intesa; e non è quindi prevedibile se e fino s qual punto, tali simpatie potranno essere contenute anche all'Aja;

secondo, che gli inglesi sono nettamente d'avviso che occorra prendere un atteggiamento deciso in favore di una soluzione conciliativa della questione. Essi sono quindi disposti amichevolmente per l'Ungheria, ma contrari alla tesi del conte Bethlen.

Austria. -Lavoriamo sulla formula: non si può confondere un c regolamento • con una c rimessa di debito •; e sulla base di essa domandiamo che il Comitato unanimamente rinvii il problema delle riparazioni alla Conferenza, mentre cogli austriaci prepariamo i termini di una sistemazione a nostro favore dei debiti amministrativi. Per l'Austria, i più difficili sono gli inglesi; ma credo che riusciremo a spuntarla. Lo scopo nostro che era quello di guadagnar tempo e di ottenere che -sussistendo lo stato di cose attuale -esso continui ad esercitare la voluta pressione su Schober, sembrerebbe quindi raggiunto o in via di esserlo.

Faccio punto per oggi. Sia cortese di informare S. E. il Ministro e di porgergli gli ossequi di Brocchi e miei.

P. S.-Per quello che più direttamente ci riguarda nell'atteggiamento assunto dalla Piccola Intesa e cioè per le spese di liberazione, confermo che nell'atteggiamento di Osusky (nonostante, e oltre le dichiarazioni fatte) era, ed è, lo scopo di lasciare impregiudicata la questione per il nuovo Governo Czeco. La partita per il momento è rinviata, con in più, a nostro favore -come dicevo sopra -l'accordo anglo francese sulla cifra richiesta, e i 3 milioni e mezzo della Francia.

La Delegazione inglese ci ha informato confidenzialmente che la Tesoreria britannica è d'avviso che Bethlen sarà all'Aja più ragionevole che qui, e che il Governo britannico si dispone ad agire amichevolmente presso di lui perchè accetti di regolare parallelamente le due questioni degli optanti e delle riparazioni. Ha aggiunto, sempre in via confidenziale e personale, che sarebbe lieta se fosse possibile di intendersi con noi per procedere d'accordo. Il Governo inglese agirebbe però in ogni caso a Budapest, e così pure pare quello francese.

(l) Cfr. quanto telegrafò Auriti a Grandi due anni più tardi, il 17 settembre 1931, subito dopo il fallito tentativo insurrezionale di Pfrimer:

(2) Cfr. anche la l. p. di Brocchi a Ghigi, Parigi 26 ottobre 1929 della quale si pubblica il brano seguente :

129

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

[ ..... ottobre 1929] (1).

Allego (2):

l) Appunto dell'incaricato • Servizio Segreto Croati • circa forniture armi (pistole e munizioni) ai Croati per un totale di 400.000 circa. Al Pavelic è stato già comunicato benestare. Colle 120.000 inviate a Macek l'altro giorno, siamo già oltre il mezzo milione, ossia ho esaurito (anzi passo al deficit) le attuali disposizioni del fondo speciale Croazia, che è alimentato, come il Capo del Governo sa, dalla Polizia a 70.000 mensili. Circa le forniture di fucili, attraverso la frontiera ungherese, ritengo la cosa meno facile di quello che appaia al Pavelic e Trumbic.

Il Dott. Cortese che si trova a Budapest per la consegna della nota somma a Steidle ne parlerà col nostro Addetto Militare e possibilmente collo stesso Walko.

2) Rapporto Forges. È interessante, come il Capo del Governo vedrà. Io non condivido che in parte l'ottimismo rivoluzionario dei due fiduciari dell'insurre:lione croata Pavelic e Trumbic. Non siamo ancora vicini alla fase risolutiva del movimento croato. In questa gente c'è l'• entusiasmo •, ma non ancora l'istinto del rivoluzionario. Ad ogni modo c'è un indubbio progresso ed una maturazione, seppure lenta, nella situazione croata.

Il Ministro Gazzera (cui manderò in visione il rapporto di Forges) è tenuto al corrente della nostra azione. Non sarebbe certamente inutile che lo S. M. dell'esercito (è sperabile che lo faccia già, poichè ciò fa parte elementare della preparazione dell'esercito nel fronte orientale) intensifichi i suoi servizi d'informazione e i suoi studi. Richiamerò su di ciò la personale attenzione del collega Gen. Gazzera.

(l) -La data si ricava dall'accenno nel testo alla presenza a Budapest di Cortese, che vi giunse il 18 ottobre. (2) -I due allegati mancano.
130

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELL'AERONAUTICA, BALBO

L. P. Roma, [ ..... ottobre 1929].

Ho ricevuto la tua lettera del 4 corrente (l) con allegata la memoria rimessati da Von Brandenburg. Eccoti quanto ,io penso al riguardo.

È utile ed è bene che tu conservi questi rapporti, con una persona dell'autorità di Von Brandenburg, anche al di fuori dello stretto campo deUa tua competenza aeronautica. Può darsi, come ora del resto, che questo • canale • si addimostri utile a far sapere a Berlino qualcosa che non è opportuno far conoscere direttamente. In certi casi l'indiscrezione voluta a tempo debito, è uno degli espedienti più utili nel mobilissimo scacchiere dell'azione internazionale.

Per il caso presente, queste, presso a poco, dovrebbero essere le considerazioni che, in forma, oserei dire misteriosa, tu dovresti fare arrivare a Von Brandenburg:

• ..... Ho parlato a lungo col mio collega Ministro degli Esteri circa la questione che vi interessa. Il mio amico Grandi ha fatto subito studiare la cosa agli esperti e mi ha promesso che farà del suo meglio. Però debbo dirvi francamente che non ho trovato nel Ministro degli Esteri la buona volontà che speravo. Voi dovete rendervi conto che c'è tutta una situazione internazionale dalla quale non si può prescindere, e da cui procedono le istruzioni di massima, che le delegazioni diplomatiche all'Estero hanno dai Governi. La Germania fa tutto il possibile in ogni occasione per mettere il Governo italiano nella incresciosa necessità... dl non aiutarla. Ecco la verità. Vi è tutto un indirizzo generale da rivedere. Senza di ciò voi non dovete attendervi gran che dal Governo Fascista. L'Italia è amica coi suoi amici, ma niente di più. Ora la Germania non ha fatto mai nulla per guadagnarsi l'amicizia dell'Italia • (2).

Questo, e nient'altro, per ora, al signor Brandenburg. Vediamo cosa risponde.

131

L'INCARICATO DEGLI AFFARI D'ALBANIA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

SEGRETO. ..... (3).

Il rapporto del Comandante Lombardi (4) sull'Albania non può essere restituito dall'Ufficio a V. E. senza qualche osservazione.

Il rapporto, minuzioso nel riferire tutto quello che oggi si vede o si sente dire in Albania, non sembra altrettanto efficace in profondità. Il Comandante Lombardi non sembra rendersi conto della situazione storica che cova sotto le

chiacchiere degli albanesi, sotto le malignità ed i pettegolezzi, sotto le incertezze di alcune situazioni del momento e persino sotto la infedeltà e la mala fede attribuibili alla politica albanese.

Acuto e diffuso nel rilevare, non senza una certa compiacenza, questi aspetti esterni o superficiali di una impresa che ha indubbiamente i suoi lati rischiosi, il Comandante Lombardi non vede nè le radici nè le finalità della nostra azione. La così detta politica debole appare a lui come un intrinseco difetto organico della diplomazia italiana (quella diplomazia che tutti gli Italiani sono felici di mettere in ridicolo) senza accorgersi della forza che la nostra politica ha avuto ed ha di fronte ai tetzi. Egli non vede se non il fronte interno itala-albanese e lo trova debole; ma non si accorge che l'azione si svolge intanto sopra un altro fronte più vasto che è il fronte esterno cioè L'affermazione delL'Italia in Albania di fronte a tutte le altre Potenze. Tutto questo è settore oscuro anzi inesistente per lui. Se egli portasse uno sguardo su questo settore si accorgerebbe che le forze ed i mezzi sono là in piena tensione e che le linee sono state occupate una dopo l'altra con successo e sono tenute salde. In sostanza noi ci stiamo frapponendo fra l'Albania ed il mondo e stiamo obbligando il mondo a prendere atto che non si giunge all'Albania se non attraverso l'Italia.

È naturale che, mentre noi siamo spiegati in quadrato per fronteggiare le azioni dal di fuori, non possiamo lontanamente pensare a far levare dall'interno del quadrato voci di dissenso o di scompiglio che possano dare esca all'attacco esterno. Italia ed Albania debbono dunque mostrare ai terzi di filare in questo momento in perfetto idillio. In questo idillio, il maschio (che fortunatamente in questo caso è l'Italia) non può che simulare moderazione finchè teme che la dolce amica possa urlare sotto l'amplesso e chiamare la gente che sta dietro l'uscio ad origliare.

Il Comandante Lombardi non sembra accorgersi poi di un'altra più vasta sfera della nostra politica in Albania. Correndo dietro ai pettegolezzi del momento, non sente la grande ed immutabile pressione della storia e delle cose e cioè la funzione dell'Adriatico come fossato che divide genti e terre .opposte. L'Adriatico è la trincea che, in prosecuzione del Reno e delle Alpi, divide l'occidente dall'oriente. Su questa trincea gli uomini si batteranno in eterno. I più forti cercheranno di assicurare la resistenza e la funzione della linea piantando le loro gran guardie quanto più possibile al di là di essa.

Così Venezia, potenza navale, non si contentava di correre il mare o di guardarlo dalla inefficiente costa occidentale, ma oltrepassava le isole dell'altra sponda, occupava la terraferma e si accampava sui passi delle Alpi Dinariche per fronteggiare il Turco.

Organizzando le divisioni di Re Zogu per la guardia delle Alpi Albanesi, noi difendiamo l'Adriatico e teniamo la testa di ponte oltre il canale di Otranto. Se le divisioni albanesi ci saranno più o meno fedeli questo è un problema contingente, se pur grave; è un fatto od una eventualità di ordine esecutivo. Con esse o senza di esse, è sempre l'Italia che accampa sulle montagne dell'Albania, fronte ad Est: questo è il fatto storico.

Assicurando così la guardia dell'Adriatico, noi abbiamo dunque alimentato di uno spirito navale il nostro sforzo in Albania. Questo spirito navale non è soltanto adriatico, ma può chiamarsi anche mediterraneo. Se noi dobbiamo combattere nel Tirreno o nel Canale di Trapani, la possibilità di chiudere material

mente la porta dell'Adriatico e di concentrare le forze sul teatro principale delle

operazioni o sulltl vie indispensabili ai nostri rifornimenti, può avere effetti deci

sivi nella nostra storia.

Ora, per chiudere la porta dell'Adriatico, occorre avere in nostra mano i

due battenti: Otranto da una parte e Valona dall'altra. Solo a queste condizioni

è concepibile l'imbottigliamento della Jugoslavia e la libertà d'azione della nostra

flotta nel Mediterraneo.

Il Comandante Lombardi non accenna a nessuno di questi fattori navali nel

peso del giudizio che egli emette sulla nostra azione in Albania. Egli dice che

l'impresa è ardua e costosa: • ma non sarebbe più possibile ritirarcene senza

subire un grave scacco morale e delle ingenti perdite materiali •. L'ideale sarebbe

stato dunque non imbarcarsi in questa impresa e rimanere fermi sullo sgombero

di Valona del 1920! In via subordinata l'ideale sarebbe di ritirarci, ma si avreb

bero ingenti perdite materiali e si subirebbe uno scacco morale. Ed allora non

resta che continuare alla meno peggio, quasi per non confessare di avere sba

gliato, e correggere la situazione con qualche colpo di bastone, all'austriaca.

Con questo spirito il Comandante Lombardi guarda l'altra sponda dell'Adria

tico e riferisce allo Stato Maggiore della Marina.

(l) -Cfr. n. 45. (2) -A questo punto la minuta conteneva la seguente frase, poi soppressa: • Anzi ha fatto precisamente il contrario, in ogni occasione.... •. (3) -Una annotazione del documento fa presumere che esso sia stato redatto da Lojacono il 23 ottobre. (4) -Annotazione marginale: • diretto al Capo di S. M. della Marina, al quale è stato restituito ».
132

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. CONFIDENZIALE 250. Roma, 2 novembre 1929.

Ti unisco copia della nota n. 2411/29 del 27 ottobre di Sua Eminenza il Cardinale Segretario di Stato che ho già avuto l'onore di presentarti di presenza, e della nota mia n. 250 in data d'oggi che risponde in conformità delle istruzioni avute su mia proposta da te e da S. E. il Capo del Governo.

ALLEGATO J.

GASPARRI A DE VECCHI

N. 2411j29. Dal Vaticano, 27 ottobre 1929.

Facendo seguito alle tre Note rimesse il 23 corrente da Monsignor Borgoncini Duca, Nunzio Apostolico presso Sua Maestà il Re d'Italia, a S. E. l'On. Grandi Ministro degli Affari Esteri, mi permetto di richiamare a mia volta l'attenzione dell'E.V. e del R. Governo su alcuni rincrescevoli fatti segnalati alla S. Sede e purtroppo non isolati.

I -Alcune Autorità dei RR.CC. hanno diramato ai capi delle Stazioni dipendenti una circolare nella quale si richiedono minutissime informazioni su la persona e l'opera dei Sacerdoti tutti della Zona, ingiungendo che si indaghi accuratamente non solo sulle loro generalità, uffici, attività, ma perfino su i loro sentimenti.

II -In una circolare emanata da un Comitato Provinciale dell'Opera Nazionale Balilla, si asserisce che da parte dell'Azione Cattolica si fa il massimo sforzo per tentare di riprendere il monopolio della educazione della gioventù che il Fascismo vuole ad ogni costo sia ad esso deferito, e si dispone che • Ogni Comitato Comunale

13 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

deve partecipare con tutte le sue forze e la maggiore buona volontà a questa battaglia, la cui vittoria, consistente nel più ambito e più importante dei compiti che il Fascismo si propone, deve rimanere assolutamente nel Fascismo •. Bisogna quindi mirare alla totalitarietà -dice la Circolare -• tutti i giovani devono essere inquadrati nelle nostre file, nessuno deve sfuggire al nostro controllo •. Nella stessa Circolare si legge pure: • i nostri antagonisti conducono la propaganda con larghezza di mezzi e con decisione • e si domanda • una relazione sulle attività del clero nei riguardi delle organizzazioni giovanili •.

III -Con altre Circolari della Autorità dei RR. CC. si ordina una nuova inchiesta sulle Associazioni di Azione Cattolica. Tale inchiesta deve essere collegata colle precedenti ma le informazioni devono essere più numerose e più minute, e devono riguardare particolarmente gli studenti di Scuole Medie. Si chiede l'indicazione esatta per ciascun comune • dell'Associazioni o Enti della Gioventù Cattolica in esso esistenti, di qualunque natura essi siano (F.U.C.I. -Ricreatori Circoli Parrocchiali -Culturali o di divertimento -Associazioni sportive -Federazione Diocesana -Segretariati per gli studenti, ecc.) •. Si aggiunge di riferire poi accuratamente con successiva nota, quanto si sarà venuto a conoscenza circa l'attività dei menzionati enti.

Tali notizie hanno prodotto penosa impressione al Santo Padre, il quale ha voluto che me ne rendessi interprete coll'E.V., perchè, se queste inchieste partissero da istruzioni trasmesse dall'Autorità Centrali, esse dimostrerebbero nel Governo una diffidenza non solo inesplicabile ed ingiusta verso ottimi cittadini, ma inoltre contrastante con le direttive che dovrebbe dare un Governo concordatario, come certamente contrastante coll'art. 43 del Concordato.

ALLEGATO II. DE VECCHI A GASPARRI

N. 250. Roma, 2 novembre 1929.

In risposta alla nota 2411/29 del 27 ottobre della Eminenza Vostra, ho l'onore di assicurare di aver segnalato al R. Governo quanto ne forma l'oggetto.

Mi è gradito ora assicurare la Eminenza Vostra che nè le Autorità Centrali nè necessariamente gli organi decentrati hanno emanato od emaneranno disposizioni di sorta che contrastino comunque con le norme concordatarie in genere e con l'art. 43 del Concordato in ispecie.

Per potermi mettere in condizioni di rispondere sulle accennate circostanze di fatto è necessario che la Eminenza Vostra si compiaccia di volermi precisare circostanze di tempo di luogo e di persone.

133

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. (1). Roma, 2 novemb1·e 1929.

Trasmetto a V. E. gli uniti telegrammi del Capo della Missione italiana per

la delimitazione dei confini Somalia-Somaliland.

Col telegramma 111 il Cav. Cerulli comunica i risultati ottenuti con i rilievi

topografici : e non resta a questo riguardo· -mi sembra -se non di prendere

atto della comunicazione, in attesa che la Commissione esamini le questioni poli

tiche relative a Boran.

Con i telegrammi 114 e 115, come V. E. rileverà, il Cav. Cerulli dà informazione della questione sorta per stabilire il punto d'inizio della frontiera della Somalia Britannica con l'Etiopia, e per ciò stesso il punto iniziale, dal lato dell'Abissinia, dei lavori di delimitazione.

Il Capo della Missione Britannica ha esposto il punto di vista del suo Governo, dichiarando che esso considera l'incrocio del 4So meridiano con l'So parallelo come punto iniziale della frontiera Somaliland Etiopia.

Il Cav. Cerulli ha obiettato che nella delimitazione ora in corso non potevansi includere dichiarazioni riguardanti le frontiere di un terzo stato estraneo alle odierne trattative, aggiungendo che in ogni modo Inghilterra ed Italia con l'accordo Grey-Bosdari del 19 marzo 1907, avevano reciprocamente riconosciute in proposito alcune posizioni ben diverse da quelle cui aveva accennato il Maggiore Strafford. Cerulli dice, poi, nel suo n. 115, potrebbe forse apparire soddisfacente la soluzione di limitare i lavori dell'attuale Commissione all'incrocio del 4So meridiano con l'So parallelo, procedendo previamente ad uno scambio di note col quale i due Governi si riserverebbero di fissare sul terreno ogni altro eventuale tratto di frontiera che risultasse comune dopo le rispettive delimitazioni dei confini con l'Etiopia; ma osserva allo stesso tempo che, a prescindere da ogni eventuale e probabile difficoltà che ne sorgerebbe nei riguardi dell'Etiopia, comunque il Governo Britannico verrebbe così a determinare di essere confinante con l'Abissinia stessa nel tratto dall'incrocio del 4So meridiano con l'So parallelo, sino a quello del 47° con l'So stesso, e intenderebbe quindi di applicare a quel tratto di frontiera il regime dell'accordo Renne! Rodd-Maconnen del 14 maggio-4 giugno 1S97.

Riassunta così la questione come è stata posta dal Capo della Delegazione Britannica e secondo il parere espresso dal Cav. Cerulli, conviene riesaminarla ora fondamentalmente.

Non c'è dubbio che, dovendosi delimitare il confine con il Somaliland, si debba anche stabilire da qual punto parta la frontiera comune dal lato dell'Abissinia. Ma la difficoltà sorge precisamente dalla incertezza del confine nostro con l'Etiopia: incertezza ben nota a V. E.

Adottare la soluzione di limitare i lavori fino all'incrocio del 48° meridiano

con l'Bo parallelo, previo lo scambio di note accennato dal Cav. Cerulli, potrebbe

con tutta probabilità compromettere la questione del nostro confine con l'Abis

sinia: sia che, secondo il pericolo prospettato dal Cerulli, l'Inghilterra chiedesse

o provocasse l'intervento dell'Abissinia nei negoziati attuali, per la determinazione del punto iniziale di confine comune ai tre Stati; sia che tale intervento non avvenisse, ma la soluzione adottata fosse successivamente invocata dall'Abissinia in appoggio di una sua tesi a noi sfavorevole.

Non sembra fondata la considerazione del Cav. Cerulli relativa alla futura applicazione, in questo caso, del regime dell'accordo Renne! Rodd-Maconnen al settore a sud dell'So parallelo compreso tra il 4S0 e il 47° meridiano: lo scambio di note Renne! Rodd-Maconnen, infatti, determina diritti di pascolo delle tribù inglesi del Somaliland in territorio etiopico ad occidente dell'incontro del 47o di longitudine est coll'So di latitudine nord, ma non ad oriente; e ciò perchè detti diritti di pascolo sono stati dall'Abissinia concessi su di una zona, che secondo il protocollo anglo-italiano del 5 maggio 1S94, era d'influenza inglese, mentre la

zona ad oriente cui accenna il Cerulli (a sud dell'So tra il 47° ed il 48°) è -se

condo il detto protocollo -di influenza italiana.

L'Inghilterra non potrebbe quindi, neppure nella ipotesi fatta dianzi, preten

dere di applicare il regime dell'accordo Renne! Rodd-Maconnen a tale settore.

Tuttavia, come ho già detto, la predetta soluzione non cessa, per quanto

sembra a me, di essere pericolosa per la determinazione dei nostri confini con

l'Etiopia.

D'altra parte, io credo che non sia possibile d'invocare efficacemente nei confronti del Governo Britannico i nostri accordi con l'Etiopia relativi ai confini della Somalia, e cioè quelli del 1S97 e del 190S; i quali lasciano, l'uno e l'altro, nella massima incertezza anche sul punto iniziale della frontiera. Nell'accordo del 1S97, richiamato da quello del 190S, vi è infatti una palese contraddizione tra quanto si dice circa il punto iniziale della frontiera e quanto poi si afferma circa la distanza dalla costa, stabilita in 1SO miglia; giacchè le due indicazioni non coincidono affatto. Non è dunque facile superare la difficoltà che si presenta, dovendosi risolvere il problema di fissare da quale punto debbansi iniziare i lavori, senza fare alcuna dichiarazione compromettente nei riguardi dell'Abissinia, e cercando soprattutto di evitare in qualunque modo l'intervento di questa nei negoziati.

A mio credere la miglior tesi da sostenere sarebbe questa.

L'accordo Renne! Rodd-Maconnen, senza tener conto dell'occupazione nostra della Somalia, pur avendo citato il protocollo del 5 maggio 1S94, nella prima nota scambiata tra Renne! Rodd ed il Governatore di Harrar, ha stabilito che la frontiera Anglo Etiopica dal punto d'intersezione del 47° longitudine est coll'So latitudine nord segue la linea del protocollo 1894 sino al mare.

Ad est di questo punto, quindi, la linea del protocollo suddetto, che deve essere la base unica per i negoziati in corso, si identifica con i confini EtiopiaSomaliland; e, reciprocamente, ad ovest del punto stesso la linea del protocollo è invece sostituita da quella del confine anglo-etiopico, che si spinge più a nord. Sembra quindi che sia proprio fino a questo punto che il confine Somalia-Somaliland deve essere delimitato, senza che occorra tener conto della posizione italo-etiopica. A ciò deve anche aggiungersi che l'accordo Grey-Bosdari 19 marzo 1907, come ricorda Cerulli, ha fatto espresso accenno a diritti nostri fino a Curmis, località che è ad ovest del 47° meridiano e quindi molto più addentro di quel punto d'intersezione.

Pertanto, quello indicato -e cioè il richiedere che la delimitazione cominci dall'intersezione del 47o meridiano coll'So parallelo -mi sembra forse l'unico modo, per le ragioni suesposte, sia di evitare dichiarazioni riguardanti l'Etiopia, sia di [non] compromettere la nostra futura linea di condotta nei confronti di quest'ultima.

Gradirò di sapere se V. E. concordi con me in tale avviso, ed in ogni caso di conoscere, con la massima cortese sollecitudine, quali siano le Sue determinazioni sulla questione, affinchè io possa dare le conseguenti istruzioni al Cav. Cerulli, al quale che fa tanto bene sembra naturale affidare l'incarico di manifestare il punto di vista del R. Governo, salvo, qualora poi se ne manifesti la necessità

o l'opportunità, a trattare la questione col Governo Britannico, se non si possa raggiungere l'accordo attraverso la Commissione dei confini.

Ritengo infine di far presente all'E. V. come l'attuale questione lasci sorgere il dubbio se in un tempo, certo non prossimo, ma non eccessivamente lontano, per quanto, ben inteso, dopo la delimitazione del confine Somalia-Somaliland, non debbasi affrontare il problema della delimitazione della fro:1tiera Somalia Etiopia; delimitazione che finora si è riconosciuto opportuno di rinviare, ciò che però temo non possa durare indefinitamente.

Non è questione che vada risoluta in questa sede. Ho voluto accennarla qui, soprattutto per quei riflessi che essa può avere sulla politica di confine seguita nella Somalia d'accordo con codesto R. Ministero.

(l) Il telespresso reca tre numeri di protocollo: 6311, 6254, 6253.

134

L'AMBASCIATORE A MOSCA, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4307/378. Mosca, 3 novembre 1929, ore 18 (per. ore 22).

Rivedendo ieri Litvinoff dopo cinque mesi egli menzionò i molti fatti importanti verificatisi durante l'estate e precisamente: avvento potere laburisti Inghilterra, conferenza dell'Aja, mutamento costellazione politica in Europa con scioglimento intesa franco-britannica e tentativo di intesa itala-francese, accordo anglo-americano per riduzione degli armamenti navali, proposta Italia alla Francia procedere pure ad una intesa al riguardo, nonchè scomparsa Stresemann. Egli mi disse aver saputo che l'Italia e Francia stavano discorrendo per regolare varie loro divergenze politiche. Osservai che la cosa era notoria ed aveva formato persino oggetto di dichiarazioni del Capo del Governo italiano al senato. Litvinoff mi chiese quindi se l'Italia crede realmente possibile accordo con la Francia sulla base parità navale e se tale suo punto di vista corrispondesse alle vere intenzioni del Governo. Risposi che Italia era molto sincera nell'augurarsi di poter raggiungere accordo navale con la Francia e che non riuscivo a comprendere come mai egli potesse porre in dubbio serietà punto di vista italiano. Litvinoff osservò anche che se noi avessimo insistito su parità navale con la Francia essere certo che non avremmo raggiunto accordo con Francia e parve molto soddisfatto di questa sua osservazione.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4308/379. Mosca, 3 novembre 1929, ore 17,10 (per. ore 22).

Litvinov mi parlò del conflitto sovietico-cinese col solito disprezzo che egli ostenta parlando dell'Estremo Oriente, osservando che le posizioni sono immutate e che i due contendenti stanno di fronte facendosi la guerra sopratutto a base di carta. Alla mia osservazione che occorreva peraltro risolvere una volta o l'altra conflitto, Litvinov rispose che i cinesi si trovavano in una situazione di politica interna che peggiorava ogni giorno, il che costituiva un indubbio vantaggio per URSS.

Avendo espresso personale opinione che fosse stato un errore attribuire al Governo di Nanchino una forza che in realtà esso non aveva, Litvinov osservò che tale errore era commesso da Inghilterra e America.

Egli mi chiese quindi se fosse esatto che Italia avesse rinunziato alla extraterritorialità in Cina, gli spiegai stato delle cose, Litvinov osservò che sembrava realmente prematuro rinunziare alla extraterritorialità in un Paese che stava attualmente trattando cittadini sovietici arrestati nel modo più barbaro ed indegno.

Non potei esimermi dal dirgli che sapevo ciò che fosse la giustizia cinese e che mi compiacevo di sentire dalla sua bocca parole che suonavano completa approvazione della politica seguita in Cina dalle potenze così dette imperialiste.

136

RELAZIONE DELL'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE (l) APPUNTI SULLA POLITICA INTERNA AUSTRIACA

4 novembre 1929.

I. Le • Heimwehren • non sono oggi in grado di fare una rivoluzione ed è difficile che lo siano in avvenire.

l) Per difetto di origine. Non ebbero infatti un'origine comune. Nacquero nel 1918-19 in Carinzia per la difesa contro i tentativi di invasione jugoslava, ed in Tirolo come manifestazione organizzativa di ufficiali reduci dal fronte. Sotto quest'ultima spinta si organizzarono gradatamente anche negli altri • Lander • e conservarono carattere e direzione regionale. Solo le sommosse viennesi del luglio 1927 fecero accettare alle varie organizzazioni regionali la direzione suprema del capo delle • Heimwehren • tirolesi dott. Steidle, il quale dovette darsi come sottocapo, il capo delle Hw. stiriane dott. Pfrimer. Il carattere regionale delle sotto-organizzazioni non è, per altro scomparso: è di circa un (2) mese fa l'annuncio delle Hw. del Voralberg che esse non avrebbero partecipato ad un'azione collettiva delle Hw. austriache ma, tutt'al più non avrebbero impedito ai militi di parteciparvi volontariamente e singolarmente. Malgrado le ripetute assicurazioni circa i buoni rapporti tra Steidle e Pfrimer, è abbastanza chiaro che il primo può esser trattenuto dal consigliare un'azione energica collettiva per evitare il pericolo che la propria supremazia non venga compromessa dall'indifferenza dei suoi più diretti dipendenti, i tirolesi, reclutati nell'elemento agrario e nettamente conservatore, a favore di Pfrimer, il quale vanta in Stiria ed in Carinzia un seguito più combattivo reclutato anche tra l'elemento operaio e tra i minatori.

2) Per difetto di costituzione. L'organizzazione a tipo militare, diretta da

ex-ufficiali di carriera, ha giovato alla propaganda del movimento perchè ha

soddisfatto il « gusto delle parate • congenito nelle popolazioni germaniche, ma

ha tolto al movimento, impastoiandolo tra i regolamenti e le esercitazioni, ogni slancio. Le Hw. sono cioè preparate più a far parte di un esercito che a fare una rivoluzione.

(Alla fine di marzo, in seguito ad uno dei soliti incidenti domenicali la Direzione Generale delle Hw. diramava un ordine in cui tra l'altro si diceva « Dovunque in avvenire si compiano grossolane provocazioni contro camerati delle Hw. isolati od in colonna, non bisogna aspettare che esse giungano alle vie di fatto, bensì ogni capo delle Hw. è obbligato ad intervenire immediatamente con i mezzi più rudi prima che ai nostri camerati venga arrecata offesa corporale •. L'ordine rimase lettera morta e le Hw. dovettero continuare a vantare il proprio spirito di disciplina per giustificare la passività nei confronti delle aggressioni socialiste).

3) Perchè divise da particolarismi regionali e per la mancanza di una eguale spinta ideale. La lotta contro la social-democrazia è infatti indirettamente sentita nelle varie provincie periferiche e nella capitale, più nelle prime che in quest'ultima. Molti sono coloro che non credono alla possibilità che le Hw. si saldino in forza di un nuovo nazionalismo • piccolo-austriaco •. I particolarismi regionali sono stati troppo alimentati in 10 anni di ristrettezze economiche e di disorientamento e l'idea madre di una futura annessione alla Germania ha scalzato profondamente un sentimento di solidarietà che, del resto, ai tempi della monarchia trovava le sue origini nella necessità di resistere alle nazionalità diverse dalla germanica che componevano quest'ultima. Del motto di battaglia delle Hw. • contro uno Stato di partiti e per uno Stato corporativo • solo la prima parte è sentita; la seconda è troppo complessa ed ancor lontana dalla realizzazione per essere oggi popolare.

(Il progetto governativo di riforma costituzionale ora allo studio pur accettando il principio di trasformare il Consiglio Federale in Camera mista federale e corporativa rimanda la soluzione pratica a tempi migliori).

II. Come movimento di massa le Heimwehren sono degne di fiducia e di appoggio.

l) Perchè concretano in una forma regolare di protesta i malcontenti di varia natura esistenti tra la popolazione e sopratutto quello contro la dittatura rossa di Vienna.

2) Perchè possono fornire alla maggioranza parlamentare il mezzo di combattere la minoranza social-democratica su un terreno diverso da quello consentito dalla Costituzione del 1920 la quale mette i partiti borghesi nell'impossibilità di opporsi validamente alla scalata dei socialisti al potere.

3) Perchè i reparti della • Technische Nothilfe •, (Truppe tecniche ausiliarie) delle Hw. danno affidamento di potere notevolmente limitare gli effetti di uno sciopero generale che la socialdemocrazia potesse sentirsi tentata di organizzare.

III. Alle • Heimwehren • come formazione di battaglia si oppone lo • Schutzbund • social-democratico il quale ripete il difetto del militarismo già segnalato per le Hw., ha l'aggravante della vigliaccheria dei capi, ma il vantaggio di essere quasi tutto concentrato a Vienna, mentre le Hw. sono sparse nelle provincie, e, come si è detto, di difficile mobilitazione.

IV. Ne consegue che le Hw. -e di questo i capi mostrano di avere precisa convinzione -possono sperare nel successo di un'azione di piazza solo se coadiuvate dall'esercito e dalla polizia. Perciò le Hw. danno ora alla minaccia di una

• -marcia su Vienna • un valore figurato intendendo, essi dicono, alludere alla graduale conquista delle masse della capitale. In tal senso si espressero i capi delle Hw. nei discorsi tenuti il 29 settembre u. s. nelle assemblee svoltesi intorno a Vienna. V. -L'ascensione delle Hw. è stata notevolmente facilitata dall'aiuto fornito da uomini di governo i quali, in compenso, se ne sono assicurato il controllo. L'ha sopratutto facilitata la triade Seipel-Schober-Vaugoin. Fu Seipel che rese popolari le Hw. in seno al partito cristiano-sociale dichiarando al congresso degli industriali a Gratz, nell'inverno scorso, di essere assolutamente favorevole a quel movimento. L'appoggio di Seipel cessò soltanto, per quanto riguarda le pubbliche manifestazioni, allorchè Schober assunse il Cancellierato. Vaugoin è ora succeduto a Seipel nella propaganda verbale a favore delle Hw. Tutto ciò, va detto, pur non trascurando gli eventuali aiuti materiali che Seipel ha procurato alle Hw. attraverso i circoli industriali.

VI. In conseguenza sembra attualmente impossibile spingere le Hw. a fare cosa che non concordi con la volontà del Cancelliere.

VII. Schober non acconsentirà mai a prendere, in qualità di Cancelliere, disposizioni energiche a carico della social-democrazia le quali non siano perfettamente corrispondenti alle leggi vigenti. Glielo impedisce la sua mentalità di funzionario. Anche di questo i capi delle Hw., a quanto mi hanno ripetutamente affermato, sono pienamente convinti. Schober potrà tutt'al più eseguire gli ordini che dovesse dargli un Cancelliere più spregiudicato di lui, qualora la sua opera di Prefetto di polizia fosse necessaria per l'esecuzione di essi.

VIII. Malgrado l'ottimismo di Schober e degli attuali circoli governativi è molto difficile che i socialisti finiscano con l'accettare i punti più importanti e sostanziali della riforma costituzionale poichè essi sono evidentemente diretti al loro danno e mirano anche a privarli delle risorse viennesi, le quali rappresentano la cassa del partito. In quest'ultimi giorni, assenti da Vienna tanto lo Steidle che il Pabst, negli ambienti più vicini alle Hw. si costruiva il seguente piano: allorchè la sottocommissione parlamentare costituzionale avrà accertato l'impossibilità di giungere ad un accordo di conveniente compromesso con la socialdemocrazia, Schober si dimetterà. I capi delle Hw., i quali preferiscono non compromettere oltre misura il Vaugoin, imporrebbero la ricostituzione di un governo sotto il Cancellierato Rintelen (l'attuale capitano provinciale della Stiria). Questi dovrebbe, nel giro di pochissimi giorni, superare la resistenza social-democratica con un atto non costituzionale imponendolo alla minoranza con l'aiuto eventuale dell'esercito e della polizia. Resta però da vedere se Schober acconsentirà ad un tale progetto: allo stato attuale delle cose tutto lascia credere che egli sia deciso, e conosce abbastanza il meccanismo delle Hw. per poterlo fare, a seguire vie assolutamente legali anche a costo di gravi rinuncie a favore della social-democrazia.

IX. Esprimo l'impressione personale che, per la sua stessa mentalità e per le sue pretese di assoluta rigidità, lo Schober difficilmente si deciderà a fare nette dichiarazioni in favore dell'Italia. Circa tre settimane fa gli feci chiedere una intervista ponendogli, tra le altre, le seguenti domande:

Come giudica ella, sulle basi delle sue osservazioni, i risultati che il Fascismo ha ottenuto e può ottenere come sistema di governo?

Crede Ella che i rapporti tra l'Austria e l'Italia siano suscettibili di un ulteriore miglioramento ed in qual senso? Quali sarebbero in tal caso le materie di trattativa?

Secondo l'attuale costituzione federale la politica estera della Repubblica è mansione esclusiva del governo federale: non crede Ella che la stretta osservanza di questa disposizione anche da parte di singoli funzionari provinciali, faciliterebbe gli amichevoli rapporti tra l'Austria e l'Italia?

Come Ella sa, il governo Fascista annette grande importanza al fatto che ai rapporti amichevoli tra i governi corrispondano quelli parimenti amichevoli tra le rispettive popolazioni. Può dirmi Ella come giudica l'attuale stato d'animo della popolazione austriaca nei riguardi dell'Italia?

Pur avendo avvertito che io non intendevo mettere in difficoltà il Cancelliere e che la m1a intervista avrebbe avuto soltanto lo scopo di consentirgli di parlare direttamente all'opinione pubblica italiana sulle colonne del Popolo d'Italia, fino al 30 ottobre scorso, data della mia partenza da Vienna, non mi era giunta alcuna risposta.

X. Ripetutamente ho chiesto a Steidle e a Pabst se essi contano in un ritorno di Seipel alla politica attiva ed in qual forma. La loro risposta è stata evasiva: mi hanno accennato alla .opportunità che Seipel stia in questi giorni lontano dal Parlamento e dalla Commissione parlamentare costituzionale • per avere un alibi •. È per altro notevole il fatto che proprio giorni fa il Neues Wiener Journal, il giornale delle Hw. a Vienna, levava un inno a Seipel. Sul prossimo ritorno di quest'ultimo alla vita politica attiva, e, se la Santa Sede lo consente, sulla sua ascensione alla carica di Presidente della Repubblica austriaca, vi è da contare o, per lo meno, molti in Austria vi contano.

XI. Malgrado tutte le private attestazioni di simpatia le Hw. si sono anche esse astennte finora da pubbliche manifestazioni che chiariscano le loro idee in fatto di politica estera. Lavorano, come meglio possono, a sedare eventuali preoccupazioni straniere. Per dichiarazione del Pabst le Hw. credono di aver già tranquillizzata la Legazione francese a Vienna (con la quale sono in rapporto per tramite del Consigliere di Legazione Barois) facendo affermazioni anti-annessioniste. Il 28 ottobre scorso Steidle ai giornalisti stranieri, riuniti al Grand Hotel di Vienna per una bicchierata offerta dalle Hw., dichiarava che prossimamente comunicherà alla stampa le direttive dell'organizzazione in fatto di politica estera. C'è da temere che queste direttive si facciano attendere. La posizione delle Hw. è infatti, a tal riguardo, delicatissima, ma non è da escludere che i capi sfruttino la situazior>e per sottrarsi ad affermazioni che potrebbero comprometterli in confronto ai tirolesi, per quanto riguarda l'Alto Adige; all'annessione, per quanto riguarda la Germania.

XII. Per tutto quanto riguarda la politica estera Steidle e Pabst si sono messi a fianco un funzionario del Dipartimento degli Esteri austriaco: il signor Alexlch. Lo frequento da circa due mesi: è soggetto del quale sarà bene diffidare moltissimo, pur non allontanandolo.

XIII. È raccomandabile-mi si consenta l'espressione-di usare la massima prudenza r..elle eventuali relazioni dirette e per quanto riguarda gli eventuali appoggi alle Hw. È il caso di ricordare che circa un anno fa i socialisti riuscivano a svaligiare l'ufficio delle Hw. provinciali di Gratz e molti documenti allora sottratti furono pubblicati nella primavera scorsa dalla Arbeiter Zeitung (1). Vi è da ricordare altresì che il Pabst -che io reputo il capo più intelligente ed attivo è prussiano: egli si rifugiò in Austria dopo il fallimento del Putsch Kapp alla preparazione del quale aveva preso parte.

XlV. Da ultimo, a chi vive a Vienna vicino agli attuali avvenimenti, appare chiaro che ormai la maggioranza parlamentare non può ritirarsi dal movimento verso destra, a meno di non dare partita vinta ai socialisti. La ricerca di appoggi morali in Italia è evidente, ma negli ultimi giorni di ottobre ebbi l'impressione che tanto lo SteidlE' che il Pabst cercassero di rendersi un po' più preziosi.

XV. Le mie relazioni con i dirigenti delle Hw. (Steidle Pabst Alexich, ecc.) sono sempre ottime. Essi mi considerano anzi un elemento di collegamento con le nostre sfere ufficiali. È evidente che se tutto quanto ho creduto di prospettare sopra, per debito di coscienza e del mio ufficio, dovesse anche lontanamente ed indirettamente venire a conoscenza dei suddetti signori, tali relazioni praticamente si romperebbero.

(l) -Annotazione a margine di Grandi: «Dal Dr. Morreale nostro fiduciario a Vienni:l >. (2) -Corretto a matita in due.
137

IL SENATORE SCHANZER AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Roma, 5 novembre 7929.

Ml permetto di fare omaggio a V. E. di un mio articolo pubblicato nella

Nuova Antologia (2).

Non mi faccio l'illusione che la teoria, dell'abuso dei diritti nei rapporti fra le nazioni, della quale mi occupo nell'ultima parte dell'articolo, possa essere facilmente accettata dalle potenze imperialistiche detentrici delle materie prime; ma è una dottrina che, a mio avviso, può avere per noi qualche utilità come mezzo polemico nelle discussioni internazionali (3).

gia> , l o novembre 1929, pp. 17-32. •

Grandi osserva che scopo della prossima conferenza navale di Londra non sarà già il disarmo bensi quello di fissare una gerarchia fra le Potenze: per questo motivo l'Italia non può rinunciare alla parità con la Francia. Notevoli i mutamenti nella politica estera inglese in seguito all'avvento al potere dei laburisti, che avrà per l'Italia conseguenze positive: l'intesa cordiale anglo-francese è finita, e ciò rimette in movimento la situazione internazionale che Locarno aveva resa fissa, statica e stagnante; ne derivano nuove possibilità per la c politica necessariamente dinamica e necessariamente mutevole dell'Italia. È una grande illusione quella di credere che il Governo inglese conservatore fosse sinceramente amico dell'Italia fascista •; negli ultimi cinque anni Londra ha subito la politica italiana c e quando non l'ha ostacolata è perchè ha avuto paura del peggio.; Londra, trascinata a rimorchio da Parigi, è stata ostile alla politica fascista nei Balcani; occorre che l'Italia guarisca della c filfa • inglese, dominante in questi anni, come in passato c'era stata quella per la Germania e quella per la Francia; l'Italia deve fare una politica autonoma e abituarsi • a fare a meno anche dell'illusione dell'amicizia inglese ». Anche la morte di Stresemann è un fatto positivo per l'Italia.

(l) -Cfr. Serie VII, vol. VII, p, 550 nota 2. (2) -Cfr. C. ScHANZER, Sovranitd e aiustizia nei rapporti fra gli stati, in • Nuova Antolo

(3) Si pubblica qui di seguito un breve riassunto dei principali passi di una • Relazione al Consiglio dei Ministri 5 novembre 1929 sulla politica internazionale in genere •. La relazione, firmata da Grandi e indirizzata a Mussolini, fu microfilmata dagli Alleati dopo la seconda guerra mondiale. La copia da noi usata è quella conservata a Washington presso i Nationa! Archives, nella miscellanea • Personal Papers of Benito Mussolini, Together With Some Official Records of the Italian Foreign Office and the Ministry of Culture, 1922-1944 • (container 1295, nn. 112722-112742). Un accenno alla relazione in A. CABSELS, Mussolini's Ear!y Dip!omacy,Princeton, 1970, p. 314.

138

IL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) RR. 133/183. Budapest, 6 novembre 1929, ore 16,05

(per. ore 19).

Ho fatto Bethlen, rientrato soltanto stamane da breve assenza, comunicazione di cui alla lettera di V. E. n. 7364 del 31 ottobre (1). Presidente del Consiglio interverrà subito personalmente come da consiglio S. E. Mussolini di cui del resto divide impressioni e preoccupazioni anche a seguito altre notizie apparse nella stampa.

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IL MINISTRO A PRAGA, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 4367/230. Praga, 6 novembre 1929 (per. il 10).

Mio telespresso 17 giugno u.s. n. 398.

Da buona fonte ho che la conclusione del trattato bulgaro-cecoslovacco non è lontana. Il suo testo sarebbe simile a quello concluso recentemente tra Bulgaria e Ungheria e verrebbe preceduto da un preambolo che, come accadde per il patto tra Cecoslovacchia e Grecia, consenta a Benes di dare l'impressione universale che, anzichè di una semplice convenzione di arbitrato, trattisi di un vero e proprio patto di amicizia implicante un principio di orientamento della Bulgaria verso la Piccola Intesa.

Prezzo dell'arrendevolezza bulgara sarebbe l'attività spiegata dalla delegazione cecoslovacca nella commissione per le riparazioni orientali a favore di una notevolissima riduzione degli obblighi della Bulgaria verso le varie potenze alleate, attività già rilevata nelle ultime settimane da qualcuno di questi giornali e da me tempestivamente segnalata nel quotidiano bollettino stampa della R. legazione.

Altro fatto positivo è la situazione in Austria dove la carica di cancelliere è stata assunta

da Schober coll'appoggio delle Heimwehren; con la vittoria di queste ultime è sorto in

Europa un nuovo regime antidemocratico, che non potrà non muoversi nell'orbita del fascismo

e non potrà non combattere, nonostante le esitazioni di Schober, la c socialdemocrazia massonica

europea»; inoltre la vittoria delle Heimwehren costituisce un freno all'Anschluss ed ha un

carattere ostile alla Piccola Intesa ed alla Francia; un'Austria amica è la chiave per tenerci

legata l'Ungheria; anche la rivoluzione croata ne trarrà vantaggio. Le relazioni con la Jugo

slavia continuano ad essere cattive; nel 1930 la Jugoslavia avrà terminato la sua preparazione

militare; è allora che la nostra situazione in Albania ricomincerà ad essere delicata; occorre

che l'Italia rinsaldi le sue posizioni oltre l'Adriatico, costituendovi una catena di stati che

siano «altrettante teste di ponte comandate dall'Italia. Abbiamo fatto l'Albania, dobbiamo

fare la Croazia». È da prevedere una offensiva contro il fascismo da parte de~ laburisti

inglesi, dei socialisti, dei democratici e dei • populisti • tedeschi, delle sinistre francesi.

D'altra parte, cattiva è la situazione di De Rivera in Spagna, Pilsudski in Polonia, Bethlen

in Ungheria. In questi giorni un deputato laburista, Smith, segretario di Henderson, ha com

piuto un viaggio nelle capitali balcaniche e danubiane, con due lunghi soggiorni a Belgrado e

a Budapest, allo scopo di gettare le basi di una confederazione danubiana a indirizzo

democratico.

(l) Cfr. n. 127.

140

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 2125/298. Roma, 7 novembre 1929, ore 17.

Pregola precisare telegraficamente se voci dl cui suo telegramma n. 484 (l) continuano circolare malgrado dichiarazioni fatte da Drummond a stampa Belgrado. Interessa conoscere testo dichiarazioni stesse e se le medesime sono state pubblicate oltre che da Pravda da altri giornali jugoslavi. È ovvio informarla che nessuna missione ha Drummond da parte Governo fascista (2).

141

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4348/391. Vienna, 8 novembre 1929, ore 2,30 (pe1·. ore 6,50).

Ho avuto stasera il colloquio (3) da me chiesto con Steidle, il rappresentante di Pfrimer e Pabst. Mi hanno detto che le discussioni parlamentari nella commissione costituzionale procedono con molta rapidità (mio telespresso odierno n....29). A metà settimana prossima Steidle si propone avere con Schober un colloquio che considera di importanza decisiva; tra il 15 ed il 20 dovrebbe poi, in rapporto con contegno del cancelliere, stabilirsi quello delle Heimwehren. Se esse non saranno d'accordo con Schober vi sarebbe possibilità dimissioni quest'ultimo con un ritorno a una situazione presso a poco analoga a quella immediatamente precedente dimissioni Streeruwitz. In tal caso Heimwehren potrebbero ricorrere all'uso della forza, ma per far ciò Pabst ha ripetutamente insistito sulla necessità ricevere da noi quegli affidamenti finanziari di cui ai miei telegrammi nn. 366 (4) e 367. Se invece si troveranno d'accordo con Schober sul complesso del progetto di riforme dn presentare alla nuova riunione plenaria del parlamento, in tal caso

-o i socialisti <.ccetteranno e la cosa avrà uno svolgimento costituzionale, o i socialisti rifiuteranno come le Heimwehren sperano e allora queste agiranno d'accordo con il Governo; circa carattere di tale azione non sono però riuscito a farlo precisare dai miei interlocutori. Intanto essi faranno pubblicare domani un comunicato (mio telespresso odierno n. 22,25) per respingere preventivamente in modo energico qualunque eventuale proposta di reciproco disarmo con i socialisti da qualunque parte questa sia messa innanzi. In ciò si trovano d'accordo con Seipel,

al quale hanno chiesto chP. conferisca con il ministro della guerra, che è in tutto

ligio ai suoi voleri, per aver da Vaugoin maggiori garanzie sul suo futuro

contegno.

Steidle e Pabst i quali partono domani per lnnsnruck mi hanno rinnovato

ancora una volta la preghiera di astenermi dal fare a Schober comunicazione di

cui al telegramma di V. E. n. 286 (l) fino a quando non crederanno opportuno.

Avendo chiesto loro nuovamente se almeno non credessero utile ad una più

rapida soluzione che essi dessero a Schober qualche assicurazione circa possibilità

ottenere con il loro concorso il nostro consenso al prestito. hanno ripetuto credere

preferibile non valersi per il momento di questa mia profferta.

(l) -T. 4319/484 con cui Galli riferiva la voce che Drummond nella sua visita a Belgrado avrebbe avuto «missione intrattenere questo Governo dei rapporti con Italia cercando via per possibile accomodamento •. (2) -Con t. 4356/488 Galli riferiva che le voci relative alla presunta missione di Drummond potevano considerarsi cessate e che egli le aveva comunque smentite. (3) -Su questo colloquio Auriti riferì anche con un rapporto che non si è rinvenuto. (4) -Cfr. n. 120.
142

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA

L. R. P. 7584. Roma, 8 novembre 1929.

Nel ringraziarla per le interessanti notizie trasmessemi col suo rapporto 2690

r. p. del 25 ottobre u. s. (2), La prego di voler dire a S. E. Walko che il Signor Arbesser può venire quando vuole a Roma.

Sembra opportuno che giunto qui egli si presenti alla Legazione d'Ungheria, per mezzo della quale gli sarà fatto conoscere con chi egli dovrà mettersi in contatto al noto fine.

143

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4376/397. Vienna, 9 novembre 1929, ore 14,35 (per. ore 17,15).

A spiegazione della risposta negativa datami da Steidle alla mia offerta di fare iniziare a lui negoziati con il cancelliere perchè questo ottenga il nostro concorso di massima al prestito, credo opportuno richiamarmi all'avviso espressomi da Pabst: o Schober attuerà le riforme nella misura voluta dalle Heimwehren ed allora e solo allora dovrebbe avere il concorso italiano al prestito; o Schober non le attuerà e allora egli sarà sostituito nel Governo dalle Heimwehren e sono queste che dovrebbero ottenere il concorso italiano.

(l) -Cfr. n. 112. (2) -Cfr. n. 111.
144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

T. 2137. Roma, 9 novembre 1929, ore 21.

Telegramma di V. E. n. 6311 del 2 novembre corrente (1).

Convengo con V. E. circa opportunità richiedere delimitazione confine italainglese in Somalia cominci soltanto dall'intersezione del 47• meridiano coll'B• parallelo, e convengo pure nel parere che tale nostro punto di vista venga manifestato e sostenuto dal nostro delegato cav. Cerulli (il cui operato mi sembra fin qui soddisfacentissimo sotto ogni riguardo) senza farne per ora oggetto di comunicazioni o trattative a Londra (2).

145

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL SENATORE SCHANZER

L. P. 7612. Roma, 10 novembre 1929.

Ho ricevuto la Sua cortese lettera del 5 corrente (3) con la quale ha voluto inviarmi il Suo articolo apparso ultimamente sulla • Nuova Antologia».

L'avevo già letto con molto interesse al suo apparire su quella Rivista e lo avevo particolarmente notato poichè alcune delle idee da Lei espresse coincidono con le mie personali.

• Essere realisti " : appunto per questa legge, che presiede alla nostra politica, non possiamo prescindere da quella realtà che è la Società delle Nazioni. Sono invece proprio i teorici che non simpatizzando con l'Istituto ginevrino finiscono col persuadere se stessi che esso non esiste.

Come Ella bene ha detto, l'Italia è, nei fatti, all'avanguardia di una politica di pace -realisticamente intesa -e di salda collaborazione internazionale. Nel ringraziarLa anche per le segnalazioni che Ella vorrà farmi -e per le quali Le sono grato fin d'ora... (4).

confini Somalia-Somaliland •.

Cfr. anche un telegramma di Cerulli del 12 maggio 1930, nel quale suggeriva l'opportu

nità di tenere nostre bande armate presso i pozzi di Uarder in territorio etiopico. « Credo che

Somalia settentrionale in tal modo riordinata e posta in condizione di essere veramente base

nostra influenza verso l'Ogaden e altopiano harrarino verrà ad avere suo nuovo effettivo

grandissimo valore politico>. Nella primavera del 1930 Ual Ual e le località vicine furono

occupate dall'Italia (G. W. BAER, La guerra italo-etiop'ica e la crisi dell'equilibrio europeo, Bari,

1970, p. 61).

• Grazie infinite dell'Estratto del suo studio lucido, preciso e assai assai interessante. L'avevo già letto nella Nuova Antologia e .... messo da parte, perchè gran parte delle idee espresse da Lei coincidono con quelle che mi riprometto di esporre in un prossimo raduno ginevrino, non appena si presenterà l'occasione. Anzi La ringrazio sin d'ora per il contributo prezioso che mi verrà da questo suo studio.

Essere realisti, è giusto. Ma appunto per questa legge, che presiede alla nostra politica, non possiamo prescindere da una realtà.... che è l'organismo della Società delle Nazioni. I teorici sono proprio coloro che non simpatizzando coll'Istituto ginevrino finiscono col persuadersi che esso... non esiste. Com'Ella ha benissimo detto, l'Italia è per fortuna, nei fatti alla testa d'una politica di pace -realisticamente intesa -e di salda collaborazione internazionale.

Grazie, Eccellenza, anche per le segnalazioni che Ella vorrà farmi e che mi saranno sempre preziose nel mio quotidiano lavoro •.

(l) Cfr. n. 133.

(2) Cfr. la l. p. di Guariglia a Cerulli del 14 marzo 1930: « Convengo pienamente con Lei nel ritenere fondamentale la questione del punto di incrocio col confine etiopico verso la quale devono convergere i nostri sforzi nella fase delle trattative per la delimit~zione dei

(3) -Cfr. n. 137. (4) -Una prima minuta della lettera, autografa di Grandi, era del seguente tenore:
146

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4387/402. Vienna, 11 novembre 1929, ore 15,50 (per. o1·e 18,40).

Apprendo confidenzialmente in questo momento che Schober ha chiamato Egger a Vienna per conferire con lui circa il fatto che il nostro consenso al prestito non è stato ancora dato malgrado nostre amichevoli relazioni e dichiarazioni (mio telespresso n. 393); non so ancora quale sia la causa di questa subitanea decisione di cui il segretario generale credo non sapesse ancora nulla, l'ultima volta che lo vidi nel pomeriggio di ieri l'altro.

Potrebbe darsi che essa fosse in relazione con quanto Schliller ha riferito qui circa le sue trattative per le riparazioni a Parigi. Ma non può escludersi eventualità che Schober abbia avuto qualche sentore delle nostre intese con le Heimwehren circa il prestito.

147

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 2142/298. Roma, 11 novembre 1929, ore 24.

Concordo contenuto suo telegramma 397 (l) e pregola continuare inspirare in tal senso sua azione.

148

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, E A VIENNA, AURITI (2)

T. PER CORRIERE 2144. Roma, 11 novembre 1929.

Questa Ambasciata di Francia mi ha informato che suo Governo ha dato incarico ai propri rappresentanti diplomatici a Vienna, Budapest e Belgrado di attirare attenzione di quei Governi sulla opposizione sistematica che i delegati austriaci, ungheresi e jugoslavi stanno facendo in seno al Comitato di Parigi nei riguardi del regolamento dei debiti austro-ungarici dell'ante-guerra. Governo francese esprime il desiderio che tanto il Governo italiano quanto il Governo britannico diano istruzioni ai propri rappresentanti nelle tre capitali suddette di associarsi al passo del loro collega francese. Con ciò Governo francese non intende proporre un passo collettivo ma vuole semplicemente • suggerire l'opportunità che venga creata presso i Governi di Vienna, Budapest e Belgrado l'utile impres

sione della unità di vedute esistente fra le tre potenze maggiormente interessate

alla liquidazione dei debiti austro-ungarici dell'ante-guerra ».

Richiesto di fornire informazioni in proposito, il Comm. Brocchi, nostro rap

presentante in seno al Comitato di Parigi per le Riparazioni Orientali ed i Beni

ceduti, ha riferito quanto segue:

• Tra le questioni sospese trovasi regolamento delle rendite prebelliche austro-ungariche e dei titoli garantiti. Comitato beni ceduti provocò riunione conferenza tra rappresentanti Stati successori ex Monarchia e associazioni portatori titoli per giungere ad un accordo.

Nulla è stato concluso giacchè Stati debitori e principalmente Ungheria di

chiararono volere attendere esito assetto riparazioni orientali.

A nuova riunione della Conferenza osta ora il fatto che in tema di riparazioni orientali il Comitato dei beni ceduti non ha potuto giungere ad un accordo con i tre Stati debitori di riparazioni a causa atteggiamento potenze Piccola Intesa ed Ungheria.

Fulcro della questione dei titoli è precisamente Ungheria e sembra ovvio che Associazione portatori francesi siasi rivolta suo Governo acciocchè Vienna, Budapest e Belgrado aderiscano in equa misura alle richieste dei portatori. Italia è interessata sistemazione dei titoli prebellici tanto per credito della Regia finanza quanto per interesse portatori italiani •.

Sebbene lo sviluppo avuto dai negoziati di Parigi nella complessa questione delle riparazioni orientali faccia apparire molto problematica l'efficacia dell'intervento proposto, non ho creduto possibile di dissociarmi dall'iniziativa francese. Ove pertanto anche codesto suo collega britannico abbia ricevuto istruzioni conformi, V. S. vorrà fare a codesto Governo una comunicazione verbale per attirare la sua attenzione sulla opportunità che si faciliti il regolamento a Parigi dei debiti prebellici della ex Monarchia austro-ungarica.

(l) -Cfr. n. 143. (2) -Il telegramma venne inviato, per conoscenza, al ministero delle Finanze e alla delegazione italiana nel comitato per le riparazioni orientali.
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IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 1727/184. Addis Abeba, 11 novembre 1929. Mi sembra giunto il momento di procedere ad un nuovo dettagliato esame dei rapporti itala-etiopici. Ciò ho fatto, per esteso, col mio rapporto n. 36 in data del 17 febbraio 1928 e, circa quanto esposi in quella circostanza e sui risultati fino allora conseguiti, l'E. V. ebbe la bontà di esprimermi il Suo compiacimento con ìl telespresso n. 24 del 27 marzo 1928, raccomandandomi in pari tempo di continuare con ogni impegno nella mia azione. Dopo quell'epoca, il fatto più saliente è stato quello della firma degli accordi del 2 agosto 1928. È inutile qui di riesaminare i nostri accordi sui quali molto è stato detto e scritto. Ritengo però indispensabile -anche per spiegare certi atteggiamenti successivi del Negus Tafari -di far rilevare che tali accordi costituiscono un avvenimento nella storia d'Etiopia, più che per la loro importanza intrinseca, per l'abbandono che essi rappresentano di atteggiamenti poco amiche

voli e di quella politica negativa (anche quando era amichevole) che l'Etiopia aveva costantemente mantenuto verso di noi, dalla scomparsa di Menelik dalla

scena politica in poi. Bisogna insistere su questo punto e considerare cosa possono aver significato per queste mentalità primitive e sospettose i nostri accordi.

La difficoltà non è stata tanto di persuadere il Negus, come per lui e per me di persuadere il suo • entourage •, i suoi ministri, i vecchi capi che partecipano ai vari consigli, i consiglieri più o meno .occulti e responsabili dell'Imperatrice, dell'Ecceghié: molti di costoro, a parole, si erano forse anche spesso in passato dimostrati nostri amici, ma la loro amicizia (Fitaurari Haptegorghis) si limitava a questo: non avevano progetti aggressivi contro di noi e si sarebbero opposti a qualsiasi azione del genere (e queste assicurazioni ripetevano ogni volta che in Eritrea si rinnovavano i timori di una aggressione etiopica!). Ma, quando si trattava di dare una prova tangibile di tale amicizia sotto forma di concessioni e particolarmente di apertura di vie di comunicazione fra le nostre vicine Colonie e l'Etiopia, ci trovavamo di nuovo di fronte alla tradizionale forza di inerzia locale e non era possibile di sormontarla.

A quando risalgono i primi progetti di una via di penetrazione da Assab verso l'altipiano? E gli altri progetti di cammelliere o di camionabili per Gondar, per Macallé, per gli Arussi del sud? Da 20 anni esattamente, infine, l'Etiopia non aveva firmato un accordo politico, non solo con noi ma con nessun altro Stato. Per quanto ci riguarda, il trattato del 1908, firmato dal Conte Colli con Menelik e che ci ha assicurato il possesso di Lugh e del retroterra, è stato l'ultimo.

Da ciò si deve comprendere, e non deve sorprendere, che, passato il primo momento di sorpresa, si sia scatenata in Etiopia una sottile e velenosa campagna di sospetti contro di noi e contro il Negus accusato semplicisticamente di • vendere il Paese • , di • aver aperto agli italiani la via al cuore dell'Etiopia • et similia. Questi erano e sono ancora in molti ambienti etiopici i giudizi correnti, pericolosi quanto mai, data l'ignoranza prevalente in questo Paese medioevale.

Parallelamente si svolgeva un'altra campagna non meno velenosa e pericolosa da parte degli ambienti francesi, in malafede ritenutisi lesi dai nostri accordi con l'Etiopia. La verità è che i francesi erano ormai abituati a considerarsi gli amici tradizionali e preferiti dell'Etiopia, che ritenevano un campo chiuso e riservato alla loro esclusiva penetrazione ed influenza. Il risveglio è stato brusco e il risentimento vivissimo ed aperto. Una nuova via di comunicazione diretta a regioni fre le più fertili e popolate dell'Etiopia, che eventualmente potrebbero essere collegate con la Capitale, è evidentemente destinata non solo a valorizzare col nostro appoggio un importante settore dell'Impero ma a dar adito ad una quantità di altre possibilità sulle quali è superfluo insistere. Ciò è più che sufficiente per destare le gelosie dell'eterna invidiosa nei nostri riguardi. La stampa francese è stata chiara al proposito e si è occupata ripetutamente degli accordi fino a questi ultimi tempi (Revue Hebdomadaire del 14 settembre u.s.) (1).

Il Ministro di Francia, M. de Reffye, per molti anni Segretario Generale in Siria, uomo debole e mellifluo, ma esperto in intrighi orientali, mentre faceva ogni sorta di • chicanes • agli abissini approfittando che Gibuti è il loro solo sbocco al mare, dava in pari tempo ogni opera per insinuare sospetti e diffidenze negli ambienti etiopici verso di noi: il vero scopo della camionabile essere strategico e non commerciale, i nostri accordi essere diretti contro la Francia. Tanto

14-Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

che il Negus (come ho già riferito) me ne tenne parola in confidenza chiedendomi anche la formale assicurazione che gli accordi non gli avrebbero creato complicazioni con la Francia -ciò perché il Negus è sempre assai timoroso di complicazioni internazionali.

Tutto ciò dimostra che abbiamo dovuto attraversare un periodo di qualche mese assai delicato, segnando il passo e controbattendo pazientemente e prudentemente le mene degli avversari e degli invidiosi. Questa è la situazione che trovai già al ritorno dal mio rapido viaggio in Italia lo scorso ottobre.

Il Negus tuttavia non era stato scosso nella sua convinzione e nelle sue favorevoli disposizioni verso di noi. Da alcune frasi di telegrammi dell'E. V. di questi ultimi tempi, mì è sembrato che l'E. V. ritenga od abbia ritenuto invece che, dopo la firma degli accordi, l'attitudine del Negus si sia modificata in senso sfavorevole, accennando anche a varie riprese ad un vero • partito preso • dell'Erede al Trono contro di noi. Confido che le mie recenti comunicazioni sui vari affari in corso abbiano già chiarito in buona parte il malinteso e che questa mia esposizione possa dissiparlo completamente.

Lasciando momentaneamente i nostri accordi, riprendiamo l'esame particolareggiato del lavoro fatto, oltre il patto e la convenzione:

l) Il viaggio di Sua Altezza Reale il Duca degli Abruzzi di esplorazione e studio delle risorse idriche del bacino dello Uebi Scebeli, la cui autorizzazione era stata sempre negata, si è svolto senza il minimo incidente e nella più assoluta libertà per quanto riguarda le osservazioni scientifiche, i rilievi topografici (eseguiti da due ufficiali dell'Istituto Geografico Militare e da un Topografo) di tutta la regione ecc. Sul viaggio ho riferito del resto col mio rapporto n. 593/59 del 13 aprile u.s.

2) Come è noto una questione vitale per le importanti aziende della SAIS (l) in Somalia italiana è quella della mano d'opera. Il Duca degli Abruzzi ha voluto anche studiare la possibilità di avviare una emigrazione dall'oltre confine. Ottenuto il consenso di principio dal Negus e stabilito che le ulteriori trattative al riguardo dovessero passare per la R. Legazione, terminato il viaggio, S. A. R. mi comunicava una lista di capi etiopici che Gli avevano dichiarato di esser disposti recarsi al villaggio per studiarne le condizioni ed eventualmente avviarvi le loro cabile o genti. Rintracciati con una certa difficoltà questi capi, il Negus provvedeva per inviare ad ognuno l'autorizzazione scritta di recarsi in Somalia e tali ordini sono attualmente in viaggio. Permessi del genere non erano stati mai prima d'ora concessi dal Governo etiopico.

3) Spedizione Franchetti attraverso la Dancalia seguendo due itinerari diversi. Non starò a ripetermi al riguardo e mi riferisco al mio rapporto n. 125 del 29 luglio u.s.. Comunque, non sarà male ripetere ancora una volta che il Governo etiopico non ha ostacolato in alcun modo la spedizione Franchetti, malgrado lo stato di ribellione del Paese, e, che, mentre il Franchetti era in viaggio, ha negato alla missione automobilistica francese Le Blanc (qui giunta dal Sudan e Wallega) di attraversare la Dancalia dal fiume Auasc a Massaua come essa si proponeva di fare, con scopi evidentemente a noi ostili.

4) Son note a codesto R. Ministero le laboriose trattative per la sottomissione del ribelle Migiurtino Herzi Bogor, figlio dello ex-Sultano Osman, rifiugiato in Ogaden. Costui, tipo superbo e combattivo, con un gruppetto di seguaci scampati ai fortunati combattimenti che distrussero sulla fine del 1927 (in pieno territorio etiopico) il fuoruscitismo migiurtino, aveva continuato a mantenersi ribelle malgrado ogni tanto facesse aperture per sottomettersi non mai condotte a fondo -l'Herzi Bogor sperava evidentemente nell'appoggio etiopico analogamente a quanto si era verificato negli anni decorsi, per altri ribelli.

Infatti non sarà inutile ricordare quale fu l'attitudine del Ras Tafari verso il ribelle Abscir Dorre nel 1926. Costui dapprima confinato a richiesta del Conte Colli, fuggiva in Addis Abeba -in seguito a ciò il Ras prometteva formalmente al R. Ministro di sorvegliare strettamente l'Abscir Dorre e di impedirgli il ritorno in Ogaden. Invece, poco dopo, l'Abscir Dorre fuggiva dalla capitale, evidentemente con la connivenza delle autorità etiopiche che non facevano nulla per rintracciarlo. L'Abscir Dorre si rimetteva alla testa dei ribelli e cadeva nei combattimenti del 1927 con le nostre bande.

Invece per l'Herzi Bogor la condotta del Governo etiopico fu decisamente amichevole. Attiratolo, a mia richiesta, in Addis Abeba, il Governo etiopico mi lasciava piena libertà di svolgere la nostra azione per indurlo a sottomettersi, diminuendo in pari tempo gradatamente sussidi e viveri -ad un dato momento il Negus mi offerse addirittura la consegna del ribelle ciò che tuttavia non accettai per non creare un precedente imbarazzante. Finalmente l'Herzi Bogor faceva formale atto di sottomissione in mia presenza e si trasferiva in Legazione dove, ammalatosi di vajolo ed indebolito dagli stenti, moriva dopo pochi giorni come pure tre dei suoi ascari.

Non sarà male ricordare anche una attitudine diversa nei riguardi dell'Inghilterra. Recentemente il Governo etiopico ha nominato capo degli Aulihan di Bale lo Sceik Abdurraman Mursal, Aulihan di Serenli, capo della sommossa di Serenli (Giubaland) del 1917 ed assassino del Capitano Eliot.

5) Aggiudicazione degli impianti Radiotelegrafici in Etiopia. Ho riferito sulle delicate vicende di questo affare col mio rapporto 1522/167 del 7 ottobre u.s. da cui risulta ben chiaro l'importanza del successo ottenuto che ha provocato le proteste e la coalizione dei nostri concorrenti i quali cercano, con ogni intrigo e con ogni mezzo più basso, di scuotere la fiducia del Negus e di rompere il finora fortunato ritmo delle nostre trattazioni col Governo Etiopico.

6) Concessione mineraria del Dallo!. Si è ottenuta in questi giorni la proroga della concessione ed altre richieste della Compagnia Mineraria Coloniale (1).

Ritengo che, dopo aver esaminato questi risultati, insieme a quelli già esposti nel mio precitato rapporto n. 36 del 17 febbraio 1928, mi sia lecito affermare che il bilancio di meno di tre anni di lavoro si chiude con un notevole attivo -anzi gli atti stanno a dimostrare che da lunghi anni una simile situazione non è stata neppure lontanamente raggiunta. Comunque nessuna Rappresentanza

L. -1.500.000 del Governo e di L. 50.000 di privati. Scopo della s<;>cietà, considerata strumento di penetrazione in Etiopia, era la profilassi contro la peste bov~na: Una. prece?ente a~a~og!isocietà, costituita il 5 febbraio 1924, era fallita. Anche l'attuale soc1eta era m cathve cond1z10m.

estera può presentare, per lo stesso periodo, un bilancio paragonabile al nostro ciò potrebbe dimostrarsi facilmente!

Ma, forse, tali risultati possono sembrare di lieve importanza se paragonati a quelli ottenuti altrove dalla politica del Governo Nazionale -ad esempio in Albania. A mio avviso, un simile paragone non mi sembra possibile: l'Albania è prossima all'Italia che dispone così di mezzi di pressione che non esistono e non sono stati usati in Etiopia dal 1896 in poi, ed è governata da un uomo energico che ha imposto la sua volontà ed adottato risolutamente una politica di amicizia e di attiva collaborazione coll'Italia.

Tutto ciò, allo stato attuale, è impossibile realizzare in Etiopia. L'Albania, inoltre, non ha le tradizioni millenarie d'indipendenza che ha l'Etiopia. Le velleità riformatrici del Negus cozzano contro la forza d'inerzia delle masse e contro l'organizzazione feudale dell'Impero. Il Negus vuole le riforme, il progresso, una politica amichevole con le Potenze confinanti e particolarmente con l'Italia, ma tutto ciò non vuole imporre con la forza, come finora non ha nemmeno imposto se stesso come supremo governante e continua invece a fortificare la sua posizione con l'eterno intrigo abissino, dando uno spettacolo scoraggiante di debolezza. Tutto ciò che noi abbiamo ottenuto l'abbiamo ottenuto con la sola persuasione, dopo lunghi e laboriosi negoziati -anche i più insignificanti affari richiedono qui tempo e pazienza. Per le spese politiche straordinarie codesto R. Ministero ha messo a mia disposizione la somma di Lire trecentomila che non ha servito soltanto per la firma degli accordi ma per l'aggiudicazione degli impianti Radiotelegrafici e ...... per la ricostruzione dell'Ufficio Telegrafico Italiano in Addis Abeba!

Perciò, quando io passo in esame obbiettivamente e spassionatamente i rapporti italo-etiopici, mi sembra che i dubbi espressi dalla E. V. sui sentimenti di Negus Tafari non possono essere stati originati che dal ritardo verificatosi nella esecuzione della convenzione stradale e dalle note vicende di Assab fra le due commissioni tecniche.

Ma su ciò credo di avere esaurientemente chiarito la situazione col mio rapporto n. 1284/135 del 10 agosto u.s. ed ora siamo in attesa del nuovo sviluppo della situazione.

Comunque, la mia politica col Negus è sempre stata inspirata dalle istruzioni dell'E. V.: politica di cordiale amicizia ma di rigida tutela dei nostri interessi. La mia attitudine col Negus si può riassumere in queste parole: niente per niente e reciproca comprensione e rispetto degli interessi dei due Paesi. Gli ho sempre impresso che il Governo Nazionale è un Governo forte che non tollera e non avrebbe mai tollerato attitudini ambigue o mancamenti ai patti firmati. Non ho mai avuto alcuna indulgenza per le deficienze o le ambiguità abissine: ritengo che per continuare gli attuali rapporti occorra agire sempre con lealtà, pur mantenendosi vigili ed energici. Tale attitudine ho costantemente mantenuto come Ministro d'Italia e, come Decano del Corpo Diplomatico, non ho esitato a farmi iniziatore di una energica azione per richiamare il Governo etiopico all'osservanza dei suoi obblighi internazionali, particolarmente del trattato franco-etiopico del 1908 per quanto riguarda la giurisdizione degli stranieri-azione che è sostenuta da tutti i miei Colleghi e che ha già dato utili risultati, rendendo il Governo etiopico cauto e rispettoso.

Ripeto che non ritengo si possa imputare a malanimo del Negus il ritardato inizio del rilievo del tracciato per la nostra camionabile. Agli argomenti già da me esposti, mi consenta l'E. V. questa domanda: È stato opportuno di far coincidere l'inizio dei lavori delle commissioni tecniche in Assab con la rioccupazione del confine dello Adiabo e la sottomissione del Fitaurari Galù? (1). Non avrebbe potuto continuare lo statu quo che durava da sette anni per altri sei mesi? Io stesso ho auspicato quella rioccupazione, ma aver atteso l'inizio dei lavori per effettuarla e, per giunta, per accettare la sottomissione del Fitaurari, fino allora sempre da noi declinata, non mi sembra sia stata una mossa opportuna e tempestiva. La notizia della sottomissione è giunta in Addis Abeba contemporaneamente a quella dell'incontro delle due missioni tecniche in Assab -è più che verosimile che tale coincidenza abbia in un primo tempo influito sfavorevolmente sull'animo del Negus e per me, ciò spiega, unitamente alle altre osservazioni sulla situazione, certe esitazioni ed un certo risentimento del Negus.

Ma tutto ciò sembra ormai dimenticato e ritengo non sia bastato a mutare radicalmente i sentimenti del Negus a nostro riguardo. Se così non fosse non tarderemo ad accorgercene nel nuovo inizio dei lavori della camionabile -se questi subiranno nuovi ingiustificati ritardi, il Negus dovrà giustificare la sua attitudine. Io sono in continuo contatto con lui e Sua Maestà sa che conosco troppo lui ed il Paese per accontentarmi di vane parole.

Ma, infine, se per dannata ipotesi il Negus avesse realmente mutato i suoi sentimenti o non fosse più in grado di adempiere i suoi obblighi, quale sarebbe la situazione? Non si realizza che, anche in quella eventualità i recenti accordi sono un'arma formidabile in mano nostra per costringere il Governo etiopico ad eseguirli ed al tempo stesso una luminosa prova di fronte al mondo delle nostre amichevoli intenzioni verso l'Etiopia, ché nessun'altra Potenza ha firmato un patto d'amicizia del tenore del nostro? Per la prima volta l'Etiopia ha sottoscritto un impegno solenne di costruire una determinata strada fra il suo territorio ed il nostro -basandoci su altri articoli del patto potremo chiederne altre e sviluppare la nostra azione commerciale di penetrazione secondo le nostre possibilità.

Se l'Etiopia non adempirà a quell'obbligo preciso, se respingerà la nostra amicizia, generosamente offerta e garantita, non sarà certamente il Governo Fascista a tollerare una simile mancanza di fede. E non sarebbe questo, in definitiva, un altro vantaggio: il più grandioso forse dei nostri accordi? Non potrebbe tale eventualità offrirei l'opportunità di risolvere altrimenti la questione etiopica, di vendicare i nostri morti di Adua, di assicurarci una parte preponderante in questo magnifico Impero Africano? Questo è, in realtà, quanto auspicano tutti quelli che, come noi, hanno vissuto a lungo in Etiopia e la conoscono non soltanto per averla veduta da un finestrino di Vagone Salone.

P. S. Copia del presente rapporto trasmetto direttamente al R. Ministero dtlle Colonie.

(l) Si tratta con ogni probabilità dell'articolo di cui a p. 6 nota l.

(l) Sulle attività della SAIS cfr. SOCIETÀ AGRICOLA lTALO SOMALA, L'opera della Società Agricola Italo-Soma!a in Somalia, Milano, 1970.

(l) -Un'altra iniziativa italiana in Etiopia era stata la costituzione, il 28 marzo 1929, della Società anonima per la gestione dell'Istituto Siero Vaccinogeno Etiopico, con capitale di

(l) Sulla questione cfr. Serie VII, vol. VII, nn. 405, 424, 4.31, 436, 437, 441, 462, -l67, 478, 479.

150

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA

T. RR. 2146/218. Roma, 12 novembre 1929, ore 24.

Seguito mio telegramma per corriere n. 2118 in data 11 corrente (1).

Nel dar corso alle istruzioni impartitele col telegramma suddetto V. S. vorrà riservatamente far comprendere a codesto ministro degli Affari Esteri che la nostra adesione alla proposta francese, alla quale non abbiamo potuto fare a meno di associarci (e confido che di ciò il signor Walko saprà rendersi conto) non può avere nei riguardi del Governo ungherese che un valore puramente formale e non modifica in nulla nostra attitudine ispirata ai sentimenti di più sincera amicizia per Ungheria.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4403/409. Vienna, 12 novembre 1929, ore 22,30 (per. ore 3 del 13).

Mio telegramma n. 402 (2).

Questo segretario generale affari esteri mi ha detto che Egger riparte stasera per Roma. Secondo lui Schober è rimasto impressionato dal fatto che dopo le nostre prime amichevoli dichiarazioni nessun'altra comunicazione gli era giunta da me per il prestito. Ha temuto potesse esservi qualche malinteso o qualche infondata preoccupazione sulla situazione qui e ha voluto conferire con Egger a fine di spiegargli particolareggiatamente come stessero le cose.

Sembra che cancelliere abbia temuto che la campagna fatta da Czecoslovacchia, dalla Jugoslavia e da altri stati per fare apparire inesistenti pericoli di annessione, di restaurazione monarchica e di rovinosa situazione bancaria abbia potuto trovare qualche credito in Italia. Ad ogni modo egli ha incaricato Egger di un messaggio riservatissimo destinato alla persona di S. E. Mussolini (3). Ho osservato che il mio interlocutore era un poco imbarazzato nel darmi questa spiegazione.

Da parte mia ho risposto che io avevo sempre esattamente riferito a V. E. quanto cancelliere mi aveva comunicato. Che io avevo anche dato ragguagli all'E. V. su questi tre temi della campagna anti-austriaca, manifestando mia convinzione che tutti e tre fossero infondati e che si trattasse di un tentativo per fare intervenire le grandi potenze negli affari dell'Austria, mostrando loro pericoli che non esistevano. Che supponevo R. Governo fosse in attesa vedere in che modo e in che misura fossero attuati questi progetti riforma, avendo a ciò subordinato il favorevole regolamento delle varie questioni economiche italo-austriache (mio telegramma n. 358) (4). Che ad ogni modo se io non ero tornato più dal cancelliere, ciò era dipeso dal fatto che non avevo avuto istruzioni di fargli nuove comunicazioni.

(l) -Cfr. n. 148, che fu inviato a Budapest col numero di protocollo particolare 2118. (2) -Cfr. n. 146. (3) -Per il contenuto di questo messaggio cfr. n. 179. (4) -Cfr. n. 108.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

L. 973. Roma, 12 novembre 1929 (1).

Per considerazioni di opportunità che non dubito saranno state apprezzate costì, non ho creduto conveniente di trattare con codesto Governo la questione navale durante la recente crisi governativa francese.

Oggi però, dopo la formazione e l'entrata in funzione del nuovo Gabinetto, ritengo convenga di non ritardare ulteriormente quello scambio di vedute del quale abbiamo preso l'iniziativa con la nostra proposta del 14 (2) ottobre scorso.

Desidero quindi che l'E. V. veda il Signor Briand -oppure il Signor Berthelot -per una presa di contatto la quale dovrà servire, da una parte a provare la serietà delle intenzioni da cui è stata ispirata la nostra proposta e dall'altra ad accertare se esiste effettivamente una qualche possibilità di intesa con la Francia sulla materia che formerà oggetto della Conferenza di Londra.

Questo suo primo contatto non dovrà assumere il carattere di un passo formale che comporti delle proposte definitive ed ufficiali, ma vorrà essere piuttosto una conversazione generale nella quale V. E. manifesterà apertamente e chiaramente il nostro punto di vista e le nostre intenzioni e chiederà al Governo francese di far conoscere le proprie. Indipendentemente dalle possibilità di successo delle future trattative, confido che codesto Governo apprezzerà la lealtà di questo modo di procedere.

La sua conversazione al Quai d'Orsay potrà ispirarsi ai seguenti concetti:

L'Italia è sinceramente favorevole, non soltanto all'idea della limitazione, ma ad una effettiva riduzione degli armamenti. Il concetto ispiratore della sua attitudine di fronte al problema rimane sempre quello ripetutamente enunciato dal Capo del Governo, e cioè che • l'Italia è disposta, a priori ad assumere, come limite dei propri armamenti, cifre qualsiasi, anche le più basse, purchè non sorpassate da alcuna altra Potenza continentale europea •. n R. Governo riconosce d'aLtra parte che ciascun Paese deve essere Lasciato giudice del fabbisogno minimo richiesto dalle esigenze della propria sicurezza. Sarebbe quindi disposto ad accettare per il proprio tonnellaggio compLessivo quella cifra che la Francia crederà di indicare nei riguardi propri. Questa cifra complessiva dovrebbe costituire il limite massimo a cui, da una parte e dall'altra, si avrebbe il diritto di giungere, lasciando però liberi i Governi di stabilire se e quando esso debba essere effettivamente raggiunto, senza fissare pertanto l'obbligo di programmi impegnativi; obbligo che condurrebbe al risultato di aumentare gli armamenti, o quanto meno di impedirne la diminuzione.

Ove la Francia fosse disposta ad accettare i criteri fondamentali suesposti come base delle ulteriori discussioni, il Governo italiano ·sarebbe pronto a sua volta ad esaminare gli altri aspetti del problema, tenendo pieno conto del punto di vista francese.

Il -raggiungimento di un'intesa di massima tra la Francia e l'Italia non potrebbe a meno di facilitare grandemente il compito delle due nostre Delegazioni alla prossima Conferenza di Londra, e di favorire in pari tempo il felice successo della Conferenza stessa.

Ove tale intesa non potesse invece essere raggiunta, il R. Governo si riserverebbe naturalmente di far valere in seno alla Conferenza i propri punti di vista, ispirandosi ai suoi particolari interessi ed alle contingenze del momento.

Lascio all'E. V. di sviluppare questi concetti nel modo che crederà più appropriato e di aggiungere quelle considerazioni che nel corso della conversazione apparisse opportuno di far valere. Ella vorrà comunque tener presente che dal passo che Ella è incaricata di compiere presso codesto Governo mi attendo di ricavare una chiara indicazione delle intenzioni francesi nei riguardi della prossima Conferenza navale, in modo da poter orientare in conseguenza la nostra futura attitudine.

Mentre resto in attesa che Ella mi riferisca i risultati delle Sue conversazioni... (1).

(l) -Un altro testo reca la data: 13 novembre. (2) -Un altro testo reca la data: 16 ottobre. Cfr. n. 72.
153

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AL CAIRO, PATERNO'

T. PER CORRIERE 2162. Roma, 14 novembre 1929, ore 18.

Riferendomi ai colloqui da me avuti con V. S. durante il suo recente soggiorno a Roma (2) nei riguardi delle nostre relazioni con l'Egitto, credo utile precisarle il mio pensiero su questo argomento.

La più importante questione che ella dovrà studiare e trattare prossimamente costì è certamente quella delle capitolazioni, poichè il regolamento di essa può avere considerevoli rip€rcussioni non soltanto sulla vita dei nostri centri coloniali, ma sull'avvenire della nostra politica con l'Egitto, cioè con un paese che è attualmente il più importante degli stati islamici, che si trova in pieno periodo di evoluzione e che potrà in un futuro più o meno lontano portare peso sempre maggiore nelle questioni mediterranee vitali per l'Italia. Il R. Governo pur non nascondendosi le difficoltà che potrebbero derivare alle nostre colonie dalla abolizione del regime capitolare, ha ritenuto opportuno per queste sup€riori ragioni di più vasta e lungimirante politica mediterranea, dare appena conosciuta la stipulazione dell'accordo anglo-egiziano, un segno del suo simpatico atteggiamento verso l'Egitto, dichiarandosi pronto ad esaminare benevolmente la graduale sop

pressione delle capitolazioni, subordinatamente a certe garanzie che dovrebbero riuscire in definitiva anche utili all'Egitto. Questo gesto spontaneo manifestato da

S. E. il Capo del Governo nei telegrammi che egli inviò a suo tempo a codesta R. legazione, fu però necessariamente accompagnato, come ella sa, da nostre conversazioni di massima colle altre potenze capitolari intese ad assicurarci un reciproco appoggio per resistere a probabili eccessive pretese da parte egiziana, appoggio tanto più necessario in quanto è presumibile che il Governo inglese potrà ricercare il proprio vantaggio nel favorire alcune di queste ultime o almeno nel mantenere un atteggiamento neutrale. V. S. dovrà quindi continuare a tenersi in contatto ed in accordo cogli altri rappresentanti delle potenze capitolari per la difesa degli interessi che abbiamo comuni con esse, ma d'altra parte converrà che ella faccia sempre mostra di benevole disposizioni verso il Governo egiziano e che anche le future discussioni siano condotte da parte nostra con uno spirito amichevole, per quanto acuta possa diventare in qualche materia la divergenza dei punti di vista. Lascio anzi al prudente giudizio di V. S. la scelta del miglior momento per far opportunamente comprendere a codesto Governo come l'Italia, una volta regolata soddisfacentemente la questione delle capitolazioni, sarebbe anche disposta ad esaminare la possibilità di sanzionare in qualche speciale accordo l'amichevole simpatia di cui sono stati sempre penetrati i nostri rapporti con l'Egitto, nella convinzione che col graduale ma sicuro progredire della vita politica egiziana in una forma di maggiore autonomia, gli interessi dei due paesi dovranno sempre più armonizzarsi per esercitare un'azione concorde nella politica mediterranea (1). È superfluo aggiungere che questi non sono che principi generali cui deve ispirarsi la sua linea di condotta in previsione della piega che potranno prendere le discussioni circa il regime capitolare e dei possibili sviluppi della situazione egiziana. Questa non sembra però ancora tanto chiara da permettere alcun preciso scambio di vedute con codesto Governo.

(l) -Nel Consiglio dei Ministri dell'B novembre 1929 Mussolini aveva sottolineato la necessità della parità navale con la Francia • perchè siamo chiusi nel Mediterraneo e non possiamo restare volontariamente imprigionati. La questione dei rifornimenti per via mare è per noi difficilissima. Nel Mediterraneo l'Italia o sfonda o resta padrona [sic]. Alla conferenza di Londra noi possiamo andare con sicura coscienza anche se dovessimo provocare una rottura •. Il ministro Rocco c afferma che l'Italia è il paese più bloccabile del mondo per via mare. ed è quindi assai lieto di sentire le dichiarazioni del Capo del Governo •. c Il Consiglio dei Ministri intende che nella prossima conferenza navale l'Italia non accetti limitazioni o riduzioni per quello che concerne sottomarini.... Riafferma l'inderogabile necessità del diritto di parità navale con la Francia anche ad una [quota?] superiore all'attuale» (ACS, Verbali delle riunioni del Consiglio dei Ministri). (2) -Nella prima metà di ottobre, Grandi diede istruzioni a Paternò di studiare la possibilità di un trattato di amicizia con l'Egitto. Lo stesso Paternò, con precedente R. 2687/606del 28 agosto 1929, a proposito di un colloquio con Re Fuad, aveva riferito che Sua Maestà " mi è parsa desiderosa di venire ad accordi singoli che servano a valorizzare la personalitàinternazionale dell'Egitto » ed ha auspicato come sempre una stretta amicizia italo-inglese.
154

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 4432/802. Angora, 14 novembre 1929, ore 21,30 (per. o1·e 4,30 del15).

Risultami che questo ministro degli affari esteri disse giorni or sono al ministro di Bulgaria che V. E. gli aveva fatto conoscere il suo disappunto verso la Bulgaria per le polemiche sorte a seguito delle note discussioni circa la questione delle riparazioni orientali. V. E. avrebbe anche rilevato presso Tewfik pascià le assiduità politiche di Buroff a Parigi mentre egli si astenne dal soffermarsi in Italia. Egli ha infine interessato il ministro di Bulgaria a fare sapere a Buroff che questo raffreddamento verso l'Italia non era gradito a Angora e che pertanto

il Governo turco avrebbe visto con piacere una rinnovata intimità di rapporti del Governo bulgaro verso R. Governo e una visita di Buroff a Roma. In risposta signor Buroff ha fatto dire a questo ministro degli affari esteri: l) che malinteso sorto a causa delle riparazioni orientali è stato subito chiarito e dissipato dalle dichiarazioni fatte da signor Liapceff (l);

2) che lunghi soggiorni di Buroff a Parigi sono dovuti come è noto a trattazione di affari di sommo interesse per Bulgaria, come quello per la stabilizzazione della moneta prima, e quello delle riparazioni orientali oggi;

3) che egli ha fatto già una visita ufficiale a Roma e sarebbe ben lieto tornarvi ora per incontrarsi di nuovo con V. E. se dopo molti giorni di assenza non avesse urgente necessità di tornare direttamente a Sofia lasciando Parigi;

4) che relazioni tra Governo bulgaro e Governo italiano sono le più cordiali e amichevoli.

Ministro di Bulgaria, venuto a raccontarmi in via confidenziale quanto precede, ha cercato conoscere mio pensiero sul passo fatto da Tewfik pascià. Gli ho detto che non ne avevo notizia alcuna; che il segreto delle cordiali relazioni con la Bulgaria, che stanno certamente molto a cuore a R. Governo, è affidato da V. E. a R. legazione a Sofia; che non potevo quindi interpretare il passo del ministro degli affari esteri che come una nuova manifestazione del suo desiderio di prendere iniziative in questioni di politica estera anche là dove la Turchia non è direttamente interessata.

Il signor Pavlof mi ha detto aver avuto la stessa impressione; essergli stata questa confermata da un altro passo col quale contemporaneamente Tewfik pascià lo ha pregato interessare il Governo di Sofia al riconoscimento del Governo Soviet. In proposito il signor Pavlof gli ha risposto che il suo Governo non giudica essere giunto ancora il momento di esaminare tale proposta.

(l) Una prima stesura di questa frase era la seguente: Paternò faccia comprendere al Governo egiziano che, eliminata la questione delle capitolazioni, « l'Italia sarebbe disposta a continuare con maggior intensità nell'opera di sviluppo delle nostre relazioni con l'Egitto sia dal punto di vista politico che da quello economico, sanzionando anche, ove opportuno e utile, queste intenzioni in amichevoli intese che potrebbero avere benefiche ripercussioni nella situazione mediterranea ».

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NOTA VERBALE DELL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 458. Roma, 14 novembre 1929.

His Britannic Majesty's Embassy present their compliments to the Royal Ministry of Foreign Affairs and bave the honour, under instruction from His Britannic Majesty's Government, to make the following communication to them.

2. The present infiammable situation in Austria makes it, in the view of His Britannic Majesty's Government, highly desirable, if a solution of that country's internai constitutional problern is to be reached by peaceful means, that the rival military associations should be neither of them receiving materia! re-inforcements in the shape of war materia!. It is however possible that either or both factions might attempt to secure such assistance from abroad notwithstanding the Austrian law forbidding (in accordance with the Treaty of St. Germain) the import of war materia!.

3. -In these circumstances His Britannic Majesty's Government are confident that Austria's neighhours will recognise that they have a special responsibility at a time of tension such as the present when any accession of strength to either of the Austrian parties might easily lead to the abandonment of constitutional methods in favour of direct action thereby precipitating a crisis which might easily involve the whole of Centrai Europe. 4. -His Britannic Majesty's Government earnestly hope that the Royal Italian Government will agree with His Britannic Majesty's Government's view as to the urgent need for the exercise of special vigilance in order to ensure that no war materia! is exported from their country to Austria. 5. -His Britannic Majesty's Government are communicating the above views to the German, Swiss, Czechoslovakian, Serbian ad Hungarian Governments also (1).

(l) Cfr. n. 70.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, MEDICI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. R. 63/473-474-475-476 (2). Madrid, 15 novembre 1929, ore 2 (per. ore 5,40). Telegramma di V. E. 13,653/200 (3).

Oggi stesso al mio ritorno in sede ho potuto avere colloquio con Primo de Rivera. Dopo solite frasi di cortesia convenzionali e dopo avergli trasmesso saluti, da lui molto graditi, di S. E. il Capo del Governo, sono entrato nel vivo dell'argomento. Gli ho comunicato cioè i suggerimenti indicatimi verbalmente da S. E. Mussolini dicendoli ispirati a quei sentimenti di reciproca stima ed amicizia sempre esistiti fra i due uomini di stato. Primo de Rivera mi ha ascoltato con accentuata attenzione e con evidente affabile atteggiamento di consenso. Ha subito replicato, pregandomi di comunicarlo formalmente a S. E. Mussolini, che in vista degli ultimi complicati e sintomatici avvenimenti (già particolareggiatamente riferiti dal R. incaricato d'affari con vari telespressi) egli era venuto nella ferma determinazione di non abbandonare, siccome egli prevedeva, il posto di combattimento. Ciò risulta del resto, mi disse, dalla dichiarazione fatta in un pubblico discorso: • Da oggi dico che non vi saranno più nè termini nè date • dichiarazione riprodotta nel telespresso di questa ambasciata n. 966 del 5 corrente. Mi ha detto che per ottimismo e forse anche per stanchezza e per incertezza nelle sue condizioni di salute, egli aveva realmente mirato a predisporre il terreno per un anticipato ritorno alla normale costituzione. I fatti e gli uomini lo indussero prontamente a ravvedersi. R.imarrò al potere, soggiunse, indefinitamente e fino a quando lo riterrò necessario.

Mi ha detto, e da questa constatazione egli trae propizio motivo di grande rafforzamento personale, che Re Alfonso è ora • interamente • con lui. Mi ha

annunziato che quale mezzo per raggiungere lo scopo e consolidare propria posizione è suo intendimento di trasformare radicalmente e potenziare le unioni patriottiche. Ha personalmente riesaminato a fondo gli ordinamenti fascisti sulla cui falsariga egli si propone di plasmare le unioni patriottiche, per quanto riconosca, naturalmente, l'impossibilità di una applicazione dei metodi fascisti preregime, che d'altronde, dissemi, non sarebbero possibili più nemmeno in Italia. Fra sette o otto giorni egli renderà pubbliche le norme che disciplineranno più rigidamente questo rinnovato spirito ed è appunto in previsione di questo atto che ha prorogato a gennaio la convocazione dell'Assemblea Nazionale. Chiestogli qualche precisazione e soprattutto se, come in passato, egli intendesse mantenere aile unioni patriottiche il loro carattere ermeticamente apolitico, mi replicò affermativamente su questo secondo punto e sul primo mi disse che egli si propone di rivedere le gerarchie delle unioni in modo da consolidarle e da diffonderne le più operose ramificazioni fino ai più remoti villaggi della Spagna. Loro scopo principale sarà la preparazione e l'elaborazione degli ordinamenti ed istituzioni corporativi che costituiranno poi il fulcro principale delle elezioni della proget

tata nuova Camera unica.

A questo punto del colloquio mi è sembrato appropriato il momento per esprimergli amichevolmente gli apprezzamenti manifestatimi da S. E. il Capo del Governo sulla dubbia efficacia del nuovo organo costituzionale (l) ideato sotto il nome di consiglio del Regno e sulla pericolosa estensione delle attribuzioni e dei poteri del sovrano. Senza esitazione mi replicò che egli stesso è addivenuto già a questa conclusione: che la sezione dell'assemblea che elaborò il progetto costituzionale aveva male interpretato suo pensiero iniziale e che -e su questo punto mi pregò specialmente per ora massima riservatezza -il Consiglio del Regno non solo non funzionerà ma non esisterà mai. Avviato il discorso mi fece sempre a titolo confidenziale le seguenti dichiarazioni: a differenza -disse -di S. M. il Re Italia di cui mi risulta alta saggezza e scrupolosa prudenza, Re Alfonso ha una continua tendenza a • sbandarsi • a prendere intempestive iniziative ad agire o parlare spesso con spirito di assoluta indipendenza. È necessario sovente tenerlo a freno e porgli intorno quanto più è possibile di restrizioni; il Consiglio del Regno che non avrebbe certamente giovato a questo scopo, può quindi considerarsi come un organo morto.

Passando discorrere di argomenti di ordine più generale gli ho domandato

come giudicasse egli la situazione dopo la clamorosa sentenza di assoluzione di

Sanchez Guerra e dei suoi complici pronunciata dal consiglio di guerra di Va

« Si sottopone all'alta approvazione di V. E. la proposta di rispondere alla richiesta di

giudizio di S. E. De Rivera con una formula vaga, assicurando dell'interessamento e aggiun

gendo che non sembra dubbio che le nuove norme prescelte dal migliore possibile conoscitore

della Nazione spagnuola e delle sue esigenze, siano perfettamente adeguate allo scopo

prefisso».

Non si pubblica il t. posta 1994/966, Madrid 5 novembre a firma De Peppo, sulla

situazione interna spagnola.

Si dà qui di seguito notizia di un altro documento, solo recentemente rinvenuto: il 17 settembre 1928 il Re aveva telegrafato a Mussolini per smentire la notizia pubblicata dal Povolo di Roma del 15-16 settembre, di aver inviato a Primo de Rivera un telegramma di congratulazioni in occasione dell'anniversario della instaurazione del regime dittatoriale in Spagna (ACS, Presidenza del Consiglio, 1928-1930, fase. 15/2-11/4250).

lenza (telegramma per posta della R. ambasciata 952 del 30 ottobre). Mi disse che egli aveva fatto eseguire immediatamente una discreta ed accurata inchiesta da cui era venuto a risultare in modo sicuro buona fede dei giudici che credendo interpretare ed interpretando difatti troppo estensivamente certi suoi propositi di clemenza avevano ecceduto proclamando addirittura assoluzione colpevole. Era invece, se mai, suo proposito di proporre misure clemenza sovrana a condanna avvenuta. Il proscioglierlo prima era semplicemente insulso perchè venivagli preclusa ogni via alla clemenza stessa. Il processo sarà comunque rifatto dal consiglio supremo di guerra e marina che si riunirà in Madrid e che certo non ricadrà -disse -in quel madornale errore.

Dal complesso del colloquio ho tratto impressione di un uomo calmo, deciso e perfetto padrone di se stesso. Naturalmente per debito di giustizia devo fare qualche riserva sui mezzi riferiti da Primo de Rivera per il risanamento della situazione. Non è difatti la prima volta che egli fa affidamento o mi dichiara voler far affidamento sulle fino ad oggi amorfe unioni patriottiche come su di uno strumento operante e decisivo.

(l) -Nei giorni precedenti Henderson aveva fatto ai Comuni una dichiarazione sulla situazione interna austriaca. Contro questa dichiarazione aveva polemizzato un corsivo del Giornale d'Italia, 8 novembre 1929, • Metodi sorprendenti •. (2) -Altro testo si trova nelle serie gab. (p. r.), n. 147. (3) -Cfr. nota successiva.

(l) Mussolini espresse questo giudizio in una conversazione con Medici a Palazzo Venezia. Cfr. l'accenno nel t. (p. r.) 13653/200 del 7 novembre indirizzato a Madrid. Non si è trovata altra documentazione su questo giudizio di Mussolini. Cfr., ad ogni modo, un promemoria sulla nuova costituzione spagnola redatto dagli uffici del Ministero, in margine al quale Mamell ha scritto: « S. E. il Capo del Governo approva la formula proposta ». La formula era la seguente:

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI MINISTRI A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, E A SOFIA, PIACENTINI

T. 2175. Roma, 15 novembre 1929, ore 24.

(Per tutti). Giornali pubblicano notizia proveniente da Praga che alla conclusione prossima del patto bulgaro-cecoslovacco seguirà quella di un patto bulgaro-jugoslavo. Si afferma che per rendere possibile accordo con Jugoslavia Governo bulgaro ha deciso abbandonare alla loro sorte i macedoni.

(Per Budapest). Prego richiamare attenzione Bethlen su quanto precede e chiedergli se e quali informazioni egli abbia da Praga e Sofia su questo orientamento Governo bulgaro.

(Per Sofia). Richiamo sua speciale attenzione su quanto precede con preghiera riferirmi.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T.s.4447/949/607. Parigi, 15 novembre 1929, ore 23,22 (per. ore 1,55 del 16). Ricevuto dispaccio V. E. n. 973 (1).

Nella visita odierna (mio telegramma 947/606) (2) Berthelot mi ha consegnato una nota verbale nella quale Quai d'Orsay ricordata risposta scritta al nostro invito a scambio di vedute, ricordata assicurazione verbale successivamente data

a Roma ed a Parigi delle favorevoli disposizioni del Governo francese a tale scambio Quai d'Orsay dichiara sarebbe lieto conoscere intenzioni R. Governo per apertura dello scambio di vedute ed obbligato all'ambasciata comunicargli le indicazioni che essa potrebbe possedere a tale riguardo. Ho subito avvisato Berthelot che avevo ricevuto stamane una istruzione di presa di contatto dal R. Governo il quale aveva per ragioni di delicatezza, che indubbiamente sarebbero state qui apprezzate, attesa soluzione crisi ministeriale. Pregavo dirlo al signor Briand al quale mi riservavo chiedere colloquio. Berthelot ha risposto che era naturale si fosse atteso fine della crisi. Poi ha aggiunto che, senza prevenire ciò che signor Briand mi dirà, egli credeva che se invitato si esprimerebbe nel senso di quali sono le esigenze della sicurezza navale della Francia: l'Italia faccia quel che crede meglio per la sicurezza sua: la Francia non ha obiezioni alla parità: non è da far questione di prestigio, ma di sicurezza.

(l) -Cfr. n. 152. (2) -T. 4446/947/606, che non si pubblica.
159

IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. 4469/296. Ginevra, 15 novembre 1929 (per. il17). Ho parlato col segretario generale sulle impressioni della sua visita a Belgrado e riassumo, qui appresso, quanto di essenziale egli mi ha detto confidenzialmente. Drummond ha rilevato più che un interesse, una vera ansietà da parte della Jugoslavia verso l'Italia. Marinkovich gli ha chiesto, quasi con impazienza,

quali fossero state le sue impressioni sul nostro paese. Drummond avrebbe detto al signor Marinkovich, con tutta franchezza, quanto aveva sentito dal Duce e da

V. E. circa le nostre relazioni con la Jugoslavia. Egli ha quindi citato le dichiarazioni che S. E. Mussolini gli aveva fatte circa l'impossibilità per l'Italia di dichiarare una guerra a meno che un attacco non venisse fatto dalla Jugoslavia contro l'Albania. Il signor Marinkovich esclamò che se un tale attacco fosse fatto, non solo l'Italia, ma tutti i membri della Lega sorgerebbero contro la Jugoslavia e che il Governo jugoslavo non ha mai pensato di attaccare l'Albania. Il ,signor Marinkovich tentò di convincere Drummond che il Governo jugoslavo non vuole che la pace e che egli non capisce lo stato d'animo esistente in Italia, e che si rivela, così spesso, nella stampa contro la Jugoslavia. Ciò è molto dannoso per la pace, tanto necessaria per lo sviluppo interno della Jugoslavia. Il Marinkovich avrebbe fatto presente al segretario generale come, dato il permanente stato di attrito tra i due paesi, i capitalisti e i commercianti sono poco disposti ad investire capitali nella Jugoslavia per il timore che possa succedere qualche cosa da un momento all'altro. Anche l'Italia ne sarebbe ugualmente colpita, come tutti gli altri stati dell'Europa centrale. Infatti, tutta la ricostruzione dell'Europa centrale sarebbe ritardata. Il Marinkovich avrebbe assicurato il segretario generale che immedia·· tamente dopo il suo ritorno da Ginevra aveva messo allo studio la questione della firma della clausola facoltativa della Corte, nonchè dell'atto generale, assicurandolo che sua precipua preoccupazione era di fare quanto poteva per mantenere la pace, poichè il suo paese era profondamente pacifista. Egli avrebbe aggiunto che le relazioni del suo paese con l'Albania erano del tutto normali. Il Drummond ha detto al Marinkovich che l'idea di V. E. era di mantenere l'Albania come uno stato cuscinetto. Il Marinkovich lo avrebbe assicurato, a sua volta, che questa era esattamente anche la sua politica. Il suo Governo aveva alcune difficoltà con l'Albania, ma egli era certo che la Jugoslavia era sufficientemente forte per non tener conto di immaginarie e infondate lagnanze del Governo albanese. Il segretario generale ha domandato al Marinkovich come procedeva la questione della frontiera fra la Bulgaria e la Jugoslavia. Il ministro degli esteri gli avrebbe detto che il trattato di Pirot sarebbe entrato immediatamente in vigore e che sarebbe rimasto in vigore per tre mesi. Durante tale periodo si sarebbe indetta, fra i delegati della Jugoslavia e della Bulgaria una conferenza generale, nella quale egli si augurava fare qualche passo avanti. Non riteneva però che i bulgari avrebbero accettato le proposte jugoslave per delimitare una zona di 10 kilometri di larghezza, nella quale non sarebbero autorizzati a risiedere che gli indigeni o le persone aventi definiti interessi commerciali o altri interessi. La creazione di detta zona sarebbe molto importante dal punto .di vista jugoslavo, perchè farebbe cessare il viavai dei comitagi che attraversano la frontiera senza alcun motivo, come avviene tuttora. Il Marinkovich avrebbe deciso di mettere l'accordo di Pirot in vigore per il momento, date le pressioni di Parigi e di Londra. Egli avrebbe ricevuto, da lì, assicurazioni che il Governo bulgaro avrebbe affermato che, una volta in vigore tale accordo, non sarebbero più avvenuti incidenti di frontiera. Se ciò fosse il caso egli prolungherebbe l'accordo provvisorio fin quando diventerebbe praticamente definitivo.

Qualora poi dovessero continuare gli incidenti di frontiera, come purtroppo egli riteneva, ciò dimostrerebbe che misure diverse dall'attuale accordo sarebbero necessarie. Il Marinkovich avrebbe espresso il timore che l'attuale Governo bulgaro non intenderebbe sopprimere il comitato macedone e che fino a quando ciò non dovesse avvenire non si potrebbe mai avere una situazione soddisfacente, sebbene l'organizzazione macedone si fosse divisa in due o tre parti distinte.

Mi risulta poi che il segretario generale avrebbe avuto l'impressione che a Belgrado fossero meno sensibili di quanto apparisse dalla stampa sulla situazione degli sloveni dell'Istria; molto più sensibili invece sarebbero sulla situazione in Dalmazia, preoccupati dal timore delle possibili rivendicazioni italiane oltre Zara.

Quanto alla vita commerciale sembrò a Drummond che la penetrazione tedesca fosse notevole.

Inutile aggiungere che ho cercato di controbattere le argomentazioni jugoslave avvantaggiandomi delle eccellenti impressioni che il Drummond ha riportato dalla sua visita a Roma.

160

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 4473/1782. BeLgrado, 15 novembre 1929 (per. H 19).

Giornali odierni Vreme e PoHtika pubblicano due articoli di evidente ispirazione ufficiale circa trattative bulgaro-jugoslave per liquidazione due gravi questioni poderi a cavallo zona di confine che vengono riprese oggi a Sofia. Tono detti articoli è molto conciliante pur dichiarandosi che conferenza di Sofia è importantissima per futuro sviluppo rapporti jugoslavi colla Bulgaria.

Per quanto atmosfera fra i due paesi sia stata nuovamente turbata da gesta banda Uzunoff notoriamente appoggiata da Jugoslavia (1), pur tuttavia è fii questi circoli diplomatici diffusa sensazione che trattative Sofia si inizino sotto migliori auspici. A tale sensazione non è estranea situazione partiti in Bulgaria ed immobilizzazione comitato macedone per discordie interiori. Sarò ad ogni modo grato a V. E. se vorrà tenermi informato svolgimento trattative stesse. Loro eventuale esito favorevole sarebbe di grande sollievo per questo Governo, e verrebbe ampiamente sfruttato per mettere in una luce ancora peggiore, se possibile, attitudine italiana verso Jugoslavia, che, se questioni bulgare fossero risolte, convergerebbe ancora più che non oggi tutta sua ostile attività contro di noi (2).

161

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 948. Parigi, 15 novembre 1929.

Seguito mio 942 di ieri. Allego (3) esposto del nostro Delegato sulla situazione creatasi per noi in seguito alla presentazione dello schema britannico ( 4). Osservo in proposito:

l. -Un atto, un regolamento, che lasci aperta all'Abissinia la possibilità di un armamento illimitato, contrasta in pieno con la tendenza generale della limitazione e della riduzione degli armamenti; contrasta pure col principio ideale del patto di rinuncia alla guerra nazionale a cui l'Abissinia ha aderito.

L'atto, il regolamento non possono prescindere da queste tendenze direttrici delle altre Potenze civili mondiali.

2. --Non sembra razionale il procedere a regolamentare l'importazione delle armi in uno Stato nelle condizioni sociali e geografiche dell'Abissinia, senza in pari tempo precisare anticipatamente quale è lo stato di fatto odierno. 3. --Il progetto britannico tiene conto di questi principi direttivi? Se sì, in

che modo? Visto che l'impressione della prima lettura non ne dà la sensazione?

Se no, per quale motivo?

È perciò anzitutto necessario di ottenere questi chiarimenti dalla delegazione

britannica, ciò che si cercherà di fare domani.

tative colla massima attenzione (t. 2208/238, 20 novembre).

(l) -Sulla banda di Docio Uzunov cfr. il t. posta di Piacentini 2281/559 del 7 ottobre. Piacentini osservava « come la presenza periodica e sempre assai bene organizzata di questi"briganti d'eccezione" che eccitano la sempre esistente ostilità del contadino bulgaro-agrario contro il regime borghese al potere, si imponga sulle masse agrarie e faccia loro intravvedere la possibilità del ritorno di un governo agrario favoreggiatore della classe contadina a scapito della classe borghese •. (2) -In relazione a questo documento Grandi telegrafò a Piacentini di seguire le trat (3) -Non si pubblica. (4) -Il 12 novembre aveva avuto inizio al Qual d'Orsay la conferenza a quattro perl'esame del regolamento della importazione di armi in Etiopia. Delegato italiano era Astuto.
162

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, MARTIN FRANKLIN

T. (P. R.) 14034/177. Roma, 16 novembre 1929, ore 19.

Riferimento sua lettera 13 ottobre (1).

V. E. può comunicare Zalesky che conferenze Aja, Londra e consiglio Società Nazioni i quali avranno luogo mese gennaio m'impediscono essere in detto mese Varsavia. Una volta chiusi lavori conferenza navale potremo metterei d'accordo sulla data mio viaggio costì.

163

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. 2177/233. Roma, 16 novembre 1929, ore 24.

Suo telegramma n. 224 (2).

In sostanza la comunicazione fattale da Liapceff si riduce ad uno dei consueti appelli alla benevolenza del Governo italiano, destinata a completare i consensi che il Governo bulgaro ritiene di essersi assicurato nella questione delle riparazioni da parte inglese e francese. Nella comunicazione stessa infatti non rilevo alcuna parola che tenga conto della speciale posizione dell'Italia nei riguardi della Bulgaria nè che modifichi e chiarisca la recente politica bulgara nei nostri confronti, sulla quale ho ultimamente manifestato ed illustrato alla S. V. il mio pensiero. Aggiungo che ho dovuto notare come in questi giorni in cui vengono agitati vari argomenti che interessano in notevole grado la Bulgaria e la sua futura efficienza, nessun particolare contatto Liapceff ha creduto di tenere colla S. V. per tenerci al corrente delle effettive sue intenzioni di considerare un'intimità di relazioni fra i nostri due paesi come elemento essenziale delle sue direttive politiche.

In questa condizione di cose, non posso che far rispondere a Liapceff che

prendo nota delle raccomandazioni che egli ci ha rivolto e che considererò le

questioni collo stesso spirito col quale esse appaiono esserci state fatte.

Mi tenga al corrente del seguito.

15 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) -In questa lettera Martin Franklin riferiva che Zaleski aveva suggerito come data della visita di Grandi la prima quindicina di gennaio. Martin Franklin riteneva che se la visita • tardasse ancora molto si produrrebbe una impressione di malumore che distruggerebbequella felicissima della istituzione dell'Ambasciata. Invece una visita tra un pajo di mesi si gioverebbe ancora delle preoccupazioni (e di un certo malumore) verso la politica francese causate dal possibile riavvicinamento franco-germanico, e sarebbe il grande avvenimento della stagione •. Il viaggio di Grandi in Polonia ebbe luogo il 9-12 giugno 1930. (2) -T. u. 4414/224, del 13 novembre, di cui si pubblica solo il seguente passo: « In questo momento decisivo, appoggiandosi anche su informazioni di D anailoff circa sua sodJisfazione linea condotta delegato italiano Brocchi, Liapceff si permette rivolgere ancora una volta a S. E. Capo del Governo e a V. E. viva preghiera volere benevolmente facilitare sforzi che Bulgaria fa per addivenire soluzione definitiva • del pagamento delle riparazioni di guerra.
164

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 956. Parigi, 16 novembre 1929.

Accludo il sunto della conversazione avuta stamane dal signor Astuto col signor Murray.

Può essere pericoloso per noi ammettere discussione su schema trattato senza farla precedere da esame criteri cui regolamenti etiopici dovrebbero essere informati. Il principale fra questi criteri dovrebbe essere quello delle necessità militari dell'Abissinia: con che una indiretta discussione sul contingentamento armi in un modo o nell'altro potrebbe sorgere specialmente se delegazione britannica volesse seguirei su tale terreno.

Inoltre se una parte dei lavori, e la più importante, dovesse rimandarsi ad Addis Abeba torneremmo in sostanza alla proposta abissina da noi respinta di tenere la conferenza colà (1).

Prossima riunione conferenza avrà luogo 22 corrente: prego quindi comunicarmi al più presto quali istruzioni debbano essere impartite a nostra delegazione.

165

IL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4479/197. Budapest, 18 novembre 1929, ore 14,50 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 225 (2).

Ministro degli affari esteri Walko mi disse constargli che Governo jugoslavo ha fatto pressioni su Benès perché inducesse Governo bulgaro addivenire conclusione patto con Belgrado da firmare in pari tempo di quello bulgaro-cecoslovacco. Egli ritiene però che Benès pure aderendo alla richiesta di Belgrado intenda firmare prima patto cecoslovacco-bulgaro. Quanto supposto abbandono dei macedoni, ministro degli affari esteri Walko lo considera pressoché impossibile da parte Liapceff, macedone lui stesso, mentre sarebbe più verosimile da parte di Buroff noto antimacedone ed acquisito influenza francese. Se promessa è stata fatta dal Governo bulgaro potrà essere in ogni modo in buona fede e se ne avrà del resto presto sicura notizia dall'atteggiamento macedoni stessi, i quali se abbandonati e ne avranno certo sentore, data loro perfetta organizzazione, inizieranno serie attentati terroristici. Mi riservo intrattenere argomento anche Bethlen che sarà mio ospite (3).

(l) -Cfr. Serie VII, vol. VI, n. 563. (2) -Cfr. n. 157, che fu inviato a Budapest col numero di protocollo particolare 225. (3) -Grandi ritrasmise questo telegramma ai ministri a Belgrado, Praga e Sofia aggiungendo: • Pregola fare tutto il possibile per l!ccertare riservatamente dettagli circa sviluppiazione cecoslovacca-jugoslava sopra la Bulgana segnalata da Walko, telegrafandomi •.
166

IL PRESIDENTE DELL'ANSALDO, CAVALLERO, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA

L. Genova-Cornigliano, 18 novembre 1929.

Oggi stesso mi sono trovato nella necessità di dirigere a S. E. il Ministro degli Esteri una lettera per chiedere il suo autorevole appoggio per una importante fornitura di artiglierie al Governo Turco (1). Ho pensato di inviare a Lei copia di questa lettera, affinchè Ella ne sia subito informata.

Il collegamento tra le note facilitazioni per gli armamenti navali che si sono fatte o si stanno facendo al Governo Turco, mi è parso che sarebbe il mezzo migliore per raggiungere lo scopo. Ben inteso, io non ho elementi per giudicare se un tale collegamento sia possibile di stabilire; mi preme soltanto confermarLe che la fornitura di cui si tratta, riferendosi unicamente ad artiglierie terrestri, avrebbe un grande interesse nei riguardi della nostra attrezzatura per produzione di artiglierie per l'Esercito, produzione che oggi è completamente ferma non essendovi più stata, dopo la fine della guerra, alcuna ordinazione di nuovo materiale da parte delle Autorità Militari Italiane.

Il vivificare e mantenere questa attrezzatura a spese di Potenze Estere sarebbe un risultato di primissimo ordine nei riguardi della difesa, ed a questo io tendo con ogni sforzo.

La .circostanza che il nostro unico concorrente italiano non partecipa a questa gara, potrà rendere l'appoggio del nostro Governo anche più libero e più efficace. Del Suo interessamento anche per questa questione per noi tanto importante

La ringrazio di tutto cuore...

167

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4497/417. Vienna, 19 novembre 1929> ore 19,20 (per. ore 20,40).

Ieri è avvenuto prestabilito colloquio di Schober con i dirigenti delle Heim

wehren; erano giunti a Vienna anche i capi delle loro organizzazioni delle pro

vincie. Colloquio doveva essere secondo le Heimwehren decisivo, ma non ha

invece purtroppo deciso nulla. Schober ha esposto le concessioni già ottenute

dai socialisti e dichiarando sperare attenerne altre, ha chiesto un rinvio di due

giorni. Steidle glielo ha accordato e lo stesso Pabst, di solito incline all'intransi

genza, si mostrava ieri non malcontento. Mi riservo telegrafare appena possibile

maggiori particolari.

In tutto ciò non riesco ancora a capire il contegno di Seipel che gli uni assi

curano sostenga Schober e gli altri che lo combatta. Domandai di vederlo alcune

settimane fa, ma mi fu risposto seguitava la cura e non riceveva nessuno. Sembra non veda che Schober e Steidle e che per eccezione abbia ricevuto Egger nella sua breve gita a Vienna. Ho oggi rinnovato la domanda di visitarlo.

In attesa dell'ulteriore svolgimento della situazione mi pare possa farsi qualche considerazione. Schober, malgrado diverse voci, non sembra disposto né a dimettersi, né ad agire fuori della costituzione. Le Heimwehren dicono che temono per la stabilità dello scellino se esse compiono atti di forza, senza voler tener presente che nell'ottobre 1922 la lira italiana era assai meno solida dello scellino. Non rimarrebbe quindi che rovesciare Schober con un voto parlamentare, ma la maggioranza non appare in ciò né unita né decisa e Seipel che è l'unico il quale forse potrebbe spingerla a ciò, continua a non mostrare quali siano i suoi propositi. Gli ungheresi si limitano a semplici suggerimenti di rapidità; mentre pregiudizi, perplessità, timori non fanno qui finora seguire nostri incitamenti a decidersi di tagliare il nodo dei vincoli costituzionali.

(l) La lettera a Grandi non si pubblica. La fornitura in discussione col Governo turco era del valore di 50-60 milioni.

168

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

T. 2195/835. Roma, 19 novembre 1929, ore 24.

Telegrammi per corriere di V. E. n. 942, 948 e 956 (1).

Osservazioni fatte da V. E. e dal nostro delegato allo schema britannico sono pienamente fondate. Circa programma dei lavori mi sembra ovvio che nostra delegazione non debba ammettere discussione su schema trattato senza farla precedere da esame criteri cui regolamenti etiopici dovrebbero essere informati. Tuttavia non posso non rilevare che delegazione britannica non avrebbe dovuto presentare detto schema senza informarcene preventivamente, perchè a più riprese nostri Governi avevano riconosciuto l'opportunità di procedere d'accordo su tali questioni e mediante preliminari scambi di vedute.

Sarebbe stato d'altra parte opportuno che il nostro delegato avesse preso iniziativa di tali preliminari contatti con la delegazione inglese, come gli era stato raccomandato qui a Roma, e che in ogni caso avesse fatto rilevare nella sua conversazione col signor Murray che la procedura adottata non era corrispondente alle precedenti intese generali avvenute fra i due Governi. Se quindi nella riunione a tre i delegati italiano e britannico non riusciranno ad ottenere un perfetto accordo circa la procedura da seguire sarà il caso di chiedere con qualche pretesto un rinvio delle riunioni affinchè il R. Governo possa cercare di ottenere da Londra che siano inviate al signor Murray istruzioni più conformi agli interessi dei due paesi.

(l) Cfr. nn. 161 e 164.

169

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, A RE ZOG

1.,, P. Roma, 19 novembre 1929.

La soddisfazione che Vostra Maestà con tanta benevolenza ha voluto esprimere per l'opera degli organizzatori militari italiani in Albania, nella lettera (l) che la Maestà Vostra si è degnata di indirizzarmi a mezzo del Generale Pariani, è la testimonianza più luminosa del successo d'una missione, che è stata ideata e voluta da Vostra Maestà come parte rilevantissima della generale organizzazione della Nazione Albanese e che ha trovato da parte mia la più premurosa e sincera collaborazione.

Mi compiaccio altamente del gradimento comunicatomi dalla Maestà Vostra e non mancherò di portare alla conoscenza degli organizzatori le espressioni tanto lusinghiere di Vostra Maestà. Esse costituiranno la loro migliore ricompensa ed il più efficace degli incoraggiamenti per intensificare i loro sforzi.

Ma, come è vero che una parte del successo è dovuta alla buona volontà degli istruttori, è certo d'altra parte che, senza le magnifiche secolari qualità militari e guerriere del Popolo Albanese, lo scopo che il giovane Esercito Reale sta per ottenere non avrebbe potuto essere conseguito.

Prego perciò Vostra Maestà di voler gradire le mie felicitazioni per l'ardore e la disciplina che animano le valenti Sue truppe, insieme con i miei ringraziamenti per tutto ciò che Vostra Maestà, i Capi militari e l'intero popolo albanese hanno fatto per facilitare il compito degli ufficiali italiani.

Aggiungo i miei voti più fervidi per la valente gioventù e per la gloria dell'esercito nazionale albanese, sostegno della libertà del Paese e nobile istrumento della sua materiale e morale unità. E formulo insieme l'augurio che la Nazione Albanese, guidata da Vostra Maestà, possa incamminarsi rapidamente verso i destini che il suo valore secolare e la sua illustre Storia le riservano per l'avvenire.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE CORPORAZIONI, BOTTAI

L. R. 257110/668. Roma, 19 novembre 1929.

Rispondo alla tua lettera del 7 corrente relativa al monopolio dei carburanti in Albania.

Della questione, come puoi immaginare, ero perfettamente edotto; anzi, se mi permetti, posso dirti che sono edotto di molti altri dettagli ed aspetti di essa oltre quelli che possono risultare dalla lettura della relazione che è stata a te inviata dall'on. Giarratana.

Credo che sia utile anche per te sapere che più di una volta -e non credo che la serie sia finita -l'Agi p ha sfiorato la perdita completa di ogni sua posi

zione in Albania per mancamenti evidenti, accertati è vero, con animo ostile e litigioso dalle Autorità Albanesi, ma non per questo men veri; e che solo gli interventi della Legazione, ora deprecati dall'Agip, hanno potuto riuscire a salvare il nostro prestigio dall'incommensurabile disdoro di vedere un ente parastatale Italiano letteralmente buttato a mare per inadempienze di fronte al Governo Albanese.

Se poi gli interventi della Legazione sono finiti per apparire gravosi, anche finanziariamente parlando, ciò è stato sempre per scegliere, tra due mali, il minore, dopo che le situazioni erano state pregiudicate da altri.

L'On. Presidente dell'Agip, che si preoccupa delle sue responsabilità di amministratore di fronte al Governo, ha potuto anche sentire che esiste il peso dì altre responsabilità non amministrative, per le quali lo stesso Capo del Governo ha dovuto usare verso l'Agip un rigore che il Presidente dell'Ente ha subito con ammirevole senso di disciplina, come un soldato in linea, ma ad evitare il quale egli avrebbe preferito lasciare passare in seconda linea qualsiasi preoccupazione che non fosse quella delle perentorie ragioni politiche che S. E. il Capo del Governo gli additava.

Di queste ragioni, la Legazione a Tirana ha avuto sempre una sensibilità acutissima ed io non posso che approvarla quando essa, constatando i pericoli immediati dì una situazione, e non riscontrando in altri quella prontezza che solo potrebbe evitarli, si sostituisce per un momento ad una funzione deliberativa più lenta e più lontana.

Nessuno ha mai pensato -e tanto meno la Legazione -ad invadere il campo di azione della Presidenza dell'Agip in maniera continuativa o con semplici provvedimenti presi una volta tanto ma con carattere continuativo. Per esempio, quello che tu mi scrivi sul • rifornimento normale attraverso Valona • per Coritza, deciso dalla Legazione, messo in relazione con la dichiarazione dell'On. Giarratana che ogni quintale di petrolio istradato per Valona viene a costare franchi oro 3,50 invece di 0,23, è realmente la prova che si cerca di determinare in te preoccupazioni sproporzionate.

In realtà i rifornimenti ordinati dalla Legazione hanno dovuto avere carattere straordinario in seguito ai crolli di alcuni ponti per effetto dei quali -malgrado tutte le precedenti tempestive esortazioni -la piazza di Coritza era rimasta • senza una latta di benzina né una latta dì nafta • (vedi all. l. Telegramma

n. 344 da Tirana). Come vedi non si tratta né di rifornimenti normali né di situazioni da considerare con la calma con cui il rappresentante dell'Agip, all'indomani del rifornimento fatto dalla Legazione, dichiara che senza questo intervento egli avrebbe provveduto lo stesso, mentre sino al giorno prima non aveva saputo farlo.

Dell'esito di questo intervento, del modo con cui si è potuto superare un momento critico per l'Agip, della nuova campagna ostile che stava per iniziarsi e dei passi compiuti con fermezza anche presso il Re di Albania per troncare tale campagna, il R. Ministro a Tirana rende conto con l'unito telegramma

n. 359 (1), di cui ti segnalo anche l'ultima parte pei suggerimenti che crederai di far pervenire all'on. Giarratana.

Ma, a parte i rifornimenti di Coritza, che non tutto sia nei termini contrattuali per le forniture dei carburanti in Albania lo dimostra lo stesso rappresentante dell'Ag1p il quale non si perita di scrivere al suo Presidente, in una lettera in data 18 ottobre comunicatami in copia testuale dall'On. Giarratana, frasi come queste:

• Ho scritto la lettera che accludo al Ministro delle Finanze Albanesi • (per documentare la correttezza dell'Agip) • ritardando di qualche giorno appositamente, per attendere l'arrivo di vari motovelieri che erano in viaggio -e che sono giunti in questi tre giorni-allo scopo di fare risaltare gli ingenti quantitativi che, effettivamente, abbiamo in magazzino, complessivamente, in Albania •.

Siamo dunque ridotti a questi piccoli giuochi di date per tenere viva in Albania la situazione di adempienza di un grande Ente Parastatale Italiano. E più oltre:

• Come Lei noterà nella lettera ci sono delle vere e proprie acrobazie per far ricadere sul Ministero molte colpe, come pure ci sono delle vere e proprie millanteri€, che sono ,però permesse in questo Paese, anche ad una Azienda seria come la ilostra •.

Tu comprenderai, caro Bottai, che se il Rappresentante dell'Agip in Albania crede di potere sfuggire ai mancamenti attraverso acrobazie e millanterie, che l'Agip farebbe male a tollerare se fosse perfettamente a posto coi suoi obblighi contrattuali, questo terreno sdrucciolevole non può essere prescelto dal Rappresentante del Governo Fascista e del Regno d'Italia né queste sono o saranno mai le istruzioni che il Ministero degli Esteri potrà impartirgli.

La Legazione a Tirana che sa come la politica dell'Italia in Albania sia tutta permeata di quello spirito di chiarezza e di fermezza che non ha bisogno di millanterie per nascondere i propri torti né di acrobazie per ripararli, ha dovuto prendere il timone per rettificare la rotta tortuosa ed ha sempre preferito salvare la situazione di prestigio dell'Agip anche con pregiudizio amministrativo, perché consapevole che le lesioni ai bilanci si sanano come si vogliono, mentre quelle al nome di un Ente -dietro al quale per giunta sta il nome del Governo Fascista -non sono di altrettanto facile sutura.

In sostanza, l'Agip è in Albania per un interesse militare e politico e deve rimaner-vi, facendo preferibilmente dei buoni affari, ma anche non facendoli se la tutela di quell'interesse lo richieda. In ogni caso il colmo dell'inabilità è di farsi mettere alla porta, come inadempienti, rovinando nello stesso tempo e gli affari e gli interessi più alti.

Perciò, con la stessa amichevole confidenza con cui tu hai richiamato la mia attenzione su questa situazione che io guarderò infatti con la massima cura per gli stessi interessi materiali dell'Agip, cosi io prego te affinché, con la tua sempre sveglia sensibilità, e nella sorveglianza che ti incombe sull'Azienda Petroli, tu possa imprimere all'azione di detta Azienda in Albania non soltanto il ritmo ma anche e sopratutto l'intonazione adeguata ai grandi scopi che noi perseguiamo sulla ~ponda opposta dell'Adriatico.

Concludo pregandoti di far sapere anche all'On. Giarratana che la distribuzione dei compensi pei quali egli versò una somma di 980 mila lire a questo Mi

nìstero il 28 settembre e che egli ritiene ancora in mano del Ministero è stata effettuata completamente entro il 30 dello stesso mese, come da regolari ricevute, e che egli è dispensato quindi dal nutrire al riguardo alcuna preoccupazione (1).

(l) Cfr. n. 114.

(l) Non si pubblica.

171

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(USM, cart. 3181) (2)

R. RR. 6352/3589. Parigi, 19 novembre 1929.

Ho telegrafato poco fa quanto segue (3):

• Gabinetto segreto dispaccio di V. E. n. 973 (4).

Ho avuto stamane la prima conversazione col Signor Briand. Ho parlato in fedele completa e stretta conformità delle istruzioni di V. E. Egli si è riservato chiamarmi per riprendere conversazione e precisarmi le vedute francesi dopo deliberazione del Gabinetto che provocherà alla prima occasione. Però dopo avermi inteso egli ha ripetutamente detto di avere la netta sensazione che i due Paesi si troveranno di accordo.

Riferisco particolari per corriere •.

Comunico ora i particolari seguenti:

All'inizio della conversazione ho detto al Signor Briand che V. E. aveva

ritenuto opportuno attendere la fine della crisi ministeriale francese e l'insedia

mento del Gabinetto, ed egli ne ha convenuto come cosa ovvia, aggiungendo che

la Francia era già intanto in conversazioni con Londra, Tokio e Washington per

informarsi e chiarire i reciproci punti di vista. Infine sono entrato ad esporgli il

nostro punto di vista, e perchè tutto resti ben chiaro e precisato gli ho lasciato

un riassunto nel testo non datato e non firmato di cui unisco copia, terminando

col chiedergli il suo pensiero ed il punto di vista francese.

Egli ha allora risposto come ho telegrafato. Poi nel corso della conversazione ulteriore egli ad un certo punto ha rilevato che nel fondo la questione è per le due Parti piuttosto politica che tecnica. Egli mi ha chiesto se sapevo qualche cosa del Locarno Mediterraneo attribuito al Signor Drummond, e circa questo argomento ha detto che personalmente egli non crede ad una iniziativa consimile da parte del Signor Drummond ma che non avrebbe da obbiettare, anzi sarebbe in massima favorevole a un progetto d'intesa mediterranea. Egli mi ha chiesto cosa io sapevo del nostro atteggiamento nella questione sottomarini; e dopo la mia risposta evasiva (perchè ho voluto evitare ogni entrata in particolari) ha detto che la Francia mantiene la sua opinione a favore dei sottomarini e si

opporrà che la questione sia portata in Conferenza (1). Un incrociatore che bombarda una città, una mina, ha detto il Signor Briand, fanno altrettante vittime innocenti quanto un sottomarino. Ha accennato alla questione della libertà dei mari, questione che ritiene interessante ma grave e forse immatura. Ha parlato della discriminazione Hoover a favore dei trasporti di derrate alimentari, osservando che è difficile per alcune materie, per es. i grassi, discriminare se sono esclusivamente materie alimentari od anche di possibile uso bellico ed osservando che in ogni caso deve avvenire la visita alle navi mercantili. Quanto alla Conferenza di Londra per la quale il Signor Briand è pronto ad accettare la data del 21 gennaio ma non è completamente di accordo sulla tesi inglese della esclusione dei tecnici come tali, egli ha detto che l'aumento degli armamenti americani per raggiungere la parità con l'Inghilterra, la domanda giapponese del 7 per 10 per gli incrociatori e la tesi che è patrocinata anche dalla Francia che ogni Paese deve giudicare esso dei proprii fabbisogni di sicurezza senza preoccuparsi della proporzionalità con altri Paesi (tesi Lacaze mio telegramma per corriere n. 096 [ sic] del l • novembre) finiranno forse per dare sensazione al pubblico che la Conferenza

Prossimo Consiglio Ministri è indetto per il 23 corrente (2). anzi che ridurre aumenterà armamenti.

ALLEGATO.

APPUNTO DI MANZONI PER BRIAND

L'Italie est sincèrement favorable non seulement à l'idée de la limitation mais à une réduction effective des armements. L'idée inspiratrice de son attitude dans la question reste toujours celle qui a été maintes fois énoncée par le Chef du Gouvernement, c'est-à-dire que l'Italie est disposée à priori à adopter comme limite de ses armements des chiffres quelconques, meme les plus bas, pourvu qu'ils ne soient pas dépassés par aucune autre Puissance continentale Européenne. L'Italie serait donc disposée à accepter pour son tonnage global le chiffre que la France croira indiquer pour elle meme. L'Italie reconnait d'autre part que chaque Pays doit etre laissé juge du besoin minimum requis par les exigences de sa siìreté. Le chiffre global indiqué par la France devrait constituer la limite maxima à laquelle de part et d'autre on aurait le droit d'arriver, laissant toutefois aux deux Pays toute liberte de fixer, si et quand cette limite doit etre effectivement atteinte, sans fixer, dès lors, l'obligation de programmes constituant engagement, obligation qui amènerait au résultat d'augmenter les armements, ou, tout au moins, d'en empecher la réduction.

Si la France est disposée à accepter ces principes fondamentaux comme base des discussions ultérieures l'Italie serait prete à examiner les autres aspects àu problème en tenant compte du point de vue français. Un accord de principe entre les deux pays faciliterait la tache de leurs Délégations respectives à la Conférence de Londres ainsi que le résultat favorable de la Conférence. Si l'accord ne pourrait pas s'établir, l'Italie se réserve toute liberté à la Conférence.

(l) -La lettera fu minutata da Lojacono, probabilmente in seguito a un colloquio da lui avuto il 15 novembre con Zanetti (forse Giovanni Zanetti, funzionario del Ministero delle Corporazioni). (2) -Di questo documento non si è trovata traccia in ASME. (3) -Con t. s. 4496/966/602. (4) -Cfr. n. 152. (l) -Cfr. un rapporto del 12 novembre 1929 dell'addetto navale a Parigi, Radicati, secondo il quale, se noi ave.ssimo aderito alla tesi anglo-americana favorevole alla abolizione o limitazione dei sommergibili, ci saremmo preclusa la via ad ogni ulteriore trattativa navale con la Francia (USM, cart. 3177/8). La Marina era favorevole a sostenere il divieto dell'uso dei sommergibili contro le navi mercantili (ibid., cart. 3175/2). (2) -In relazione al colloquio Manzoni-Briand cfr. quanto comunicava al suo governol'ambasciatore americano a Roma (FRUS, 1929, vol. I, p. 283).
172

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, MEDICI

T. GAB. s. 14/211. Roma, 20 novembre 1929, ore 24.

Suo telegramma 473 e seguenti (1).

Approvo linguaggio da V. E. tenuto a Primo de Rivera e prego continuare ad avere con lui utili contatti, assicurandolo delle sincere nostre simpatie, ed incoraggiandolo a perseverare energicamente nell'opera intrapresa (2).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

T. GAB. (P. R.) 118/455. Roma, 20 novembre 1929, ore 24.

Pregola provvedere perchè sia al più presto tolta dagli archivi della Lega Fascista e messa al sicuro tutta la corrispondenza fra Roma e presidenza Lega Fascista, e siano fatte comunque sparire da detti archivi tracce documentarie relazioni fra Lega Fascista ed autorità Governo e partito in Italia. V. E. mi darà assicurazione a cose fatte (3).

«Nei nostri riguardi, la concezione politica di Berenguer non lasciava presagire nulla

di favorevole, tanto più in quanto che l'opinione pubblica francese si era affrettata, attraverso la sua stampa radical-rnassonica, ad esprimere la sua esultanza per la caduta del Dittatore Spagnuolo, e lasciava trapelare la segreta speranza di ridurre la Spagna allo stato di una colonia spiritualmente ed economicamente dipendente dalla Francia. Aggiungasi che precisamente dalla Francia provenivano, con l'animo pieno di riconoscenza, gli Unamuno e gli Ortega Gasset, accolti come trionfatori dalla Spagna "costituzionale" di Berenguer; il che faceva presumere e temere che tutta la stampa liberale e socialista spagnuola, svincolatasi dal freno della censura, si sarebbe associata alla campagna internazionale demomasscnica di denigrazione del Fascismo.

Per ciò credetti opportuno fin dal mio primo colloquio col Generale Berenguer di attirare la sua attenzione sulla questione della stampa (mio telegramma del 10 corrente n. 70) ed in una conversazione successivamente avuta col Segretario Generale degli Affari Esteri invitai quest'ultimo a far presente al Generale Berenguer che i nostri due Paesi non avevano nulla da guadagnare da una campagna antifascista della stampa spagnuola che avrebbe provocato una sicura reazione nella stampa italiana.

Le assicurazioni datemi in proposito sono state finora mantenute •. Cfr. anche il t. posta di De Peppo n. 386/197 del 4 marzo 1930, del quale si pubbl~ca il brano seguente:

c Certo è che l'esperienza di questo primo mese di Governo precostituzionale ha dimostrato chiaramente che le ragioni profonde che favorirono il pacifico avvento della Dittatura nel 1923 si oppongono tuttora alla restaurazione di una situazione politico parlamentare perfettamente discreditata, mentre l'improvviso apparire di confuse tendenze a carattere sovversivo e le difficoltà finanziarie ed economiche del momento consigliano un accentramento di poteri nelle mani di un Governo forte.

. Primo de Rivera aveva ragione quando partendo dalla Spagna disse che la sola forma d1 Governo oggi e per molto tempo ancora possibile ed augurabile pel suo Paese è la Dittatura. Avrebbe dovuto aggiungere: una dittatura sul serio, non una pseudo-dittatura come

fu la sua •. . (3) La Lega Fascista del Nord-America fu sciolta per invito dello State Department in segmto ad un articolo, Mussolini's American Empire, pubblicato in novembre sulla rivista

• .Harper's Magazine •. Nell'articolo si sosteneva che la Lega aveva stretti legami col Governo ~~ Roma (cfr. D. FREZZA BrcoccHI, Propaganda fascista e comunità italiane in USA: la casa ttalwna della Columbia University, in c Studi Storici», ottobre-dicembre 1970, p. 674).

(l) -Cfr. n. 156. (2) -Dopo la caduta del regime dl Primo de Rivera e la formazione del Gabinetto presieduto dal generale Berenguer, De Peppo scrisse (t. posta 3339/179 del 26 febbraio 1930):
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IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4513/232. Sofia, 20 novembre 1929, ore 20,30 (per. ore 1,20 deL 21).

Mio telegramma-posta n. 664 del 18 corrente.

Questo ministro di Polonia è venuto ad informarmi che attitudine intransigente assunta da delegazione serba nelle prime sedute della conferenza per note questioni lasciate in sospeso a Pirot ha subìto importante modificazione nel senso che delegati si sono oggi mostrati molto più concilianti per questione doppi proprietari. Nescic ha dichiarato inoltre allo stesso ministro di Polonia che quasi certamente Belgrado rinunzierà sua pretesa circa zona interdizione 10 km. a cavallo frontiera.

Opinione questi circoli politici diplomatici è che tale condiscendenza serba, evidentemente compresa da Parigi, sia da mettere in relazione con attuale momento di delusione della Bulgaria nei riguardi dell'Italia per questione riparazioni. Anche Francia e Inghilterra sono attaccate, ma giuoco Governo di Belgrado è di apparire direttamente e spontaneamente ben disposto verso Bulgaria nel momento in cui amicizie su cui Sofia credeva poter contare vengono meno. Lo stesso organo fascista di Sofia pubblicando versi dedicati da un poeta a S. E. Mussolini fa seguire seguente commento: • Pubblichiamo questa esaltazione poetica per sentimento di ammirazione verso il creatore del fascismo, ma non come epilogo [sic] si italofilia verso H primo ministro d'Italia cui politica malgrado grandi servizi resi alla Bulgaria rimane anche oggi sulla base del sacro egoismo •.

Nuova dimostrazione contro riparazioni in tutta la Bulgaria con sospensione servizi e traffici indetta per domani da associazione ufficiali e sotto-ufficiali di riserva è stata proibita dal Governo. Sono state permesse riunioni in locali chiusi. Opinione pubblica unanime eccitatissima contro Buroff Moloff tanto che si temono disordini domani sera loro arrivo Sofia.

Stampa accoglie sfavorevolmente passo italo-franco-inglese reso noto al pubblico da un comunicato ufficioso (l) del Governo. Giornali ufficiosi esprimono tuttavia speranza che non si sia ancora detta ultima parola. Giornali indipendenti e opposizione fanno rilevare sopratutto carattere pressione e " punizione • del passo delle grandi potenze che dopo aver riconosciuto cifra dodici milioni e mezzo come massimo che Bulgaria possa pagare, ammoniscono che mancando accettazione cifra sarà ancora maggiore, spingendo così alla disperazione Bulgaria malgrado essa sia stata unica potenza orientale che abbia sino ad ora mantenuto lealmente suoi impegni.

N. B.-Comunicato al ministero delle Finanze.

(l) Vedilo riprodotto nel Corriere della Sera, 20 novembre 1929.

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NOTA VERBALE DEL MINISTERO DEGLI ESTERI PER L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

N. 257189/263. Roma, 20 novembre 1929.

Il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di accusare ricevuta della nota verbale in data 14 novembre corr. n. 458 (1) con la quale l'Ambasciata di S. M. Britannica ha comunicato il pensiero del Governo Britannico circa la presente situazione in Austria.

Il R. Governo concorda con l'avviso espresso dal Governo di S. M. Britannica e conviene nell'opportunità che tutti i Governi adottino i provvedimenti necessari perchè le disposizioni del Trattato di San Germano vengano rispettate.

Per parte sua il R. Governo ha sempre adottato misure al riguardo che si sono appalesate, e continuano ad appalesarsi, sufficienti ed efficaci.

Il R. Ministero non può peraltro riconoscere responsabilità particolari ai soli Stati confinanti con l'Austria, e ritiene necessario che tutti gli Stati europei confinanti o non confinanti si mantengano estranei alle vicende interne della Repubblica austriaca, evitando di intervenire sotto qualsiasi forma, in questioni la cui soluzione spetta soltanto al popolo austriaco.

Il R. Governo si augura pertanto che la neutralità finora da lui mantenuta di fronte alla situazione in Austria sia ugualmente seguita da tutti gli Stati europei.

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L'ADDETTO NAVALE A PARIGI, RADICATI DI MARMORITO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, BURZAGLI

(USM, cart. 3177j8)

N. 614/M/5 RR. Parigi, 20 novembre 1929.

S. E. il Conte Manzoni ha avuto ieri una conversazione con il Ministro francese degli Affari Esteri, Signor Briand (2).

Sebbene il R. Ministero degli Affari Esteri farà certamente pervenire all'E. V. copia del rapporto dettagliato trasmesso da S. E. il R. Ambasciatore, credo doveroso comunicare subito all'E. V. quanto il Conte Manzoni mi ha detto stamarre in merito al suo colloquio con H Ministro Briand.

Dopo aver messo in rilievo l'importanza del passo, ed assicurato il suo interlocutore del sincero desiderio dell'Italia di addivenire ad un amichevole accordo sulle questioni che faranno oggetto della prossima conferenza di Londra, S. E. il Conte Manzoni ha esposto al Signor Briand, nelle sue linee generali, il programma italiano riassunto nella nota formula: essere noi disposti non soltanto ad una limitazione, ma anche ad una riduzione di armamenti navali, ma in misura non inferiore alla Potenza continentale europea più armata.

Con questa formula -ha soggiunto il Conte Manzoni -l'Italia non pretende che si debba prendere come base i suoi armamenti: Essa lascia, invece, a questa potenza (e cioè alla Francia), la cura di stabilire il proprio programma navale, riservandosi di raggiungere lo stesso tonnellaggio globale.

II Ministro Briand non ha, di massima, opposto obbiezioni a quanto ha esposto il nostro Ambasciatore, ma si è riservato di intrattenere della questione i suoi colleghi di gabinetto, nel consiglio del Ministri che avrà luogo sabato prossimo.

L'on. Briand ha poi orientata la conversazione sulla questione dei sommergibili ed ha chiesto al R. Ambasciatore il suo parere sulla nota polemica giornalistica (vedi mio telegramma n. 100 del 9 corrente). Naturalmente, il Conte Manzoni, che non aveva ricevuto alcuna istruzione da Roma a tale riguardo, ma al quale credetti doveroso comunicare il telegramma di V. E. n. 50633 del 10 corrente, ha risposto in maniera evasiva, limitandosi a dichiarare che Egli non sapeva più di quanto i giornali avevano pubblicato. Allora l'on. Briand ha categoricamente espressa la assoluta intransigenza della Francia sulla questione dei sommergibili, dichiarando che il Governo Francese non solo non aderirà mai alla loro soppressione, ma si opporrà a che la questione venga messa in discussione alla Conferenza di Londra. Egli ha fatto notare che l'azione dei sommergibili contro i non combattenti, è paragonabile a quella di un bombardamento dal mare o dall'aria, di città non fortificate, od al pericolo delle torpedini per i naviganti.

L'on. Briand ha poi parlato della • Locarno Mediterranea • dicendosi personalmente favorevole all'esame della questione che potrebbe essere utile strumento di pace ed elemento di più intima coesione fra Inghilterra, Francia e Italia; ma condivide tuttavia l'opinione di S. E. il Conte Manzoni nel ritenere cioè che Sir Drummond non abbia sufficiente autorità per realizzare il suo progetto.

II R. Ambasciatore ha fatto osservare al suo interlocutore che, nel caso in cui l'idea di una Locarno Mediterranea prendesse consistenza sarebbe pur necessario considerare la presenza in Mediterraneo di altre Marine, come la Spagnuola, la Turca, la Greca etc.... (ad arte non è stato accennato a quella jugoslava), al che il Signor Briand ha risposto convenendo sulla necessità di tener conto anche di queste marine secondarie e che nulla può opporsi a che le Nazioni rispettive sieno chiamate a partecipare ad un eventuale accordo.

Spontaneamente il Ministro francese ha accennato all'Adriatico, riconoscendo l'importanza che questo mare ha per l'Italia e dichiarando essere anche per questo mare assolutamente necessario che le due potenze interessate Italia ed Jugoslavia, addivengano ad un accordo.

La conversazione fra i due alti rappresentanti si è svolta in una atmosfera di cortese cordialità senza mai peraltro scostarsi dalle linee generali dei problemi trattati.

Non è quindi vera la notizia riportata da alcuni giornali che da Roma e da Parigi sieno già stati nominati i tecnici che dovrebbero prendere parte alle conversazioni preliminari.

Nei riguardi della conferenza di Londra, il Signor Ambasciatore ha potuto comprendere che contrariamente a quanto sembra essere l'intendimento dell'Inghilterra, la Francia ritiene che i tecnici debbano prendere parte alla Conferenza come delegati e non soltanto come consiglieri dei delegati politici, il che è certamente più logico.

È da rilevare che durante tutta la conversazione, S. E. il R. Ambasciatore si è astenuto, di proposito, dal pronunziare la parola • parità •.

Infine, S. E. il Conte Manzoni ha fatto presente all'on. Briand che qualora le conversazioni preliminari tra Francia ed Italia non dovessero portare alla realizzazione dell'accordo desiderato, l'Italia riprenderebbe la sua libertà di azione.

Inoltre, di comune accordo, è stato deciso di non fare nessun comunicato alla

stampa in merito a tale colloquio.

S. E. il Conte Manzoni sarà ricevuto prossimamente dal Signor Tardieu Presidente del Consiglio dei Ministri.

(l) -Cfr. n. 155. (2) -Cfr. n. 171.
177

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4527l 424. Vienna, 21 novembre 1929, ore 20,15 (per. ore 21,50).

Tanto il Governo germanico quanto quello inglese e cecoslovacco hanno fatto qui sapere che davano consigli a questi socialisti di essere arrendevoli nelle trattative con Schober, riconoscendo necessità di modificazione nella costituzione austriaca.

178

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. GAB. 15/307. Roma, 21 novembre 1929, ore 24.

Egger di ritorno da Vienna ha domandato di essere veduto da S. E. Capo Governo per parlargli a nome Schober (1). Capo Governo ha incaricato sottoscritto ricevere Egger e dargli risposta. Ma risposta sarà conforme istruzioni in possesso V. E. Per quanto riguarda prestito Governo italiano mantiene immutata sua attitudine di attesa fino che situazione interna austriaca non sia risolta. Informerò V. E. dopo .colloquio con Egger.

(1) Cfr. n. 151.

179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. P. 2217/310. Roma, 22 novembre 1929, o1·e 12,50.

Egger mi ha ripetuto stamane preghiera Schober essere autorizzato dichiarare pubblicamente che Italia consente prestito. Schober si riserverebbe scegliere momento più opportuno per tale dichiarazione. Ho risposto Egger che gli darò una risposta fra qualche giorno. Desidero prima rivederlo conferire con lei sulla situazione. Parta immediatamente Roma.

180

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ORSINI BARONI

T. (P. R.) R. 14270/375. Roma, 22 novembre 1929, ore 24.

Delegato Ansaldo sta discutendo Angora grossa fornitura artiglieria per esercito turco in concorrenza rappresentanti case Schneider e Vickers. Offerta Ansaldo sembra incontrare particolare favore dal punto vista tecnico. Prego V. E. sostenere questo nuovo sforzo industria italiana per ottenere aggiudicazione tenendo presente che facilitazioni che in questo momento R. Governo sta facendo Turchia in materia armamenti navali possono servire di spunto per rendere più efficace appoggio codesta R. ambasciata. Attendo sue comunicazioni.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

L. 257631/289. Roma, 22 novembre 1929.

Il Principe Stirbey, ha recentemente avvicinato un autorevole personaggio italiano (l) e lo ha intrattenuto della situazione in Romania, dipingendola a foschi colori, soprattutto dal punto di vista finanziario.

Egli non vedrebbe altro rimedio che una dittatura e per essa, una sola personalità indicata, cioè il Generale Averescu, noto amico dell'Italia. Averescu avrebbe con sè l'esercito, una parte dell'antico partito, gli scontenti, di cui il numero va aumentando. Lo stesso Vintila Bratianu, capo dei liberali, già poco

favorevole al Fascismo, ne sarebbe divenuto entusiasta dopo il suo viaggio in Italia.

Averescu potrebbe agitare le masse per chiedere poi alla Reggenza la formazione di un Ministero nazionale; egli vi entrerebbe e procurerebbe di volgere le cose in modo da assicurarsi, al momento opportuno, la dittatura.

Osservo, a tale proposito, che può ravvisarsi in realtà qualche corrispondenza tra gli approcci del Principe Stirbey e le confidenze fatte a V. S. dal medesimo Generale Averescu, mentre i progetti attribuiti a detto Generale troverebbero una qualche conferma nelle recenti agitazioni da lui capeggiate e sulle quali la

S. V. ha riferito.

Checchè ne sia, certo si è che il Principe Stirbey, prevedendo le campagne che le sinistre demo-massoniche di Europa non mancherebbero di scatenare contro la Romania, chiede se, per fronteggiarle, la stessa Romania potrebbe fare assegnamento sull'Italia, il cui appoggio, oltre che di stampa, dovrebbe però essere anche bancario, allo scopo di sostenere la valuta romena. Egli avrebbe anzi desirato di essere ricevuto in udienza da S. E. il Capo del Governo, per intrattenerlo sulla questione.

Il personaggio italiano ha fatto notare, a titolo personale, le difficoltà di un appoggio bancario del genere, per un Paese come il nostro, ricco bensì di energie, ma scarso di capitali. La faccenda avrebbe dovuto, comunque, essere esaminata in confronto col R. Governo.

Sin qui il colloquio suaccennato, di cui sembrami opportuno informare V. S., salvo ogni più maturo esame della situazione.

Non dobbiamo rimanere indifferenti dinanzi alla possibilità che anche in Romania, dove si manifestano purtroppo influenze e tendenze contrarie ai nostri obiettivi tanto politici, quanto finanziari, si stabilisca, sotto la mano salda di uomini amici del nostro regime, un Governo capace di dare serie garanzie per un migliore orientamento nei nostri riguardi. Ma bisogna pure tenerci guardinghi prima di inoltrarci su di un terreno così delicato e cominciare, intanto, col mettere in chiaro le vere intenzioni dello Stirbey e del Generale Averescu, il seguito che essi potrebbero avere, all'atto pratico, negli ambienti romeni, infine le loro probabilità di riuscita in piani come quelli dinanzi adombrati. Lo stesso Principe Stirbey dovrebbe per il primo uscire dal campo troppo vago delle ipotesi ed accennare non solo alle modalità concrete per realizzare i suoi progetti, ma anche alla maniera ed ai limiti precisi in cui dovrebbe attuarsi, secondo lui, il nostro appoggio.

Farò consigliare al Principe Stirbey di dirigersi con piena fiducia a V. S., per esporLe i suoi progetti. Ella vorrà ascoltarlo e poi riferire, aggiungendo il Suo apprezzato parere (1).

di impegnarsi col generale Averescu e il principe Stirbey.

(l) Si trattava di Auriti che ebbe il colloquio col principe Stirbey il 29 ottobre e riferì a Grandi con l. p. del 30 ottobre, che non si pubblica.

(l) Preziosi rispose con R. r. 3073/899 del 30 novembre, sconsigliando sostanzialmente

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

L.RR.P. Roma, 22 novembre 1929.

Ho ricevuto le tue due lettere private, e ritengo mio dovere oltre che di ufficio anche di amicizia risponderti subito e con perfetta anzi con dura franchezza.

Non potrai certo volermene considerando che il mio scopo è in primo luogo quello di evitare eventuali pregiudizi agli interessi del Paese ed in secondo quello di giovare a te stesso, consigliandoti di abbandonare una linea di condotta estremamente pericolosa nei riguardi dell'apprezzamento da parte del Ministero della tua azione costi.

Mi limito all'incidente Cassone (1), ma debbo avvertirti che le impressioni qui destate da un tale deplorevolissimo caso non sono le prime che il Ministero ha avuto circa l'atteggiamento da te assunto in questi ultimi tempi.

Brutalmente ti dirò che tu hai mancato di sincerità nel riferire al Governo, e questo era risultato fin dal tuo primo telegramma per il quale ti sei attirato una risposta alquanto dura.

Le tue lettere private -in piena contraddizione coi tuoi telegrammi e rapporti ufficiali -mi hanno confermata questa certezza.

Checchè tu dica o pensi, il principale responsabile dell'incidente è lo stesso Cassone. Noi ne avevamo avuta l'esatta sensazione fin dal primo momento. Poi, in fatto di responsabilità, viene il Segretario Spagnuolo, e poi, infine, il pugilatore jugoslavo.

Perchè non hai fatto risultare queste circostanze aggravanti fin dal tuo primo telegramma? Perchè ancora ti ostini col tuo telegramma 2552 (2) a mettere le cose in una luce meno sfavorevole al Colonnello?

Perchè insisti nel voler collegare questo incidente alla • situazione generale • quando sai benissimo che ciò non è del tutto esatto, quando sai benissimo che non giova alla nostra attuale politica verso la Jugoslavia (ed a qualsiasi altra politica) metterlo in quel quadro?

Sei un uomo troppo intelligente per non comprendere che i tuoi argomenti sono assai deboli, ma hai troppo scarsa opinione dell'intelligenza altrui (e in questo caso di quella ministeriale -sia collettiva che individuale) se credi che qui non comprendiamo che i tuoi rapporti sono dettati unicamente dalla preoccupazione di evitare da parte del Ministero stesso o di altri impressioni e tanto meno accuse di poca energia e di moderato anti-serbismo.

Ora, ·caro Galli, qui le persone, verso di cui unicamente tu sei responsabile, comprendono benissimo le difficoltà in cui ti trovi, dentro e fuori la Legazione, ed una sola cosa esigono da te: che tu riferisca esattamente i fatti e sinceramente il tuo giudizio.

16 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Questo è il tuo dovere che tu devi assolvere senza preoccupazione alcuna, e senza giuocare di abilità, poichè è soltanto dal persistere in questo sfoggio di abilità che ti potrebbero derivare dei guai. Non dalle preoccupazioni del genere di quelle che ti inducono a lasciare la via diritta.

Il risultato di queste preoccupazioni nella fattispecie dell'incidente Cassone avrebbe potuto essere, se al Ministero ci fossero stati degli imbecilli, come tu pensavi, di far dare all'incidente stesso una portata assai grave (e già ve n'è stata data troppa) con conseguenze evidentemente pericolose, e di farci persino fare un passo ridicolo (permettimi la parola) quale quello che tu consigliavi di compiere presso il Governo spagnuolo, quando la lettera del tuo Collega di Spagna, non poteva essere più sensata, e costituiva la chiara prova delle colpe dell'Escobar e del Cassone (prova confermata dalla tua lettera privata).

E se tutto questo fosse avvenuto chi ne sarebbe stato il responsabile verso il Governo e il Ministero?

Unicamente tu.

Come vedi l'eccesso di preoccupazioni energetiche a scapito della sincerità

di giudizio avrebbe potuto condurti ad inconvenienti assai peggiori di quelli che avrebbero potuto derivarti da critiche od accuse del tuo Consigliere o dello stesso Cassone.

Credi pure, mio caro, che il Governo ed il Ministero non si lasciano fuorviare,

che qui non ci sono nè esaltati nè sciocchi, che i funzionari sono difesi ad oltranza

quando meritano di esserlo e soprattutto quando dicono, come dinanzi al giudice,

tutta la verità, niente altro che la verità. Noi abbiamo bisogno che i nostri Agenti

all'estero ci dicano senza veli e senza ambagi il loro pensiero, non che cerchino

di dirci quello essi credono possa essere il pensiero del Ministero.

Scusami queste brutali espressioni. Confido che me ne sarai grato un qualche

giorno.

Quanto al Colonnello Cassone, non è nostro interesse che egli rimanga a

Belgrado. Si farà il possibile per farlo tornare a casa dopo un congruo periodo

di tempo.

E quanto a Petrucci, sarà presto trasferito.

(l) -La notte fra il 7 e 1'8 novembre 1929 il col. Cassone, addetto aeronautico a Belgrado, aveva avuto un di:-erbio .in un loc~le pupbli!!o con un cittadino jugoslavo che aveva pronunciato parole offensive nei confronti dell Italia. (2) -T. per corriere 4474/2552 del giorno 16, per. il 18, che non si pubblica.
183

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Parigi, 22 novembre 1929.

Il colloquio col signor Barrère è avvenuto quasi repentinamente stamani (1).

Ha cominciato lui, con un elogio di de Beaumarchais ed una difesa della sua

impostazione delle note conversazioni, ed io l'ho lasciato dire senza alcuna inter

ruzione, per sentire tutto fino alla fine della pagina. Ha pesato su due punti giu

stificativi: l) un suo colloquio col Marchese Visconti Venosta subito dopo stretto

l'accordo del 1902. Il Marchese Visconti Venosta gli domandò di esporgli aperta

mente la politica francese per la Tunisia e non avrebbe fatto obiezioni alla marcia

verso l'annessione; 2) un suo colloquio col Presidente Mussolini, il quale non avrebbe trovato obiezioni alla snazionalizzazione automatica degli Italiani in Tunisia dopo qualche generazione.

Quando è stato il momento mio di parlare, ho detto che l'impostazione giusta delle conversazioni attuali era un'altra e non poteva essere che quella dell'art. 13 del Patto di Londra, del compenso territoriale e della nota 9 settembre 1918, da lui stesso direttaci, per le convenzioni tunisine.

Pel compenso territoriale avrebbero trovato esigenze non forti da parte nostra: la nota del 9 settembre 1918 per le convenzioni è invece del tutto esplicita nello spiegare la portata della misura francese e nel precisare che non v'era nella proposta alcuna arrière-pensée politica. Non vi poteva essere possibilità di diversa impostazione: -non si poteva impostare altre questioni che quelle circoscritte dalla nota e da parte nostra non si poteva domandar meno del ristabilimento dello statu quo ante per un congruo periodo -indicato in 10 anni senza alcun impegno per altre questioni.

Invece il signor De Beaumarchaìs, nonostante la nota 9 settembre 1918, aveva chiesto addirittura la sostituzione delle convenzioni del 1896 con un'altra che modificava lo statuto politico dei nazionali, delle scuole ecc. ecc. Questo fatto aveva fortemente impressionato. Come si è potuto fare una tale proposta data l'esistenza della detta nota, che proprio lui signor Barrère ci ha presentato con piena forza impegnativa?

Non ha replicato. La conversazione è passata su altri argomenti. Ho avuto l'impressione che ha egli stesso capito che non vi era da replicare.

Attraverso altri argomenti (politica inglese, conferenza navale, conferenza Aja), la conversazione si è chiusa sulla mia esposizione dell'interferenza comunista nella agitazione antifascista in Francia. che sempre interviene a turbare ed impedire ogni miglioramento delle relazioni italo-francesi. Gli ho esposto il quadro delle 4 zone di agitazione da me constatate (vedere il mio rapporto 6411/ 3623 (l) che qui accludo per evitarle una ricerca burocratica) insistendo sulla evidente manovra comunista nelle Alpes Maritimes. Ne è rimasto impressionato. Ha trovato le mie osservazioni molto interessanti ed ha detto che alla prima occasione ne parlerà col signor Tardieu. Il che vuoi dire credo che egli parlerà anche delle altre questioni e lo farà, non più sotto la sola impressione in cui era prima del colloquio, della versione cioè del signor de Beaumarchais, ma anche sotto quella della conversazione mia che lo tocca direttamente, egli essendo il firmatario di quella nota del 1918 che il signor de Beaumarchais ha tentato di stracciare.

Le dirò, Eccellenza, che dalle parole del signor Barrère è apparso chiaro che il signor de Beaumarchais ha creato qui l'impressione che il negoziato bisognava tenerlo solo col Presidente; che da principio andava a speranza, che poi... vi è stato nel Presidente stesso una mossa indietro sconcertante, e che oggi vi è il fatto che un Ambasciatore non può più direttamente arrivare così sovente e così normalmente dal Capo del Governo come prima quando da Lui poteva andare regolarmente e spesso data la Sua qualità di Ministro degli Affari Esteri.

(l) Manzoni aveva annunciato che stava cercando di incontrarsi con Barrère in una l. p.del 21 novembre 1929, che non si pubblica.

(l) Del 19 novembre, nel quale Manzoni riferiva di avere esposto al ministro di Monaco a Parigi che, a suo giudizio, c'erano in Francia 4 zone di agitazione antifascista: Parigi, le regioni dell'est, quelle delle Alpi Marittime e del Varo, quella di Tolosa.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

T.GAB.RR.P. 16/848. Roma, 23 novembre 1929, ore 16.

Decifri Ella stessa.

Ricevo ora suo rapporto n. 3604 del 19 corrente. La situazione è certo migliorata in seguito all'accordo fra delegati italiano, inglese e francese nel senso che approvazione e firma eventuale trattato debba aver luogo soltanto dopo esame ed approvazione schemi regolamenti. Ma non mi sembra ancora che si sia tornati sulla via diritta, poichè quello che interessava stabilire anzitutto non era il regolamento ma il fabbisogno di armi da parte dell'Etiopia, e su questo primordiale aspetto della questione il nostro delegato e quello britannico avrebbero potuto cercare di impiantare quelle opportune discussioni che avrebbero servito al nostro vero scopo, cioè quello di non (dico non) giungere ad una decisione concreta, senza tuttavia urtare le suscettibilità abissine.

Invece costi si sta trattando come se ci trovassimo di fronte uno stato di perfetta civiltà e come se discutessimo della grande questione del disarmo. Io non arrivo a comprendere che cosa debba venire a fare costì un esperto del ministero delle Finanze! Quando il vero esperto della conferenza avrebbe dovuto essere il comm. Astuto. La prego di darmi qualche schiarimento in proposito, ma la prego pure in via riservatissima e confidenziale di richiamare il nostro delegato alla realtà ed alle vere proporzioni delle cose, sorvegliandone l'attività che a dir vero mi sembra finora alquanto incerta, forse per il fatto che egli non si è reso conto che qui si tratta di una conferenza di carattere più politico che tecnico (1).

185

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. RR. 2226/241. Roma, 23 novembre 1929, ore 24.

Decifri da sè.

Prego V. S. tenermi il più possibile al corrente delle probabilità di una crisi governativa bulgara che nel presente momento merita la nostra maggiore attenzione. Occorre intanto che la S. V. non tralasci occasione per continuare a far opportunamente sentire costà che una eventuale eliminazione di Buroff dal Governo costituirebbe per noi una garanzia di mutamento di quella sua personale politica della quale abbiamo forti motivi di diffidare e che pertanto faciliterebbe molto una ripresa di fiduciose relazioni itala-bulgare, che presentemente si dimostrano essenziali e decisive per gli interessi della Bulgaria.

Mentre mantengo intanto personalmente utili relazioni con Volkoff, desidero che costà l'azione della S. V. non si trovi ostacolata dalla inferiorità di mezzi alla quale ella mi accenna (1).

Qualora le occorresse in via assoluta ed urgente, pur t'enendo presenti le esigenze attuali di rigorosa economia del nostro bilancio, autorizzo la S. V. ad assumere qualche impegno ed anche a versare qualche somma non eccessiva, facendomi poi proposte globali circa i mezzi strettamente indispensabili alla sua azione.

(l) Astuto fu chiamato a Roma a conferire.

186

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ORSINI BARONI

L. 257742/338. Roma. 23 novembre 1929.

Ho telegrafato (2) a codesta Ambasciata la mia favorevole impressione per l'iniziativa, presa da codesto Ministro degli Affari Esteri di far giungere a Sofia il consiglio di una maggiore intimità di rapporti col Governo italiano. Desidero, ora che V. E., nel corso delle conversazioni che avrà con Tewfik Ruscdi bey prima di terminare la sua ambasciata in Turchia, gli dica che considero tale suo atto come una prova di fattive sue intenzioni di realizzare quella reale amichevole collaborazione, di cui furono gettate le basi nei colloqui che egli ebbe, a suo tempo, a Milano con S. E. il Capo del Governo (3).

Sono, però, convinto che se Tewfik Ruscdi avesse avuta occasione di portare tutta la sua maggiore attenzione sulla situazione che va, da qualche tempo, delineandosi in Bulgaria, con esatta conoscenza e valutazione dei suoi elementi, il suo interessamento a Sofia si sarebbe anche prima d'ora manifestato e le sue premure continuerebbero ad essere più insistenti ed energiche, col peso considerevole che l'azione politica della Turchia vi può apportare. È, quindi, il caso che l'E. V. segnali a Tewfik Ruscdi, nel modo il più chiaro ed efficace, uno stato di cose che deve preoccupare, per la politica comune e per i suoi particolari interessi assai più il Governo di Angora che il Governo italiano.

Il Signor Buroff, secondo risulta anche dalla risposta che egli ha fatto dare alle premure di Tewfik Ruscdi per mezzo di codesto Ministro di Bulgaria, tende ad accreditare l'opinione che le diffidenze italiane nei riguardi della sua politica si riducano, in tutto e per tutto, ad un modesto e sorpassato malinteso, originato dal fatto di una sua mancata visita a Roma. La verità è ben altra. Il Governo Fascista gradisce, indubbiamente, frequenti contatti con gli uomini di Governo dei Paesi amici, contatti dai quali non può, oltre tutto, che derivare una più perfetta conoscenza di situazioni, di intenzioni e di necessità, che gli sono di utile elemento di giudizio per l'azione che esso deve esplicare, specie quando questa azione è di appoggio a quella di tali Paesi. Ma che il Signor Buroff riesca o meno a trovare il tempo di fermarsi a Roma, quando è sulla via di Parigi, non è questione che possa, comunque, avere influenza sopra l'essenza delle relazioni itala

bulgare. La verità è-e finora nessuna delucidazione convincente ci è giunta nè dal Ministro degli Esteri di Bulgaria, nè dallo stesso Presidente del Consiglio, Liapceff -che le manifestazioni della più recente politica estera della Bulgaria che è noto quale dominante influenza eserciti su tutta la situazione interna dello Stato, appaiono orientarsi sempre di più in direzioni contrarie a quelle seguite fino a qualche tempo addietro, colla tendenza a portare progressivamente le posizioni bulgare nel raggio d'azione franco-jugoslavo. E ciò, nel momento stesso in cui si fanno più serrate e più audaci le manovre del partito agrario bulgaro, ligio a Belgrado. Nè può valere a rassicurare sopra le possibili conseguenze -molto preoccupanti per la situazione generale nei Balcani, e, per riflesso, per coloro, Italia e Turchia, che vi hanno diretti interessi -l'affermazione che viene spesso ripetuta a Sofia, dai sostenitori della politica di Buroff, che la Bulgaria è costretta ad una politica estera relativamente agnostica, che deve limitarsi ad una considerazione paritaria delle principali Potenze ed al mantenimento di soddisfacenti rapporti di buon vicinato. Sono queste formule vuote di contenuto pratico, che non corrispondono nè alla reale efficienza politica attuale della Bulgaria, nè alle esperienze fatte dalla sua storia recente, nè ai reali suoi interessi, che sono stati finora assicurati, ed in ripetute e gravi occasioni validamente difesi, anche all'infuori del beneplacito franco-jugoslavo, nella preoccupazione di salvaguardare quella integrale indipendenza dello Stato bulgaro che è, indubbiamente, nei desideri dell'Italia, ma che è anche, nè potrebbe essere altrimenti dato essenziale per una illuminata politica balcanica della Turchia.

L'E. V. potrà, quindi, far rilevare a Tewfik Ruscdi bey come ciò che ci preoccupa sia ben altro che i viaggi del Ministro degli Esteri di Bulgaria e come quanto ho esposto meriti una sua ferma decisione di collaborare più attivamente con l'Italia ad eliminare le incertezze bulgare.

In connessione, poi, con tale ordine di idee, di un altro argomento desidero che l'E. V. intrattenga, conclusivamente, Tewfik Ruscdi, prima che Ella si congedi ad Angora, e cioè dell'opportunità sempre più evidente, sopratutto se si tenga conto delle preoccupazioni balcaniche più sopra accennate, di affrettare la fase conclusiva degli accordi da tempo in discussione colla Grecia. Tewfik Ruscdi sa benissimo che le premure che da tempo non abbiamo cessato di fargli in tal senso non corrispondono a convenienze esclusivamente italiane, ma ad utilità essenziali che un'esatta valutazione della situazione generale dimostra essere la base necessaria per la realizzazione della politica di Milano, che ha contemplato in prima linea la massima efficienza del fattore politico che rappresenta la Turchia.

Il lasciar trascinare ancora da parte turca, nelle mani di commissioni e di esperti, una questione il cui valore politico futuro supera dì gran lunga le cifre della sua attuale valutazione finanziaria, sarebbe un grave torto di Tewfik Ruscdi, suscettibile di menomare i risultati della sua notevolissima opera politica.

Tewfik Ruscdi non può disconoscere che da parte del Governo greco si è fatto molto per venire incontro ad un desiderato componimento colla Turchia. La presente situazione generale nei Balcani, quella particolare della Grecia, non possono che rendere questa sinceramente disposta a fare il possibile per giungere rapidamente ad un tale risultato. Ma è evidente che occorre approfittare del momento. Anche in Grecia si agitano, e tenacemente, le stesse influenze che tendono a fuorviare la politica di Sofia. È evidente che l'incertezza della situazione greco-turca costituisce un successo di tali influenze. Costituisce anche, però, un mezzo di tenere in iscacco la libertà di azione e la piena efficienza della politica turca.

Attenderò di conoscere, quanto prima possibile, su tutto ciò il netto pensiero di Tewfik Ruscdi bey, e prego V. E. di parlargli con quella rude franchezza ed efficacia che Le è ora meglio consentita dal fatto che Ella sta per mettere termine alla Sua missione in Turchia.

(l) -Allude forse al n. 92. (2) -Con t. 2194/371 del 19 novembre, che non si pubblica. (3) -Cfr. Serie VII, vol. VI, p. 185 nota.
187

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4564/435. Vienna, 25 novembre 1929, ore 15 (per. ore 15,55).

Mio telegramma n. 433 (1).

Segretario generale affari esteri che ho visto testè mi ha espresso convincimento che congresso social-democratico ieri abbia praticamente accettato riforme costituzionali presentate da Schober (2) e che queste possano essere pertanto definitivamente approvate entro corrente settimana. Mi ha detto altresi che Schober non intenderebbe procedere disarmo Heimwehren proponendosi servirsi loro efficienza per conseguire in parlamento accettazione da parte social-democratici anche altre parti riforma costituzionale fino ad ora sottoposte a discussione commissione competente camera dei deputati. Mi ha confermato infine che la nuova legge sulla stampa sarà assai severa perchè per sua natura approvabile a maggioranza semplice e che Seipel presiederà commissione di cui fanno parte alcuni capi Heimwehren, incaricata studiare prossima istituzione camera corporativa.

188

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4577/817. Angora, 25 novembre 1929, o1·e 14,15 .(per. ore 4,20 del 26). Telegramma di V. E. 374 (3).

Mi sono valso di questo telegramma e delle istruzioni ora impartitemi da

V. E. per richiamare seriamente attenzione di Tewfik pascià sulla convenienza di addivenire una buona volta a liquidare varie pendenze tra Turchia Grecia che sono un elemento di incertezza per quella politica mediterranea e balcanica trae

dirigenti socialdemocratici ad accettare praticamente la riforma, nella misura non indifferente proposta da Schober... • (t. 4624 di Geisser Celesia del 26 novembre).

ciata nei colloqui di Milano. Non gli ho nascosto che nei nostri circoli dirigenti una buona parte della responsabilità del prolungamento di questa incertezza viene addebitata a Governo turco. Per incarico quindi di V. E. io lo invitavo ora che nuovo ministro di Grecia si presenta con tendenza conciliativa, a non riprendere i soliti sistemi bizantini, ma a procedere speditamente e praticamente. È superfluo che io le riferisca la difesa fattami da Tewfik della sua condotta verso la Grecia basata ieri come oggi sul vivissimo sincero desiderio suo personale di un accordo con Grecia per liquidare questioni pendenti da completare poi con patto politico di neutralità e con un accordo per una limitazione armamenti navali secondo linea che più sotto riferirò. Questo suo desiderio che è quello del Gazi e di Ismet pascià, oggi si presenta più facilmente realizzabile per le ragioni seguenti:

l) tanto in Grecia quanto in Turchia opinione pubblica è stanca e vuole accordo;

2) le correnti contrarie che nel Gabinetto qui e nella Grande Assemblea tante pene gli hanno causato sono, se non domate, per lo meno rese meno loquaci e meno combattive;

3) nuovo ministro di Grecia è un ellenico e non un greco di Costantinopoli come lo era Papas, quindi meno sensibile a influenze dell'elemento greco in Turchia o emigrato in Grecia. Tewfik pascià ha avuto buona impressione da primo colloquio con Polichroniades che gli è apparso come desideroso avere personalmente un nuovo successo realizzando accordo anche con la Turchia come lo realizzò con Jugoslavia. Soltanto Polichroniades non ha ancora ordine di iniziare formali negoziati; Tewfik pascià quindi prega V. E. volersi interporre presso Venizelos perché quest'ordine venga dato a Polichroniades. Il presente telegramma continua.

(l) -T. 4562/433 del 25 novembre, che non si pubblica. (2) -« Per debito d'ufficio riferisco infine una voce, giuntami da fonte di solito bene informata, secondo cui il viaggio a Roma del Ministro Auriti -e le conseguenti possibilitàche gli uni ne temono e gli altri ne sperano per il Governo -abbia contribuito a decidere

(3) T. 2222/374 del 22 novembre, che non si pubblica perchè riassume il doc. 186.

189

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4575/818. Angora, 25 novembre 1929, ore 19,30 (per. ore 12,07 del 26).

Seguito al numero precedente.

Come base soluzione rapida definitiva Tewfik propone:

l) lo stato di fatto attuale delle molte questioni sospese e che negoziati debbano mirare a trovare direttamente fra i due paesi formula che legittimi tale stato di fatto;

2) che giudizio arbitrale soltanto sia affidato a commissione mista per dichiararlo -come propria decisione. Alla mia domanda se Governo turco con ciò sarebbe disposto a lasciare cadere pretese della ben nota somma in denaro Tewfik mi ha risposto: • Se Governo greco nulla mi domanda io nulla domanderò a Governo greco • intendendo con ciò siano incamerati definitivamente beni che Governo turco tiene sotto sequestro. A suo avviso sarebbe utile al fine desiderato anche da Governo italiano che Polichroniades fosse autorizzato ad intraprendere, in colloquio preliminare da non comunicarsi a pubblico, esame fissazione statu quo e ricerca formula risolutiva. Quando questo lavoro fosse felicemente compiuto potrebbe essere cominciato negoziato formale e di questo inizio data notizia a pubblico.

Tewfik prega V. E. prendere quanto precede in benevolo esame e darvi se crede seguito ad Atene. Circa tendenza del Governo greco di trasportare ad Atene sede del negoziato, ministro degli Affari Esteri mi ha detto questo Governo vi si opporrebbe ritenendo necessario, nell'interesse della speditezza del negoziato stesso, di trattare direttamente col rappresentante ellenico.

Quanto al patto politico susseguente, egli propone testo di quello italo-turco. Quanto a patto per limitazione armamenti navali egli pone come condizione preliminare che non siano soltanto la Grecia e la Turchia a vedersi legate. Sembra sia assicurato Turchia sarebbe disposta a fissare con Grecia parità di tonnellaggio sulla base per esempio di 60.000 tonnellate in 10 anni. Per arrivare a questo accordo Tewfik si rimette a S. E. Mussolini e a V. E., sia che si creda opportuno scegliere la via della commissione internazionale preparatoria, sia per patto a parte. Ma su questo insiste Tewfik, che cioè Turchia mai non lascerà legarsi le mani se contemporaneamente non se le faranno legare la Grecia e le altre potenze suddette.

190

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 343. Roma, 25 novembre 1929.

Mi ·riferisco al telespresso dell'E. V. in data 19 ottobre scorso n. 253319/610 all'oggetto ; Politica Religiosa in Eritrea •. Mi sono affrettato a prendere quei diretti contatti con S. E. il Ministro delle Colonie dall'E. V. ordinati e, dopo alcuni colloqui, ho ricevuta la lettera confidenziale riservata 6416 del 5 corrente che allego in copia alla presente (1). I primi assaggi da me fatti alla Segreteria

• Debbo premettere che la ragione principale, che mi ha indotto a proporre un programma di propaganda cattolica in Eritrea, è quella di cercare di staccare -anche dal puntodi vista religioso -le popolazioni copte di quella Colonia dall'Abissinia. Allo stesso scopotendono le pratiche in corso per far dipendere i copti dell'Eritrea non dall'Abuna Abissino, ma direttamente dal Patriarcato di Alessandria.

Non ho certo bisogno di spiegarti quanto importante -per il presente e ancora di più per l'avvenire -sarebbe questo distacco religioso fra Eritrea e Abissinia ...

Debbo aggiungerti in via molto riservata che Zoli non ha nascosto il suo scetticismo sulla possibilità che una intensificata azione di propaganda cattolica in Eritrea possa sortire efficaci risultati. Ma ciò è frutto di una concezione che guarda più al passato, che al presente e all'avvenire.

Tu sai bene come fino a ieri l'Eritrea fosse una roccaforte della massoneria. Puoi quindi immaginare quanto poco sia stata favorita la propaganda cattolica.

È necessario quindi che il Governo dell'Eritrea esca dall'agnosticismo finora professato nel campo religioso verso le popolazioni indigene. E dire agnosticismo è forse troppo poco,perchè in passato vi è stata prima una politica filo-musulmana, e poi una filo-copta.

Occorre perciò che in Eritrea la religione cattolica sia posta -nei riguardi della popolazione indigena -non in una posizione di privilegio, ma in quella posizione di dignità e di prestigio che le compete, a parte ogni altra considerazione, come religione dello Stato sovrano. Se si vogliono, per esempio, facilitare le conversioni, è necessario che lo scarso

di Stato ed alla Nunziatura non hanno dato risultati positivi. Il Cardinale Segretario di Stato si è tenuto assai sulle generali e così ha fatto il sostituto agli affari straordinari Monsignor Pizzardo. V. E. sa che l'atmosfera nella quale viviamo non è la più adatta in questo momento a trattare simili argomenti, non fosse altro che perchè la Santa Sede è sospettosissima di ogni nostro atto; sospetto che si riverbera dal Papa su tutti i suoi dipendenti. Devesi aggiungere poi che la materia in oggetto è di competenza quasi esclusiva della Congregazione di Propaganda Fide la quale gode in realtà una specie di sostanziale autonomia nel trattamento degli affari che le competono e per di più è retta da un Cardinale che non ci ama e da Monsignore Marchetti Selvaggiani autorevolissimo anti italiano ed antifascista nato in Italia.

Oltre a tutto ciò sta il tenore della lettera di S. E. il Ministro delle Colonie, la quale non è affatto conclusiva nè come direttive nè come esposizione di desideri e quindi di obbiettivi da raggiungere, evidentemente perchè ha trovato ostacolo nel parere del proprio Governo coloniale cui, oltre la riverberazione dell'ambiente tuttora fervidamente Massonico, pesano fin d'ora i rischi, i pericoli e le fatiche di una politica decisamente cattolica in Eritrea.

Per la precisa cognizione che ho, sia dell'ambiente bianco ed indigeno dell'Eritrea sia del momento politico che attraversiamo colla Santa Sede aggravato dal viaggio in corso di Monsignor Marchetti Selvaggiani in Abissinia, sia del problema politico di una vasta penetrazione cattolica nelle nostre Colonie dell'Africa Orientale che ritengo in condizioni favorevoli solubilissimo a tutto vantaggio di una nostra politica di espansione e d'imperio, mi permetto di far considerare alla E. V. che sarebbe forse opportuno segnare per qualche tempo il passo riprendendo la cosa colla massima energia in un momento favorevole. Ove V. E. lo consenta direi pertanto a voce a S. E. il Ministro De Bono che rimango in attesa delle proposte del Governatore prima di fare altri passi presso la Santa Sede (1).

numero degli attuali cattolici indigeni sia efficacemente ed apertamente protetto in confronto della massa copta, fra cui è frammischiato.

In tesi generale, insomma, dirò che più che di provvedimenti concreti (che dovranno del resto essere organicamente studiati e tenacemente e pazientemente applicati) in Eritrea si ravvisa il bisogno di un cambiamento di tono in tutto il Governo e in tutta la sua azione ne! campo religioso ...

Questi sono i concetti cui sono inspirate le istruzioni, che contemporaneamente impartisco a Zoli. Al quale raccomando anche di tenere d'occhio le missioni protestanti; e di vedere se non si può ostacolare la loro opera anche più di quello che da qualche anno si fa •·

De Bono aveva posto la questione nel precedente giugno ed era stato approvato da Mussolini (cfr. note della Presidenza del Consiglio del 4 e del 23 giugno 1929, in ACS, Presidenza del Consiglio, 1928-1930, fase. 17/2/6670).

Con telespresso 257727/214 del 23 novembre Grandi aveva comunicato al Cairo:

" Ritengo, concordemente col R. Ministero delle Colonie, che debba, comunque, esser evitata la nomina di un Vescovo Copto per l'Eritrea con sede stabile in quella Colonia, come contraria al nuovo indirizzo che il R. Governo sta seguendo nella politica religiosa in Eritrea. Una tale presenza, infatti, non farebbe che ostacolare il nuovo programma di intensificazione della propaganda cattolica che, secondo le direttive di S. E. il Capo del Governo, ci si è proposti di attuare colà •.

La questione fu risolta nel senso desiderato dal Governo italiano da Cantalupo, successore di Paternò al Cairo (R. CANTALUPO, Fu la Spagna, Mondadori, 1948, p. 35).

(l) Di questa lettera si pubblicano i brani seguenti:

(l) Annotazione marginale di. Grandi: • Prego parlarmene coi precedenti. Atti per ora •·

191

IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 4590/241. Sofia, 27 novembre 1929, ore 1 (per. ore 2,10).

Buroff mi ha accennato a titolo personale non ufficiale suo proposito recarsi Roma in occasione prossimo suo ritorno Parigi prima della conferenza dell'Aja. Anche Liapceff mi ha stamane parlato della cosa pregandomi consigliare Buroff effettuare visita a S. E. Capo del Governo e V. E.

Ho risposto ad ·ambedue in modo vago e generico. Prego V. E. impartirmi istruzioni possibilmente telegrafiche per mia norma di linguaggio e di condotta.

192

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, E AGLI AMBASCIATORI A BRUXELLES, DURAZZO, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, E A PARIGI, MANZONI

T. (P. R.) 14441. Roma, 27 novembre 1929, ore 21.

(Per tutti). Telegramma di questo ministero n. 14084 del 18 corrente (1). Il R. ministro in Addis Abeba in data 22 corrente ha telegrafato quanto segue:

336 -Notizia sembra esatta. Missione belga sarebbe composta da sei ufficiali comandati da un maggiore e dovrebbe venire in Etiopia in gennaio. Di ciò sarebbesi occupato a Bruxelles ex ministro ad Addis Abeba signor Gerard il quale desidererebbe anche ritornare in Etiopia come consigliere politico del Negus. Attuale ministro Belgio non è favorevole venuta missione prevedendo difficoltà cui andrà incontro ed impossibilità per funzionari o ufficiali europei seri e capaci adattarsi servizio alle dipendenze Abissinia.

(Solo per Bruxelles). Prego V. E. di voler a sua volta controllare surriferita notizia.

(Per Colonie e Parigi). Ho telegrafato Londra quanto segue:

(Solo per Londra). Prego V..E. voler sondare il pensiero di codesto Governo circa surriferita notizia di cui chiedesi ulteriore controllo al R. ambasciatore in Bruxelles. V. E. vorrà ricordare coincidenza punti di vista nostro ed inglese contrari invio istruttori militari europei in Etiopia sino a che non fossero definiti lavori conferenza armi: punto di vista, che da parte nostra rimane immutato, per quanto proposta inglese addivenire ad un reciproco impegno da parte tre Governi di astenersi dall'invio di propri istruttori militari in Etiopia in attesa di tale definizione non potè concretarsi per rifiuto francese (telespresso ministeriale 231518 del 20 giugno scorso e precedenti).

(Per Parigi). Prego V. E. voler anche sondare il pensiero del Quai d'Orsay in proposito.

(1) T. di piccola registrazione che non si pubblica, recante la richiesta di controllare la notizia, data dalla stampa egiziana, della prossima partenza di una missione militare belga per l'Etiopia per riorganizzarvi l'esercito.

193

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4615/529. Belgrado, 27 novembre 1929, ore 20,25 (per. ore 23,50).

Articolo del giornale Politika sulla situazione interna albanese trasmesso con agenzia Stefani odierna appare estremamente tendenzioso, fa in ogni caso parte organica campagna di stampa contro di noi di queste ultime settimane e che ha toccato ogni possibile argomento (rapporti con Heimwehren, con la Bulgaria, riparazioni orientali, divagazioni storico-diplomatiche sul nostro ingresso in guerra, sul patto di Londra) è, non può essere in dubbio, suggerimento di Francia. La Politika odierna fa seguito a quanto scritto nelle Novosti di Zagabria del 24 corrente (vedi agenzia Stefani). Poichè ciò coincide con le notizie provenienti da Uskub (mio telegramma n. 524) corrispondenti in massima a quanto è noto a questa legazione Albania, è lecito dubitare che si vogliano nascondere le sobillazioni jugoslave nelle pieghe di qualche inquietudine interna forse non spontanea. Occorre quindi a mio avviso seguire con ogni attenzione gli avvenimenti essendo non prudente credere alle dichiarazioni fatte sulla questione albanese da Marinkovic a Drummond e di cui telegramma per corriere di V. E. 2203 (l) tanto più in quanto notizie da Uskub e le pubblicazioni di stampa fanno ripensare alla manovra che seguì il primo patto di Tirana e che portò ai concentramenti militari jugoslavi sulla frontiera albanese.

Sarò in ogni caso grato a V. E. se per mia norma potrà eventualmente farmi conoscere fondamento delle notizie sulla situazione interna albanese date dalla stampa jugoslava.

194

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BROCCHI

T. S.PRECEDENZA ASSOLUTA 2252/861. Roma, 28 novembre 1929, ore 12,35.

Informola per sua riservatissima personale conoscenza che R. Governo ha deciso, in via di massima, sciogliere note riserve circa prestito austriaco. Comunicazione in tal senso sarà fatta fra qualche giorno, salvo circostanze imprevedute. Date queste condizioni interessa R. Governo che trattative per la soluzione delle varie questioni economiche di cui per ultimo al suo rapporto del 7 novembre corrente giungano a buon termine possibilmente prima della convocazione con

ferenza Aja. Prego quindi comunicarmi se nulla di nuovo vi è stato dopo detto rapporto, e se rimane sempre stabilita venuta Roma rappresentanti austriaci coi quali ella potrebbe incontrarsi qui per definizione questioni suddette, oppure se ella ritiene trattarle a Vienna. Pregola ad ogni modo tenermi telegraficamente informato (1).

(l) Del 20 novembre, col quale veniva ritrasmesso il n. 159.

195

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SOLA

T. 2256/274. Roma, 28 novembre 1929, ore 24.

Attendo risposta miei telegrammi 14435/272, 14371/270 (2). Una smentita di codesto Governo è importante e necessaria.

Pregola anche telegrafarmi se notizie stampa jugoslava su torbidi albanesi trovino alcun fondamento nella situazione interna di codesto paese, che appare normale e tranquilla.

196

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 6016/648 (3). Innsbruck, 28 novembre 1929.

Il Capitano distrettuale di Lienz ha proibito il 24 corrente la rappresentazione del noto dramma a soggetto irredentista ed antifascista • Geknechtet • che doveva avvenire a Sillian alla data suindicata per iniziativa di quella società teatrale. Secondo informazioni confidenziali, il divieto di cui trattasi sarebbe da ricollegarsi alle nostre recenti e passate rimostranze tanto presso queste autorità provinciali quanto presso il Governo federale per le rappresentazioni consimili qui avvenute. Ciò, connesso ,anche col fatto che da qualche tempo la stampa locale, ubbidendo indubbiamente ad una parola d'ordine, ha quasi del tutto cessato di occuparsi della questione • sudtirolese • e delle cose nostre in genere, potrebbe essere un indizio e un sintomo di resipiscenza nell'attitudine dei poteri pubblici in Austria nei nostri riguardi ed anche di taluni circoli dirigenti, i quali sono rimasti assai

• Sembra intanto opportuno, nelle attuali contingenze politiche recedere dalla linea di rigidezza seguita in questi ultimi tempi nei riguardi dell'Austria (Le comunico a titolo riservato il testo delle dichiarazioni che farà prossimamente Schober alla Assemblea legislativa) tanto più che il provvedimento del Governo Federale circa il finanziamento edilizio rappresenta un certo successo contro il fronte unico socialista anche per il fatto che aprirà la strada al regime della libera contrattazione in materia di affitti ... • (minuta di telespresso per Mario Alberti, del dicembre 1929). A una precedente analoga richiesta di Alberti Palazzo Chigi aveva risposto ritenendo opportuno • guadagnar tempo fìnchè la situazione italaaustriaca venga meglio chiarita • (relazione di De Marsanich per Grandi del 31 ottobre).

soddisfatti dell'attitudine della nostra stampa, unica in Europa e specialmente nei paesi limitrofi all'Austria che abbia mostrato di seguire con simpatia la campagna delle • Heimatwehren • e gli sforzi del Signor Schober per menare in porto il progetto di riforma costituzionale.

(l) Palazzo Chigi espresse parere favorevole alla domanda del Governo austriaco intesa ad ottenere il consenso del Comitato di controllo per il finanziamento di lavori edilizi.

(2) -Telegrammi di piccola registrazione, dei giorni 27 e 26 novembre, con notizie sulla situazione interna albanese e sui rapporti dell'Albania con la .Jugoslavia e con l'Italia. (3) -n t. posta venne inviato, per conoscenza, alla legazione a Vienna.
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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (ACS, Ministero Cultura Popolare, busta 164, fase. 79 A)

R. 5442/1681. Washington, 29 novembre 1929.

Mi onoro qui unito trasmettere copia di un prospetto finanziario (l) in cui appaiono le entrate avute dall'Ufficio Stampa presso la Italy America Society dal l • gennaio 1929 fino al 30 settembre scorso e l'ammontare delle spese affrontate dall'Ufficio stesso, con la loro indicazione.

L'E. V. rileverà che tranne una piccola attività rimasta a mani dell'Ufficio, le spese coincidono con le entrate.

Trasmetto parimenti qui unita copia di una relazione (l) compilata dal Dott. de Ritis con la piena approvazione del Dott. Lauro de Bosis che, come è noto all'E. V., trovasi a capo di quell'Ufficio. In essa sono brevemente elencati i compiti che si è assunto l'Ufficio stesso ed esposto il modo in cui essi sono stati svolti.

Invio infine a parte e con riferimento al presente rapporto un pacco di ritagli di giornali contenenti informazioni sull'Italia fornite dall'Ufficio Stampa presso la Italy America Society. (Di questo pacco mi sarà gradita a suo tempo la restituzione inquantochè contiene elementi che possono essere utili all'Ufficio Stampa per consultazione e riferimento).

Credo di poter dire che, considerato il tempo relativamente breve trascorso da quando l'Ufficio è stato istituito, e tenendo presenti le inevitabili difficoltà e incertezze di organizzazione, e avuto anche riguardo al fatto che il Dott. de Bosis, che è l'anima dell'Ufficio, è stato quest'estate per parecchie settimane assente, l'Ufficio Stampa si è impostato su buone basi, ha reso utili servizi ed è suscettibile di renderne sempre maggiori in avvenire.

Occorre naturalmente tener conto del fatto che una organizzazione del genere in tanto può dare buoni risultati in quanto è conosciuta ed in quanto è diffusa la convinzione della serietà della sua costituzione e dei suoi scopi. Ora io ho osservato che si va facendo strada presso parecchi giornali la persuasione che l'Ufficio Stampa è e più può divenire un importante centro di informazioni sull'Italia. Io invierò a V. E. altri ritagli più aggiornati del mese di novembre e per quello di dicembre: e credo di poter fin da ora affermare che essi saranno più interessanti di quelli qui uniti.

L'E. V. rileverà il numero e la varietà delle informazioni date dall'Ufficio Stampa. Vedrà quanto posto sia stato dato alla parte culturale, e anche all'attività

dell'Italia nelle sue Colonie, che veramente merita di essere meglio conosciuta in questo paese. Vedrà altresì che i ritagli provengono dai giornali più svariati e più lontani, pubblicati in Stati dell'Unione che fino ad ora erano si può dire totalmente assenti dalla comprensione della nuova Italia.

Come è noto all'E. V. dalla passata corrispondenza, è stato ritenuto opportuno di appoggiare l'Ufficio Stampa della Italy America Society, associazione americana, apolitica, ma i cui dirigenti e le cui direttive sono in viva simpatia col Governo nazionale. Con ciò si è ottenuto di ovviare al sorgere di sospetti e diffidenze che si sarebbero potuti far strada qualora l'Ufficio stesso avesse avuto altra veste e altro patrono. L'E. V. ricorderà pure come fin dal principio io mi sia preoccupato di rendere solidale con l'Ufficio Stampa la Banca Morgan, e particolarmente l'Ufficio Stampa di quella Casa, diretto dal Signor Egon. Anche questo io ho ottenuto, grazie agli ottimi rapporti personali che esistono fra il Dott. de Bosis ed il Signor Egon.

Tutto sommato quindi io ritengo che sarebbe veramente un peccato di troncare l'esperimento felicemente iniziato. So che questa è anche l'opinione del Signor Lamont della Banca Morgan, la quale desidererebbe vivamente, nel bene inteso interesse dell'Italia, di vederlo continuato.

Particolarmente in questo momento in cui la stampa e l'opinione pubblica americana sono state commosse da una campagna tendenziosa diretta a denunciare oscure mire politiche del Fascismo in America (vedi al riguardo la mia recente corrispondenza circa l'Harpers Magazine) (l) credo realmente raccomandabile di mantenere in vita un Ufficio d'informazioni attendibili, di colore apolitico, in mano di persona di cui io mi posso fidare e che è nei migliori rapporti con tutti gli ambienti giornalistici di New York, e che mi servirà in ogni occasione per aiutarmi nella propaganda (nel senso bene inteso della parola) che le Regie Autorità si sforzano di compiere a favore dell'Italia fascista.

È noto all'E. V. che l'Ufficio Stampa è stato da noi sussidiato nella misura di $ 1100 mensili (vedi telespresso di codesto Ministero n. 740 del 24 ottobre 1928) a partire dal primo marzo 1929. I fondi sono stati tratti da quel residuo di $ 13.254,79 che fu lasciato dal precedente Servizio Stampa (vedi mio rapporto

N. 1139 del 14 settembre 1928). La somma che resta a mia disposizione è oggi di $ 3400 (2).

Se possiamo, come io mi auguro che il. R. Governo vorrà, continuare in questo esperimento, sarebbe indispensabile che il R. Ministero mi rimettesse o mi facesse rimettere i fondi necessari per un anno.

Come risulta dalla precedente corrispondenza il fondo di cui si tratta fu erogato dal Ministro delle Finanze. Fu in origine una proposta fatta dal Signor

W. T. Lamont al Conte Volpi, e messa in esecuzione dal Ministro Mosconi. Le ragioni stesse che determinarono la decisione di S. E. Mosconi sussistono ancora adesso e concernono l'opportunità di assicurare con mezzi opportuni alla Banca Morgan la possibilità di svolgere utile azione sulla stampa americana nell'interesse della situazione finanziaria italiana in questo paese. Si tratta di un lavoro

delle Finanze.

che ha insieme carattere finanziario e politico. Sono noti i sentimenti amichevoli per l'Italia della Casa Morgan e specialmente del Signor Lamont il quale ha anche posizione direttiva nella Italy America. La Casa Morgan ha una grande influenza nella stampa e con questa sovvenzione noi veniamo a creare un interesse, e in certo modo una responsabilità, nella medesima di svolgere quella sua influenza in modo pratico ed efficiente a vantaggio dell'Italia.

(l) Non si pubblica.

(l) -Cfr. p. 190, nota 3. (2) -Nel corso del 1930, per la durata di sei mesi, contribui al f!nanziamento, «;on 550 dollari mensili la Banca Kidder Peabody and Co. (R. 4605/1439, Washmgton, 28 lugho 1930, ACS, Minculpo'p, busta 164, fase. 79). Quindi il finanziamento fu tutto a carico del ministero
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. u. 4667/451. Vienna, 30 novembre 1929, ore 5 (per. ore 13,15).

Schober mi ha ricevuto. Si è molto lamentato che dopo ripetute amichevoli dichiarazioni alle quali egli sperava che, date le sue risposte alle nostre richieste, sarebbe presto seguito nostro consenso al prestito, lo avevamo lasciato inutilmente attendere per oltre un mese e resistere da solo alle pressioni dei banchieri che gli chiedevano politica conciliante verso i socialisti in nome stabilità dello scellino. Gli ho risposto che secondo avevo già detto al segretario generale degli affari esteri nostro silenzio non poteva interpretarsi come un mutamento di contegno verso Austria giacchè giornali avevano da soli continuato a sostenerla contro ingerenza inglese, attacchi jugoslavi pieni di insinuazioni e menzogne. Poichè avevamo posto alcune condizioni come premessa al regolamento delle varie questioni economiche pendenti e poichè discussioni e negoziati si erano andati intanto qui svolgendo noi volevamo attendere fine od almeno avviamento alla fine per esaminare se e in quale misura nostre richieste fossero state poste ad effetto e se pertanto potessimo dare seguito alla domanda austriaca. Seguita col numero successivo.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4669/452. Vienna, 30 novembre 1929, ore 5 (per. ore 13,15).

Il presente telegramma fa seguito a quello precedente.

Dopo le comunicazioni fatte costì Egger circa andamento e risultato dei lavori nonchè dopo le nuove sollecitazioni del cancelliere (l) R. Governo aveva ripreso in esame domanda austriaca e incaricato me di alcune comunicazioni e di alcune richieste autorizzandomi per il momento soltanto ad referendum giacchè R. Governo si riservava definitiva decisione. Cancelliere sapeva che erano da tempo pendenti varie questioni economiche delle quali sollecitavamo definizione. Forse di tali questioni delegati austriaci avrebbe~o potuto nel prossimo mese di dicembre discutere in Roma con i nostri delegati per giungere ad una definizione almeno di massima anteriore alla discussione internazionale dell'Aja sulle riparazioni. Noi

non volevamo subordinare ora al regolamento di tale questione la concessione del nostro consenso al prestito sia per non doverla ritardare in considerazione sue insistenze, sia per dare al nostro atto un carattere più evidentemente amichevole e disinteressato. Noi chiedevamo invece che innanzitutto egli ci fornisse nuove assicurazioni di continuare il suo lavoro per le riforme costituzionali d'accordo con le Heimwehren. Inoltre chiedevamo che in compenso di un nostro mutamento di contegno per il quale avremmo concesso consenso da noi negato durante due anni, egli facesse pubblicare dichiarazione nel senso delle istruzioni datemi da

V. E. con il suo telegramma n. 286 (1), dichiarazione la quale del resto non consisteva se non nel riassumere e precisare in pubblico quanto egli mi disse in privato nel nostro primo colloquio sulle relazioni itala-austriache (mio rapporto

n. 2036) (2). Il presente telegramma continua col numero successivo.

(l) Cfr. nn. 178 e 179.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4668/453-454. Vienna, 30 novembre 1929, ore 5 (per. ore 13,15).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il numero di protocollo precedente.

Tale colloquio non sarebbe così restato un atto isolato, ma avrebbe avuto il suo seguito e svolgimento in questa dichiarazione che gli chiedevamo alla quale avrebbe potuto succedere un favorevole regolamento delle varie questioni economiche e di quelle delle riparazioni e poi infine sua visita a Roma. Questi atti successivi e concatenati avrebbero veramente segnato il positivo mutamento nelle nostre relazioni e preparato l'auspicato avvenire di più intimi rapporti. Se egli accettava mia proposta lo lasciavo libero di redigere a suo comodo la formula precisa della dichiarazione che sarebbe stato disposto a fare. Quando essa fosse stata pronta mi sarei affrettato a trasmetterla a V. E. per definitiva approvazione del R. Governo il quale mi aveva sin da ora autorizzato dichiarare al cancelliere che una volta accettato il testo avrebbe lasciato libero Schober di darne pubblica comunicazione al momento che egli avesse giudicato più opportuno.

Schober mi ha risposto rinnovando suoi lamenti per averlo fatto così a lungo attendere prima di dargli questa comunicazione. Egli è tuttavia uomo di principii e, come aveva già dato assicurazione di procedere d'accordo con le Heimwehren, rinnovava oggi tale assicurazione benchè non gli sembrassero nè opportune nè dignitose le intimità di Pfrimer con questo ministro di Serbia (vedere rapporto del R. incaricato d'affari n. 2381) mentre giornali Belgrado e provincia scrivono i noti articoli contro l'Austria. Così del pari tenendo conto degli argomenti espostigli in tutti i nostri colloqui, accettava di ripetere in pubblico le dichiarazioni fattemi in privato circa sua politica di amicizia verso l'Italia. Non temere di dichiarare pubblicamente che questo è l'elemento (dico l'elemento) fondamentale della politica austriaca, quando può darne la prova comunicando nostro assenso

17 -· Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

e additando nostro contegno. Chi durante questa crisi costituzionale ha sostenuto Austria fuori dell'Italia? Egli dunque ha affermato nulla avere da opporre alle nostre richieste ed ha anche genericamente accennato alle sue favorevoli disposiz·ioni per qualche atto di maggiore importanza quale la conclusione di un trattato di amicizia. (Su questo argomento nulla ho osservato non avendo io avuto risposta alla analoga proposta da me fatta con il telegramma n. 360 (l); devo però far presente che quando ne telegrafai a V. E. nulla ne avevo detto o me ne aveva detto Schober e che nè ieri nè stasera ho mai toccato con lui questo argomento che egli mi ha esposto quindi spontaneamente).

Siamo rimasti d'accordo che formulerà la proposta testo delle sue dichiarazioni affinchè io dopo averla esaminata la trasmetta subito a V. E. per le sue conseguenti istruzioni. Fine del telegramma.

(l) -Cfr. n. 112. (2) -Cfr. n. 64.
201

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, DURINI DI MONZA

T. (P. R.) 14533/237. Roma, 30 novembre 1929, ore 24.

Attiro attenzione di V. S., pregandola voler valorizzarla presso codesto Governo, su ultima parte articolo • L'Italia e la Bulgada • apparso sul Giornale d'Italia di ieri sera (2) e di cui la Stefani ha oggi trasmesso costà largo riassunto.

202

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONCINI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 245. Roma, 30 novembre 1929.

Il Popolo di Roma di questa mattina, n. 286 (3), sotto il titolo • Date a Cesare -La politica religiosa di Mussolini • ha pubblicato un articolo, che il giornale presenta come scritto dal • Capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo • , ed infatti porta la firma dell'On. Lando Ferretti. In detto articolo, che è tutto una esaltazione del libro di Mario Missiroli sul quale l'Eminentissimo Cardinale Segretario di Stato ha già richiamato l'attenzione del Signor Ambasciatore d'Italia, per la divulgazione di documenti che non potevano essere pubblicati senza il consenso delle due parti, si contengono affermazioni e giudizi che la Santa Sede non può assolutamente tollerare. Basterà citare la conclusione dell'articolo:

• La grandezza di un uomo di Stato è particolarmente visibile nella politica verso la Chiesa. Nessuna preoccupazione quindi, è consentita. "Il giorno in cui lo Stato -scrive il Missiroli-volesse rendere inapplicabile il Concordato, non

(ll Cfr. n. 113.

avrebbe che da accettare le interpretazioni del Papa, aderire alle pretese dell'ortodossia intransigente ". Ben detto. Ma questo non avverrà mai. Mussolini Duce, tutti i confini sono sicuri ».

S. E. il Signor Ministro degli Affari Esteri, nella sua obiettiva serenità, non potrà non riconoscere che queste parole sono di una eccezionale gravità.

Il sottoscritto Nunzio Apostolico, per incarico dell'Eminentissimo Cardinale Segretario di Stato, solleva formale protesta contro siffatte affermazioni ingiuriose, e chiede adeguata e pubblica riparazione nel termine di 48 ore, trascorse inutilmente le quali, egli ha l'ordine di lasciare il suo posto.

(2) -È l'articolo di fondo di Gayda. ostile alla politica estera di Burov. (3) -L'articolo fu pubblicato originariamente nel Corriere della Sera del 30 novembre 1929. Sul libro di Missiroli cfr. L'Osservatore Romano, 1° e 2-3 dicembre 1929.
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IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE CONFIDENZIALE U. 4704/254/314. Ginevra, 30 novembre 1929 (per. il 2 dicembre).

Ieri l'altro è ritornato a far visita a Drummond l'incaricato d'affari della Nunziatura Apostolica a Berna, Monsignor Saverio Ritter e si è intrattenuto con lui circa l'eventuale registrazione del Trattato del Laterano alla S.d.N.

Drummond non ha potuto dare a Monsignor Ritter il memorandum sulla questione della registrazione ch'egli aveva promesso al Vaticano durante la sua visita a Roma poichè la Sezione Giuridica del Segretariato non aveva avuto ancora il tempo materiale di prepararlo. Nel corso della conversazione, Drummond ha lasciato capire a Monsignor Ritter che V. E. era contrario alla registrazione del trattato.

Quando il Segretario Generale, dopo il colloquio avuto con Monsignor Ritter, mi accennò all'imbarazzo in cui si trovava temendo che il Vaticano potesse rivolgersi direttamente al Segretariato della S.d.N. per chiedere la registrazione del Trattato del Laterano, senza informare il Governo italiano, ho creduto rispondere che V. E. non era affatto contraria alla registrazione, ma semplicemente che

V. E. si preoccupava per le conseguenze e le ripercussioni che tale registrazione avrebbe potuto avere nei riguardi sia del Vaticano che della S.d.N. stessa. Ricordai le campagne di stampa che si scatenarono quando si ebbe notizia dell'es·istenza di questo Trattato. Qualora dunque, dissi a Drummond, il Vaticano manifestasse il desiderio di registrare il Trattato farei evidentemente quello che ho fatto quando un altro paese ha chiesto per il primo la registrazione di un trattato con l'Italia: telegraferei a Roma per sapere se il R. Governo è d'accordo per la registrazione e questa figurerebbe come chiesta simultaneamente dalle due parti.

D'altra parte in una precedente visita a Ginevra di Monsignor Ritter (credo opportuno ricordare che da quando Monsignor Ritter è a Berna è venuto frequentemente a Ginevra e si è occupato molto dei lavori della S.d.N.) ebbi a parlare lungamente con lui. Gli ho spiegato che il valore della registrazione è semplicemente quello di rendere pubblico un atto internazionale, che non vi è un limite di tempo in cui questa registrazione debba aver luogo e che la pubblicità mondiale che ha reso universalmente noto il trattato rendeva superfluo, secondo me, questo ricorso alla pubblicità della Lega. La registrazione a Ginevra del trattato poteva essere certo indifferente, dissi, al Governo italiano, ma non indifferente al Vaticano perchè senza dubbio, facendo registrare il trattato del Laterano a Ginevra, veniva a dare vantaggi corrispettivi a questo organismo a tendenze universali dove il nucleo cattolico era forse più debole dei gruppi giudaico-massonici e protestanti. Avrei quindi capito che si discutesse l'opportunità della registrazione se questa venisse a garantire il trattato, ma tale non era il caso. Allo stato attuale delle cose non vedevo in questa registrazione che un pericolo: quello di una adesione tacita e indiretta della S. Sede a Ginevra, adesione che troppi avevano interesse ad interpretare erroneamente e che darebbe a molti l'impressione che la S. Sede fosse per entrare, o magari fosse già entrata, a far parte dell'Organismo di Ginevra. Esser fuori di dubbio che il Segretariato Generale e parecchi funzionari dallo spirito troppo ginevrino avevano interesse a far registrare il trattato, ma questa circostanza avrebbe dovuto rendere ancora più guardinga la S. Sede.

Ho ragione di ritenere che questi argomenti non abbiano lasciato indifferente Monsignor Ritter. D'altronde, sono quegli stessi di cui mi servii ultimamente a Roma, parlando col Marchese Pacelli e con Monsignor Cuoci. lVIi risulta ch'essi sono stati ripetuti a Monsignor Pizzardo.

Sulla questione della registrazione, ho parlato poi lungamente col Consigliere giuridico del Segretariato, il Dr. Buero, Uruguayano, che convenne meco sulla non desiderabilità della registrazione talchè si proponeva di far pervenire a Drummond le argomentazioni contrarie ad essa per il tramite del membro inglese (protestante) della Sua Sezione. Intanto, egli cercherà di rinviare alle calende greche la reda:llione del memorandum in questione.

Giudicherà V. E. sull'opportunità di comunicare quanto precede al R. Ambasciatore presso la Santa Sede.

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IL DIRETTORE AMMINISTRATIVO DEL POPOLO D'ITALIA, BARELLA, AL CAPO DELLA SEGRETERIA DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Milano, 30 novembre 1929.

Ti prego vivamente di sottoporre a S. E. il Capo del Governo la lettera che ti accludo. Secondo il mio modesto parere, sarebbe un vero peccato perdere contatti così utili, tanto più che il Direttore approvò a suo tempo il progetto dell'Istituto di Cultura Itala-tedesco.

Ho ricevuto in consegna dal Direttore la polizza di Anna Maria. Sarà provveduto regolarmente alla scadenza del premio.

ALLEGATO.

SCHEUBLE A BARELLA

Koln-Lindenthal, 28 novembre 1929.

Per compiacermi con Lei del brillante successo a Barcellona (ripetutamente me ne sono pervenute notizie) o per richiamare, a proposito di certi avvenimenti politici, la Sua attenzione e quella dei Suoi amici sull'opinione degli ambienti che contano da noi, anche per metterLa al corrente di interessanti misure che prende l'estero per conquistare il mercato renano così poco sfruttato dall'Italia... Lei vede che è tutt'una serie di ragioni per le quali da lungo tempo Le ho voluto scrivere. Ma sempre speravo che non fosse più lontano il giorno ove, all'inaugurazione dell'Istituto itala-tedesco a Colonia, io avrei il piacere di incontrarLa personalmente. Mi sono sbagliato un poco. Da parecchi mesi regna la massima calma intorno al nostro Istituto, non so esattamente perché.

E vero che, se funzionasse già l'Istituto·, i socialisti avrebbero, alle elezioni municipali tenutesi recentemente gridato ancora più forte che il dott. Adenauer sia un amico particolare e intimo di S. E. Mussolini (1), essendo il signor Scheuble lo strumento pericoloso di questi rapporti fascisti, ma questo non esercita sulla populazione l'effetto voluto dagli avversari. Noi abbiamo riportata una bella vittoria e il dott. Adenauer sarà, senza nessun dubbio, rieletto dal nuovo consiglio municipale nel mese prossimo, per ulteriori dodici anni. Ad alcuni dei giornalisti di sinistra ho detto quanto dissi recentemente a Parigi (un fuoruscito nella compagnia ne era molto arrabbiato) che non è fair play denigrare lo stile fascista senza conoscerlo, e che oltre ogni misura è meschino combattere, senza aver nessuna idea della sua personalità, S. E. Mussolini il quale, parlando di modo obiettivo, è un genio politico di formato seculare.

Gli avvenimenti di Berlino, all'ambasciata d'Italia (2), furono sfortunatamente assai nocivi al prestigio italiano. Molte voci correvano a tale proposito, si parlava, anche negli ambienti dirigenti, di profonde divergenze d'opinione tra l'ambasciata ed il regime fascista, di tradimento commesso da impiegati, ma finalmente (e pare che questa opinione si stabilisca) di affari amorosi con una donnina la quale avrebbe avuto il desiderio di diventare contessa.

Ha avuto poi una sconcertante eco nella Germania la visita che la delegazione dello • Stahlhelm • (elmetto d'acciaio) ha fatta in Italia, fu constatato però colla massima soddisfazione che S. E. il Capo del Governo non ha ricevuto i rappresentanti d'un movimento che, sotto nullo rapporto paragonabile al fascismo italiano, è diventato nel suo sviluppo un istrumento per certe rivincite interne di partiti reazionari, inneggiando Patria e Libertà, ma pensando nel cuore al loro profitto particolare. E gli onesti fra loro posseggono un orizzonte politico e un senso di realtà come Hitler e Ludendorff i quali facendo il loro famoso putsch del 1923 volevano marciare su Berlino e da Berlino a Parigi, ma non avevano poi, a loro grandissima sorpresa, un solo reggimento a loro disposizione!

Per gli stranieri non è facile penetrare nelle quinte della politica interna di un popolo e misurare le forze reali e perciò anche i corrispondenti su piazza scrivono talvolta una roba detestabile. Ma sarebbe indubitabilmente a detrimento del prestigio del Suo paese in Germania e contribuirebbe a creare una idea falsa del fascismo, se sorgesse da noi l'impressione che i rapporti fra il regime fascista e il movimento tedesco reazionario o puramente demagogico (al quale l'avvenire non appartiene!) siano intimi.

Ho scritto questo perché io amo l'Italia, perché ammiro l'opera grandiosa del Duce e perché conosco un poco il valore e la portata dei movimenti politici nella Germania.

Terminando per oggi -la lettera è già riuscita assai lunga -esprimo il desiderio che si offra presto l'occasione ove ci rivedremo qui. Se Lei potesse spingere a Roma la fondazione dell'Istituto (mi scrivono che S. E. Mussolini non può sfortunatamente fare tutto da sé, ma anche ad una lettera che il dott. Adenauer ha

indirizzata a S. E. Gentile parecchi mesi or sono non ha ancora ricevuto risposta), Le sarei molto riconoscente. Io sono convinto che la collaborazione attraverso l'Istituto essendo qui sotto il patronato dell'Adenauer, sarà così felice che ci spiacerà a tutti non aver incomminciato più presto.

Con distinti saluti, anche da parte dell'Oberbi.irgermeister Adenauer, mi creda...

(l) -Adenauer aveva inviato a Mussolini un telegramma di felicitazioni in occasione della Conciliazione. (2) -Allude al furto di un cifrario all'ambasciata di Berlino avvenuto nel m<~ggio 1928. In seguito al furto Aldrovandi fu richiamato da Berlino il 4 ottobre 1929 e alla fine del 1931 fu collocato a riposo. Nel Consiglio dei ministri del 6 novembre 1929 Grandi comunicò il furto e la necessità di riorganizzare i servizi cifra, archivi e corrieri del ministero (ACS, Verbali delle riunioni del Consiglio dei ministri).
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L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4701/825. Angora, l dicembre 1929, ore 15,20 (per. OTe 21,50).

Corriere Gabinetto arrivato ieri mi ha consegnato lettera di V. E. in data 23 novembre (1). Quanto ella mi scrive e che ripete quanto V. E. ebbe a dirmi a voce ha già servito di traccia e di norma alle conversazioni avute con Tewfik pascià e con Ismet pascià ad Angora durante mie visite congedo. Non è mancata nemmeno da parte mia nuda e cruda rudezza da V. E. desiderata. La corrispondenza per corriere che parte oggi le ,sarà di prova. Riassumendo per quanto riguarda contegno incerto Bulgaria Tewfik pascià afferma che molto ha già fatto e che più farà per chiarirlo quando avrà risolto questioni pendenti con la Grecia. Egli si sente legato da ovvie ragioni di prudenza e fino a che non avrà stipulato accordo con Grecia non ritiene opportuno per Turchia di prendere attitudine energica contro Sofia perché non avrà sicure le spalle da parte di Atene il che sarà possibile quando accordo per questioni pendenti e accordi politici siano firmati con Venizelos. Si propone di agire con maggiore energia dopo questi accordi. Egli lavora ora sinceramente per una intesa con la Grecia ed è perciò che ha ricorso anche ad amichevole intervento di V. E. presso Governo greco per fargli conoscere che invece di lasciarsi trascinare nelle mani di commissioni e di esperti desidererebbe prendere come base negoziati stato delle cose attuale. Egli spera nel favorevole risultato dell'azione di V. E. poiché il contegno del nuovo ministro di Grecia ed il discorso di lui per le lettere credenziali lasciano supporre non senza fondamento, che da Atene si voglia ricominciare... (2) senza urtare... (2)

cioè guadagnar tempo. Ho dato la lettera di V. E. a Koch acciocché se ne serva per sua norma di linguaggio e di... (2).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI (3)

T. GAB. (P. R.) 121/246. Roma, 2 dicembre 1929, ore 24.

Suo 2700/273 del 25 novembre (4). Mantenga contatti esprimendo simpatia ma senza compromettersi troppo.

(l) -Cfr. n. 186. (2) -Gruppo indecifrato. (3) -Autografo di Grandi. (4) -Non rinvenuto. Con ogni probabilità Piacentini riferiva su contatti stabiliti con lui da esponenti bulgari agrari, ovvero da esponenti nazionalisti fascistizzanti.
207

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. 2286/245. Roma, 2 dicembre 1929, ore 24.

Mi tenga diligentemente corrente tutto quanto riguarda • Rodna Zastita • ed in genere movimenti nazionalisti bulgari (1).

208

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI (2)

T. 2292/316. Roma, 2 dicembre 1929, ore 24.

Suoi 451 e 454 (3).

Conversazione con Schober sembrami soddisfacente. Senza richiedere ulteriori istruzioni lascio V. E. facoltà concordare con Schober testo note dichiarazioni tenendo presente che Governo italiano intende soprattutto aiutare Schober opera intrapresa e non insiste sopra rigide formule.

209

NOTA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONCINI DUCA

N. 3912/7. Roma, 2 dicembre 1929.

Il R. Ministro degli Affari Esteri, nel trasmettere a S. E. il Nunzio Apostolico l'unita copia della lettera di S. E. il Capo del Governo in risposta alla nota in data 30 novembre u.s. n. 245 ( 4), tiene a dichiarare che disapprova tutte le pubblicazioni, di qualsiasi specie, che possano in qualche modo turbare i pacifici e cordiali rapporti stabiHtisi fra la Santa Sede e lo Stato Italiano in base agli Accordi Lateranensi.

ALLEGATO.

MUSSOLINI A BORGONCINI DUCA

Roma, 1 dicembre 1929.

Data la temporanea assenza dell'On. Dino Grandi Ministro degli Esteri al quale era indirizzata la nota di codesta Nunziatura Apostolica e dato il carattere di ultimatum di detta nota, reputo opportuno darvi una sollecita risposta, nei termini seguenti.

Io -L'articolo che ha suscitato le proteste formali della Santa Sede è stato scritto dall'On. Lando Ferretti, non nella sua qualità di Capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo, ma nella sua qualità di collaboratore del Corriere della Sera.

Questa ed altre pubblicazioni del geriere non possono essere impedite in Italia, non solo perchè dev'essere lecito discutere attorno agli avvenimenti che interessano il popolo italiano, ma anche perchè non esiste alcuna forma di censura preventiva sui libri e giornali. Tali pubblicazioni possono provocare vivacissime repliche come quelle odierne dell'Osservatore Romano, ma non possono -senza voler forzare le note -assurgere a cause di minacciate e sommamente deprecabili rotture di rapporti diplomatici fra lo Stato Italiano e la Santa Sede.

2o -Giunto a Roma il Corriere della Sera coll'articolo incriminato, nè a mo' di cappello, nè sotto la firma, era ricordata la carica di Capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo, cosl come aveva deplorevolmente fatto di sua iniziativa il Popolo di Roma riportando l'articolo stesso. Comunque per eliminare ogni equivoco ho diramato a mezzo dell'Agenzia Stefani prima ancora di avere visione della nota di protesta della Nunziatura, un comunicato cosl formulato: • L'articolo di recensione al libro di Mario Missiroli, pubblicato sul Corriere della Sera del 30 novembre e riprodotto dal Popolo di Roma a firma Lando Ferretti, non è stato in alcun modo autorizzato • (1).

3° -Conosco da parecchi anni l'On. Lando Ferretti ed escludo nella maniera più formale, che, recensendo il noto libro Date a Cesare, egli avesse in animo di ferire gli interessi della Santa Sede o l'autorità del Sommo Pontefice.

Mi è grato ritenere che queste precise e leali dichiarazioni siano considerate bastevoli ad esaurire l'incidente.

(l) -Il telegramma fu spedito in seguito al t. posta di Piacentini n. 2639/668 del 18 novembre sul congresso tenuto dalla organizzazione nazionalista e filofascista bulgara « Rodn!l. Zastita •. (2) -Autografo di Grandi. (3) -Cfr. nn. 198, 199 e 200. (4) -Cfr. n. 202.
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IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 53. Ginevra, 2 dicembre 1929.

Ho l'onore di riferirmi al mio rapporto riservatissimo n. 48 del 29 settembre (2) sull'agitazione sionista contro il Presidente della Commissione dei Mandati, Marchese Alberto Theodoli.

La campagna, da me preannunziata, ha avuto inizio, anzichè sui giornali inglesi, su un giornale tedesco, sulla Vossische Zeitung del 6 Novembre con l'articolo, che qui accludo (3). In tale articolo, dopo aver accennato al fatto che l'acquisto di terre da parte dei sionisti, fornendo denaro agli arabi, ha contribuito allo sviluppo della poligamia legittima ed ìllegittima, in quanto che l'arabo è un pessimo amministratore del suo denaro, si dice testualmente:

• Un'altra parte del denaro guadagnato dagli arabi non è neppure penetrata nel Paese, perchè i ricchi proprietari arabi abitano fuori della Palestina e conducono vita da signori a Beyrut ed Alessandria. Così, i membri della famiglia Ssurssuk, padroni di metà del paese, sono stati i più grandi venditori di terreno.

Gli Ssurssuk sono già in gran parte convertiti al cristianesimo e si sono imparentati con la nobiltà europea: a questo gruppo appartiene il rappresentante italiano nella Commissione dei Mandati, Marchese Theodoli. Quando costoro ebbero un processo a Beyrut, essi fecero venire da Parigi come avvocato il Signor Millerand, ex Presidente della Repubblica francese. La Palestina è certamente ancora abbastanza ricca perch'essi possano trarne rendite e guadagni speculativi. È quindi concepibile che simili fatti provochino un malcontento presso i nazionalisti arabi, impotenti contro i venditori, ed è per questo che il loro odio si rivolge contro i compratori (Sionisti) •.

Corre voce, negli ambienti sionisti, che altri articoli del genere seguiranno. SCafferma che essi avranno carattere anche maggiormente personale, allo scopo di creare nei riguardi del Theodoli un'atmosfera di diffidenza. Cogliendo motivo dal fatto che il Marchese Theodoli si è valso talvolta, come segretario personale, del proprio figliolo, sarebbe intendimento dei predetti ambienti di fare pubblicamente affermare, che tale circostanza sarebbe di natura da rendere vano lo stretto segreto, nel quale la commissione dei mandati rinchiude le proprie discussioni, di fronte agli interessati arabi ed ebrei. La campagna verrebbe allargata ad altri giornali tedeschi, nonchè a giornali inglesi ed americani.

L'atteggiamento sionista trova, certo, un'eco di simpatia negli ambienti inglesi, e 1in particolare tra gli elementi britannici di questo Segretariato. Questi mal tollerano l'atteggiamento indipendente del Marchese Theodoli, inspirato alla maggiore libertà di giudizio, nonchè a una rigida osservanza delle regole del mandato, e ciò in conformità ai supremi interessi dell'Italia e di quelle potenze che non hanno avuto affidato alcun Mandato. Lo stesso Segretario Generale, Sir Eric Drummond, cercando d'indurre tempo fa, il Comm. Catastini a consigliare al Marchese Theodoli di non partecipare alla sessione straordinaria della Commissione dei Mandati favoriva, in certo qual modo, il gioco dei sionisti (vedi mio rapporto n. 48 del 29 Settembre scorso). Più volte, da parte sopratutto inglese, si è insinuata in questi ambienti l'opportunità che la presidenza della Commissione dei Mandati passi dal Theodoli a qualcun altro dei suoi colleghi, nella speranza d',incontrare minore resistenza ai suggerimenti e alle pressioni delle parti interessate.

Tutti questi indizi fanno sorgere, legittimamente il dubbio, che la campagna sionista contro il Presidente della Commissione dei Mandati sia ispirata dagli inglesi.

Mi permetto attirare la particolare attenzione di V. E. su tale situazione, perchè è opportuno prepararsi, sin da ora, a sostenere, con ogni mezzo, e se occorrerà, anche in Consiglio, l'azione del Marchese Theodoli, e la sua carica, che rappresenta per ilR. Governo la principale garanzia contro la lenta trasformazione del regime mandatario in regime di diretto dominio, tentata dalle potenze mandatarie e specialmente dall'Inghilterra.

(l) -Vedilo nel Corriere deHa Sera, 1° dicembre 1929. Il comunicato è stato scritto da Mussolini. (2) -Cfr. n. 30. (3) -Non si pubblica.
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IL SEGRETARIO DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE CORPORAZIONI, SABATINI, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELL'UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, DE MICHELIS

N. u. 21772/0C/XV. Roma, 2 dicembre 1929.

Risposta al foglio del 7/10/1929.

La Confederazione Generale Fascista della Industria ha fatto sui due documenti, comunicati dall'E. V. con la lettera cui si risponde, alcune osservazioni delle quali si allega copia.

ALLEGATO.

OSSERVAZIONI SULLA MEMORIA DEL BUREAU INTERNATIONAL DV TRAVAIL PER L'INCHIESTA TESSILE

A pagina 6 della Memoria lo scopo dell'inchiesta è candidamente confessato:

• L'enquète sur l'industrie du textile aurait donc principalement pour objet de réunir des données concernant les conditions de travail des ouvriers de divers pays, dans l'espoir qu'il sera possible d'élever les conditions en vigueur dans les pays où elles apparaissent nettement inférieures au niveau des pays où elles sont meilleures. Dans les pays où les conditions de travail sont relativement bonnes et à peu près analogues, la publication d'informations pourra accélérer encore le rythme de l'uniformisation etc. •.

Del resto non vi è da meravigliarsi perchè tutta l'attività del B.I.T. è diretta a questo scopo di parificazione delle condizioni assolute del lavoratore. Soltanto, in questo caso lo scopo appare più evidente e più nettamente definito; in questo caso l'azione livellatrice del B.I.T. appare ancora più decisamente in contrasto con l'interesse dei paesi poveri, in quanto tocca direttamente l'elemento fondamentale del costo della mano d'opera: il salario.

Trascurando la causa occasionale dell'inchiesta, e cioè l'invocazione di un delegato operaio che, non avendo voce in capitolo nel proprio paese, è costretto a ricorrere a Ginevra per ottenere che sia fatta luce nel paese stesso, è certo che l'indagine, come d'altra parte tutta la politica del B.I.T. serve magnificamente agli Stati ricchi e in ispecial modo agli Stati Anglo Sassoni per dar noie, per recare intralci e, possibilmente, per danneggiare in concreto, ora ed in futuro, la concorrenza dei paesi meno ricchi.

Ora se iniquo è il fine, non meno iniquo è il mezzo, malgrado che considerato a sé stante possa apparire, anzi sia in realtà altamente umanitario.

Infatti il livello salariale e contrattuale in genere delle classi lavoratrici non è di per sé che un indice molto relativo dell'incidenza del costo della mano d'opera: per determinare quest'ultimo sarebbe necessario tener conto da un lato del rendimento, per così dire soggettivo della mano d'opera e, dall'altro, della attrezzatura degli stabilimenti.

Non solo, ma il costo della mano d'opera è soltanto uno degli elementi del costo di produzione, è uno dei fattori che concorrono a stabilire il profitto. Il Proemio alla parte XIII del Trattato di Versailles (l) è tutto fondato su questo equivoco.

Influire sul livellamento di uno di questi elementi, di uno di questi fattori, quando materie prime, colonie, mercati, finanza, capitali restano al di fuori di qualsiasi influenza del B.I.T. e continuano a favorire alcuni paesi, mentre altri ne sono pnv1 o ne scarseggiano, non è fare opera di giustizia. Non è neppure fare opera benefica per le classi lavoratrici, che si corre il rischio di condannare alla disoccupazione, sotto il pretesto di elevare il loro tenore di vita.

Il) Testo del proemio alla parte XIII in Trattati e convenzioni ecc., 1919, XXIV, pp. 358-359.

L'Organizzazione internazionale del lavoro ha realmente un compito umanitario da compiere nei confronti dei paesi arretrati e incivili, che hanno necessità del pungolo internazionale per dare alle classi lavoratrici tutto ciò che ad esse è possibile dare. Ma nei riguardi di un paese altamente civile ma non ricco, come l'Italia l'azione del B.I.T. non può essere che dannosa.

* * *

Da questa premessa risulta evidente quello che dovrebbe essere l'atteggiamento dell'Italia verso questa come verso le altre inchieste del genere. Prendendo in esame il piano di rilevazione statistica predisposto dal B.I.T. osserviamo:

l) che la designazione generica di una categoria, fra le tante che compongono il diagramma di lavorazione di filatura e di tessitura non può dare se non una pallida idea dell'onere effettivo di lavoro dell'operaio; è un onere che varia sensibilmente a seconda dell'organizzazione di lavoro e dell'attrezzatura. Tra una arditrice per articoli comuni, e una arditrice per articoli di pregio corre più una differenza che fra un facchino fra i meno educati e un fuochista macchinista patentato.

2) che queste differenze si ripercuotono notevolmente sui salari; continuando nell'esempio precedente, vi sono arditrici che in uno stabilimento guadagnano lire dieci, e tale trattamento può considerarsi eccessivo -e, per contro, arditrici che in un altro stabilimento, con lavorazioni completamente diverse, guadagnano lire 15, e il trattamento si potrehbe considerare perfino inferiore a quello che dovrebbe essere.

I criteri prospettati dal B.I.T. per la scelta degli stabilimenti rappresentativi ai quali estendere l'indagine, paiono i seguenti: a) estendere l'inchiesta agli stabilimenti con un effettivo di operai non inferiore a un dato numero ad esempio 200;

b) oppure formare una lista di tutti gli stabilimenti che impiegano un determinato numero di operai, ad esempio 200, e poi fare come « una estrazione a sorte ", per decidere su quale di essi dovrà espletarsi l'indagine: qualche cosa

come un giuoco a mosca cieca.

Ora la indagine dovrebbe essere condotta su altri criteri ben altrimenti serii e cioè, per ognuna delle categorie indicate nel progetto (categorie sulla cui enumerazione non vi sarebbe nulla a ridire) stabilire innanzi tutto:

a) quali siano le diverse organizzazioni di lavoro di cui la categoria è suscettibile; b) quali siano i diversi sistemi di macchinario il cui impiego può incidere notevolmente su un maggiore o minore onere di lavoro per la categoria; c) quali siano gli stabilimenti che applicano ogni singola specie di organizzazione, e dispongono di ogni singola specie di attrezzatura.

Ma una indagine preliminare di questo genere incontrerebbe difficoltà pratiche insormontabili, specie in vista dell'estrema duttilità di ciò che può riguardarsi una organizzazione o una attrezzatura tipica.

Ma d'altra parte un'indagine salariale per categorie, accompagnata da una precisazione di questo genere, riuscirebbe a una cosa del tutto irreale.

Riteniamo che gli intenti del B.I.T. possano essere, meglio e con più semplicità, soddisfatti rinunciando all'indagine per categoria, e !imitandola ad accertare quali siano i guadagni medi orari, per sessi ed età, complessivamente per tutte le categorie, mantenendo soltanto queste distinzioni: filatura, tessitura, tintoria, finissaggio, personale ausiliario.

Senonchè in tal modo si semplifica e si rende facile l'indagine... (1).

(l) Il 9-10 dicembre si tenne a Ginevra una riunione di esperti per discutere il progetto di indagine sull'industria tessile. L'indagine era sostenuta dalle tre delegazioni inglesi -padronale, operaia, governativa -, ed era osteggiata dalle delegazioni padronali degli altri paesi.Prevalse il punto di vista favorevole all'indagine, sostenuto, oltre che dalle delegazioni inglesi, dalle delegazioni operaie di tutti i paesi. (Relazione di De Michelis allegata a una nota del 19 dicembre 1929).

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. RR. 2295/248. Roma, 3 dicembre 1929, ore 15.

Per lei solo.

Suo 241 (1). Se Buroff verrà Roma sarà ricevuto da Capo Governo e sottoscritto. Ma, data l'attuale situazione politica in Bulgaria ed i suoi possibili sviluppi che ella ha modo di seguire immediatamente, lascio a V. S. giudicare il momento e H modo più opportuni per far conoscere queste nostre disposizioni a Buroff e a Liapceff.

213

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

T. GAB. (P. R.) RR. 122/479. Roma, 3 dicembre 1929, ore 24.

La informo ~he Capo Governo ha deciso scioglimento Lega Fascista (2). Console generale Parini si metterà diretta comunicazione con V. E. per dare esecuzione nel modo più adatto tale ordine.

214

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. s. 4744/1010/660. Parigi, 4 dicembre 1929, o1·e 19,10 (per. o1·e 21,15).

Mi riferisco al mio telegramma n. 1009/659 (3).

Il colloquio di questa mattina è stato cordiale e breve. Signor Briand mi ha consegnato un riassunto scritto (4) della orientazione francese pregando di considerarlo come strettamente confidenziale tra noi e di esaminarlo. Se il Governo ~taEano si troverà d'accordo col Governo francese, ed egli Briand ha personalmente fiducia che questo accordo si farà e condivide il nostro punto di vista che l'accordo faciliterà il buon successo della Conferenza di Londra, si potrà entrare ld esaminare i punti di dettaglio. Ho consegnato al signor Briand a titolo di sua informazione la traduzione dei quattro nostri quesiti al Governo americano di cui al telegramma di V. E. n. 2248 per corriere (5). Ha letto subito il documento:

ha ripetuto che la Franc:a era essa pure in scambi similari con America, Gran Bretagna e Giappone ed ha detto mi avrebbe a suo tempo comunicato particolari in proposito. Quanto a stampa ci siamo trovaH d'accordo per continuare nell'attuale contegno di riserbo salvo segnalarci reciprocamente eventuali manifestazioni che giudicassimo atte a turbare azione dei due Governi.

215.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4745/661-662-663-664. Parigi, 4 dicemb1·e 1929, ore 19,10 (per. ore 22,25).

l) Conformément à l'article 8 du pacte de la Société des Nations, le Gouvernement français part du principe que les armements doivent etre fixés au minimum compatible avec la sécurité nationale, en tenant compte de la situation géographique et des conditions spéciales de chaque état. Partageant le désir de l'Italie de fixer les besoins de sa flotte à un chiffre aussi réduit que possible, le Gouvernement français doit cependant, pour déterminer ses besoins, se préoccuper de la situation de la France sur trois mers avec les conséquences qui en résultent de non agression et de garantie mutuelle: la France est toute acquise au principe d'une telle convention.

2) Le Gouvernement italien parait préoccupé de ne pas laisser se créer, par l'adoption de certains baremes, une hiérarchie de prindpe entre grandes puissances. Le Gouvernement français est disposé à faire ce qui dépendra de lui pour donner satisfaction à ce souci auquel lui-meme n'est pas étranger.

A son avis les préoccupations des deux Gouvernements auraient satisfaction s'il était entendu que les tableaux à insérer dans la convention de limitation des armements portaient dans une première colonne le chiffre maximum, commun pour toutes les marines, qu'aucune puissance ne serait autor>isée à dépasser pour le tonnage globale de sa flotte. Dans une seconde colonne, au contraire, serait indiqué le chiffre que, compte tenu de ses propres besoins, chaque marine se proposerait d'atteindre et qu'elle aurait l'obligation de ne pas dépasser pendant la durée de la convention, chaque pays déclarant librement ce chiffre avant la signature de la dite convention.

3) Le Gouvernement français, comme le Gouvernement italien, est favorable en principe à la limitation du tonnage globale, mais il considère qu'en raison de l'attitude prise par les autres grandes marines, il est nécessaire de consentir à leur point de vue certaines concessions. Il rappelle qu'une formule transactionnelle avait été proposée par la délégation française dès avril 1927, formule à laquelle la délégation américaine a donné à Genève, au mois d'avril dernier, son adhésion et qui, d'autre part, semble devoir etre envisagée avec sympathie par la délégation japonaise. Le Gouvernement italien peut se rallier à une formule de ce genre, qui a un caractère de conciliation par rapport aux principes mis en avant du còté britannique.

4) Le Gouvernement français est opposé à la suppression des sousmarins qui constituent une arme défensive particulièrement efficace pour les moyennes et petites marines, et en absence de laquelle il leur serait difficile de faire face aux nécessités de la sécurité nationale.

5) Le Gouvernement français a toujours considéré que l'oeuvre du désarmement naval devait se poursuivre dans le cadre des travaux entrepris à Genève et que, par conséquent, une convention relative au désarmement naval ne pourrait etre envisagée que comme partie intégrante à cette convention générale de limitation des armements. C'est une application du principe de l'interdépendance des armements, principe que, de son còté, le Gouvernement italien a maintes fois formulé soit dans des documents diplomatiques, soit dans des déclarations faites par ses représentants à Genève. Le Gouvernement italien est-il toujours fidèle à ce principe et est-il disposé à se concerter avec le Gouvernement français pour en tirer les conséquences nécessaires en ce qui concerne l'action cles deux délégations, tant à la conférence de Londres que éventuellement, au moment des prochaines délibérations de la commission de Genève et à la future conférence générale?

6) L'accord étant réalisé sur les divers principes énoncés ci-dessus, le

Gouvernement français verrait de grands avantages à procéder en commun avec

le Gouvernement italien à un examen de détail des questions qui se poseront à

Londres, convaincu qu'il est, lui aussi, que l'entente des délégations des deux

Gouvernements ne peut que faciliter l'oeuvre de la prochaine conférence.

(l) -Cfr. n. 191. (2) -Cfr. p. 190, nota 3. (3) -T. 4706/1009/659 del 2 dicembre, che non si pubblica. (4) -Cfr. n. seguente. (5) -Del 26 novembre. I 4 quesiti sottoposti al Governo americano si riferivano ai criteri per stabilire il limite massimo di età non solo per le navi da battaglia ma anche per le altre, ai criteri per stabilire le differenze fra incrociatori e cacciatorpediniere, alla possibilità di applicare metodi diversi di limitazione delle flotte delle varie potenze, alla possibilità di aderire alla proposta italiana di rinviare a dopo il 1936 la costruzione delle navi di linea consentite dal trattato di Washington per il 1931-36. L'ambasciatore a Washington presentò in proposito un memorandum (FRUS, 1929, vol. I, cit., p. 288).
216

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 4810. Vienna, 4 dicembre 1929.

Questo segretario generale del dipartimento esteri mi ha informato aver

dichiarato a qualcuno dei miei colleghi credere che, qualora si fossero confermate

le voci secondo cui la Francia e l'Inghilterra potrebbero chiedere all'Austria, in

nome dei trattati di pace, che procedesse al disarmo dei corpi militarizzati così

di destra come di sinistra, l'Italia non solo non si sarebbe unita con quelle potenze

ma avrebbe anzi manifestata la sua opposizione all'esecuzione di una simile

richiesta.

Ho risposto ch'io non conoscevo i propositi del R. Governo in una simile

ipotesi di cui finora non mi risultava affatto il fondamento; credevo però assai

verosimile che il R. Governo, il quale aveva sinora mostrato le sue s•impatie e

la sua fiducia per le Heimwehren e la loro opera, avrebbe loro conservato il pro

prio appoggio anche nel caso in cui fossero qui state presentate da stati esteri

siffatte domande.

217

IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 4791/259. Sofia, 5 dicembre 1929, ore 19,30. (per. ore 22,45). Telegramma di V. E. n. 2161 (1).

Patto bulgaro-cecoslovacco sembra prossimo alla conclusione. Risulta conterrà preambolo affermante propositi amicizia tra i due paesi, riconoscimento trattati e menzione patto Kellogg, seguono articoli relativi arbitrato, conciliazione, redatti sugli schemi tipici ginevrini ... (2) arbitrato Aja.

Nel mio colloquio con Re Boris ho francamente domandato Sovrano dirmi verità intorno notizia che patto bulgaro-cecoslovacco potesse essere considerato primo passo entrata Bulgaria Piccola Intesa o quanto meno preludio analoghi patti con Jugoslavia e Romania. Ho anche pregato Sovrano dirmi se esistessero clausole segrete. Re Boris mi ha smentito categoricamente tutte tre ipotesi affermando trattarsi patto fine a se stesso. Buroff mi aveva avantieri fatto stessa dichiarazione impegnando sua parola d'onore. Malgrado dichiarazioni di questo ministro cecoslovacco a questo incaricato d'affari greco (mi riferisco mio telegramma gab. ...) (2), risulta per concordi autorevoli informazioni che è stato propvio Benès voler dare carattere patto amicizia all'accordo bulgaro-cecoslovacco affinché questo risultasse più importante e più • politico • che accordo bulgaroungherese che, come riferii a suo tempo a V. E., è stato vera causa del sorgere dell'idea di un patto tra Praga e Sofia. Telegramma n. 258 del R. ministro Praga risulta quindi per questa parte esatto, mentre non è da ritenere che attitudine as~mnta da ... (2.) nella commissione riparazioni orientali abbia avuto una notevole influenza nella indicata evenienza del patto, parimenti come si è visto non risultare che Benès abbia fatto cenno al Governo bulgaro delle pressioni di Belgrado per analogo patto bulgaro-jugoslavo di cui prima parte telegramma 197 del R. ministro a Budapest, ciò credo non consti neanche a questo ministro d'Ungheria, cui informazioni sono discrepanti con quanto ho successivamente riferito a V. E. sull'argomento. In attesa pubblicazione testo si può tuttavia ritenere fondata, basandosi su tutte le notizie sin qui conosciute, osservazione contenuta telegramma citato che cioè nel pensiero di Benès patto bulgaro-cecoslovacco dovrebbe significare principio orientamento bulgaro verso Piccola Intesa; però qui si crede impossibile tale eventualità dati gravissimi problemi etnico-politici bulgari che dividono Bulgaria da Romania e specialmente da Jugoslavia (3).

(l) -Del 13 novembre, che non si pubblica. (2) -Gruppi indecifrati. (3) -Con t. per corriere 4519, Praga 18 novembre 1929, Vannutelli Rey comunicava che, secondo l'incaricato d'affari di Turchia, non era da escludere che il patto bulgaro-cecoslovacco contenesse c anche delle clausole politiche segrete, le quali potrebbero consistere ad esempio, nell'impegno della Bulgaria a non attaccare le potenze della Piccola Intesa in caso di un loro intervento contro l'Ungheria •·
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IL MINISTRO A TIRANA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE AEREO 4808/384. Tirana, 5 dicembre 1929.

Mio telegramma n. 379 (1). Dopo gli allarmi del marzo 1927 io ho sempre descritto a V. E. la situazione al confine albanese come tale da non suscitare apprensioni.

Anche quando gli informatori improvvisati e quelli organizzati, ad ogni primavera e ad ogni autunno, descrivevano la situazione a foschi colori, io ho sempre trasmesso a V. E. note di ott•imismo. Per oltre due anni e mezzo la Jugoslavia, ansiosa di veder chiaro nel nostro giuoco, mi è apparsa completamente disorientata sul metodo da impiegare per far fronte alla nostra azione. Durante questo periodo nulla di serio la Jugoslavia ha tentato per turbare l'ordine interno albanese, tranne la distribuz.ione di qualche sussidio al brigantaggio cronico della regione delle montagne.

Gli scacchi diplomatici, a ripetizione, che la Jugoslavia ha sofferto con la denunzia italiana alle potenze, con la dichiarazione italo-albanese dell'aprile 1927, con la capitolazione nel caso Giuraskovich, col trattato di alleanza, col forzato riconoscimento della monarchia, con la creazione della chiesa autocefala albanese, hanno costituito i fattori determinanti di tale incertezza e di tale disorientamento, di cui abbiamo approfittato per affermare in maniera sempre più totalitaria la nostra azione in Albania.

Ma da circa un mese l'azione jugoslava comincia ad apparire come ispirata da una direttiva più precisa. Gli arruolamenti alla front•iera, sebbene parziali e limitati, costituiscono, tuttavia un fatto che non si verificava da quasi tre anni. La distribuzione di armi è appena iniziata, ma è un altro fenomeno che va seguito. Al tempo stesso si moltiplicano i passaggi di emissari da una parte all'altra della frontiera, mentre, sintomo assai significativo che si è verificato esattamente anche nel marzo del 1927, la stampa jugoslava più vicina al Governo parla di prossima rivoluzione in Albania, tendendo così a costituire per la Jugoslavia il solito alibi.

Sebbene io sia ben lungi dal voler gettare un grido di allarme, devo peraltro dichiarare a V. E. che non mi sento di trasmettere, ogg·i, notizie improntate ad ottimismo circa quanto si prepara al di là della frontiera.

In quanto all'Albania confermo che la situazione deve essere descritta come tranquilla. Si è avuto un buon raccolto; molti montanari sono impiegati come terrazzieri e quindi la situazione economica è meno grave che negli anni passati. Ma nella zona di Piskopeja l'atto di brigantaggio di cui al mio telegramma n. 379 si va colorendo come un conflitto tra capi villaggio. Vecchie rivalità di sangue hanno creato in quella regione un forte urto fra alcuni capi. Nulla che riguardi il regime: ma è certo che tali conflitti interni non gli giovano. Il Re se ne rende conto e sta quindi prendendo misure severissime anche per impedire che la Jugoslavia, oltre a speculare nella stampa nazionale, ed internazionale, sia tentata a rivolgere a suo profitto, nel corso di una eventuale azione l'irrequietudine locale.

I nostri organizzatori militari escludono che una rivoluzione, anche se orga

nizzata dalla Jugoslavia in grande stile, possa conseguire il successo: essa ver

rebbe soffocata immediatamente dall'esercito albanese.

Io però non oso essere così reciso. La rivoluzione in Albania non può scop

piare se la Jugoslavia non la provoca. Ma se essa la provocasse e la organizzasse

con larghezza di mezzi, noi ci troveremmo sempre dinanzi ad una situazione

estremamente preoccupante.

Terrò V. E. informata sulle notizie che perverranno d'oltre frontiera: ma date le difficoltà delle comunicazioni fra Tirana e il confine è specialmente dal territorio jugoslavo e cioè da Uskub, da Giakovo, e da Prizrend che il R. Governo deve essere tenuto al corrente degli eventuaH preparativi jugoslavi. È necessario però che le informazioni provenienti da quelle località siano inspirate non a ingannevole nervosismo, ma rispecchino il più fedelmente possibile la vera situazione e la entità dei fatti (1).

(l) T. 4643/379 del 29 novembre, che ncn si pubblica.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. PER CORRIERE RR. 73. Vienna, 5 dicembre 1929.

Telegramma di V. E. n. 316 del 2 corrente (2).

Trasmetto, qui accluso in copia, il testo tedesco e la traduzione italiana (3) delle dichiarazioni concordate oggi con Schober. In ossequio alle direttive impartitemi da V. E. non ho insistito per la rigida conservazione della formula che il Cancelliere si era dichiarato disposto ad accettare nel corso del nostro primo colloquio sull'argomento (mio telegramma n. 454) (4); ho chiesto ed ottenuto, però, la modificazione di alcune frasi, contenute nel progetto sottopostomi da Peter, le quali avrebbero attenuato troppo l'importanza delle dichiarazioni stesse.

Il Cancelliere ha detto di avere dovuto scegliere la formula • uno degli elementi fondamentali • dopo maturo esame delle complicazioni che avrebbe potuto provocare quella de • l'elemento fondamentale •, sia nei riguardi della Germania sia nei riguardi dei pangermanisti austriaci. Sono anch'io del suo parere, e credo per di più che la prima formula avrebbe -nella presente situazione del governo nella Camera austriaca -posto probabilmente Schober, una volta pronunciata, davanti all'alternativa di dimettersi poco dopo o di compromettere -in tutto o in parte -il valore di tali sue dichiarazioni, mediante chiarimenti successivi volti a risolvere tali complicazioni; e che comunque la prima formula avrebbe indebolito la posizione del Cancelliere; con evidente pregiudizio, in ogni caso, dei nostri interessi.

• Ritengo che Jugoslavia intende soltanto reclutare qualche banda isolata per dimostrare all'Europa che l'Albania non è tranquilla e che popolo albanese non vede con favore attuale regime. Sono d'opinione che preparativi jugoslavi costituiscono soltanto un mezzo di pressione in vista di qualche tentativo per negoziare un riavvicinamento. speculando sul supposto raffreddamento dei rapporti fra Roma e Tirana ... ».

(.3) Si pubblica solo la traduzione.

18 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Schober ha detto inoltre essere d'avviso-anche in considerazione di quanto Egger gli aveva riferito in nome di V. E. -che non convenisse adoperare termini più calorosi nel definire i rapporti itala-austriaci, per evitare sospetti di un qualche trattato segreto e in vista della reazione che i sospetti stessi potrebbero generare, più ancora che in Germania, nella Piccola Intesa ed in Francia. Il Cancelliere si propone di fare le dichiarazioni alla Camera in occasione della presentazione del disegno di legge che autorizza il governo federale a contrarre il prestito, e dopo che sia stata definitivamente approvata dal Parlamento la riforma costituzionale.

Sarei grato a V. E. qualora volesse telegrafarmi, appena possibile, se approva il testo concordato e in specie i particolari tecnici, come i • reliefs • e le riparazioni.

ALLEGATO.

Mi riempie di particolare soddisfazione il poter oggi comunicare a codesta onorevole Assemblea che è stato raggiunto lo scopo dei nostri sforzi volti a conferire ai nostri rapporti colla nostra grande vicina meridionale, l'Italia, rapporti al cui miglioramento hanno già lavorato i miei due predecessori, il carattere di amicizia cordiale. È così raggiunto un progresso sostanziale di quella politica, che nella mia dichiarazione di governo ho definito come politica estera ormai divenuta tradizionale per la nuova Austria, e di cui il coltivare leali rapporti di amicizia con l'Italia costituisce uno degli elementi fondamentali.

In considerazione di questo felice svolgimento il Signor Capo del Governo Italiano mi ha fatto conoscere che il R. Governo ha ora dato il suo consenso alla realizzazione delle premesse per l'attuazione del nostro prestito. Il Governo Italiano aderirà pertanto anch'esso all'accordo per il regolamento dei debiti • relief •, che era stato concluso nel lliJ28 con gli Stati europei creditori dei • relief • e nel 1929 cogli Stati Uniti d'America; darà altresì il suo consenso a quelle decisioni, relative alla questione delle riparazioni, le quali sono necessarie perchè sia reso possibile il prestito.

Poichè le altre Potenze ci hanno già assicurato il loro appoggio al riguardo, possiamo contare con certezza che la nostra posizione finanziaria di fronte all'estero sia ora finalmente regolata, il che non soltanto è di per sè della più grande importanza, ma apre anche la via al pratico inizio delle trattative per il prestito in favorevoli condizioni.

(l) Con succesivo t. 4838/394 del 7 dicembre. Sola comunicava:

(2) -Cfr. n. 208. (4) -Cfr. n. 200.
220

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4795/828. Angora, 6 dicemb1'e 1929, o1'e 14,45 (pe1'. ore 16,20).

Ho fatto comunicare a ministro degli Affari Esteri contenuto lettera di V. E. 238 del 23 novembre (1). Tewfik desidera far pervenire a V. E. suoi vivi ringraziamenti per comunicazione e mi prega dirle che egli vede nelle sollecitazioni e nei suggerimenti di lei uno sviluppo sempre più omogeneo ed efficace di quel programma di collaborazione nella politica balcanica e mediterranea che Governo turco intende sempre meglio consolidare ed affermare. Egli condivide pienamente

le idee di V. E. e persevererà sulla via nella quale si è messo dal g,iorno dell'intesa di Milano con viva fiducia di essere ormai vicino alla realizzazione del piano colà concepito. Al Governo bulgaro ha fatto giungere parole di incoraggiamento per una politica estera più decisa e fattiva anche quando la politica Buroff non era ancora entrata nella attuale fase che non può essere gradita nè a Roma nè ad Angora. Intende tornare presto sulla questione ispirandosi a quanto V. E. gli ha fatto dire. Per quanto concerne vertenza greco-turca Tewfik ritiene che difficoltà accordo sia oggi diminuita per vivo desiderio entrambi paesi arrivare definizione. Secondo quanto mi aveva già dichiarato egli ha ora presentato a ministro di Grecia schema regolamento basato su compensi provenienti da beni ... (l) che se accettato liquiderà pendenze e permetterà immediata conclusione patto politico. Ministro di Grecia ha riferito Atene e attende risposta.

(l) Cfr. n. 186.

221

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, E AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, E A PARIGI, MANZONI

T. PER CORRIERE RR. 2315. Roma, 6 dicembre 1929, ore 21.

(Per Colonie). Ho diretto ai RR. ambasoiatori a Parigi e Londra il seguente telegramma :

(Per tutti). Lavori Conferenza armi in Etiopia, malgrado attiva opera nostra delegazione diretta ottenere ogni possibile garanzia di un futuro efficace controllo del materiale bellico che verrà importato sembrano avviarsi al risultato di assicurare, almeno in teoria, all'Impero Etiopico la possibilità di una illimitata fornitura di armi: ciò che può costituire indubbiamente una grave minaccia alla sicurezza delle confinanti Colonie. V. E. sa che il nostro punto di vista è stato sempre quello di cercare di rimediare all'esclusione dell'Etiopia dalle zone proibite (esclusione che dovemmo accettare nostro malgrado per rag,ioni di politica generale) mediante un preventivo accordo diretto fra le tre Potenze, da fare in seguito accettare all'Etiopia. Questo punto di vista, già condiviso dal Governo di Londra, non potè concretarsi per il dissidente avviso del Governo francese, giungendosi così all'attuale Conferenza a quattro, la quale, anche per una sensibile diminuzione delle preoccupazioni britanniche, non certo in piena rispondenza alle intercorse precedenti intese anglo-italiane (dovuta forse alla prossima ripresa dei negoziati anglo-etiopici per lo sbarramento del Lago Tsana) rischia di portarci al risultato innanzi indicato.

Sta di fatto, che ben difficilmente, malgrado tutte le garanzie che saranno chieste ed ottenute per l'importazione del materiale bellico in Etiopia, si potrà fissarne un contingente di scarsa entità, giacchè le richieste di tale materiale da parte del Negus, essendo subordinate alle necessità di Governo che egli prospetterà, esse, data la particolare situazione interna del paese, non sembra potranno trovare in pratica altro limite che quello delle finanze dell'Etiopia.

In tali condizioni, ,sembrerebbemi opportuno che le tre Potenze interessate, nel giungere alla firma di un accordo con l'Etiopia per l'importazione delle armi, non perdessero di vista la missione civilizzatrice europea che, con tanti sforzi e sacrifici, esse hanno perseguito e perseguono nell'Africa Orientale, e l'eventuale minaccia che a tale missione e quindi alla sicurezza dei relativi Possedimenti confinanti con l'Etiopia potrebbe sorgere da un Paese africano di arretrata civiltà che divenisse saturo di armi e munizioni. Prego quindi V. E. di voler personalmente e verbalmente intrattenere di quanto precede codesto Ministro degli Affari Esteri e, nel lumeggiargli opportunamente la situazione quale da me prospettata, sondare il suo vero pensiero sull'argomento. Sembra a questo Ministero che allo stato attuale delle cose un rimedio potrebbe essere quello di addivenire, contemporaneamente alla firma dell'accordo con l'Etiopia, alla stipulazione di un Protocollo segreto fra le Tre Potenze che dovrebbe, in massima, contenere l'impegno di queste di consultarsi reciprocamente e periodicamente circa l'entità del materiale bellico importato dall'Etiopia, allo scopo di considerare quali eventuali misure prendere di comune intesa per cercare di contenere l'importazione stessa in limiti atti a garantire la sicurezza delle rispettive confinanti Colonie. Confido che ogni opera persuasiva sarà da V. E. esplicata per indurre codesto Governo a prendere ill seria considerazione questa proposta oppure a suggerirne qualche altra che possa ugualmente rispondere al nostro scopo. (Per Colonie e Parigi). Mi rendo conto delle difficoltà che V. E. potrà trovare presso il Governo Francese ed anche del rischio che quest'ultimo metta al corrente del nostro passo il Governo Etiopico. Ma la questione, pur avendo per noi importanza ben maggiore che per la Francia e per la stessa Inghilterra, ha tuttavia un carattere di interesse europeo che non dovrebbe sfuggire a codesti Governanti, se pure sfugge agli Uffici ministeriali e coloniali. D'altra parte è nostro dovere di non lasciar nulla intentato per evitare in avvenire gravi pericoli alle nostre Colonie. Vedrà quindi V. E. quale sia il migliore e più cauto modo per effettuare i Suoi sondaggi e condurre le Sue conversazioni in proposito. (Per Colonie e Londra). Sebbene i contatti personali fra la nostra delegazione e quella Britannica siano stati finora improntati a vera cordialità ed il signor Murray abbia il più possibile aiutato l'opera del nostro Delegato, non è dubbio che, come già ho detto più sopra, la Delegazione britannica si mostra incline a giungere al più presto ad una conclusione positiva delle trattative di Parigi. Sia questo atteggiamento determinato o meno dall'attuale fase dei negoziati per il Lago Tsana, il fatto è che ,si perdono così di vista i superiori interessi della difesa delle Colonie confinanti, in cui Italia ed Inghilterra dovrebbero essere completamente solidali. Sarebbe quindi necessario un intervento delle autorità superiori per richiamare su questo punto l'attenzione degli Uffici e della delegazione britannica a Parigi, senza tuttavia correre il rischio di far conoscere alla delegazione abissina (la quale potrebbe essere anche informata dai Francesi) le nostre preoccupazioni e le nostre intenz,ioni. Vedrà V. E. quale sia il migliore e più cauto modo per effettuare i Suoi sondaggi e condurre le Sue conversazioni in proposito.

222.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

Roma, 6 dicembre 1929.

Questi (2) sono i primi contatti con i macedoni della frazione Mihailoff. Non concordo su alcune dichiarazioni fatte dal nostro fiduciario al Karajoff e Eutimoff, ed ho dato istruzioni di modificare il tono.

Non ritengo che dobbiamo passare all'eccesso opposto, e cioè abbandonare interamente il Tomaleski, ossia fare a rovescio l'errore fatto fin'ora dal Ministro Piacentini. Occorre mantenere i contatti mediante fiduciarì diversi, con ambedue le organizzazioni.

Allo stesso modo non approvo il consiglio dato di non inviare le petizioni alla Società delle Nazioni.

Proprio all'opposto. Occorre che i macedoni • stancheggino • Ginevra alla sazietà, con petizioni, memoriali, ecc. ecc. È anche questo un modo per mettere sempre più • di moda • la questione macedone.

Quanto sopra unicamente per informare il Capo del Governo che i contatti colla frazione Mihailoff sono ormai stabiliti, e saranno diligentemente mantenuti.

(l) Gruppi indecifrati.

223

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI (3)

T. GAB. (P. R.) 124/321. Roma, 7 dicembre 1929, ore 24.

Suo telegramma per corriere n. 73 del 5 corrente (4).

Approvo testo concordato.

224

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 4841. Parigi, 7 dicembre 1929 (per. iL 9).

Suo telegramma corriere n. 14441 del 27 novembre scorso (5).

Il capo dell'ufficio competente al Quai d'Orsay, ha detto di avere avuto notizia della missione militare belga in Etiopia dal ·signor Murray, capo della delegazione britannica alla conferenza per l'importazione delle armi in Etiopia.

Il signor de St. Quentin non ha dissimulato che il Governo francese vedrebbe con piacere la realizzazione della notizia stessa sia perchè la missione belga servirebbe a mettere dell'ordine nell'esercito abissino e faciliterebbe il compito dell'attuale conferenza sia perchè a suo modo di vedere il posto dei belgi potrebbe essere preso da ufficiali di altre nazioni (tedeschi) o da avventurieri russi, come avviene attualmente.

A quest'ambasciata del Belgio ignorano la notizia ed io esprimo dei dubbi sulla sua autenticità. È stato in ogni modo fatto capire che l'invio della missione stessa non sarebbe stato nel momento attuale gradito al Governo italiano.

(l) -Autografo di Grandi. Annotazione marginale: « Al Capo del Governo il 7 dicembre 1929 •. (2) -Evidentemente c'era un allegato, che manca nella minuta. (3) -Autografo di Grandi. (4) -Cfr. n. 219. (5) -Cfr. n. 192.
225

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4827/466. Vienna, 8 dicembre 1929, ore 24 (per. ore 4,35 del 9).

Consiglio nazionale ha ieri sera approvato unanimità disegno legge governativo per riforma costituzionale, come emendato e concordato scorsi giorni con socialdemocratici in commissioni parlamentari competenti. Legge sarà sottoposta martedì consiglio federale per essere promulgata subito dopo da presidente repubblica. Segue con telegramma n. 467 sunto discorsi, per corriere particolareggiato resoconto votazione, nonchè disposizioni approvate.

226

IL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

N. R. 6993. Roma, 8 dicembre 1929.

È pervenuta notizia a questo Ministero che la Banca Nazionale di Albania intenderebbe procedere ad un aumento del proprio capitale da franchi oro

12.500.000 a franchi oro 25 milioni. Sulle nuove azioni verrebbe per ora richiesto un versamento di 3/10, come è stato praticato per le vecchie azioni. L'aumento sarebbe destinato a istituire una Società di credito fondiario in Albania.

S. E. Stringher ha chiesto che qualora l'accennato aumento venga effettivamente deliberato, l'Istituto dei Cambi sia autodzzato a rinunziare al diritto di opzione corrispondente alle vecchie azioni della Banca d'Albania attualmente in suo possesso. S. E. Stringher ha posto insistentemente in rilievo che le varie operazioni relative all'Albania già costituiscono un forte aggravio per la situazione patrimoniale dell'Istituto dei Cambi e che un incremento di tale aggravio verrebbe ad avere ripercussione sull'esposizione dell'Istituto stesso verso la Banca d'Italia e quindi sulla nostra circolazione monetaria.

Questo Ministero non può non condividere pienamente le osservazioni di

S. E. Stringher, nè ha modo alcuno di far contribuire al progettato aumento di capitale altri <istituti o enti parastatali, in luogo dell'Istituto dei Cambi. D'altra parte questo Ministero si preoccupa anche del fatto che gli accennati nuovi investimenti italiani in Albania costituirebbero un'esportazione di capitali non indifferente pel mercato dei cambi.

Si confida, pertanto, che codesto On. Ministero, nell'esaminare la questione nei riflessi politici, vorrà tenere conto delle sopra esposte considerazioni.

227

IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. s. 65/269. Sofia, 9 dicembre 1929, ore 14 (per. ore 18,35).

Decifri Ella stessa.

Moloff mi ha detto oggi che ha parlato con Liapceff circa questione matrimonio Re Boris, questione tuttora presente nel vivo desiderio intera Bulgaria e che torna a sollevare speranze ora che Re Boris si recherà Roma. Liapceff mi ha informato pure che Re Boris, sempre sentimentalmente molto preso dal pensiero della principessa Giovanna, si sarebbe recentemente mostrato più disposto a transigere sui suoi noti scrupoli concernenti impegno per religione cattoHca di tutti i figli se si fosse potuta trovare accettabile forma dell'impegno stesso. Moloff mi ha anche chiesto nome alti dignitari Reale Corte ,italiana che fossero addentro alla questione. Ho risposto più alti dignitari essere duca Borea d'Olmo e senatore Mattioli Pasqualini soggiungendo però ignorare se e quanto fossero informati e se avessero partecipato trattative matrimonio. Da quanto precede come anche da frasi di Moloff che • Re Boris pone sua ultima speranza in questo suo viaggio Roma • ho compreso che Liapceff ha incaricato Moloff di occuparsi a Roma di questa delicata questione escludendone categoricamente Buroff. Anche per questo motivo Moloff mi ha confermato sua speranza potere avere colloquio separato con S. E. Capo del Governo e con V. E. pur osservando essergli difficile chiedere direttamente tale colloquio separato ·senza urtare suscettibilità e senza insospettire Buroff. Ad ogni buon fine ho tenuto a precisare e in parte a rettificare quanto Liapceff ha detto a Moloff circa passate trattative matrimonio, valendomi del contenuto delle lettere di S. E. il Capo del Governo personale 5926 addi 29 settembre 1928 e autografa senza numero addì 19 febbraio 1929 (1), e dei miei telegrammi di Gabinetto dal n. 271 del 12 settembre 1928 in poi (2). Moloff mi ha confermato dichiarazioni di Cambon • che matrimonio non si sarebbe mai fatto • il che ha qui diffuso convinzione che impedimenti e intransigenza Vaticano siano stati determinati dalla Francia per mezzo dell'azione esercitata dai cardi

nali francesi sul cardinale Gasparri. A tale proposito Moloff mi ha rammentato che quando Buroff nel 1926 visitò a Roma cardinale Gasparri questi, dopo avere rievocato in forma piuttosto brusca conversione principe Boris all'ortodossia voluta da Re Ferdinando, domandò quando Re Boris si sarebbe eventualmente convertito al cattolicesimo affermando avere su ciò sicure informazioni (probabilmente da monsignor Roncalli che si è sempre fatto molte illusioni al riguardo). Buroff rispose che Governo bulgaro non solo ignorava completamente tali presunti propositi di Re Boris ma era sicuro che Sovrano non avrebbe effettuato tale nuova conversione che popolo bulgaro non avrebbe potuto accettare poichè ortodossia costituisce elemento naz,ionale bulgaro attuale dinastia che altrimenti sarebbe totalmente straniera. Moloff ha infine espresso, sempre nei riguardi della questione del matrimonio, rammarico di Liapceff e suo per prossima presenza Roma principessa Eudoxia che, com'è noto, è contraria nozze del fratello con la principessa italiana. Ultimamente è stato fatto nome principessa greca figlia del principe Giorgio e della principessa Bonaparte come possibile candidata. Ma oltre a volontà di Re Boris di non occuparsi ancora della questione di un suo eventuale altro matrimonio sembra osterebbero a tale progetto precarie condizioni di salute della pr,incipessa.

(l) -Non rinvenute. (2) -Cfr. serie VII, vol. VI, nn. 646 e 647.
228

IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4849/271. Sofia, 9 dicembre 1929, ore 18,30 (per. ore 21,30).

Mio telegramma n. 263 (1).

Durante colloquio da me avuto con Buroff per persuaderlo iniziare da Roma suo imminente viaggio, Buroff mi aveva vagamente accennato a difficoltà provenienti • da Londra •, senza però precisarle. Oggi Moloff mi ha riservatamente informato che Waterlow appena conosciuta decisione Governo bulgaro inviare Buroff e Moloff visitare tre capitali alleate, aveva fatto forti pressioni presso Liapceff perchè prima visita non avvenisse Roma bensì Londra. Ho chiesto a Moloff per quale motivo questo ministro d'Inghilterra avesse fatto tale proposta non giustificata nè da ragioni politiche nè da situazione geografica. Moloff ritiene unico motivo doversi ricercare nelle idee politiche di Waterlow laburista e antifascista. A tale proposito credo opportuno riferire che in occasione di una colazione da me offerta a Waterlow e moglie subito dopo loro arrivo a Sofia, signora Waterlow ebbe a pronunciare frasi così sgradevoli per persona Duce, per Fascismo e per Italia in genere che dopo aver tentato invano farla tacere dovetti ad alta voce tra il silenzio dei circa venti commensali pregare Waterlow spiegare egli stesso a sua moglie che sue idee e sue parole oltre che inopportune perchè dette nella stessa legazione d'Italia, erano totalmente errate. Quanto a Waterlow, pur

essendosi sempre mostrato corretto verso questa legazione accentua tuttavia rapporti di ostentata intimità con legazioni Francia e specialmente Serbia. Stamane Buroff prima di partire mi ha detto riservatamente: • Credo che attualmente verso Italia sia molto meglio intenzionata Francia che Inghilterra ».

(l) T. 4825/263 del 7 dicembre, che non si pubblica.

229

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. 2338/261. Roma, 9 dicembre 1929, ore 22,40.

Stamane ho conferito con Volkoff. Mi sono lamentato ancora una volta che Governo bulgaro non abbia sentito dovere rettificare falsità articolo Temps secondo le quali ItaEa avrebbe proposto cifra 18 milioni. Buroff presente a Parigi sapeva benissimo che ciò è falso. Delegazione italiana ha mantenuto semplicemente contegno indifferente. Non ha nè appoggiato Bulgaria nè ostacolato proposte contrarie interessi bulgari fatte Francia.

Ho dichiarato a Volkoff che al di sopra 'inqualificabile condotta Buroff stanno per l'Italia interessi popolo bulgaro, e pertanto Governo italiano appoggerà nelle fasi preliminari della conferenza dell'Aja e alla conferenza richieste Bulgaria. Ho tenuto fare queste comunicazioni Volkoff prima dell'arrivo di Buroff in Italia, onde togliere preventivamente a Buroff il merito di avere ottenuto lui personalmente a Roma fra qualche giorno un mutamento in senso favorevole del precedente atteggiamento dell'Italia.

Dia subito comunicazione di oiò a Liapceff e faccia in modo di dare pubblicità notizia facendo il possibile perchè merito di quanto sopra ricada sopra azione svolta da Volkoff.

230

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. (P. R.) 158/470. Vienna, 9 dicembre 1929, ore 23,35 (per. o1·e 4,10 deL 10).

Ho comunicato a Schober il contenuto del telegramma di V. E. n. 321 (1). Il cancelliere ne è stato riconoscentissimo e mi ha detto che avrebbe subito telegrafato a Egger dandogli istruzioni presentare al R. Governo suoi vivissimi ringraziamenti. Ha aggiunto che si proponeva effettuare le dichiarazioni concordate nel corso di questa settimana.

(l) Cfr. n. 223

231

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 7724/2709. Belgrado, 9 dicembre 1929.

Ho l'onore di accusare ricevuta del telespresso n. 74480/94 del 28 novembre

u. s. (1), e di assicurare V. E. che non mancherò di fare tutti i possibili accertamenti al fine di controllare le notizie contenute nel telespresso stesso per quanto non bisogna nascondere le difficoltà di simiH indagini.

Posso intanto far rilevare che i quotidiani jugoslavi di Belgrado, di Zagabria, di Lubiana e di Spalato non perdono occasione per attaccare il fasc,ismo, servendosi a tal uopo di notizie false o deformate, raccolte in gran parte nella stampa estera democratico-massonica. Qualche giorno fa era l'Obzor di Zagabria che pubblicava un articolo quanto mai tendenzioso sulle condizioni economiche italiane.

Oggi è il giornale Pravda che in un articolo editoriale, dal titolo • Crisi del fascismo • si serve di alcuni fatti notori per venire a delle conclusioni, del tutto false e tendenziose e per concludere che il fascismo vede ormai la sua salvezza in una diversione politica estera, e, più particolarmente, in una espansione violenta nella penisola Balcanica. Tale conclusione rientrerebbe appunto nel programma dell'istituendo • Comitato di alleanza itala-jugoslavo •, e più precisamente nel capoverso 2, là dove è detto che il conflitto itala-jugoslavo deve mantenere un carattere antifascista e non antitaliano.

A tale proposito, pur con ogni debita riserva, ed a puro titolo di notizia trascrivo qui di seguito una informazione fiduciaria che fino ad un certo punto può rientrare nel programma antifascista e chiarire qualche finalità:

Il Signor Marinkovich avrebbe detto che l'atteggiamento della stampa jugoslava verso l'Italia si farà ancor più aggressivo per ordini venuti dalla Francia, col precipuo scopo di liquidare al più presto il fascismo. La Jugoslavia dovrebbe costituire un'arma contro l'Italia e più ancora contro il fascismo che diventa sempre più audace. Ora si pensa anzi essere giunto il momento opportuno perchè tale regime sia distrutto. Occorre provocare l'Italia colle dovute cautele in modo che essa faccia qualche imprudenza così da porgere l'occasione alla

S.d.N. di intervenire. Se tale intervento non avesse risultati positivi la Francia,

• A quanto è stato confidenzialmente riferito, alla " Concentrazione antifascista di Parigi" si farebbero tentativi per la fondazione di un "comitato di alleanza italo-jugoslavo " .... La costituzione del detto comitato (sempre a quanto è stato confidenzialmente riferito)verrebbe tentata per i seguenti motivi: l) le relazioni fra l'Italia e la Jugoslavia vanno prendendo sempre più una forma pericolosa, che dovrà condurre ad un conflitto aperto;2) bisogna impedire che il conflitto fra la Jugoslavia e l'Italia perda sempre più il carattere antifascista, per divenire puramente antitaliano; 3) bisogna dimostrare al popolo jugoslavo che non tutti gli italiani sono di sentimenti antijugoslavi •.

Con t. posta 38 del 4 dicembre Manzoni comunicava che • in questi ambienti concentrazionisti non si ha notizia di un progettato Comitato di alleanza italo-jugoslavo, che si ritiene non potrà in nessun caso, essere costituito in Francia, poichè sarebbe inviso alle Autorità francesi...•.

come alleata della Jugoslavia e custode della pace europea, dovrebbe dire la sua

ultima parola. Tale impresa troverebbe il suo principale appoggio nei profughi italiani. Marinkovich sarebbe persuaso del successo finale cosi si spiegherebbe l'odier

no atteggiamento della stampa jugoslava, specialmente belgradese.

232.

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 6266/668. Innsbruck, 9 dicembre 1929.

La riforma costituzionale approvata dal Nationalrath ha, più che nel resto del paese, vivamente disilluso numerosi circoli politici del Tirolo e della Stiria e specialmente quelli che fanno capo alle Heimatwehren. Poichè, pur riconoscendosi che la riforma stessa ha senza dubbio condotto ad un rafforzamento sensibile dell'autorità statale e che a questo risultato, ritenuto irraggiungibile fino a non molto tempo fa, abbia portato soltanto la pressione esercitata dal movimento delle Heimatwehren, sì osserva che queste ultime non siano tuttavia riuscite che a varare una parte minima del loro programma senza riuscire ad intaccare la posizione della socialdemocraz,ia austriaca. Si sarebbe dunque ripetuto il caso del parturiens mons...

Questa è l'opinione generale qui e non si può disconoscere che il successo parziale ottenuto in una lotta al coltello qual'era quella impegnata fra le due fazioni, rassomigli piuttosto ad uno scacco che ad una vittoria. Del resto, chi ha dimestichezza con le cose interne dell'Austria non è stato certamente sorpreso dalla piega degli avvenimenti, che erano fatalmente destinati a sboccare in una soluzione di compromesso, e, per mia parte, non ho che da riferirmi al mio rapporto 4914/560 del 9 ottobre u. s. che, se non temessi di esagerare, chiamerei veramente profetico.

Le cause sono state molteplici, ma assommano principalmente nella preoccupazione del governo, dei circoli dirigenti, di buona parte della stampa e dell'opinione pubblica che ogni tentativo di risolvere la situazione per le vie extraparlamentari -putsch o colpo di Stato --avrebbe fatalmente scatenato la guerra civile e con essa portato lo sfacelo economico dell'Austria (l'incetta delle valute estere e il crollo della Bodenkreditanstalt hanno acuito queste preoccupazioni ed agito da freno potentissimo) e forse anche l'intervento straniero. A queste cause principali altre parecchie ,se ne sono aggiunte: una sopravvalutazione da parte delle Heimatwehren delle proprie forze e dello spirito combattivo dei suoi ranghi, che ha impedito di tener conto, se non all'ultimo, delle deficienze organizzative e di armamento fuori delle due provincie del Tirolo e della Stiria; errori ripetuti di tattica per cui non si parla e grida impunemente di rivoluzione e di violenza per mesi senza svegliare l'attenzione dell'avversario e permettergli di correre ai ripari; dissidi insanabili nelle file dei partiti borghesi, per cui grosse fraz,ioni dei cristiano-sociali hanno apertamente riprovato il movimento delle Heimatwehren, giungendo a simpatizzare coi socialisti, tanto che già si parla d'una possibile coalizione rosso-nera ·imperniata nel binomio Kunschack-Seitz; dissidi e disaccordo fra i capi delle provincie gelosi di ogni sacrificio delle autonomie provinciali, e, last but not least, abìlità estrema nel difendere le proprie posizioni da parte dei socialisti, che sono riusciti ad accaparrarsi l'appoggio delle democrazie europee e dei rispettivi governi, hanno sfruttato abilmente taluni incidenti come quello dei documenti trafugati al Generale Kirsch ed hanno saputo diffondere la sensazione ed il panico che il paese corresse ad una fatale avventura.

Le Heimatwehren proclamano ora che non desisteranno dalla loro lotta fintanto che non avranno abbattuto l'austro-marxismo, ma il loro movimento sembra, comunque, destinato a subire un tempo di arresto poichè non ,si mutano ogni giorno le assise costituzionali d'un paese nè per le vie legali, nè per quelle extraparlamentari. È prevedibile d'altra parte che il partito socialista, ·uscito fuor del pelago alla riva, volga ogni suo pensiero a rafforzare la propria organizzazione e a mettersi in condizione di parare ai nuovi attacchi! Quello che per ora è più sicuro è il profondo ed amaro risentimento che le Heimatwehren sentono contro il Signor Schober dal quale si considerano tradite ed abbandonate. Il Governo di quest'ultimo non pare pertanto destinato a lunga durata e questa previsione non è senza importanza per noi in questo momento in cui si parla molto del viaggio a Roma del Signor Schober e della eventuale rinunzia da parte nostra a quei privilegi che hanno finora ostacolato la conclusione del prestito austriaco.

(l) Di questo documento, che ritrasmetteva una comunicazione del ministero dell'Interno, si pubblicano 5olo i brani seguenti:

233

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA

L. P. Belgrado, 9 dicembre 1929.

Non passa eiorno senza inquietudine. Con telegramma per corriere n. 2693 del 7 c. m. (l) ho informato di numerosi arresti di russi per sospetto di aver fornito ad una potenza straniera dati riferentesi al movimento ed alle costruzioni ferroviarie. Un giornale ungherese faceva espliciti accenni al Colonnello Cassone. Questi, da me interrogato, ha escluso in modo assoluto di essersi incaricato di simile servizio, e non ho motivi per mettere in dubbio le sue asserzioni anche perchè è qui da troppo poco tempo per avere avuto modo di trovare simili file.

Alcune perquisizioni operate in casa di famiglie russe amiche del Comandante Cattaneo mostrano come anche sulla sua persona si sia voluto far cadere un sospetto. Non è dunque escluso che possa essere messo in giuoco anche il Colonnello Visconti, come il più direttamente interessato alle comunicazioni ferroviarie. È dunque bene che tu ne sia almeno officiosamente avvertito per non essere colto alla sprovvista nel caso che questa campagna giornalistica sullo spionaggio russo possa avere qualche sviluppo.

Non è sicuro che tra gli arrestati, che certamente fornivano documenti a vari Stati, siano agenti del Colonnello, ma non è escluso. Ad ogni modo Visconti mi ha affermato che coloro i quali anche recentemente e dopo gli arresti·gli hanno fornito documenti riservati di mobilitazione sono tuttora in libertà e veduti circolare non più tardi di ieri 8 corrente. Se quindi tra gli arrestati fosse qualche altro agente, non potrebbe trattarsi che di fornitore di documenti non essenzialmente riservati, in parte anche di dominio pubblico. Ciò che però non impedirebbe a questo Governo di trarne motivo specie sulla base di possibili confessioni estorte coi noti mezzi inquisitori, per addossare a noi l'azione generale di elementi spionistici. Ed è per questo, ripeto, che ho desiderato metterti subito al corrente della cosa.

Ma nelle nebulose del fatto in se stesso si nascondono forse varì altri scopi e motivi, quale ad esempio di mantenere l'opinione pubblica galvanizzata contro l'Italia; quello di poter fare con tal pretesto grandi retate di persone più o meno sospette di avversione al regime dittatoriale o di comunismo.

Vedi intanto dal mio telespresso odierno n. 7757/2722 come il noto processo Humic, fatto a porte chiuse e del quale è stato dato alla stampa il solito resoconto anodino per lasciare il dubbio che si trattasse anche questa volta dell'Italia, riguarda invece l'Ungheria.

Ti raccomando infine di evitare per quanto possibile telegrammi cifrati per filo aventi attinenza a questo argomento perchè Visconti assicura che tutti i nostri cifrari sono noti a Parigi.

Ho raccomandato al Colonnello Visconti di sospendere per qualche tempo ogni attività informativa.

(l) T. per corriere rr. 4837/2693, in realtà del 6 dicembre, che non si pubblica.

234

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SOLA

T. 2342/299. Roma, 10 dicembre 1929, ore 24.

Ho letto con molta attenzione suoi telegrammi 384 e 394 (1). Continui a seguire con ogni cura la situazione ed a tenermi informato.

235

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 10 dicembre 1929.

My Government instruct me to communicate to Your Excellency semiofficially and confidentially the attached proposals relating to the impending conference on naval disarmament. They propose to define the aim of the Conference as being « to attain agreement on the reduction of existing naval strengths and programmes

and on the limitation of war vessels o n the basis of mutually accepted strenghts ». They suggest that the date by which this agreed equilibrium is to be reached should be December 31st 1936, and that the same basis of agreed strength should continue to regulate the navies of the several Powers w1til it is revised at a later Conference. My Government would be glad to be informed at the earliest possible moment whether Your Excellency's Government desire to offer any observations on these proposals.

(l) Cfr. n. 218 e p. 229, nota l.

236

PROMEMORIA DEL MINISTRO DI BULGARIA A ROMA, VOLKOV, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

..... (1).

Le riparazioni orientali e specialmente le riparazioni bulgare sono oggetto di vive preoccupazioni. Ogni bulgaro sente dolorosamente, che la sua futura sorte dipende dal modo con cui sarà risolto questo problema, per cui tutto il popolo, col suo Parlamento in testa, è strettamente unito nella lotta per la sua risoluzione.

Dai rapporti e dalle esposizioni fatte dalla delegazione bulgara a Parigi, il popolo bulgaro fu tendenziosamente informato sul corso delle trattative col preciso scopo di prospettare sull'attitudine dell'Italia una luce poco favorevole. Si racconta, per esempio, che i delegati inglesi, sin dai primi momenti, proposero una cifra di 12.5 milioni di franchi oro, proposta che fu sostenuta anche dai delegati belgi; i delegati italiani invece sostennero la tesi che la Bulgaria può pagare 18 milioni. La delegazione francese propose una cifra media: 15 milioni. Si racconta che durante le discussioni la delegazione bulgara urtò contro la più accanita resistenza italiana, i cui delegati tecnicamente e tatticamente erano i meglio preparati. Il presidente della delegaz,ione bulgara, il prof. Danailoff in due colloqui consecutivi tentò di diminuire tale viva resistenza; lo stesso fu tentato anche da parte dei ministri Buroff e Moloff nei loro colloqui prima col presidente della delegazione aaliana e poi coll'ambasciatore conte Manzoni -però tutti gli sforzi andarono in vano-l'ostile opposizione italiana fu irremovibile.

Di fronte a questa attitudine italiana, la delegazione racconta che le altre delegazioni si mostrarono benevole nei riguardi della Bulgaria.

I delegati bulgari dichiararono unanimemente che Buroff ha avuto contegno ammirevole, egli è indicato quale paladino della tesi bulgara: attivo, convincente, abile, resistente e fiducioso. Per la sua ,incrollabile fede nel successo finale, pare ch'egli abbia avuto dei suggerimenti e degli appoggi morali da certi ambienti parigini.

Il Ministro Buroff nella sua esposizione davanti alla maggioranza parlamentare ha ottenuto un gran successo, riportando unanimi consensi ed acclamazioni. Buroff sostiene che l'economia nazionale bulgara è così scossa che sarebbe un delitto accettare una quota annuale superiore a 10 milioni di franchi e che se

la Bulgaria venisse costretta ad aderire ad una quota superiore non potrà in nessun caso fare in seguito onore alla propria firma. Per diminuire l'effetto degli attacchi mossigli da parte della stampa italiana, Buroff si è servito dei seguenti argomenti:

a) Non è vero ch'egli è fautore d'una politica di ravvicinamento verso la Jugoslavia, più che mai egli è convinto sull'impossibilità d'un accordo con questa potenza; la sua attività svolta sinora serve a confermare il contrario di quello che gli si accusa. Ma tutta la colpa di questi poco amichevoli rapporti colla Jugoslavia, Buroff ha saputo addossarla sui governanti di Belgrado. I francesi stessi, afferma Buroff, si sono convinti su questo fatto e per questo lo considerano quale avversario più pericoloso d'un ravvicinamento bulgaro-jugoslavo.

b) L'opposizione italiana nei riguardi della Bulgaria, sostiene Buroff, non è dovuta a dei rancori che Roma manifesta di serbare a suo riguardo. Mussolini non fa una politica di sentimenti, egli al contrario ha ben fondate e serie ragioni di voltarci le spalle, perchè ha promesso il suo valido appoggio alla Grecia. Oggi l'Italia ci abbandona come ci ha abbandonato e sacrificato nel 1919 Tittoni a Parigi per favorire la Grecia.

c) Gli attacchi vivaci rivolti personalmente a Buroff dalla stampa di Roma sono considerati quale abile manovra italiana collo scopo preciso di mascherare i suoi veri intendimenti. La responsabilità tuttavia, asserisce Buroff, va a carico esclusivamente di Volkoff che non ha potuto, nè ha saputo assicurarsi l'appoggio e benevolenza italiana.

Con questa abile manovra Buroff ha potuto neutralizzare l'effetto degli attacchi della stampa italiana nel seno della Sobranie. I rimproveri chiari e precisi dei giornali italiani furono interpretati in questi stessi ambienti parlamentari come un tentativo della diplomazia italiana d'intromettersi negli affari interni della Bulgaria, precisamente così come fu praticato un tempo dai governi di Vienna e di Pietroburgo. In seguito a tutto oiò Buroff ha potuto crearsi una situazione così favorevole da poter attirare a propria difesa perfino i giornali a lui decisamente ostili come è p. e. il Zora.

Ma malgrado tutto questo, il popolo bulgaro istintivamente tiene rivolti i suoi sguardi verso l'Italia. Esso nutre delle speranze ed ha incrollabile fede in Mussolini e nel suo governo. Un vivo sentimento alimenta questa fiducia; il popolo bulgaro crede fermamente che in fine sarà sempre l'Italia che gli verrà in aiuto. È da notare che questa fede resta intatta non astante tutti gli intrighi, tutte le manovre ed insinuazioni che Buroff ed i suoi seguaci fanno correre allo scopo di compromettere le posizioni dell'Italia. Sicura prova di questo sentimento si palesò durante le proteste avvenute a Sofia. Mentre le masse popolari fecero delle dimostrazioni con fischi ed urli di offesa davanti alle legazioni di Francia ed Jugoslavia, queste medesime masse fecero una calorosa manifestazione davanti alla legazione d'Italia, malgrado che fossero già a conoscenza di tutto quello che i delegati bulgari avevano raccontato sul conto dell'attitudine italiana.

Questi sentimenti popolari sono ben noti ai circoli francofili e la loro reazione fu pronta e rapida -sono note le rivelazioni del giornale Le Temps che scarica apertamente tutta la responsabilità sull'Italia.

La rivalità Itala-Francese a Sofia è simbolizzata nel duello di due correnti con due dottrine diametralmente opposte. A capo di queste stanno Buroff e Volkoff.

Quali sono le forze rispettive? La maggioranza parlamentare -il gruppo più forte è per Volkoff, con questi sono anche i sentimenti del popolo, verso lui gravita anche il fattore decisivo costituzionale del regno; per conseguenza la corrente Volkoff è molto più forte. Però Buroff benchè molto più debole, in questo momento possiede delle buone posizioni.

La lotta tra le due correnti pare sia nella sua ultima fase. Chi vincerà? Una sconfitta della corrente Volkoff sarà la sconfitta degli elementi giovani patriottici e decisivi, che lottano per una Bulgaria grande, forte, indipendente e nazionalista per eccellenza; la vittoria di Buroff significa spingere il paese verso la Jugoslavia e la Francia.

Come si deciderà la lotta? È convinzione generale che la vittoria sarà conseguita sul campo delle riparazioni. Buroff comprende tutta l'importanza di questo vitalissimo problema per cui vi si è buttato nella lotta con tutta l'anima e corpo.

Il popolo bulgaro, per istinto, considera che un successo in materia delle riparazioni equivale ad una guerra vinta. La Bulgaria uscirà risanata; la nazione bulgara riacquisterà la propria indipendenza politica da poter in seguito attuare una politica nazionale appoggiata ad una nazione amica come l'Italia i cui interessi corrono parallelamente su tutti i campi ed orizzonti politici. Il popolo bulgaro tutto interamente, volontariamente e coscientemente si schiererà da parte di chi gli potrà garantire il successo sul grave problema delle riparazioni. Il rapido intervento in questo momento preciso da parte dell'Italia può assicurare tale successo. Di fronte a questa possibilità, i seguaci di Volkoff si sentono validamente incoraggiati, arditi e pronti per ogni lotta.

Come agire, che tattica bisogna adottare? Al suo ritorno da Parigi Buroff rafforzò molto le sue posizioni. Per cui un attacco diretto contro di lui nel seno della Sobranie si considera, in queste circostanze, fuori posto e pericoloso. Una azione simile sarebbe un grave errore; essa fallirà come fallì l'azione di Buroff contro Volkoff durante la crisi ministeriale nel settembre dell'anno scorso.

Gli amici di Volkoff ritengono che un gesto generoso dell'Italia, nel senso di massime ,sue concessioni sulle riparazioni, è l'unica manovra capace in questo momento per scuotere la situazione di Buroff. Un tale gesto nobile e generoso, fatto subito, prima ancora dell'arrivo di Buroff a Roma (1), avrà un grandioso effetto. Tutto il popolo con profonda gratitudine e commozione acclamerà l'Italia. La portata d'un simile fatto sarà incommensurabile nei suoi effetti e nelle sue conseguenze per le future decisioni della Bulgaria. Tale gesto sarà in medesimo tempo la migliore e degna risposta alle rivelazioni ed insinuazioni dell'ufficioso Le Temps. Il nome d'Italia sarà portato in trionfo e nessun ostacolo potrà più frapporsi per l'affermazione della sua politica a Sofia. La corrente generale, guidata dai seguaci di Volkoff spianerà ogni ostacolo travolgendo sotto la sua marcia irresistibile Buroff e compagnia.

I tentativi di reazione da parte degli avversari saranno facilmente combattuti; le loro manovre e perfino delle concessioni equivalenti da parte della Francia non potranno diminuire il bagliore e la portata della vittoria italiana a Sofia.

È opportuno rilevare ancora una volta che questo gesto è necessario esser fatto precisamente in questo momento in cui Buroff è ministro degli esteri, lo stesso che sussurra negli orecchi che l'Italia sacrifica la Bulgaria perchè difende altri interessi -suoi propri e quelli della Grecia.

La Bulgaria alleggerita dal peso delle riparazioni si metterà risolutamente sulla via di completa ed intima collaborazione coll'Italia sul campo economico ed anche politico il che potrà largamente compensarla per tutti i suoi sacrifici materiali e finanziari.

(l) Annotazione marginale di Grandi: • Rimessomi personalmente da Volkoff il 10 dicembre 1929 ».

(l) Cfr. infatti n. 229.

237

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ALDROVANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 6361/1903. Berlino, 10 dicembre 1929.

Monsignor PaceHi, Nunzio Apostolico, che sarà nominato Cardinale nel prossimo concistoro, è stato richiamato da Berlino. Egli era da dieci anni in Germania, ed aveva concluso il Concordato in Baviera, ed un • Atto Solenne •, equivalente a Concordato, in Prussia.

Lo considero uomo di pl'imissimo ordine. Sia prima che dopo il Trattato del Laterano, ho avuto con lui eccellenti rapporti ufficiosi ed ufficiali; nonostante egli avesse avuto uno spiacevole incidente col mio predecessore.

In occasione della mia partenza da Berlino l'ho v1sitato iel'i. Egli mi ha fatto discretamente, ma con compiacenza, notare che ero l'unica persona che egli riceveva a Berlino, dovendo rinunciare a ricevere ogni altro, per il cumulo di lavoro che egli ha in questi ultimi giorni, in cui è ritornato in Germania dal lungo congedo, e prima della sua partenza per Roma, ove deve trovarsi lunedl 16.

Monsignor Pacelli mi ha restituito la sua visita oggi. Abbiamo parlato dei recenti avvenimenti di Roma e cioè della visita di Sua Maestà il Re a Sua Santità il Pontefice; e Monsigaor Pacelli, che mi aveva espresso la sua ammirazione per

S. E. Mussolini anche prima degli Accordi del Laterano, ha tenuto ad esprimermi anche ora tali suoi sentimenti, alludendo esplicitamente ad essi ed al Capo del Governo d'Italia nel momento di congedarsi da me.

Come ho detto, considero Monsignor Pacelli uomo di primissimo ordine: di grande intelligenza, attività e lealtà; sereno perciò nella sua opera. Egli ha !indubbiamente raggiunto qui, attraverso gravi difficoltà, successi notevoli. Difficilmente avrà un successore della sua statura, che era ·Composta di dignità e di affabilità, non disgiunta, se occorreva, da forza, le quali imponevano il rispetto e la simpatia. A ciò deve aggiungersi il sentimento religioso: palese nel suo sguardo, che, sebbene dirittamente aperto, investigatore e leale, sembrava trascendere le cose mortali, e pareva come perpetuamente orientato alla fede ed alla aspettazione di una vita futura (1).

19 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) •... Confermando mio telespresso n. 1903 in data 9 corrente riterrei favorevole rapporti italo-vaticani assunzione Pacelli alla Segreteria di Stato... • (t. 49031742 del 13 dicembre di Aldrovandi).

238

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 7752/2719. Belgrado, 10 dicembre 1929.

Mi onoro trasmettere a V. E. un pregevolissimo studio (l) del Colonnello Visconti relativo alla colonizzazione serba nelle regioni bulgare ed albanesi del Kossovese del Sangiaccato e della Macedonia.

Tale ,studio mette in luce molta parte della essenza che anima lo spirito serbo realizzatore della Grande Serbia, e ne fa risaltare la tenacia con la quale persegue senza sosta e contro ogni ostacolo l'opera di ,sna~ionalizzazione in quelle regioni che affermate storicamente come appartenentigli sono in fatto popolate da popolazioni etnicamente diverse, e possono compromettere la realizzazione del programma che tende storicamente all'Egeo, come a realizzare nei Balcani la Grande Jugoslavia.

Tale studio è frutto di lunghe pazienti indagini, precisa la esatta composizione etnica della Serbia del Sud, e fissa le ragioni permanenti e fondamentali che danno alla politica albanese, realizzata dal Governo Nazionale Fascista, un contenuto politico e militare essenziale per lo sviluppo delle finalità italiane.

Per questi motivi e per dare ai nostri agenti all'estero, il possesso di tutti gli

elementi e dei principi cardinali intorno ai quali questo stato si muove, e gli

scopi principali che la nostra politica albanese persegue, mi permetto suggerire

a V. E. che tale studio, con la carta annessa, sia pubblicato nei Documenti Diplo

matici (2).

239

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ROGERI

T. PER CORRIERE 2351. Roma, 11 dicembre 1929, ore 21.

Comunico a V. E. il seguente telegramma del R. ministro a Sofia:

(Come nel telegramma n. 4849/271) (3).

Senza voler dare soverchia importanza alla cosa, tuttavia V. E. trovi il modo

di fare rilevare al Foreign Office il particolare contegno di Waterlow, accentuato

dalle poco corrette intemperanze di linguaggio della signora Waterlow.

Negli archivi del Ministero la collezione dei • Documenti Diplomatici •, cioè dei docu

menti che venivano diramati alle rappresentanze all'estero, giunge solo fino all'anno 1928.

Si pubblica qui il seguente passo del t. per corriere 4880 del lO dicembre di Auriti:

« Da quanto ha qui segnalato la Legazione austriaca in Belgrado e da quanto anche altre

fonti confermerebbero a questo Governo, il Re Alessandro sarebbe assai preoccupato della possibilità di una intesa, sotto la Direzione dell'Italia, fra Baviera, Austria, Ungheria, Croazia e Slavonia. I Croati assicurerebbero un favorevole trattamento alle loro minoranze tedesche. La Francia non considererebbe con ostilità una simile intesa. Il Re Alessandro sarebbe tanto più preoccupato di tali progetti in quanto temerebbe per l'anno prossimo una guerra dell'Italia contro la Jugoslavia... •.

(l) -Manca. (2) -Appunto di Mussolini: « importante •·

(3) Cfr. n. 228.

240

IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4868/279. Sofia, 11 dicembre 1929, ore 20 (per. ore 21,50).

Tutti i giornali Sofia pubblicano articolo Giornale d'Italia (1), intervista Tribuna nonché contenuto telegramma di V. E. 261 (2), facendo risaltare azione meritoria Volkoff. Impressione opinione pubblica enorme.

241

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ROGERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P. R.) PER CORRIERE 15476. Londra, 11 dicembre 1929 (per. il14).

Telegramma per corriere di V. E. n. 14441 (p. r.) (3). Ho chiesto a Murray quale fosse il modo di vedere del Foreign Office circa l'invio della missione militare belga in Etiopia. Murray mi ha detto che la notizia aveva non poco sorpreso il Governo britannico che l'aveva dapprima appresa dai giornali.

Malgrado che la cosa non corrispondesse alle vedute del Foreign Office essa poteva tuttavia considerarsi come una soluzione non del tutto c objectionable • perchè avrebbe potuto condurre ad un'organizzazione più controllabile degli uomini d'arme abissini.

Ciò poteva forse anche favorire l'attuazione degli scopi della conferenza per l'importazione delle armi in Etiopia. Murray mi aggiunse confidenzialmente che una missione scandinava sarebbe stata preferibile perchè offrente anche maggiori garanzie di c neutralità •.

242

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, CERRUTI

T. PER CORRIERE 2356. Roma, 12 dicembre 1929, ore 21.

Seguito mio telegramma 2355/234 (4).

Nelle conversazioni che V. E. avrà con codesto Commissariato Esteri, potrà, presentandosene occasione, adombrare circostanza della diversità di intonazione e di contenuto della nostra nota (5).

Ciò potrebbe anche giovare alle intenzioni del R. Governo W!e si propone di attuare per quanto è possibile una politica di cordiali relazioni con l'U.R.S.S. Si astenga quindi dal formulare reclami (l) e per ora anche dal richiamare

l'attenzione di codesto commissariato sulla mutilazione del telegramma.

(l) -Allude probabilmente all'articolo pubblicato il giorno lO sotto il titolo "Un colloquio di Grandi con Volkoff sulle riparazioni bulgare". Il successivo giorno 11 lo stesso giornale pubblicò un articolo di fondo, firmato da Gayda e dedicato alla visita a Roma di Burov e Molov. (2) -Cfr. n. 229. (3) -Cfr. n. 192. (4) -Del 12 dicembre, che non si pubblica. (5) -L'Italia aveva presentato la sua nota al Governo sovietico il 5 dicembre, mentre Stati Uniti, Francia e Inghilterra l'avevano presentata il giorno prima.
243

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ROGERI

T. (P. R.) 15016/422. Roma, 12 dicembTe 1929, aTe 24.

Segnalo V. E. comunicato Stefani odierno contenente sunto articolo Giornale d'Italia (2) circa campagna jugoslava contro Albania ed inviato costà solito tramite agenzia Reuter. Prego V. E . .provvedere perchè tale comunicazione abbia massima diffusione codesta stampa.

244

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 7636/2741. Belgrado, 12 dicemb1·e 1929.

Mi riferisco al mio telegramma n. 558 di oggi (3) col quale ho dato sommaria notizia a V. E. della gravissima domanda fattami ieri da S. E. Jeftic per il richiamo del colonnello di S. M. Conte Sebastiano Visconti-Prasca Addetto Militare presso questa R. Legazione. Non ho creduto esporre di più in un telegramma (che ho anche redatto quanto più laconicamente possibile) sia per la complessità dell'argomento, che richiede una vasta e precisa esposizione, sia perchè la cifra, per le informazioni dello stesso colonnello Visconti, già riferite a V. E. (4), potrebbe non presentare tutta la sicurezza necessaria di segreto.

Pregato ieri mattina di recarmi da S. E. Jeftic, lo ho veduto dopo aver conferito con Marinkov,ich per altri argomenti sui quali ho già riferito a V. E. a parte. S. E. Jeftic ha iniziato la sua esposizione premettendo una serie di frasi dirette a dimostrare il desiderio di dare ai suo passo carattere prettamente amichevole e confidenziale ed ha anzi voluto marcare che, a meglio imprimervelo esso era fatto da lui anzichè da Marinkovich. Ha anche voluto rilevare la particolare confidenza formatasi fra lui e me negli ultimi mesi, la quale meglio permetteva la richiesta che stava per farmi.

È poi passato ad accennare agli arresti numerosi operati nel gruppo di emigrati russi qui stabiliti ed ha affermato recisamente che si trattava di una vasta organizzazione spionistica e che si avevano prove precise che essa fosse al serviz,io del colonnello Visconti.

L'attività del colonnello era secondo lui intensissima e le sue investigazioni erano dirette a tali obiettivi quasi si fosse alla vigilia della guerra. Anche il viaggio del colonnello fatto con gli altri due addetti, navale ed aeronautico, in Dalmazia nell'estate scorsa, aveva allarmato le autorità militari. Ciò non aveva importanza in se stesso e vi era modo di tranquillare la sospettosità delle autorità militari.

Perciò egli mi pregava di adoperarmi personalmente perchè il colonnello ricevesse altra destinazione, ad evitare che una domanda ufficiale di richiamo fosse fatta a V. E. costà dalla Legazione Jugoslava e ne seguisse uno scandalo che sarebbe dilagato inevitabilmente, nuocendo tin modo assai pericoloso alle relazioni fra i due paesi, già così gravi e così tese. L'opinione pubblica jugoslava difficilmente avrebbe potuto tollerare la conoscenza di simile fatto, ed il governo voleva impedire si giungesse a creare uno stato d'animo esasperato. Fidava perciò nel mio intervento personale perchè la missione del colonnello Visconti a Belgrado finisse. D'altro canto la sua permanenza qui sarebbe stata assai difficile se non addirittura insostenibile, se si fosse venuti pubbHcamente a conoscere quali erano i suoi rapporti con gli arrestati. Jeftic ammetteva del resto che in fondo non era da attribuire troppa gravità a simile avvenimento. Era fatale secondo lui che gli addetti militari fossero o prima o poi tratti a valersi di agenti prezzolati. La loro missione diretta ad investigare la composizione dell'esercito del paese presso il quale sono accreditati li conduceva a ricercare ad ogni costo ogni punto anche più riservato. Ma era utile che la questione si liquidasse così amichevolmente anche per evitare che la stampa si impadronisse dell'argomento.

La esposizione di Jeftic è stata da me più volte interrotta da espressioni di diniego e di sdegno. Ho affermato che non potevo ammettere che il colonnello Visconti avesse menomamente mancato ai doveri di ospitalità verso la Jugoslavia, che la sua attività era stata ispirata costantemente ai principi della maggiore correttezza, che era troppo facile imbastire accuse per le quali non si dava nessuna prova, che da tali accuse specialmente una persona nella condizione del colonnello Visconti non poteva in alcun modo difendersi, che verosimilmente col suo nome si volevano dagli accusatori coprire altre complicità ed altre responsabilità: ciò ho ripetuto nel modo più fermo e deciso.

Quanto a rendere difficile la situazione del colonnello Visconti, se egli fosse qui rimasto, ho osservato che non sarebbe stato lui a perdervi, che l'attività del colonnello Visconti si rivolgesse ad obiettivi di guerra era naturale: gli addetti militari debbono considerare gli eserciti del paese dove si trovano in vista della guerra che possono essere chiamati combattere, non per le parate e gli alloggiamenti. Quanto al viaggio in Dalmazia, ho rilevato che esso era fatto d'accordo con le autorità militari che ne erano a piena conoscenza, che avevano accordato ogni assistenza ed agevolazione, ed avevano anche sottoposto i nostri tre addetti militari a così curiosa vigilanza che questa aveva dato luogo ad episodi comici. È evidente che se un militare viaggia considera il terreno dal punto di vista militare non da quello archeologico od agricolo. Del resto il terreno dalmata era conosciuto dal nostro stato maggiore fin da prima della guerra con l'Austria, e le nostre truppe vi erano rimaste fino al 1921. Non vi era bisogno di altre nuove indagini per conoscerlo e non vi era colà niente di nuovo da apprendere. Dovevo stupirmi di giustificazioni siffatte. Quanto alle accuse che non conoscevo tutti potevano essere accusati e allo stesso modo. Ho concluso che avrei esposto la sua domanda a V. E. Avrei a V. E. esposto anche le mie categoriche negative per tale accusa, avrei dato quando possibile quella risposta che V. E. mi prescriverebbe. Aggiungo che la forma data da Jeftic nei suoi colloqui è stata studiatamente la più corretta e cortese quasi riguardosa per il colonnello Visconti del quale ha fuggevolmente riconosciuti i meriti, la scrupolosa condotta privata, i buoni rapporti con lo stato maggiore. Ha tenuto a ripetermi che egli aveva lungamente riflettuto prima di fare tale passo e che se le prove non fossero inoppugnabili non lo avrebbe fatto.

Il Colonnello di Stato Maggiore Conte Sebastiano Visconti-Frasca è certamente noto nell'ambiente militare jugoslavo per le sue rare qualità militari e politiche dimostrate nelle missioni avute nel decennio del dopo guerra. Sicchè la sua figura distanzia di molte lunghezze quella di un comune addetto mil.itare e soprattutto quella dei ·suoi colleghi accreditati a Belgrado, che per mediocri qualità personali, e per le direttive politiche alle quali devono ispirare la propria opera sono figure di secondo ordine più o meno legate al carro della politica jugoslava e quindi innocue se non utili agli scopi dello stato magg.iore jugoslavo, quando, come il francese, non sono addirittura spioni esteri al servizio di questo governo e agenti del controspionaggio jugoslavo ai nostri danni.

Destinato a Belgrado nel marzo 1924, fanno ormai circa sei anni che il colonnello vive in questo paese del quale ha seguito tutte le fasi dell'agitata e torbida vita interna.

Egli possiede squisita finezza di tatto e di forme esteriori; di percezione prontissima, abilissimo nella ricerca dei mezzi, cauto nell'impiego dopo averli trovati, sapiente nello sfruttarli, egli ha raccolto in questo lustro di suo soggiorno in Jugoslavia materiale immenso e di ogni genere sugli armamenti jugoslavi, palesi ed occulti, che ha certamente costituito la base principale dei nostri studi militari sulla Jugoslavia. E da questo punto di vista, qualunque sia l'esito di tale incidente, il colonnello Visconti ha certamente ben meritato verso il nostro Paese.

Questa azione culminò nella denunzia degli armamenti jugoslavi alla frontiera albanese nella primavera 1927 che queste autorità non hanno certo dimenticato mentre hanno di sicuro attribuito a lui gli elementi di .conoscenza dei quali il Governo Nazionale potè così utilmente valersi.

Egli è arrivato a questi risultati tessendo una rete vastissima di informatori con sorprendente acume. La grandissima maggioranza di essi ha sempre ignorato di lavorare per lui; degli innumeri agenti investigativi messi alle sue calcagna nessuno è mai riuscito a sorprenderlo. La persona caduta negli arresti in massa di questi giorni non è che un suo agente secondario.

Io stesso, del resto, ho ignorato ed ignoro molti degli elementi e dei mezzi dei qua1i il colonnello Visconti si è valso. Non potevo per evidenti ragioni di riguardo chiederglieli, nè del resto avrei potuto obbligarlo a farlo date le disposizioni che regolano il suo servizio che è sottratto ad ogni mia possibile ingerenza.

È spiegabile che su di lui siano stati fatti convergere tutti gli sforzi per venire in possesso di qualche prova dei suoi rapporti con agenti informatori. Circa quattordici giorni or sono il colonnello Visconti ebbe sentore dell'arresto di un suo informatore e ne ebbe conferma ai pvimi di dicembre. Come

indicato nel mio telegramma per corriere n. 2693 (1), gli arrestati si dividevano in due gruppi: il primo in relazione a scoperta di uno o più club di omosessuali fra i quali si sarebbero trovati anche ufficiali della Guardia e dello stato maggiore; l'altro per sospetti di spionaggio.

Io ne ebbi notizia uno o due giorni prima della pubblicazione apparsa nel Vreme del 6 corrente e segnalata a V. E. Anche prima della pubblicazione sulla Pravda ero stato colpito da quanto erami stato riferito da buona fonte.

Chiamato il colonnello questi mi affermò nel modo più reciso che non vi poteva essere alcuna prova contro di lui per qualsiasi possibile compromissione. Non potevasi trovare alcun elemento materiale di rapporti con lui. Il suo nome non poteva essere fatto che in interrogatori e l'interrogato si sarebbe accusato troppo gravemente rivelandolo. Non per tanto ne informai, con lettera officiosa del 9 corrente (2), S. E. Gua:niglia. Se quando manchi qualunque prova materiale scritta e non siavi flagranza, si può essere tranquilli, allorchè in civili procedure inquisitorie basti la forza d'animo per mantener,si sulla negativa, non altrettanto può dirsi qui dove non si rifugge da alcun mezzo crudelissimo per estorcere con tormenti e torture le confessioni. Infatti uno degli arrestati si è • suicidato • ma forse • suicidato • al modo locale.

Successivamente il colonnello Visconti mi confermò che uno solo dei suoi informatori di materie ferroviarie era stato arrestato. Era questi un ingegnere il quale gli forniva disegni e fotografie di materiale ferroviario dati a copiare a qualche russo che ignorava completamente lo scopo cui essi erano destinati, e che faceva questi lavori per enti vari anche non statali. Perciò soltanto in una confessione poteva eventualmente avere fatto il suo nome. Egli non conosceva nessun altro degli arrestati come essi non conoscevano lui, e non era d'altronde escluso che i medesimi piani fossero venduti anche ad altri stati. Nessuno degH altri informatori suoi era in arresto ed anzi egli aveva avuto contatti con essi fino al momento in cui mi parlava.

In ogni caso, in qual modo preciso sia stato scoperto questo informatore non si può certo sapere. Il colonnello ha dato troppe prove di rara astuzia e cautela per poter supporre che vi abbia mancato questa volta.

Si possono però fare due fondate ipotesi, una delle quali coinvolge la diretta responsabilità del colonnello Cassone, la cui grave leggerezza le autorità superiori decideranno se giudicare, e se ma,i, colpire, anche indipendentemente dalle conseguenze che può eventualmente avere avuto a danno del colonnello Visconti.

l) Occorre pensare all'intenso servizio di controspionaggio francese che si

opera, oltre che in Jugoslavia, in Italia, a Roma stessa, e che serve anche alla

Jugoslavia. Infatti il colonnello Visconti ha appreso che questo stato maggiore

sarebbe a conoscenza che le riproduzioni dei documenti da lui mandati erano

state esaminate da qualche informatore jugoslavo. Queste copie porterebbero in

cirillico la firma di uno o più disegnatori: non è difficile dal rintraccio di uno di

essi trovare gli altri, e risalire poi all'ingegnere che distribuiva loro profili e

disegni da riprodurre. Prego V. E. tener presente che tale notizia del colonnello

Visconti è stata fornita anche a me da persona di fiducia in contatto con la colonia

russa e che l'ha appresa per tutt'altra via che quella del colonnello.

2) La seconda tocca il Colonnello Cassone. Premetto che dai primi tempi del suo arrivo a Belgrado avevo dovuto osservare la poca preparazione del predetto ufficiale alle sue mansioni di funzionario diplomatico all'estero e di addetto aeronautico in special modo. Le qualità per il servizio all'estero mancavano al colonnello Cassone, uomo di ingegno vivace ma piuttosto leggero in tutte le manifestazioni della sua vita, non scevro da disordinate intemperanze notturne. Non può quindi meravigliare che egli non abbia avuto la serenità, la pratica necessaria per giudicare e per apprezzare i colleghi civili e militari con i quali aveva stretto i primi incauti rapporti. Infatti il Colonnello Cassone dn un giorno imprecisato, ma che si può fissare verso la fine di agosto del corrente anno, rimise all'addetto militare greco Tenente colonnello Ventlris, la monografia riservatissima sull'aviazione jugoslava, documento pubblicato dal nostro stato maggiore d'aeronautica, da conservarsi con ogni possibile gelosia ed affidato allo scrupolo degli addetti militari. Tale monografia diramata dallo stato maggiore in copie numerate, è frutto dell'opera assidua, minuta, diligente di osservazione del colonnello Vdsconti. Vi si rivelano subito le belle qualità di precisione e di acume del nostro addetto militare, il quale potè raccogliere a mezzo della sua vasta rete di informatori una serie di notizie estremamente preziose ed utili. In una parola, vi si raccoglie tutto quanto si sa oggi dallo stato maggiore Italiano sulle forze mil-itari aeree jugoslave.

Allorchè il colonnello Visconti seppe che il colonnello Cassone aveva dato all'addetto militare greco la monografia ne mosse preciso rimprovero al collega dell'aeronautica anche perchè era assai possibile risalire da qualche informazione riservata alla persona che l'aveva fornita (e vi sono anche vari nostri RR. Consoli) e costituire quindi una gravissima compromissione per il colonnello, un'accusa documentata e provata a danno dell'informatore.

Nei primi giorni di settembre il colonnello Visconti, chiesto di essere messo in comunicazione telefonica con la Legazione Ellenica, udì per un casuale contatto un colloquio che si svolgeva in quello stesso momento tra la Legazione greca e lo stato maggiore jugoslavo. Si richiedeva da questo che la monografia fosse ancora lasciata per qualche giorno per poterne completare la riproduzione fotografica. Messo sull'avviso il colonnello Visconti da allora ha fatto ogni possibile ricerca, e poco tempo fa ha potuto avere la prova che qualcuno della Legazione di Grecia aveva per compenso consegnata la monografia allo stato maggiore jugoslavo. Il colonnello Visconti ha potuto avere anche una copia della riproduzione fotografica della copertina che era stata fatta dal servizio fotografico dello stato maggiore Jugoslavo.

II colonnello Visconti, che mi ha riferito ora quanto precede, dalla conoscenza

che lo stato maggiore jugoslavo ha presentemente della sua attività informativa,

desume:

a) che da essa si deduca quell'altra maggiore che egli può avere svolto

per segnalare l'impiego quotidiano dello strumento militare;

b) che qualcheduno degli informatori, che hanno a lui fornito notizie con

tenute nella monografia, possa essere stato individuato, e si trovi forse fra gli

arrestati.

Indipendentemente però dalla conseguenza di tale leggerezza (che può anche

rivestire carattere di vero e proprio reato militare) le autodtà militari vedranno

se e quali accertamenti fare nei riguardi del colonnello Cassone.

Questi è partito improvvisamente per Praga ieri l'altro. Mi sono perciò fatto consegnare dal maresciallo Nocera, di lui segretario, la originale monografia di sua dotazione che unisco al presente rapporto per quei confronti che si potranno fare con la fotografia pure qui unita.

La richiesta di Jeftic non può essere separata dal complesso delle relazioni italo-jugoslave. Egli vi ha fatto frequenti oscure allusioni, marcandone genericamente la gravità e i pericoli (e gli ho replicato opportunamente).

Ma ciò che mi ha colpito in primo luogo, (non potendo evidentemente prendere per buona moneta la dichiarazione di voler sinceramente la liquidazione silenziosa dell'incidente, a scopo di amicizia) è la circostanza ben strana che, mentre, dal caso Gortan in poi, la stampa per volere del governo non ha lasciato passare un sol giorno senza attacchi violenti contro il nostro paese, senza sollevare incidenti scandalistici, senza violente diatribe e denigrazioni, non voglia ora approfittare di uno scandalo ben maggiore che si potrebbe fare intorno al colonnello Visconti, se prove ,sicure ed inoppugnabili fossero realmente in mano del governo. O si vuole gesuiticamente far credere a buone intenzioni amichevoli del governo jugoslavo verso di noi, quasi per tendere alla separazione della sua responsabilità da tutte le recenti pubblicazioni e le dimostrazioni a noi ostili, o davvero non si hanno elementi sufficienti per un vero e proprio scandalo.

Questa ipotesi appare la più verosimile. Infatti le informazioni, di carattere ferroviario, date al colonnello Visconti, sono in sostanza tecnico-ferroviarie. In altri paesi si trovano pubblicate ovunque, ed il colonnello Visconti, nell'intento di rendersi conto della situazione ferroviaria jugoslava, poteva benissimo richiederle, in mancanza di altre pubblicazioni, a chi poteva fornirgliele senza alcuna intenzione prettamente spionistica contro la Jugoslavia. Non è esclusa la possibilità che un processo contro i russi arrestati possa dare risultati negativi. Sicchè dal dilemma ora formulato, si discende alla ipotesi che il governo dittatoriale, non avendo in mano che scarse e deboli prove contro il colonnello Visconti, ma a conoscenza (o per costatazione fatta qui, o per i r~isultati del servizio francese di controspionaggio in Italia) di quelli che sono i risultati del lavoro del colonnello Visconti, da che si trova in Jugoslavia, voglia cogliere una occasione od un pretesto per liberarsi di un temibile informatore della essenza di questo stato non solo militare, ma anche politica, forse anche in vista di avventmenti preparati in Jugoslavia nel settore albanese, per noi così sensibile.

Non bisogna d'altro canto trascurare gli arresti che la Jugoslavia ha potuto operare sul suo territorio di nostri informatori (ne ha ,in questo momento cinque in attesa di procedimento, vedi mio telespresso 7678/2688 del 6 corrente) e che possono far credere ad una nostra rete spionistica molto maggiore del reale, ma della quale occorre ad ogni costo liberarsi.

Sono anche tratto, ricollegando le oscure frasi sulla situazione difficile fra i due paesi, fattemi da Jeftic, le osservazioni sul viaggio dei nostri addetti militari, le deduzioni fantasiose ed allarmistiche che si fanno in Dalmazia già segnalate a V. E. per l'agitazione irredentistica dalmata, che si svolge in Italia, gli armamenti accelerati sulle coste jugoslave, le ambigue allusioni sulla attività intensa del colonnello Visconti ( • come se si fosse alla vigilia della guerra •) a pensare se non si voglia da parte del governo tentare verso di noi indiretta minaccia (su pressione dei circoli militari) per supposti nostri preparativi militari che dovrebbero svolgersi in Dalmazia. Tengasi conto delle dichiarazioni di intangibilità e di indissolubile unione delle terre dalmate alla Jugoslavia, che si sono in questi giorni moltiplicate.

Nè a mio giudizio si può trascurare di considerare se questa mossa non sia in relazione col movimento antifascista all'e,stero, che pare in forte ripresa, e che certo ha qui in Jugoslavia uno dei suoi centri maggiori, cosi come in un possibile urto italo-jugoslavo ripone le sue maggiori speranze.

Con le proteste a Jeftic, con la decisa posizione negativa che ho subito assunto (era, mi pare, mio stretto dovere, difendere subito ad oltranza un ufficiale del valore del colonnello Visconti, anche per dannata ipotesi fosse realmente coinvolto in qualche affare spionistico, e ve ne fossero inoppugnabili prove) resta aperta la via a quel qualunque mio successivo atteggiamento che V. E. vorrà prescrivermi.

Debbo a tale proposito, ed in vista di ogni più diversa soluzione, pregare

V. E. di voler controllare quando sia stata fatta all'E. V. la richiesta da parte jugoslava di gradimento per un nuovo addetto militare jugoslavo. Il telegramma col quale V. E. mi ha richiesto ,informazioni sul colonnello Jankovich, porta la data del 4 corrente N. 344. Esso è cioè, posteriore all'arresto dei russi.

Sorge legittimo il dubbio che si sia subito pensato di approfittare dell'apparsa compromissione del colonnello Visconti per richiederne l'allontanamento, ma che si sia voluto evitare che, ove V. E. aderisse eventualmente alla domanda, lo facesse solo a condizione che anche l'addetto militare jugoslavo fosse contemporaneamente richiamato.

Resto in attesa di conoscere se e quale risposta dovrò dare a S. E. Jeftic e quali altre ,istruzioni l'E. V. vorrà impartirmi. Prego V. E. tenere presente il dubbio della scarsa segretezza dei telegrammi in cifra (1).

• Ritengo di dover presentare alcune considerazioni a codesto Ministero e prego di volersi compiacere di ritenerle improntate alla massima obiettività e inspirate al solo interesse patrio, pur essendo io interessato personalmente della questione:

l) L'accettazione, incondizionata ed immediata della richiesta del Governo jugoslavo, con una non velata minaccia non è corrispondente alle necessità del nostro prestigio. È una specie di ricatto. Stabilito questo precedente qualsiasi funzionario civile e militare della

R. Legazione potrebbe esserne minacciato. 2) Sull'utilità o meno del servizio informazioni di questo ufficio è giudice codesto Ministero.

3) La smobilitazione del mio servizio informazioni è cosa alquanto delicata trattandosi di circa 200 persone sparse fra Lubiana, Salonicco e la frontiera albanese. Alcune di esse risiedono all'estero. Le comunicazioni con detto personale non possono farsi se non gradatamente e in determinate epoche stabilite per le comunicazioni e gli incontri. E con la mia eventuale partenza è assolutamente necessario che il sistema sia "smontato" poichè faceva capo alla mia persona. Qualche elemento potrebbe cadere nelle mani dell'autorità jugoslava, con un carico di materiale effettivamente compromettente. Il lasso di tempo minimo per la completa smobilitazione è di circa 3 mesi.

Belgrado non è un soggiorno piacevole, in qualsiasi senso, per diplomatici o per un addetto nilitare di Potenza considerata "nemica" della Jugoslavia. È una trincea. In essa ho cercato di fare modestamente il mio dovere di soldato sfuggendo nella lotta quotidiana del servizio informazioni ad ogni insidia dell'astuzia balcanica senza mai essere sorpreso sul fatto. Ho avuto la grande soddisfazione di contribuire a strappare la maschera di questo paese e quella continuata di vivere pericolosamente, circostanza che dal mio punto di vista, è una delle poche ~he rendano bella la vita e meritevole di essere vissuta •.

(l) -II reclamo, per il quale Cerruti aveva chiesto istruzioni, si riferiva alla mutilazione di un telegramma dell'ambasciata ad opera dell'ufficio telegrafico di Mosca (t. [p. r.] 15252/428, Mosca 9 dicembre 1929). (2) -L'articolo fu pubblicato sul Giornale d'Italia del 13 dicembre. (3) -T. (p. r.) rr. 15399/558 del 12 dicembre, che non si pubblica. (4) -Cfr. n. 233. (l) -Cfr. p. 240 nota. (2) -Cfr. n. 233.

(l) Si pubblica qui di seguito l'ultima parte di un rapporto di Visconti Prasca al mlmstero della Guerra del 14 dicembre 1929, inviato per conoscenza al ministero degli Esteri:

245

IL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. R. Roma, 12 dicembre 1929.

Ho ricevuto la comunicazione fattami dall'E. V. con telespresso n. 8275 del giorno 10 corrente (1).

Non posso non ripetere in questa occasione le preoccupazioni, che già ebbi a manifestare a S. E. il Capo del Governo dinanzi all'E. V., per le gravissime conseguenze, segnatamente d'ordine finanziario, che possono temersi dalla nostra assunzione di un troppo rigido contegno in sostegno del Governo ungherese durante i negoziati per l'applicazione del Piano Young.

Non è il caso certamente di entrare in esame dei singoli punti toccati dall'E. V. nelle istruzioni impartite al Gr. Uff. Avv. Igino Brocchi. Sovra un punto soltanto mi è necessario di soffermarmi, vale a dire sulLa affermazione che io non abbia avuto sinora alcun motivo di considerare come preoccupanti i pericoli di una stretta nostra solidarietà con l'Ungheria; debbo invece richiamarmi alle dichiarazioni che più di un mese fa io ritenni necessario di fare a S. E. di Capo del Governo precisamente nel senso che un appoggio a fondo delle domande del Governo di Budapest potesse pregiudicare i risultati così faticosamente raggiunti durante la prima riunione all'Aja.

246

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4908/476. Vienna, 13 dicembre 1929, ore 20 (per. ore 21,30).

Schober ha letto oggi in parlamento all'inizio seduta pubblica dichiarazioni concordate. Maggioranza le ha più di una volta interrotte con applausi e li ha rinnovati più nutriti alla fine mentre i socialisti si sono astenuti da qualsiasi manifestazione di approvazione o di biasimo. Chi pensa alle parole assai diverse nei riguardi dell'Ital>ia pronunciate meno di due anni fa nella stessa aula e dinanzi stessi deputati deve riconoscere che la politica che il R. Governo ha seguito verso l'Austria da allora ad oggi ha valso a far mutare a questo parlamento linguaggio e contegno. Riceverò stasera in legazione corrispondenti giornal,i italiani, rappresentanti giornali Vienna ed i presidenti delle associazioni della stampa estera per far loro comunicazioni approvate da V. E. con il suo telegramma n. 328 (2). Telegraferò commenti giornali che solo domani mattina appariranno insieme con il resoconto seduta.

•... Ricordo del passato deve soltanto chiarire che se un arresto vi fu, esso fu determinato or fa circa un anno e mezzo dalla constatazione che una diversa considerazione dei rapporti con Italia tendeva a farsi strada nella Repubblica Federale. Cancelliere Schober ha voluto riesaminare lo stato di tali rapporti e chiudere una parentesi incresciosa alla stessa Italia, riafl'ermando la cordialità di un'amicizia che il Governo Fascista apprezza non solo per lo sviluppo delle relazioni fra i due popoli confinanti, ma anche come elemento fattivo per la generale collaborazione europea, posta da esso a base della sua politica internazionale •

(t. 4872/475, Vienna 12 dicembre). Vedi il testo della dichiarazione di Auriti nel Corriere della Sera, 14 dicembre 1929.

(l) -Non rinvenuto. (2) -T. 2358/328 del 12 dicembre, col quale Grandi dava il suo benestare a una dichiarazione che Auriti intendeva fare alla stampa dopo il discorso di Schober al parlamento austriaco. Della dichiarazione di Auriti si pubblica il seguente brano:
247

IL MINISTRO A TIRANA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4907/411. Timna, 13 dicembre 1929, ore 21,30 (per. ore 23,50).

Telegramma di V. E. n. 299 (1).

Secondo quanto ho comunicato con mio telegramma n. 394 confermo, anche a tutt'oggi, la mancanza di prove e testimonianze concrete che Jugoslavia stia preparando un'azione su vasta scala contro tranquillità Albania. Aggiungo non essermi pervenuta nessuna altra notizia, oltre quelle già segnalate, di reclutamento di bande e distribuzione di armi. Si dovrebbe quindi ritenere che pure questo scorcio di autunno passerà senza gravi allarmi. Prego V. E. farmi conoscere pensiero della R. legaL'lione a Belgrado (2).

248

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 4608/2536. Vienna, 13 dicembre 1929.

Steidle mi ha fatto avvertire mercoledì sera da Morreale che sarebbe andato ieri mattina nella villa di Geisser Celesia per riceverne informazioni circa la notizia fattagli pervenire da Monsignor Seipel che l'Italia avrebbe posto il disarmo delle Heimwehren quale condizione per la concessione del prestito. Ma all'appuntamento si è recato, invece di Steidle, Pabst. Questi ha mostrato premura di essere informato, prima ancora che sulla notizia relativa all'asserito disarmo, sulla verità dell'altra secondo cui Schober avrebbe oggi dichiarato in Parlamento di aver ricevuto il nostro consenso al prestito. Il cav. Geisser Celesia ha avuto l'impressione che la richiesta fosse volta, più che ad avere direttamente una risposta, la quale era già indirettamente contenuta nelle dichiarazioni di Schober, nei giorni scorsi, al Consiglio nazionale ed a quello Federale, a conoscere quale contegno avrebbe ora assunto il R. Governo nei riguardi delle Heimwehren dopochè le riforme costituzionali erano state approvate, e ad assicurarsi che la sua benevolenza sarebbe stata loro serbata malgrado che alla soluzione della questione rela

• Documento, in riproduzione fotografica dell'originale e traduzione, che comprova la disegnata partecipazione di gruppi di fuorusciti agrarii bulgari agli eventuali movimenti di bande nella regione di Giacovo verso l'Albania, segnalati in quest'epoca come in preparazione.

(Tratto dalla collezione degli ordini della Centrale Agraria bulgara di Belgrado ai capiprovinciali della unione, esistente in Archivio Albania).Riservatissimo ed importante per provare la responsabilità e la partecipazione dell'autorità militare jugoslava alla preparazione di torbidi in Albania •.

tiva alle riforme stesse le Heimwehren non avessero potuto partecipare nella misura sperata. Il cav. Geisser Celesia, valendosi opportunamente delle direttive di massima da me dategli, ha condotto il colloquio in modo da fornire al Pabst quelle generiche assicurazioni circa il nostro futuro contegno nei riguardi delle Heimwehren che ci permetteranno, ove in ciò consenta il R. Governo, di mantenere con esse, se l'opportunità ne apparirà in seguito, le buone relazioni sinora avute in modo da continuare ad esercitare su di loro la nostra influenza. Pur senza rispondere con precisione alla domanda di Pabst per un ovvio riguardo al Cancelliere e per il dovuto r,iserbo circa dichiarazioni che questi era in procinto di fare, il cav. Geisser Celesia non ha negato la possibilità del nostro consenso. Egli ha fatto notare come questo fosse tanto più comprensibile dopo le pubbliche affermazioni di solidarietà con Schober, apparse nel manifesto delle Heimwehren del 21 novembre scorso, e di cui il chiaro significato era rafforzato dall'essere esso apparso dopo le altre affermazioni di solidarietà fatte a vantaggio del cancelliere da tutti e tre ·i partiti della maggioranza parlamentare. Il cav. Geisser Celesia ha rammentato come più di una volta io avessi offerto alle Heimwehren di negoziare con Schober il nostro consenso al prestito affine di attenerne che il movimento di modifica della costituzione fosse indirizzato per altre v1ie, al che Pabst ba ri~posto riaffermando la impossibilità in cui le Heimwehren si sono trovate di dare al movimento stesso un'altra direzione, non per mancanza di partigiani, ma per l'incertezza sul contributo che questi avrebbero potuto dare ad eventuali progetti di un'azione di forza. Il cav. Geisser Celesia ha inoltre osservato che dal rafforzamento economico dell'Austria un movimento di ordine come quello delle Heimwehren aveva tutto da guadagnare, ove fosse rduscito a portare la sua voce e la sua influenza, oltre che nelle assemblee locali, in parlamento, per il raggiungimento delle altre conquiste costituzionali non ancora conseguite. Quantunque la questione del prestito interessasse l'Italia nei riguardi non solo dei suoi rapporti colle Heimwehren ma anche delle generali questioni economiche derivanti dai trattati di pace, il R. Governo, in tutte le sue trattative ed anche nelle più recenti, aveva chiesto a Schober di tener conto del loro movimento e delle grandi simpatie che esso ispirava in Italia.

Chiarita così con Pabst la nostra azione e la nostra situazione di fronte sia al governo austriaco sia alle Heimwehren, circa il prestito, il cav. Geisser Celesia ha assicurato il maggiore esser falsa la notizia secondo cui noi avremmo aderito ad un asserito passo dei ministri iugoslavo ed inglese a Vienna per il disarmo delle Heimwehren: nessuno era a conoscenza di un simile passo, cui H R. governo non avrebbe del resto potuto unirsi senza mettersi in contrasto con tutta la sua precedente azione a vantaggio delle Heimwehren stesse e con l'interpretazione che il fascismo dà al movimento di destra austriaco (1).

Quale conferma di queste rassicuranti dichiarazioni Pabst ha domandato al cav. Geisser Celesia se noi avremmo continuato a vedere i dirigenti delle Heimwehren; ed egli gli ha risposto che sarebbe stato lieto di continuare a tenere la sua villa a loro disposizione.

(l) -Cfr. n. 234. (2) -Cfr. il seguente appunto di Soragna, del 12 dicembre, relativo a un documento dei fuorusciti agrari bulgari residenti a Belgrado:

(l) Sul problema cfr. lo scambio di note fra Inghilterra e Italia (nn. 155 e 175).

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. R. 2368/274. Roma, 14 dicembre 1929, ore 24.

V. S. avrà appreso dalle notizie diramate dalla stampa che il colloquio che ho avuto con Buroff a palazzo Chigi è stato particolarmente lungo. Ho voluto, infatti, approfittare dell'occasione per chiarirgli nettamente il mio pensiero, in modo da togliere la possibilità di ulteriori equivoci sulle reciproche posizioni. Gli ho detto quali sono le ragioni per le quali avevamo fondato motivo di ritenere gli atteggiamenti e le manifestazioni più recenti della sua politica estera non conformi alle evidenti reciproche utilità delle relazioni preesistenti itala-bulgare, manifestazioni che, in particolare nella questione delle riparazioni, ci avrebbero potuto definitivamente precludere l'opportunità di prendere speciali iniziative a favore della Bulgaria. Gii ho aggiunto che, peraltro, siccome al di sopra di queste situazioni di creazione [sic] personale, stanno gli interessi del popolo bulgaro, verso il quale l'Italia mantiene inalterata tutta la sua costante ed efficiente amicizia, così avevo già precedentemente fatto a Volkoff le note dichiarazioni.

Buroff dal canto suo, mi ha diffusamente svolto i consueti motivi a difesa della sua politica dettata da ragioni di prudenza che sarebbe necessitata dalle difficoltà della situazione internaz.ionale di un piccolo paese come la Bulgaria. Ha concluso dichiarando apertamente che egli ritiene indispensabile per la Bulgaria di fare una politica di uguale considerazione verso tutti gli stati coi quali ha interessi.

Il colloquio non ha sostanzialmente mutato gran che della nostra posizione nei riguardi di Buroff, la cui persona non è entrata certamente in conto nelle ragioni che hanno dettato le nostre determinazioni nei riguardi degli interessi bulgari nella questione delle riparazioni, nè, allo stato attuale delle cose sembra possa entrarvi in avvenire.

Aggiungo, per sua informazione, che Buroff non ha nascosto la sua ostilità per Volkoff, che noi abbiamo valorizzato. Quanto sopra affinchè V. S. ne abbia personale norma d'azione qualora occorresse mettere costà opportunamente in chiaro la situazione presente.

250

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM

L. Roma, 14 dicembre 1929.

Con la Sua lettera del 10 corrente (1), Ella mi ha comunicato a titolo semiufficiale e confidenziale alcune proposte del Suo Governo relativamente alla definizione degli scopi della prossima Conferenza Navale, nonchè al programma dei

lavori ed alla procedura della Conferenza stessa. Le proposte del Governo inglese sono state esaminate subito con la maggiore attenzione ed io sono oggi in grado, conformemente al desiderio espresso nella Sua lettera, di trasmetterLe, a titolo semi-ufficiale e confidenziale, le seguenti osservazioni del Governo italiano: Il Governo italiano non potrebbe accettare la definizione dello scopo della Conferenza navale, quale è stata formulata nella proposta del Governo britannico, se non fosse prdma ben chiarito il significato della formula suggerita, allo scopo di evitare ogni dubbio o possibilità di equivoco nella sua interpretazione. Il Governo italiano è pronto a collaborare con le altre quattro Potenze per il raggiungimento di un • Accordo Sl\lla riduzione delle forze navali e dei programmi esistenti • (to attain agreement on the reduction of existing naval strengths and programmes) purchè sia bene inteso che la formula sopra riportata non deve interpretarsi nel senso che lo stato presente degli armamenti navali sarà preso come punto di partenza per determinare il futuro equilibrio di forze fra i diversi Paesi, l'Italia non potendo accettare un sistema di limitazione che avesse per effetto di creare una condizione di permanente inferiorità a danno di quelle Potenze che, inspirandosi nei fatti all'ideale del disarmo del quale tanto si è parlato in questi ultimi dieci anni, abbiano armato proporzionalmente meno delle altre. La formula sopra indicata sarebbe accettabile per l'Italia soltanto nel caso che essa implicasse l'intenzione di giungere ad un'effettiva riduzione, mediante la radiazione di navi (scraping) da parte delle Potenze che hanno maggiormente costruito. Per ragioni analoghe il Governo italiano deve sollevare eccezioni alla disposizione suggerita dal Governo inglese, nel senso che • la data in cui il convenuto equilibrio di forze dovrebbe essere raggiunto sia fissata al 31 dicembre 1936 •. A più riprese il Governo italiano ha dichiarato che esso è disposto a priori ad assumere come limite dei propii armamenti cifre qualsiasi, anche le più basse, purchè non sorpassate da alcun'altra Potenza continentale europea. Esso rimane fedele a questa dichiarazione, non può accettare una scadenza fissa per completare in modo effettivo tutte le costruzioni necessarie per raggiungere la forza concordata. Ciò potrebbe costringere l'Italia ad un deprecabile accrescimento delle costruzioni navali, mentre sarebbe auspicabile che negli anni a vendre l'aumentata sicurezza e la reciproca fiducia portino i Governi a diminuire ancora, spontaneamente, i loro armamenti esistenti o progettati. Fino a quando ciò non avvenga, l'Italia intende riservarsi il diritto di costruire per poter eventualmente raggiungere il limite di cui sopra, ma non vuole essere obbligata a farlo, e tanto meno :in un determinato periodo di tempo o, comunque, con vincolo di programmi navali prevcntivamente stabiliti. La seconda parte della formula proposta dal Governo inglese parla di • limitazione di navi da guerra • (limitation of war vessels). Interessa al Governo italiano di conoscere il preciso significato che si intende dare a tale frase. Se essa vole,sse significare che l'accordo da raggiungere dovrà fissare una rigida classificazione e limitazione delle caratteristiche delle navi dei diversi tipi (stan

dardisation), il Governo italiano si vedrebbe obbligato a fare una riserva generale relativamente ai criteri della proposta classificazione.

È superfluo che io Le dica che nel formulare queste osservazioni il Governo italiano è stato guidato dal desiderio di facilitare il compito della prossima Conferenza, sgombrando fin da ora il terreno da possibili malintesi.

(l) Cfr. n. 235.

251

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 7847/2748. Belgrado, 14 dicembre 1929.

In questi ultimi tempi ho dovuto a più riprese rilevare lo strano contegno dell'alto clero cattolico, e della stessa nunziatura apostolica a Belgrado, nel corso degli avvenimenti che hanno condotto alla proclamazione del Regno di Jugoslavia, ed in tutta l'azione in generale del Governo di Belgrado intesa ad instaurare l'unità nazionale fra le diverse razze componenti questo Regno.

Lascio da parte il contegno tenuto in particolare da questo Nunzio Apostolico Monsignor Pellegrinetti verso determinate questioni interessanti nostre istituzioni e nostri concittadini.

Citerò, ,solo a mo' di esempio, i !mancato aiuto tanto sollecitato da questa

R. Legazione per la destinazione della Chiesa di Santa Barbara a Sebenico ad uso di quella coJlettività italiana, il nessuno aiuto della Nunziatura nelle richieste avanzate d11lla Agenzia Consolare di Veglia per sistemare il sacerdote Don Ncggia, insegnante in quella nostra scuola italiana, ecc.

Di ben più alta importanza è l'attitudine che l'alto clero cattolico croato ha tenuto in questi ultimi tempi, dietro evidente ispirazione di questa Nunziatura, e quindi del Vaticano, nella lotta che si combatte fra il croatismo e il jugoslavismo, che vuole cancellare anche il nome di Croazia.

Poichè questa lotta non è opera di fazioni politiche, ma ha un alto significato storico, umano e civile, rappresentando il secolare urto fra l'occidente e l'oriente, tutto sembrava dover fare ritenere che il clero .croato ed il Vaticano avrebbero protetto e seguito il movimento croato, che nella religione cattolica vede uno dei segnacoli più profondi di differenziazione dal mondo orientale. Ciò tanto più che il regime dittatoriale di Belgrado, e per gli uomini che lo compongono, e per i programmi a cui si riallaccia, e per le manovre segrete che lo partorirono, è una manifestazione prettamente massonica.

È successo invece che l'alto clero croato si è ormai dichiarato apertamente favorevole al Governo di Belgrado contro il nazionalismo croato. Anzi, Beìgrado ha potuto servirsi proprio del clero di Zagabria per compiere alcuni atti di forzato riattaccamento della Croazia alla Serbia.

Accennerò agli ultimi due fatti più salienti del fenomeno sopra enunciato:

l) Inaugurazione del monumento al Vescovo Gregorio da Nona nel per1stilio del palazzo Diocleziano (vedi rapporto del R. Console Generale in Spalato n. 4507 del 30 Settembre u. s.).

A tale inaugurazione si è voluto dare il significato di un'affermazione della volontà del popolo croato, manifestatasi per opera del vescovo predetto fin dc.l 925 d. c., di voler mantenere la propria individualità slava contro la latinità.

A tale cerimonia è stata conferita la più ampia risonanza nazionale, come ad accentuare una affermazione di fedeltà della Dalmazia alla nuova compagine statale unificata ed alla dinastia dei Karageorgevich. Gregorio da Nona venne esaltato come • un campione che dieci secoli fa, domandando per la lingua slava, nella

Chiesa, il posto che le competeva, iniziava la lotta contro il latino, cioè contro la romanità e l'occidente, e gettava le basi della nuova coscienza nazionale, che doveva condurre alla fondazione dello stato unitario jugoslavo •.

Tale manifestazione, anche se in massima non poteva essere disapprovata dal Clero Cattolico, perchè la difesa del glagolito, cioè della lingua Vetero-slava, fa parte del patrimonio tradizionale del clero croato, avrebbe dovuto essere accolta con ogni riserva dal clero stesso per il momento prescelto, e per i moventi di carattere eminentemente politico, ed anti-nazionalista croato.

Invece, alla ce:dmonia parteciparono il primate croato arcivescovo di Zagabria, dott. Bauer, ed i Vescovi di Spalato e delle altre diocesi della Dalmazia.

Monsignor Bauer pronunciò anzi un discorso che ebbe larga eco in Croazla.

Questa Nunziatura apostolica, da me fatta interpellare circa le ragioni che

avevano consigliato al Vaticano di approvare l'agire dell'alto clero croato in ble circostanza, mi ha fatto rispondere che, pur disapprovando il fatto che alla cerimonia si sia voluto dare carattere antitaliano, non trovava nel fatto stesso, nè nelle parole dell'arcivescovo Bauer nulla di eccezionale, tanto che non aveva creduto neppure necessario informarne il Vaticano.

2) Come ho riferito col mio telegramma per corriere n. 7591/2661 del 3 corrente, questo Governo dittatoriale ha cercato e cerca, con ogni mezzo di influire sulla massa croata per staccarla dai suoi capi, ed incanalarla verso Belgrado. L'atto più significativo compiuto per affermare l'indissolubile unione della Croazia alla Jugoslavia, e per provocare una generale manifestazione di lealismo croato, è stato compiuto alla riunione della assemblea comunale di Zagabria del 28 novembre u. s. col discorso pronunciato per bocca del consigliere Dott. Rittich, canonico, e parroco della chiesa di San Marco in Zagabria (vedi teleposta del R. Console Generale in Zagabria n. 3819 del 29 Novembre u. s.).

Questo discorso acquista particolare importanza, perchè, oltre all'affermazione di jugoslavismo, contiene degli espliciti accenni al nostro paese.

Trascriverò i punti più salienti del discorso stesso:

c In occasione delle mene antinazionali del dott. Pavelich e dei suoi amici il consiglio municipale di Zagabria crede sia suo dovere manifestare dn maniera speciale la sua fede solidissima nello splendore e nel vigore del nome del nuovo Regno di Jugoslavia....

I recenti delitti sanguinosi e le rivoluzioni angoscios-e commuovono la coscienza e l'anima di ciascuno di noi croati, mentre che gli avversari secolari del popolo croato si rallegrano, soddisfatti, e mirano al nostro territorio croato, credendo di vedervi una sicura preda.

È il momento di parlare, perchè il silenzio potrebbe essere interpretato come approvazione di quel che avviene all'estero.... Questo stato nel quale viviamo fu il sogno e l'aspirazione di tutti gli spiriti illustri di Croazia, che hanno concepito la nostra idea nazionale....

La città di Zagabria è rimasta grande precisamente perchè era l'appoggio e ]'apostolo di questa idea jugoslava come fede nazionale praticata da noi tutti che, sotto tre nomi, fummo separati in parecchi stati.

Sappiamo che vi sono delle nuvole sul nostro paese, ma per i croati non c'è

altra terra promessa che la Jugoslavia, perchè il compimento di tutti i nostri de

sideri e delle nostre aspirazioni è solamente possibile nella Jugoslavia, che com-

20-Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

prende tutti i territori popolati da croati. È questa anche l'unica soluzione naturale perchè è la soluzione slava, nel quadro del territorio slavo completato.

Perciò tutta questa attività dei Pavelich, dei Sarkotich, e di quelli che li aiutano non ha origine dal genio del popolo croato, non proviene dalle sue tradizioni culturali, nè dai suoi interessi politici ma si è messa al servizio di interessi stranieri, di una politica straniera del • divide et impera •. Per questo tale attività è un tradimento tanto del popolo croato che di tutte le idee formate dal genio del nostro popolo....

Non è forse delitto e tradimento mettere in pericolo la libertà e l'avvenire del popolo croato a solo scopo di parte? Non è forse un delitto giuocare con l'avvenire della Dalma~ia, culla d'uno stato, dell'idea croata, della nostra letteratura e civiltà, cuore ed anima del popolo croato?

Non c'è Croazia senza Dalmazia. Noi rispettiamo la grande civiltà italiana. Noi eravamo e siamo uniti da stretti legami col popolo ital,iano. Desideriamo che resti così anche nell'avvenire, perchè siamo un popolo pacifico e non domandiamo niente a nessuno. Ma noi non ·Cediamo ciò che ci appartiene. Che tutti i nostr~ vicini sappiano che moriremo piuttosto che dare un pezzo della carne vivente del nostro corpo nazionale, piuttosto che lasciare spezzettare questo territorio che è da 1300 anni il nostro suolo e la nostra patria •.

Questo discorso, che ha avuto larga diffusione per opera dell'agenzia •Avala •, può essere considerato come un atto di fede del clero più che del popolo a nome del quale il canonico Rittich non era autorizzato a parlare. Esso, voluto e dettato da Belgrado, segna il definitivo schierarsi del clero croato, e quindi del Vaticano, dalla parte di Belgrado e dello jugoslavismo contro il nazionalismo croato. Oggi non è più possibile formulare un distacco fra l'alto clero e quello della campagna. Anche se quest'ultimo nell'interno della sua cosc,ienza sarà portato a condividere le aspirazioni ed i dolori del contadino croato, tuttora leale a Stefano Radich ed alla causa croata, esso clero dovrà almeno nella forma obbedire agli ordini dei vescovi, definitivamente asserviti all'ortodossa Belgrado.

Questo avvenimento acquista per noi un singolare valore, poichè diminuisce, almeno per il momento, l'efficienza dell'opposizione nazionale croata, minacciando di trascinare le masse, e togliendoci quindi, o riducendo, una potente arma diretta contro Belgrado.

Gli accenni del discorso del Rittich all'Italia sono tali poi, che è ovvio concludere che il clero croato, nella sua opera di snazionalizzazione croata, si servirà del vecchio espediente caro a Belgrado di distogliere cioè l'attenzione del popolo dalla crisi interna per concentrarla nell'obbiettivo antitaliano.

Vengo quindi a questa conclusione nei riguardi nostri: Il Vaticano tenta

rafforzare il Regno jugoslavo col suo potentissimo appoggio morale e religioso,

tende cioè a rafforzare uno stato artificiale ai nostri danni e teso con ogni sua

possibilità contro di noi. Quali le ragioni di carattere contingente che possono

avere indotto il Vaticano ad una tale linea di condotta, a prima vista contraria

ad ogni logica storica, morale e religiosa?

Il R. Console Generale di Zagabria, nel fare l'esame del discorso pronunciato

dall'arcivescovo Bauer a Spalato per l'inaugurazione del monumento a Gregorio

da Nona (vedi teleposta n. 3107 del 1° ottobre u. s.) e aver riportato alcune frasi

molto significative del discorso stesso, crede di poter dedurre che il movente dell'atteggiamento del clero cattolico e del Vaticano favorevole a Belgrado debba ricercarsi nella speranza di una futura unione della chiesa serbo-ortodossa con la cattolica. Egli aggiunge che questo programma sarebbe stato seguito costantemente dal Vaticano, che non perderebbe di mira il ritorno alla dottrina cattolica delle varie chiese ortodosse.

Non ho alcun elemento per corroborare questa supposizione che a prima vista può sembrare molto azzardata ma il ragionamento che il giornale ufficiale della Narodna Odbrana fa nel suo numero del 3 corrente qui unito, può con lievi variazioni essere adattato integralmente all'introduzione del cattolicismo. Se alla unità Jugoslava osta una comune scrittura ed una comune letteratura, ancor più la differenza religiosa. Solo che se il Vaticano si prestasse a tal fine, con adattamenti e transazioni che consentissero la fusione delle due chiese, è possibile che non il cattolicesimo trarrebbe vantaggio, ma il serbismo ortodosso-balcanico, cosi come dall'unione della Slovenia e della Croazia alla Serbia non è lo spil'ito latino e cattolico che è giunto al Vardar, ma il serbismo e la Serbia son oggi a diretto confine con noi.

252

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 4945/2758. BeLgrado, 14 dicembre 1929 (per. il16).

Governo dittatoriale prosegue suo costante sforzo per unificazione jugoslava. Legge sul Sokol rifer,ita in dettaglio è uno degli ultimi fatti. Altre sono in preparazione. Quella per la unificazione della scrittura con la introduzione della grafia latina è già pronta. L'organo ufficiale della Narodna Odbrana appoggia il provvedimento con tutta l'autorità che gli viene dall'essere espressione diretta dei circo1i dominanti. Resistenze morali sono vive nell'antico spossato gruppo radicale democratico, incognite esistono nella popolazione serba, opposizione in Croazia. Ma il clero croato che potrebbe essere fulcro maggiore di resistenza, dopo i primi sporadici tentativi di opposizione, in parte asservito per il resto passivo, e separatisti, autonomisti, partito dei contadini dispersi, la tenace caparbietà croata che parve leggendaria nelle regioni italiane già sottoposte al dominio imperiale austriaco è ben poca cosa di fronte alla ferrea dinamica volontà serba. A parare deficienze e debolezze che venivano al governo dittatoriale dal fatto che il colpo di stato del 6 gennaio era frutto dell'esercito, sola forza statale sicuramente unitaria, senza base nel sentimento popolare, si è avuta la riforma amministrativa del 6 ottobre che attribuisce al serbismo il compito in sette banati (su nove) di essere, con l'aiuto dell'esercito e con la organizzazione burocratica statale, centro dirigente delle altre nazionalHà sottoposte. Ora si prepara alla nuova riforma costituzionale che dando l'illusione di una vita parlamentare faccia credere alle popolazioni jugoslave un ritorno alla libertà, all'estero la ormai definitivamente assicurata normalità interna. In sostanza non sarà che un rafforzamento del serbismo, minimo comune denominatore della rafforzata unità jugoslava.

Con la riforma costituzionale non è [im]possibile un mutamento ministeriale.

Se Zivkovich debba uscirne già gli è pronta altissima funzione militaresca, soddi

sfacendo la sua ambiz.ione, assicura che sempre più l'esercito dovrà restare docile sicuro strumento del nucleo militare nazionalista che fa capo a Re Alessandro.

In ogni manifestazione si denota una decisa volontà ed un preciso continuo disegno che impone ogni più seria attenzione e deve far riflettere ogni osservatore. Contro ogni incertezza della situazione interna serba, contro ogni difficoltà finanziaria, malgrado la crisi economica temporaneamente sanata dal buon raccolto, contro ogni opposizione estera, il gruppo dominante serbo prosegue imperterrito il suo compito e perfeziona il suo apparecchio militare incessantemente. Si pensi che Belgrado si trasforma con una rapidità impressionante, e prende visibilmente di giorno in giorno più aspetto di grande capitale europea. La grandiosità con la quale il piano regolatore è attuato colpisce. Orbene: esso fu concepito dalla piccola Serbia del 1914. È oggi attuato dagli stessi gruppi di uomini che hanno realizzato la grande Serbia che sognano la grande Jugoslavia e la perseguono.

Questa volontà tenace ha una fatale ripercussione nei rapporti con l'Italia contro la quale il Governo dittatoriale mostra una crescente sicurezza di azione e sempre più forte tracotanza. Del resto la antitalianità gli è cemento unitario pressochè indispensabile. Ogni regione Jugoslava ha una sua propria precisa ragione di inimicizia contro di noi, ed il governo abilmente la sfrutta poichè in politica vale e varrà sempre il detto: il nemico del mio amico è mio nemico. Perciò Governo e Corte organizzano direttamente la organica campagna di stampa che è antitaliana ma sopratutto antifascista. Per i rapporti franco-massonici si direbbe che l'antifascismo riponga ogni sua maggiore speranza in un aggravamento del conflitto itala-jugoslavo e che questo governo vi si presti, sicuro del costante rafforzarsi del suo strumento militare e dell'essere la Jugoslavia ogni giorno più base militare navale francese contro il nostro fronte orientale e nel nostro Adriatico.

Si seguono con preoccupazione i nostri rapporti con la Heimwehr. Se la situazione austriaca si raddrizza e ne derivano legami con noi, il fronte Giulio si allunga, e si realizza il diretto passaggio per l'Ungheria.

L'Albania è pugnale al fianco jugoslavo: costituisce un nuovo preoccupante allungamento del fronte che un milione e 200 mila uomini (massimo della mobilitazione serba attuale) possono bastare a tenere in difesa; mentre col consolidarsi del regime di Zogu e della nuova compagine statale ne può derivare più forte coscienza nazionale a quel milione di albanesi che popolano terre volgarmente credute le più perfettamente serbe, e può risvegliare il focolare macedone ora, per i dissensi bulgaro-macedoni, assopito.

Contro la prima minaccia, Jugoslavia occhieggia Germania, e Anschluss; contro la seconda tenta gli accordi con la Bulgaria auspice Francia e via Praga.

Progressivo rafforzamento governo dittatoriale, completamento armamento, appoggi sempre più palesi che gli vengono dalla Francia e dalla socialdemocrazia antifascista, innata turbolenza serba ed amore dell'avventura dei militari, nonchè soppressione o attenuamento forze centrali [ sic] al jugoslavismo, rendono quindi situazione degna del più attento esame (1).

Tale si presenta la situazione italo-jugoslava alla fine del 1929, giustificando ogni più oscura previsione •.

(l) Cfr. anche una relazione della legazione a Belgrado sulla Jugoslavia nel 1929, che si chiude col seguente brano: «Intanto lo strumento militare si rafforza, e la Jugoslavia con l'Adriatico diviene sempre più base militare e navale francese contro l'Italia.

253

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (ACS, Carte Grandi, fase. 2)

R. R. 6942/3938. Parigi, 14 dicembre 1929.

Per le conversazioni nava1i attendo le nuove istruzioni che a V. E. piacerà inviarmi. Per quanto il memorandum francese (l) sia, nel complesso, inaccettabile, sembrami tuttavia che le conversazioni abbiano a continuare e colla caratteristica fin qui avuta, di attenersi a vedute assolutamente generaLi, salvo volta per volta qualche questione particolare; per poter, a un certo punto, quando opportuno, constatare in quanto ci si trovi in accordo ed in quanto ciascuno dei due segua quella linea propria che i bisogni speciali della particolare esigenza richiedono. Ad intese maggiori mi pare difficile si possa arrivare, perchè in realtà la partita vera sarà giocata solo dai Ministri responsabili quando si incontreranno, ed essenzialmente solo a Londra.

Intanto è bene notare che qui si calcola, od almeno si vuol dare l'impressione di poter calcolare, su un modesto e non completo risultato delle conversazioni Macdonald-Dawes e Macdonald-Hoover. Me lo accenn-ò lo stesso Signor Tardieu.

D'altra parte si confermano invece in questi giorni le voci giornalistiche inglesi di previsione di semplice accordo tripartito America, Inghilterra, Giappone (ed oggi, quadripartito con l'Italia in più) che g.ià rilevai da una prima corrispondenza del Times, confermata ora da successive corrispondenze, le quali hanno tanta più importanza in quanto sono scritte a conversazioni Giapponesi Americane, e Giapponesi Inglesi più avanzate; e confermate da successive manifestazioni di americani responsabili. L'intesa Anglo-Americana, ed ancor più l'intesa AngloAmericana-Giapponese non può non essere una preoccupazione per la Francia; perchè la isola: mentre il contrario avverrebbe se Londra e New York non andassero d'accordo; perchè allora Londra cercherebbe Parigi, ripetendosi la ragione dell'accordo Anglo-Francese del 1928 che continuo a credere fosse da Londra stato concesso per assicurarsi la Francia nell'eventualità di rivalità (e ancor più se di lotta) con l'America; mentre Washington cercherebbe Tokio, per assicurarsi il lato Pacifico: a meno che Londra non riallacciasse con Tokio, e Washington fosse .indotta così a stringere con Parigi. Noi, a causa della particolare nostra situazione geografica entriamo in gioco in seconda linea come il Giappone; ciò che ci dà maggior libertà di determinazioni.

La Francia insiste con noi per la questione dei sottomarini e non ha più la sicurezza di averci aderenti alla sua tesi. Nella specifica questione noi possiamo tenerci anzitutto sulla base generale che a Londra ora, come più tardi a Ginevra, si deve parlare di limitazione e di riduzione; ma che, per un disarmo reale si dovrebbe parlare anche di abolizione. Non v'è ragione che nella guerra terrestre si tenda all'abolizione dei gas tossici ed in quella marina non si abbia a ragionare della abolizione delle armi e dei metodi di vera insidia come i sottomarini e le mine subacquee, purchè ben inteso tutti, grandi medii e piccoli, tutti vi rinunzino.

E finchè tale intera generale rinunzia non vi sia, noi dobbiamo restar liberi di armarci a difesa, nella misura della più armata potenza continentale europea, pronti a ridurre se e quanto altri riducono.

Nelle relazioni Franco-Inglesi vi è da jeri il fatto nuovo del discorso del Signor Henderson. E nelle relazioni Franco Americane v'è, pure da jeri, il fatto nuovo dell'arrivo a Parigi del nuovo Ambasciatore Signor Edge. Il primo è abilmente sfruttato dai puri Briandisti, ma anche in essi trapela l'incertezza e la non fiducia; è svalutato, ossia forse valutato al giusto, dagli altri che hanno ed avranno a lungo la visione di Snowden fresca dinanzi agli occhi. Quanto al Signor Edge, è presto e prematuro il parlarne: il suo arrivo ha come dicesi un'ottima stampa; ma egli jeri, pur con frasi di calda simpatia per la Francia ha detto alla stampa che intende viaggiare, per rendersi conto della situazione industriale economica Francese: con che accennerebbe a questa come alla caratteristica sostanza della prima fase della sua missione, mentre vi saranno le radunate politiche del gennajo 1930. Se così sarà, la Francia sentirà ancor più il peso del programma con cui si prepara ad andare a Londra; programma di irreduttibile esclusivo criterio propr,io delle proprie esigenze. Queste esigenze non possono pel Gabinetto Tardieu essere che quelle dipendenti dalla visione del quadro Francese fatto dal Signor Tardieu stesso jeri l'altro al Senato, e cioè: 1° la Francia è dopo l'U.R.S.S. lo Stato europeo di più ampia superficie; 2° la Francia è la seconda Potenza coloniale del mondo, l'Inghilterra sola superandola (1).

(l) Cfr. n. 215.

254

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA

L. P. CONFIDENZIALE. Belgrado, 14 dicembre 1929.

Invero non ho mai passato momenti più turbati di questi. Sentii subito alla prima notizia degli arresti che qualche cosa v'era che avrebbe compromesso il Colonnello Visconti. Per sua [par. ill.] insistente preghiera non ne feci cenno. Ma poi è successo quanto sai. Ne ho riferito con la magg,iore ampiezza e chiarezza possibile. Non sono venuto a nessuna conclusione non ho fatto alcun suggerimento. Non spetta del resto a me. Occorre in ogni caso non separare il caso Visconti, malgrado la sua intensissima attività informativa da tutto U complesso delle relazioni jugoslave che sono in questo momento le più difficili, da poi del mio arrivo. E concludere e suggerire del resto che cosa? non lo si può esaminare e

c Mi permetto precisare qualcosa attraverso un esame analitico del memorandum francese. Ammettono i Francesi il nostro principio, che ciascuno deve essere giudice dei propri bisogni? Pare di si, ma non lo dicono esplicitamente. I Francesi non dicono se accettano od almeno se non obiettano che noi fissiamo il nostro massimo nelle cifre loro: e parimenti non rispondono in merito al nostro principio di parità colla potenza continentale europea a cifre maggiori. Se potessimo ottenere risposte esplicite in proposito, se potessimo avere dal Signor Briand una parola nel senso di quella dettami il 15 novembre dal Signor Berthelot (miotelegramma n. 607 [cfr. n. 158]: "la Francia non ha obiezioni alla parità") o di quelle del Petit Parisien del 12 corrente (la France est préte à ... laisser à l'Italie toute liberté d'atteindre nos chijjres si elle juge que ses besoins le réclament) noi potremmo constatare dei punti di veduta comuni... •·

vedere bene che da costà. Accogliere la domanda significa ammettere implicitamente la condotta di Visconti quando non vi è flagranza, e possiamo supporre che le affermate prove sono assai deboli. Mesi or sono l'addetto militare jugoslavo a Budapest fu sorpreso in flagranza dagli ungheresi. E, partito il console S. C. S. complice, l'addetto militare è ancora al suo posto, se anche il suo compito si sia evidentemente reso assai difficile. Resistere alla domanda sembrerebbe legittimo anche per riguardo alla persona del Visconti che certamente non è comune, ma se si venga allo scandalo cui prodest? Se giovasse a questi, lo avrebbero già provocato. Non debbo davvero credere alla volontà amichevole espressa gesuiticamente da Jeftic, mio amico!!! Alla soluzione del richiamo contemporaneo degli addetti militari osta la circostanza indicata nel mio rapporto (1), per la possibilità di minacciare qualche cosa di scandaloso a carico del Generale Nedic non credo siano elementi in nostro possesso. Non resterebbe che lasciar finire il sessennio di permanenza del Colonnello. Non so davvero quale la via e la soluzione migliore. Attendo le vostre istruzioni. Se saranno di resistenza puoi essere certo che difficilmente vi sarà più can mastino di me, se saranno di adattamento lo farò nella forma più dignitosa.

Continua così il periodo ciclonico cominciato a metà ottobre, e del quale non vedo la fine. Il quadro generale della situazione interna ed estera di questo paese, che mando col corriere odierno (2), non indica per noi e specie per me, che sia prossima una tregua.

P. S. -Pensai un momento di venire subito costà. Ma ciò avrebbe fatto credere più a mia forte preoccupazione, destato chi sa quali commenti. Costà verrò appena possibile dopo l'arrivo di Cosmelli. Forse potrebbe essere utile sentiste Visconti. Intanto vedrai nei miei rapporti sul caso Cassone.

(l) Cfr. anche il seguente passo di un rapporto di Manzoni del 15 dicembre, del quale non si è trovato il testo completo:

255

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4953/485. Vienna, 16 dicembre 1929, ore 23,55 (per. ore 3,50 deL 17).

Schober è venuto a vedermi stamane per esprimere sensi sua riconoscenza per il R. Governo aggiungendo cortesi parole per me. Ha dichiarato ripetutamente essersi convinto che il nuovo stato dei rapporti fra d due paesi sarà durevole e che quanto si è ora seminato darà in seguito qualche bel frutto. Nel dire e ridire ciò, Schober sembrava non volersi limitare a pronunciare frasi cortesia, bensì alludendo a qualche sua precisa idea tanto più che ha poi aggiunto essere sempre suo fermo proposito adoperarsi per stabilire intimi rapporti con Ungheria oltre che con l'Italia. Ha detto inoltre che intanto egli fa di tutto per migliorare situazione in T·irolo nei riguardi nostri e ogni settimana ha parecchi colloqui telefonici con quelle autorità. Anche stamane aveva parlato con quel capitano provinciale dandogli istruzioni affinchè non si traesse colà pretesto dalla morte di Noldin per

qualche manifestazione politica contro di noi. Circa viaggio Roma me ne ha rinnovato proposito, mostrandosi pronto a farlo quando da noi si voglia ed a lui sia possibile. Dati lavori parlamentari che ancora qui procedono e le prossime feste..... (l) qualora egli si recasse all'Aja ed anche V. E. vi si recasse potrebbero esser presi colà accordi definitivi (2).

(l) -Cfr. n. 257. (2) -Cfr. nn. 251 e 252.
256

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 4609/2537. Vienna, 17 dicembre 1929.

La conversazione di cui al mio teleposta n. 2536 del 13 corrente (3) deve aver contribuito, per quella parte che si riferiva alla necessità di riesaminare a fondo metodi ed indirizzi delle Heimwehren, ad accelerare la fase iniz,iale di un processo di trasformazione dell'organizzazione di destra. Poche ore prima di partire per Innsbruck-Steidle vi è tornato giovedì 16 u. s. -il maggiore Pabst ha fissato un convegno con Morreale, al quale ha detto di essere giunto nel convincimento che le Heimwehren debbano partecipare attivamente alla vita politica preparandosi a presentare propri candidati alle future elezioni del Consiglio Nazionale. Il ragionamento del maggiore Pabst è press'a poco il seguente: Al momento attuale non sarebbe possibile alle Heimwehren porsi contro Schober senza rischiare di pregiudicare la propria posizione. Prudenza consiglia di schierarsi invece dalla parte di Schober ed offrirgli l'appoggio di un partito vero e proprio che gli dia una base e lo metta al sicuro da quello che gli attuali partiti di maggioranza potessero in avvenire tentare ai suoi danni. Le Heimwehren potrebbero quindi trasformarsi in una specie di superpartito, di partito di Stato, il quale beneficierebbe dell'appoggio del governo e di tutta la stampa governativa, entrando poscia in Parlamento, dove potrebbero costituire un elemento di controllo e di propulsione. La tattica per conseguire tale trasformazione potrebbe essere la seguente: intensificare in un primo tempo la propaganda enunziando anche un programma che escluderebbe la possibilità di appartenere ·Contemporaneamente -come ora avviene -alle Heimwehren, e ad uno dei partiti ufficiali della maggioranza. Dato in tal modo, anche se con perdite, un più spiccato carattere di autonomia al movimento, si passerebbe alla preparazione elettorale.

Il Pabst non si nasconde che questo nuovo indirizzo potrà incontrare la resistenza di Steidle, troppo ligio alle attuali costellazioni politiche, ma ha aggiunto di essere ormai fermo nella propria determinazione e deciso ad abbandonare il movimento ed a ritirarsi in Italia, -dove, ha aggiunto scherzosamente, spera gli sia concessa la cittadinanza onoraria -piuttosto che continuare a dibattersi nelle incertezze odierne.

Durante la conversazione Morreale ha incoraggiato il Pabst su tale linea che potrebbe sottrarre le Heimwehren dalla tutela degli altri partiti. Il Pabst ha detto di essere stato ricevuto sabato mattina da Schober che lo ha intrattenuto a lungo cordialmente; non ha chiarito se avesse già fatto parola al Cancelliere dei suoi propositi i quali dimostrano che il Pabst tende in questo momento a staccarsi da Seipel. Resta a vedere se Steidle lo vorrà seguire su tale strada. Il Morreale crede di poter affermare che nei circoli delle Heimwehren viennesi la fiducia in Steidle è molto scossa. Anche Pfrimer pare sia un astro verso il tramonto: nella sua qualità di avvocato della Alpine-Montane Gesellschaft egli ha incassi professionali ed affari che lo distraggono dal movimento. Qualcuno parla dell'opportunità di portare in primo piano il principe di Stahrenberg, capo dell'Heimwehren dell'Austria superiore, ricco e giovane, che negli ultimi mesi avrebbe dimostrato di possedere notevoli qualità di organizzatore e di tribuna.

Per quanto riguarda noi, mi sembra che il miglior partito da prendere sia quello di mantenere, con un certo riserbo, i rapporti con le Heimwehren e di attendere gli ulteriori svolgimenti del loro contegno. Qualora effettivamente esse si ponessero al seguito del Cancelliere nulla ci vieterebbe di serbare con loro le relazioni avute finora. In caso contrario converrebbe agire con maggior prudenza e considerare quanto sarebbe più opportuno fare, affine di non suscitare le diffidenze di Schober, cui i nostri rapporti con le Heimwehren non potrebbero rimanere celati, e di non impedire pertanto lo sviluppo di più stretti vincoli con il governo federale.

(l) -Gruppi indecifrati. (2) -Con t. (p. r.) 15279/335 del 19 dicembre Grandi comunicò ad Auriti che non si sarebbe recato alla II Conferenza dell'Aja. (3) -Cfr. n. 248.
257

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RH. 7895/2767. Belgmdo, 17 dicembre 1929.

Col mio rapporto n. 2741 (l) ho avuto l'onore di esporre a V. E. gli elementi essenziali per valutare la richiesta fattami da Jeftic circa l'allontanamento del Colonnello Visconti, le possibili ragioni, lo sfondo politico alla quale essa si riannoda.

È bene tenere presente che l'attività informatrice del Colonnello Visconti non è di ieri. Essa, come già detto, è certo nota a questo stato maggiore ed al governo.

È da ritenere che nel corso di questi cinque anni e mezzo il governo jugoslavo abbia potuto raccogliere una forte serie di elementi e di indizi relativi a tale attività, se non vere e proprie prove, ma che malgrado le relaz.ioni itala-jugoslave abbiano attraversato momenti anche peggiori dell'attuale, non ha mai creduto valersene.

Occorre quindi ricercare in via di ipotesi quali possono essere i motivi più forti o le prove più decisive che possano averlo determinato al passo odierno, al quale si è voluto dare intanto carattere officioso.

Il) Cfr. n. 244.

Devo anzitutto premettere che in questi giorni nessun passo nuovo m1 è risultato. Mi è stato confermato ancora una volta che la scoperta dell'informatore sarebbe dovuta al controspionaggio francese in Italia. Nuovi arresti non sono stati operati; alcuni degli arrestati sono stati rilasciati. Il Colonnello Visconti ha avuto qualche contatto con altri informatori che non hanno mostrato nessun timore maggiore di quello che accompagna abitualmente contatti del genere.

D'altro canto il Colonnello Visconti può con certezza ancora maggiore affermare che un solo suo informatore è in arresto, che questi non può avere fatto il suo nome che in deposizione estorta chi sa a quale crudelissimo prezzo, perciò con valore probatorio limitato.

Su quali elementi. dunque, si basa la richiesta di Jeftic?

Sfrondando i fatti di quanto può esservi di accessorio, ed in tal materia le congetture e le notizie contraddittorie portano inevitabilmente a nascondere in primo tempo i contorni precisi degli avvenimenti, parmi che essi elementi possano così essere riassunti e definiti:

l) Innanzitutto la pubblicazione 134 dello Stato Maggiore d'Aeronautica, venuta in possesso delle autorità jugoslave nelle circostanze che ho avuto l'onore di esporre col citato rapporto 2741. Tal documento è così ricco di notizie riservatissime sugli armamenti jugoslavi, che ha certamente dato il maggiore allarme. Man mano che eseguita la riproduzione fotografica si completava la traduzione dei vari fogli -dai primi di settembre ad oggi è il tempo certamente occorrente a compiere il lavoro -si deve avere avuta la crescente certezza della conoscenza precisa e sicura che le nostre autorità militari hanno della attuale situazione dell'esercito jugoslavo. Ed in relazione a tali accertamenti si sono per certo rafforzati i servizi di controspionaggio.

In relazione al bel servizio reso dal Colonnello Cassone sono certamente le indagini che si rilevano dalla seguente comunicazione che mi perviene oggi dal

R. Consolato a Bitolj: • Da alcuni giorni il comando della Divisione del Vardar (di sede a Bitolj) ha ordinato un'inchiesta su tutti gli ufficiali di riserva residenti in quella città. Ciascuno verrà interrogato minuziosamente sulle relazioni avute con funzionari ed impiegati di quel R. Consolato: se e quante volte ebbe colloqui coi medesimi, .in quali località e su quali argomenti. Un tenente colonnello del genio in servizio attivo, che, ignorando ancora l'ordine, scambiò il saluto col Cancelliere del R. Consolato, è stato subito sottoposto a minuto interrogatorio. È da escludere in modo assoluto che fatti nuovi possano sorgere dall'accennato provvedimento del comando della divisione del Vardar perchè il R. Console a Bitolj evitò sempre di avere con l'elemento ufficiali in servizio attivo e nella riserva contatti estranei a quelli della superficiale e occasionale conoscenza •.

2) Conseguenza di queste accresciute misure è stata la scoperta dei noti disegni ferroviari. Essa sarebbe dovuta all'azione del controspionaggio francese in Italia; copia dei disegni scoperti in Italia sarebbe subito stata trasmessa a Belgrado, e le prime ricerche motivarono i primi arresti. Dato il carattere di tali disegni, la immediata cattura dei fornitori di essi ha avuto principalmente lo scopo di svelare la trama della sospettata organizzazione informativa di questo addetto militare. Ma lo scopo non dovrebbe essere stato raggiunto che in minima parte perchè la materia ferroviaria non è che un elemento secondario di indagine che difficilmente si può classificare fra lo spionaggio vero e proprio.

3) Negli arresti è caduto il fornitore dei documenti. È presumibile che egli possa essersi abbandonato a confessioni che possono costituire solo un principio di prova.

Evidentemente in via assoluta non può essere affermato che il governo jugoslavo non abbia alcuna altra prova. Ma le recise affermazioni del Colonnello Visconti, l'esame della situazione in base agli elementi che si posseggono, e soprattutto l'affermazione di Jeftic che il governo vuole evitare uno scandalo (affermazione dettata non da sentimenti di benevolenza per l'Italia, ma forse soltanto dalla impossibilità di sollevare lo scandalo che se si unisse a quello che potrebbe sorgere per la conoscenza che lo stesso stato maggiore ha potuto avere attraverso un ufficiale greco della nota monografia, coinvolgerebbe anche un terzo governo) farebbe concludere che vere e proprie prove indiscutibili e schiaccianti del supposto spionaggio esercitato dal Colonnello Visconti non vi siano.

Le possibili deposizioni di arrestati non possono costituire prova poichè non lo sarebbero se mai che dopo confronto con l'incolpato, ciò che non è nel caso attuale assolutamente possibile.

Solo V. E. può decidere costà quale sia la via migliore da seguire, sia che si voglia respingere la domanda di Jeftic dichiarando che il R. Governo intende mantenere il Colonnello Visconti quanto gli sembri, o fino alla scadenza del sessennio (limite massimo per gli addetti militari) ed esprimendo la convinzione che il governo jugoslavo non vorrà mancare ai doveri di ospitalità verso di lui, e che le autorità militari continueranno a facilitare le sue normali mansioni di addetto militare, sia che si giunga alla richiesta ufficiale di allontanamento annunciata da Jeftic in caso di nostra risposta negativa, sia che la domanda venga in qualche modo accolta.

Nel secondo caso si dovrebbe attendere l'annunciato scandalo giornalistico minacciato da Jeftic. Mi si assicura che la stampa di Belgrado avrebbe avuto ordine di non parlare degli arresti dei russi. Sarebbe stato detto che la cosa non ha molta importanza ma che il governo si r·iserva eventualmente utilizzarla a scopo politico. Per affrontare lo scandalo occorre ben valutare a chi giovi. Per ora si è giudicato qui che esso non giovi alla Jugoslavia, altrimenti nulla lo avrebbe impedito. D'altro canto solo V. E. può sapere se vi siano in possesso dei nostri servizi di controspionaggio e delle autorità di P.S. elementi sufficienti per minacciare da parte nostra altrettanto a carico dell'addetto militare jugoslavo a Roma.

Ma ciò influirebbe in tale maniera sui rapporti generali fra Italia e Jugoslavia che esorbita dalla mia competenza il dare qualsiasi suggerimento.

È infine da considerare che l'accettazione della richiesta di Jeftic, quando non vi è flagranza (nella primavera del corrente anno l'addetto militare jugoslavo a Budapest fu colto in flagranza ma non fu allontanato; egli trovasi tuttora al suo posto; fu solo allontanato il console jugoslavo che lo aiutava nel suo servizio spionistico), quando non viene precisata alcuna delle « prove • che si avrebbero contro di lui, oltrechè essere interpretata come nostra debolezza ed ammissione di colpa, costituirebbe pericoloso precedente perchè potrebbe venire rinnovato domani nello stesso modo contro qualunque altro dei nostri funzionari dn Jugoslavia che fosse anche per poco sgradito a questo governo.

258

L'ADDETTO MILITARE A BELGRADO, VISCONTI FRASCA, AL COMANDO DELLO STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO

N. 12137. BeLgrado, 17 dicembre 1929.

Ho l'onore di trasmettere a cotesto Stato Maggiore l'annesso rapporto di questo R. Addetto Navale sui rapporti itala-jugoslavi.

ALLEGATO.

CATTANEO A BURZAGLI

N. RR. P. 1153. BeLgrado, 14 dicembre 1929.

Lo stato attuale dei rapporti itala-jugoslavi, quale si può vedere qui, attraversa una fase tanto delicata e pericolosa che m'induce a parlarne direttamente e personalmente all'E. V.

L'argomento esula dalle specifiche mie attribuzioni; esso però nel momento attuale non può non richiamare l'attenzione di chiunque sia investito di funzioni ufficiali di osservatore della situazione.

Nei miei rapporti di carattere politico-militare ho cercato di rappresentare la situazione della Jugoslavia e di esaminare nelle linee generali il problema militare che c'interessa. Quali soluzioni sarà possibile dare a questo problema che investe l'avvenire d'Italia e quando esso potrà avere una soluzione che risponda al nostro preciso interesse non è dato di dirlo a me. Vi è però una realtà contingente che dev'essere affrontata, e subito secondo me, ed è la seguente.

La Jugoslavia, pur avendo in sé germi di disgregazione interna è ben lontana da questa disgregazione. Un regime di Governo forte domina in modo sicuro le forze disgregatrici, e accresce con ritmo intenso la potenza militare del Paese. In particolare riesce a realizzare una unione nazionale polarizzando gli spiriti contro l'Italia.

È un vero fenomeno catalitico; l'Italia fa da catalizzatore a questa ibrida miscela jugoslava, che si compone in intima combinazione attraverso il sentimento di odio contro l'Italia.

Il Governo jugoslavo è riuscito a provocare le manifestazioni di Zagabria e di Lubiana in occasione della preparazione dei festeggiamenti al Re, principalmente polarizzando gli spiriti contro l'Italia. Quelle due manifestazioni, checchè se ne dica, sono significative.

Lo stato di eccitazione degli spiriti contro di noi si manifesta ad ogni momento, e in ogni circostanza.

Il comportamento del Governo, del Paese tutto, è tale da dare la sensazione che si vada ogni giorno affermando sempre più in tutti e in ciascuno la coscienza di un raggiunto grado di potenza, (che d'altronde è effettivo ed è crescente) da non dover più temere non dico l'ira dell'Italia, ma la reazione anche normale di una normale sensibilità.

Questa coscienza di conquistata potenza nello spirito tracotante dei Serbi è potenziata ed esaltata anche dalla necessaria moderazione dell'Italia, dettata da tante ragioni e fra le altre quelle di politica internazionale, ma che per essi è soltanto segno di debolezza e di impotenza.

La piccola Serbia affrontò l'Impero Austro-Ungarico spalleggiato dalla Russia. Con gli stessi sistemi e con lo stesso spirito ha impegnato la lotta contro l'Italia spalleggiata dalla Francia.

Ma le condizioni sono diverse e più gravi: vi è il concorso di tutte le forze antifasciste mondiali che arma la tracotanza jugoslava, per la guerra più vasta e insidiosa che esse forze fanno al nostro regime.

La Jugoslavia è al tempo stesso parte interessata, per i suoi fini diretti e strumento efficace e non incosciente di questa lotta antifascista.

La Francia in particolare vede la vittoria sul fascismo in un grave insuccesso diplomatico dell'Italia, al quale l'azione provocatrice della Jugoslavia può condurla da un momento all'altro.

Una guerra oggi non può da noi essere affrontata. Ciò è perfettamente compreso dai nostri nemici e largamente sfruttato per portarci all'insuccesso politicodiplomatico.

Il Ministro d'Italia a Belgrado è già sottoposto a un titanico sforzo di energia, di tatto e di pazienza per sostenere una situazione che crolla da tutte le parti. Fino a quando questo sforzo potrà durare?

È necessario, secondo me, che la situazione sia oggetto di meditato e profondo esame per stabilire una linea di condotta che ci sottragga alle gravi e pericolose incognite che ci sovrastano. Ho avuto già occasione di segnalare i maneggi jugoslavi in Albania. È soprattutto là il pericolo grave e che può presentarsi improvvisamente e irreparabilmente.

Non si può far precipitare la situazione e affrontarne le enormi conseguenze? E allora in attesa di poterlo fare è necessario che si assuma senz'altro un atteggiamento tale da disarmare gli spiriti e prevenire che il succedersi di fatti che a un certo momento possono costituire offesa alla nostra dignità nazionale, metta intempestivamente l'Italia di fronte al dilemma o di subire un grave scacco politico che si ripercuoterebbe pericolosamente sulla situazione interna, o di affrontare una guerra senza sicurezza di successo.

Non è dato a me di suggerire soluzioni. È certo però che la via di mezzo, quella che si sta seguendo, non fa che esporci a situazioni ogni giorno più incresciose e che già diventano umilianti.

· Nello scrivere a V. E. queste brevi, riassuntive considerazioni sui rapporti del nostro Paese con la Jugoslavia ho inteso di rispondere al preciso mio dovere di tenere V. E. informata della situazione politica quale essa è realmente e che solo può essere vista stando sul posto.

Le mie impressioni sono suffragate dalla identità di vedute di tutti quelli che hanno qui funzioni di osservatori responsabili (1).

259

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

T. 2397. Roma, 18 dicembre 1929, ore 21.

Nota di V. E. n. 7118 del 10 corrente (2).

Ringrazio V. E. per cortese comunicazione dei due telegrammi del governatore dell'Eritrea n. 6454 e 6466 relativi alla situazione anglo-jemenita.

Riterrei conveniente, concordemente al parere da lui espresso, che S. E. Zoli svolgesse una opportuna azione chiarificatrice, senza tuttavia apparire :in veste di mediatore, ciò che potrebbe essere pericoloso.

Cfr. anche una precedente lunga relazione del capitano di fregata Carlo Cattaneo, in data 12 ottobre 1928, violentemente antijugoslava.

Per il momento mi sembra preferibile astenerci da una vera e propria azione a Londra. Mi limiterò a tenere informato quel R. ambasciatore dandogli istruzioni di far menzione nelle sue conversazioni col Governo britannico della presente situazione dei rapporti anglo-jemeniti, accennando alla convenienza di evitare una nuova tensione di essi; ed alla costante opera calmante che noi svolgiamc -per quanto possibile -presso l'Imam.

(l) Annotazione marginale di Grandi: c Mi permetto richiamare l'attenzione di S. E. il Capo del Governo su questo rapporto •.

(2) Non si pubblica. Zoli aveva suggerito di fare opera chiarificatrice nel conflitto angloyemenita.

260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, E AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, E A PARIGI, MANZONI

T. (P. R.) PER CORRIERE 15233. Roma, 18 dicembre 1929, ore 21.

(Per Colonie). In data 6 dicembre, il R. ambasciatore a Bruxelles ha telegrafato quanto segue:

• Domanda al Governo belga di designare missione di sei ufficiali da inviare in Abissinia per istruzioni guardia personale Negus è stata presentata quattro mesi fa da ex ministro del Belgio ad Addis Abeba, Gerard, che era allora di passaggio a Bruxelles e che ne era stato pregato e incaricato personalmente da Ras Tafari.

Questo ministero degli affari esteri avendo dato già da tempo il suo nulla osta, questo ministero della difesa nazionale procedette alla scelta dei sei ufficiali che ebbe ieri stesso approvazione del capo del Governo come risulta da un comunicato diramato oggi.

Missione risulta composta da un maggiore, da un capitano d'artiglieria, da un capitano d'amministrazione e da tre sottotenenti i quali tutti sono ingaggiati per tre anni con facoltà di rinnovazione del contratto ».

In data 7 dicembre il R. ambasciatore a Parigi ha riferito quanto segue: (l)

(Per Colonie e Parigi). In data 11 dicembre, il R. incarkato d'affari a Londra ha riferito quanto segue: (2) Ho telegrafato quanto segue: (Per tutti). Suo telegramma per corriere dell'll corrente. Dichiarazioni fatte a V. E. dal signor Murray circa quello che sarebbe punto

di vista britannico nei riguardi invio missione militare belga in Etiopia sono conformi a quelle fatte dal Quai d'Orsay al R. ambasciatore Parigi e cioè che tale invio sia da considerarsi con favore potendo giovare ai fini attuale conferenza armi permettendo una organizzazione più controllabile degli armati abissini. Se tali dichiarazioni dovevamo attenderci dal Governo francese sempre disposto appoggiare sino in fondo qualsiasi richiesta od iniziativa etiopica specie se pregiudizievole interessi altre due potenze confinanti con Impero, esse se rispecchias

<2) Cfr. n. 241.

chiassero effettivamente pensiero Governo britannico sarebbero alquanto strane giacchè dimostrerebbero la mancanza di ogni preoccupazione per l'aumento della efficienza bellica abissina. Spero invece che dichiarazioni fatte a V. E. rispondano al pensiero personale del signor Murray, e mi sembra quindi opportuno che V. E. intrattenga personalmente della cosa codesto ministro degli affari esteri richiamandone attenzione anche su considerazioni di cui al mio telegramma per corriere

n. 2315 del 6 corrente (l) ed invitandolo a farci conoscere francamente se Governo britannico, prescindendo dalle sue convenienze momentanee, non senta la necessità di considerare con maggiore cautela tutta la complessa questione degli armamenti in Etiopia, in vista superiori interessi della difesa confinanti colonie. In tale questione Italia e Gran Bretagna sono state fin'oggi e dovrebbero in avvenire continuare ad essere solidali.

(l) Cfr. n. 224.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

TELESPR. 26,2836/1097. Roma, 18 dicembre 1929.

Trasmetto a V. E. il testo di un Memorandum che Ella vorrà rimettere a codesto Ministro degli Affari Esteri in risposta alla comunicazione datale il 4 corrente dal Signor Briand (2). Come V. E. rileverà, il Governo italiano non può fare a meno di insistere perchè da parte francese si riconosca il ben fondato della nostra tesi, che codesto Governo non dovrebbe avere difficoltà di accettare, visto che in sostanza noi riconosciamo alla Francia la libertà di fissare le cifre che crederà indispensabili per i propri armamenti, riservandoci semplicemente il diritto di raggiungere le stesse cifre se e quando lo si credesse necessario. Non v'ha dubbio che sono molti gli aspetti del problema del disarmo sui quali i punti di vista francese ed italiano concordano ed il R. Governo è intimamente conv~nto della possibilità e della utilità di una amichevole collaborazione fra le delegazioni dei due Paesi nei lavori della prossima Conferenza. Importa però che venga prima risolta la questione pregiudiziale da noi posta nei riguardi itala-francesi, la quale rappresenta per il Governo italiano la base fondamentale della propria tesi sul disarmo. V. E. vorrà far sentire al Signor Briand che, mentre sulla questione di principio il R. Governo non può fare alcuna rinunzia, esso è tuttavia pronto a tener conto di tutte le necessità e dei desiderata della Francia. Circa la proposta di patto mediterraneo avanzata dal Signor Briand Ella tenga presente che mentre in massima il Governo italiano non ha difficoltà a studiarne le possibilità di attuazione, si deve evitare che con questa proposta il Governo Francese possa far passare in seconda linea il negoziato in corso (questione libica e tunisina, Patto di amicizia Halo-francese) che è quello che in primo luogo ci interessa.

ALLEGATO.

MEMORANDUM PER BRIAND

21 dicembre 1929.

l) Il Governo italiano, al pari del Governo francese, parte dal principio, sancito dall'art. 8 del Patto della Società delle Nazioni, che gli armamenti debbono essere fissati al minimo compatibile con la sicurezza nazionale, tenuto conto della situazione geografica e delle condizioni speciali di ciascun Paese. E pertanto anche il Governo italiano, nel considerare il problema della riduzione e della limitazione degli armamenti navali in rapporto alle altre Potenze, deve tener conto della situazione geografica dell'Italia, con i suoi maggiori centri di rifornimento al di fuori del mare interno nel quale è chiusa, e con le sue vitali linee di comunicazione costrette a passaggi obbligati e quindi vulnerabilissime. Esso conviene pure col Governo francese che la riduzione degli armamenti, la quale deve trovare la sua ragione nel reciproco sentimento della sicurezza, può essere incoraggiata da patti di non aggressione e di mutua garanzia conclusi nel quadro della Società delle Nazioni. A principi sostanzialmente corrispondenti a quelli espressi nel Memorandum francese già si ispira del resto il Governo italiano nelle conversazioni pendenti col Governo francese per la conclusione di un Trattato di arbitrato e di amicizia e la risoluzione delle questioni pendenti fra i due Paesi. Un patto di amicizia e di arbitrato fra l'Italia e la Francia che il Governo italiano sarebbe lieto di veder prossimamente concluso potrebbe considerarsi come il primo passo importante e concreto verso accordi più vasti e generali.

2) Indipendentemente dalla possibilità sopra accennata, il Governo italiano non può fare a meno di mantenere fermo il principio enunciato dal suo Ambasciatore a Parigi nella comunicazione fatta al Governo francese il 19 dello scorso mese (1). Esso conferma quindi di essere pronto ad assumere a priori come limite dei propri armamenti, cifre qualsiasi, anche le più basse, purchè non superate da nessun'altra Potenza continentale europea. Conferma in pari tempo di essere disposto a lasciare al Governo francese la fissazione di tali cifre, riservandosi il diritto di raggiungere il limite fissato se e quando lo riterrà opportuno. Il Governo francese propone invece un metodo di limitazione che sembra identificarsi col progetto transazionale presentato dalla sua delegazione alla Commissione preparatoria nell'aprile 1927. Il Governo francese già conosce le ragioni per le quali il Governo italiano non ha creduto di poter aderire alla formula transazionale discussa a Ginevra. L'obiezione fondamentale, che nel giudizio del Governo italiano si può muovere alla proposta francese, è quella di incoraggiare, anzichè impedire, la rivalità negli armamenti. Sembra ovvio, infatti, che se ciascuna Potenza fosse messa nell'obbligo di indicare la cifra di tonnellaggio che si proporrebbe di raggiungere, e si impegnerebbe di non oltrepassare, per la durata della Convenzione i Governi sarebbero spinti a dichiarare e ad attuare programmi massimi: ciò per garantirsi contro ogni imprevista eventualità.

3) Il Governo italiano è sempre d'avviso che il principio della limitazione in

base al tonnellaggio globale, è il più semplice ed il più equo. Esso tuttavia è disposto,

subordfnatamente alle proposte concrete che verranno fatte per la fissazione del

tonnellaggio complessivo, a portare nell'esame della questione il suo contributo

per il raggiungimento di una soluzione conciliativa e non si rifiuterà di considerare

un sistema più rigido di limitazione, semprechè esso tenga il debito conto delle

esigenze di un razionale programma di rimpiazzo delle navi.

4) La questione dei sommergibili è ancora oggetto di studio da parte dei com

petenti organi tecnici. Il Governo italiano non è contrario, in linea di principio,

all'abolizione dell'arma sottomarina.

5) Il Governo italiano rimane del parere che l'entrata in vigore di una Con

venzione navale la quale, a differenza del Trattato di Washington, limitasse tutti

i tipi di navi da guerra, dovrebbe essere subordinata tanto all'adesione successiva delle Potenze navali minori quanto alla conclusione di un accordo circa la limitazione degli armamenti terrestri ed aerei.

6) Il Governo italiano confida che il Governo francese vedrà nella comunanza di opinioni che già esiste su diversi aspetti del problema, la possibilità di giungere ad un accordo anche sulla questione di principio posta dal Governo italiano. Il raggiungimento di tale accordo permetterebbe infatti alle Delegazioni dei due Paesi di collaborare efficacemente nella prossima riunione di Londra per il buon successo della Conferenza (1).

(l) -Cfr. n. 221. (2) -Cfr. n. 215.

(l) Cfr. n. 171, allegato.

262

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4999/490. Vienna, 19 dicembre 1929, ore 20 (per. ore 21,30).

Ieri Schober ha convocato in seduta segreta commissione principale parlamentare per fare esposizione politica estera. In tale circostanza ha parlato anche delle sue recenti dichiaraz,ioni sull'Italia, dei migliorati rapporti con essa e dei suoi prossimi viaggi all'Aja, a Roma ed a Berlino. Dichiarazioni sono state nel complesso accolte favorevolmente. Per quanto riguarda maggioranza deputati tirolesi Thaler, ex ministro agricoltura, si è limitato esprimere speranza • che il miglioramento delle relazioni abbia benefici effetti sulla situazione allogeni in Alto Adige •. Circa socialisti opposizione si è ridotta a qualche vaga dichiarazione pregiudiziale contro il fascismo ed alla espressione di alcuni dubbi sulla durata del nostro benevolo contegno. Riunione è terminata dopo che commissione ha preso atto unanimità delle dichiarazioni del cancelliere. Dato carattere segreto seduta, giornali si limitano riportare breve e vago commento ufficiale, facendolo seguire da più o meno esatte induzioni. Nel corso riunioni, socialisti hanno manifestato convinzione che il Governo non otterrà prestito qualora non si dichiari pronto a procedere al disarmo Heimwehren.

In relazione a tale convinzione o speranza dei socialisti, si manifesta timore

non solo tra le Heimwehren, ma anche in alcuni circoli vicini a Seipel che, indi

pendentemente da quanto possa chiedersi per pubblica sicurezza, Governo bri

tannico ed anche quello francese abbiano ad esigere da Schober nella riunione

dell'Aja il disarmo e si ha fiducia che il Governo italiano vi si opponga.

263

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4981/488. Vienna, 19 dicembre 1929, ore 19,28 (per. ore 23).

Apprendo che incaricato d'affari di Germania ha chiesto a questo Governo se non ritenesse opportuna una visita di Schober a Berlino. Tale domanda è forse stata qui fatta fare per suggerimento al Governo tedesco di questo suo ministro

21 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

cui già Governo austriaco aveva dato notizia del prossimo viaggio di Schober a Roma e che poco soddisfatto di ciò spera che il cancelliere vada prima a Berlino,

o che quanto meno prima del suo viaggio a Roma annunzi sua visita a Berlino.

È stato risposto incaricato d'affari che se cancelliere andrà all'Aja potrà prendere accordi colà in proposito con il ministro degli affari esteri germanico ma che in ogni caso Schober ha assunto impegno, cui non intende mancare, che la sua prima visita sarà per noi. Circa data di tale visita questo segretario generale per gli affari esteri, il quale ne ha parlato tieri con cancelliere, mi ha detto essere anch'egli di opinione che essa potrebbe essere fissata da Schober con V. E. all'Aja. Peter ha però udito accennare alla possibilità che la riunione dell'Aja sia rimandata e crede che in tale caso viaggio potrebbe essere proposto per uno dei giorni nei quali assenza da Vienna del cancelliere è stata già prevista per la sua partecipazione ai lavori di quella riunione.

(l) Il 20 dicembre il Governo francese aveva presentato a quello inglese un memorandum sul disarmo navale, comunicato in pari data anche a Manzoni e agli altri governi interessati (FRUS, 1929, vol. I, pp. 299-304).

264

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) 15274/352. Roma, 19 dicemb1·e 1929, ore 24.

Suo rapporto riservatissimo n. 7836/2741 (1).

Sto esaminando questione. Intanto posso dirle che in linea di massima riconosco fondate considerazioni conclusive suo rapporto ed approvo quindi allo stato attuale delle cose atteggiamento assunto. Seguiranno istruzioni di dettaglio per corriere. Avverto che domanda gradimento di cui alla fine suo rapporto è stata presentata verbalmente il 28 novembre.

265

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 5089/859. Angora, 20 dicembre 1929, ore 13,30 (per. ore 20,45).

Questo ministro degli affari esteri mi ha illustrata portata del protocollo firmato con Karakhan. Mi ha detto che mentre esso rende più saldi legami amicizia fra i due paesi, impegna di non accordarsi senza preventiva intesa, con stati immediatamente vicini all'altro stato per terra o per mare tendendo indirettamente ad evitare che questo legame possa significare intervento nella politica che ciascuno dei due paesi pensa seguire verso gli stati della propria immediata vicinanza. Sicchè mentre alla Russia viene riconosciuta la propria libertà politica nei riguardi dei suoi vicini di Europa e Asia, la Turchia vuole affermare la sua libertà di amicizia e accordi nel Mediterraneo orientale ove la sua politica si appoggia su Roma.

Se tale è lo spirito accordo, quale me lo ha illustrato ministro degli esteri,

esso non fa che aumentare successo che ne ha riportato Governo di Mosca.

Questo ne ottiene non solo assicurazione da parte Turchia di non entrare in combinazioni politiche occidentali che la trascinino ad accordi con stati europei facenti oggetto mire moscovite, ma si assicura disinteresse della Turchia nei paesi dell'Oriente e del mezzogiorno asiatico. La contro partita non è la medesima. La Russia ha già mostrato il suo disinteresse nella politica di Angora nel Mediterraneo e con Roma, poichè la preferisce ad accordi con altre potenze dell'Europa occidentale; vuole evitare in ogni modo però che la politica europea della nuova Turchia possa portare questa in uno scacchiere in cui Mosca militi in altro senso. Si lamentò del viaggio di Walko a Varsavia, mentre la Turchia si legava con l'Ungheria in patto di amicizia; si dispiacque della decisione di elevare la rappresentanza turca a Varsavia al rango di ambasciata ciò che si effettuerà pare fra qualche settimana; maggiormente si è impressionata del progetto di un patto di amicizia e neutralità con la Francia, che per il momento trovasi però giacente al Quai d'Orsay; ha visto di malanimo la visita della squadra inglese. È quindi intervenuta con viaggio di Karakhan, con la rinnovazione del patto del 1925, e con la firma del protocollo, intervento che non deve essere stato visto con soddisfazione a Parigi e Londra ed ha indirettamente rafforzato amicizia italaturca (1).

(l) Cfr. n. 244.

266

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 5019/493. Vienna, 20 dicembre 1929, ore 14,50 (per. ore 23,30).

Segretario generale degli Affari Esteri mi ha confermato soddisfacenti notizie che io avevo avute (mio telegramma n. 490) (2) sulla accoglienza della commissione pdncipale parlamentare alle dichiarazioni di Schober circa rapporti con l'Italia. Cancelliere ha fatto lungo e particolareggiato riassunto storico sulle varie fasi per le quali tali relazioni erano passate per giungere alla presente situazione e concluse con l'annunzio del suo viaggio a Roma. Gli stessi deputati socialisti Bauer, Ellenbogen hanno riconosciuto che era nell'interesse Austria tutto quanto cancelliere ha fatto e si propone fare nei nostri riguardi e hanno solo messo in guardia Schober circa conseguenze di eventuali più intimi legami.

• Oggi l'Italia è certo fra le grandi Potenze occidentali quella alla quale, nello scacchiere europeo, il Governo sovietico si sente più vicino. Il signor Karakhan, nella sua recente visita ad Angora l'ha anche detto chiaramente a questo Ministro degli Esteri.

Un'amicizia di Angora con Roma ha significato agli occhi del signor Suritz un'occidentalizzazione della politica estera della Turchia in un senso che non contrasta con le vedute di politica estera moscovita...

Quanto all'Italia essa dovrebbe vedere nel protocollo turco-russo meglio delineata la politica italo-turca nel Mediterraneo e rafforzata la sua unione con la Turchia nello spiritodel convegno di Milano e dovrebbe vedere d'altra parte rese più difficili altre possibili intimità della Turchia in altre parti di Europa perchè ostacolate dalla Russia.

Si può quindi dire che il protocollo firmato il 17 corrente ha resa più intima l'amicizia turco-russa, ha fatto gesto di chiarificazione della politica europea della Turchia megliocanalizzandola nel Mediterraneo e quindi verso l'Italia e tende attraverso Angora ad avvicinare in certo scacchiere europeo direttive che sono comuni a Roma e Mosca •.

Quanto al viaggio cancelliere, Peter si è rammaricato che i giornali di ieri abbiano falsamente annunziato che Schober si recherà a Berlino prima che a Roma. Egger è stato incaricato di comunicare a codesto R. ministero che cancelliere conferma essere sua prima visita destinata al R. Governo e che lascia libera

V. E. di fissare qualsiasi data preferisca dopo fine dei lavori dell'Aja. Peter ha aggiunto che ministro d'Austria Berlino ha avuto istruzioni comunicare a quel Governo ragioni per le quali primo viaggio cancelliere sarà per noi. Quale che sia impressione che ciò farà colà sono sicuro che questo ministro Germania molto pretenzioso, irrequieto e intrigante e poco simpatico agli stessi austriaci, ne sarà assai contrariato.

(l) Cfr. anche il R. 6380/1151 dello stesso Koch del 21 dicembre, del quale si pubblicanoi brani seguenti:

(2) Cfr. n. 262.

267

IL MINISTRO AD ATENE, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 5027/573. Atene, 20 dicembre 1929, ore 21 (per. ore 23,30).

Telespresso di V. E. n. 388 in data del 9 corrente.

Ho conferito lungamente ieri con Michalacopulos e stamane con Venizelos.

Essi hanno entrambi incominciato pregandomi con pari calore di trasmettere a S. E. il Capo del Governo ed all'E. V. le più vive espressioni di riconoscenza tanto in loro nome personale quanto in quello del Governo ellenico per l'atteggiamento così amichevole tenuto dall'Italia prima all'Aja e quindi a Parigi nella questione delle riparazioni. Avendo io richiamato la loro attenzione sul raffronto della quota consentita dall'Italia nelle riparazioni orientali per r·ispetto a quelle delle altre potenze, essi mi hanno con effusione dichiarato che la Grecia si rende perfetto conto di tutta l'efficacia che ha avuto per lei l'appoggio dell'Italia in questa così del.icata e complessa trattativa.

In conformità colle istruzioni da V. E. impartitemi ho quindi informato i miei interlocutori -illustrandolo con i particolari opportuni tratti dalla documentazione allegata al telespresso sopra citato -del recente passo che V. E. aveva fatto compiere presso il Governo turco dal R. ambasciatore ad Angora a proposito delle vertenze tra Turchia e Grecia (1). E mentre ho valorizzato dal punto di vista degli interessi ellenici l'amichevole azione mediatrice dell'Italia che si mantiene ininterrottamente fedele alle direttive di comune accordo tracciate nei convegni di Milano, ho chiesto di dirmi francamente quali fossero gli intendimenti Grecia di fronte alle disposizioni indubbiamente più concilianti che i principali dirigenti turchi avevano manifestato in risposta alle ... (2) loro tenute per incarico dell'E. V. da Orsini. Ho chiesto del pari che tali intendimenti fossero dettati con la coscienza di dover la Grecia una buona volta praticamente rendere vano l'addebito che le si fa di una grossa parte della responsabilità nel procrastinarsi di una situazione anormale così contraria prima ai propri interessi e poi anche a quelli generali.

Tanto ieri il ministro degli affari esteri quanto stamane il presidente del Consiglio, dopo avere ascoltato con la maggiore attenzione la mia comunicazione,

mi hanno incaricato di ringraziare in loro nome nel modo pm vivo V. E. per questo nuovo assai efficace intervento ed hanno aggiunto (ed il Venizelos anche più esplicitamente del Michalacopulos) la preghiera di dichiararle che sono decisi nel corso del presente negoziato già attualmente riapertosi ad Angora pel tramite di Polichroniades nelle forme e colle procedure desiderate da Ismet Pascià e da Russdi, a fare tutto quello che sia loro umanamente possibile per giungere ad una conclusione.

Venizelos mi ha poi anzi in assoluta confidenza anche aggiunto che se non fosse • per tema di un cambiamento di opinione sempre possibile da parte di Russdi • (sic) egli considererebbe come addirittura imminente il pratico raggiungimento dl un accordo sui pochissimi punti in discussione.

Il presente telegramma continua col numero successivo (1).

(l) -Cfr. nn. 186, 188, 189. (2) -Gruppo indecifrato: parole?
268

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 73:27. Roma, 20 dicembre 1929.

Trasmetto a V. E., qui uniti in copia, tre rapporti (2) di S. E. Zoli relativi alla nostra situazione nei riguardi dello Yemen. A due di tali rapporti sono allegati notiziari del Dott. Veneroni e del Dott. Ganora.

Ritengo opportuno di richiamare l'attenzione di V. E. sulle notizie in essi contenute e specialmente su quanto viene comunicato dal Governatore dell'Eritrea, col rapporto riservatissimo N. 24903.

Per quanto concerne l'azione dell'agente della SCITAR, Bolognesi, di cui si parla in quest'ultimo rapporto, credo da parte mia che siano da approvare le disposizioni prese da S. E. Zoli. Mi sarà gradito però di conoscere il pensiero di V. E. al riguardo e le determinazioni che riterrà di adottare circa le istruzioni richieste da S. E. Zoli.

Sul merito poi della nostra situazione nello Yemen, l'E. V. concorderà con me nel rilevare come da ciò che viene riferito, risulti più che mai quanto sia aumentata rinfluenza dei russi e in genere di altre nazioni nello Yemen e come sia ridotta invece a modestissima importanza la nostra. Una delle principali cause di ciò sta nella limitatissima e ormai quasi inesistente nostra opera di penetrazione, la quale si fonda oggi solamente su quel poco che possono fare i nostri agenti nelle ben note condizioni sfavorevoli in cui si trovano. E la deficienza della nostra azione dipende sopratutto, e il sopratutto non è un pleonasmo a mio avviso, dalla mancanza assoluta dei fondi strettamente indispensabili per compierla. Mancando ogni disponibilità sull'art. 90 R fino a quando l'Imam non avrà

« Parlandomi poi di Ismet Pascià, Venizelos mi ha detto spontaneamente di aver in lui grande fiducia, considerandolo uomo intelligente, serio, pieno di buon senso e di rettitudine; per quanto concerne la stipulazione di un patto politico colla Turchia, Venizelos e Michalacopulos mi hanno entrambi detto di non aver difficoltà all'accettazione della falsariga di quello nostro, come accennato al nostro ambasciatore da Tewfik Russdi... Comincia oggi a trapelare e ad infondersi anche in questa opinione pubblica la sensazione che in complesso si dovrebbe ormai essere vicini a quella conclusione di esso che Venizelos ebbe già più esplicitamente a preconizzarmi ».

pagato almeno in gran parte il suo debito (disponibilità che pur nell'ipotesi di un prossimo completo pagamento, resterà tuttavia molto modesta), nessuna az.ione seria ed efficace sarà possibile di svolgere se verrà a mancare anche una speciale assegnazione quale quella che fu concessa soltanto fino al corrente esercizio e dalla quale dipende anche l'istituzione del servizio di navigazione nel Basso Mar Rosso, che deve essere uno dei capisaldi della nostra opera di penetrazione.

Ho dato a suo tempo istruzioni a S. E. Zoli affinchè il regolamento dei rapporti finanziari con l'Imam sia rinviato a momento opportuno. E del resto, come si rileva dal telegramma comunicato col mio telespresso N. 7170, sembra che l'Imam si disponga a fare qualche importante versamento. In ogni modo lo svolgimento di un nostro programma di azione che, come esattamente osservava tempo fa l'E. V., non deve dipendere politicamente da tale regolamento di rapporti con l'Imam, non ne può dipendere neppure finanziariamente.

La nostra opera di penetrazione non può fondarsi, dato specialmente il paese in cui deve svolgersi, che su una sicura disponibilità che abbia carattere continuativo, poichè continuativa deve essere anche l'azione.

Tali criteri, nei quali credo convenga anche l'E. V., ho qui richiamato, nell'inviare i citati rapporti del Governatore dell'Eritrea, affinchè V. E. possa tenerli presenti nell'esaminare la situazione e le possibilità di svolgimento della nostra azione nello Yemen (1).

(l) T. 5038/574 del 21 dicembre, del quale si pubblicano i brani seguenti:

(2) Non si pubblicano.

269

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A PARIGI, MANZONI, E AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CORA

T. 2421. Roma, 21 dicembre 1929, ore 20.

(Per Colonie, Parigi e Londra). R. miJllistro in Addis Abeba telegrafa quanto segue:

• Sarò grato V. E. se vorrà farmi avere qualche breve notizia circa andamento conferenza armi Parigi. In questi circoli governativi si dice essere pervenuto telegramma dalla delegazione etiopica secondo il quale "Etiopia sarebbe rimasta soddisfatta oltre ogni speranza " •.

(Per tutti). Suo 362. Tutte comunicazioni relative lavori conferenza armi sono state già trasmesse V. S. per posta. Riassumole attuale situazione. In una delle prime sedute delegazione britannica ebbe a presentare di sorpresa schema vero e proprio trattato per regolare questione secondo convenzione Ginevra che nella forma di redazione avrebbe in pratica permesso armamento illimitato Etiopia. In seguito categoriche istruzioni inviate nostra delegazione e dopo laboriose discussioni a tre si è giunti fissare seguenti punti: approvazione data pro

Già il 20 novembre 1929 (e lo farà ancora il 22 gennaio 1930) De Bono aveva avvertito Mussolini circa l'urgenza di erogare maggiori fondi per le colonie onde evitarne la decadenza (National Archives, Washington, Personal Papers of Benito Mussolini cit., nn. 112801-112809).

getto trattato (convenientemente modificato) è soltanto condizionata lin quanto approvazione definitiva dovrà avvenire soltanto dopochè Governo etiopico avrà espresso suo giudizio e saranno stati approvati schemi regolamento attualmente allo studio previsti da trattato che stesso Governo dovrà emanare e dopochè Governo etiopico abbia risposto quesito posto sua delegazione circa sue intenzioni in fatto armi e munizioni da importare dopo entrata in vigore trattato, risposta alla quale noi abbiamo voluto si desse carattere pregiudiziale e quindi riserva di esaminarla di concerto fra tre delegazioni europee prima adottare definitive decisioni così. su schema trattato come su progetto regolamenti. Si è poi respinta richiesta delegazione etiopica aggiungere trattato un patto di non aggressione concedendosi soltanto accenno preambolo del desiderio quattro potenze uniformarsi principi contenuti tanto nel patto Società Nazioni specialmente per quanto concerne rispetto e conservazione integrità territoriale ed indipendenza politica dei membri della Società quanto nel patto Kellog. Respinta del pari richiesta delegazione etiopica che ultimo periodo articolo 18 convenzione Ginevra riportato nello schema trattato fosse modificato aggiungendo dopo le parole c la pace e la tranquillità pubblica • le parole c dei territori limitrofi • chiarendosi soltanto che quelle disposizioni non potrebbero impedire transito armi e munizioni necessarie garantire legittime autorità etiopiche assicurare mantenimento tranquillità pubblica. Delegazione etiopica ha inviato schema trattato Addis Abeba. Mediante fermo atteggiamento fatto assumere nostra delegazione siamo quindi riusciti per lo meno a portare cose per le lunghe e ad evitare che questione venisse di colpo decisa con grave pregiudizio nostri interessi. Devesi rilevare che nella questione Governo Londra sembra aver perso di vista quelli che sono anche interessi superiori sua confinante colonia forse per il desiderio di portare a fase conclusiva attuali negoziati lago Tsana. In definitiva non è del tutto inesatta affermazione contenuta telegramma diretto suo Governo da delegazione abissina che • Etiopia sarebbe rimasta soddisfatta oltre ogni speranza •.

270.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) RR. 15441/358. Roma, 21 dicembre 1929, ore 21.

Faccio seguito al mio telegramma n. 15274/352 (1).

V. S. vorrà comunicare a Jeftic, .in tono amichevole che, dopo aver lungamente interrogato il colonnello Visconti, dopo di aver proceduto alle necessarie constatazioni dell'attività da lui svolta costà, dopo di aver sottoposto ogni elemento di giudizio a questo ministero, ella è stata invitata a segnalare alla particolare attenzione del signor Jeftic le considerazioni seguenti:

l) siamo, naturalmente, grati a Jeftic della forma usata nella comunicazione fattale, ma la forma stessa, riguardosamente generica nei riguardi degli

appunti specifici mossi al nostro addetto militare ci pone nella condizione di dover apprezzare unilateralmente l'azione del colonnello Visconti;

2) è evidente che, qualunque riguardo possa aversi, un improvviso richiamo del colonnello Visconti, non mancherebbe di essere interpretato, siccome è, come effetto di una precisa richiesta del Governo jugoslavo e commentato in conseguenza;

3) il richiamo di un addetto militare, in simili condizioni, è fatto di molta gravità, suscettibile di creare situazioni assai incresciose, che non può essere giustificato che in casi nei quali si abbiano prove sicure e specifiche di assoluta

• scorrettezza • nei riguardi dello stato presso il quale è stato accreditato, scorrettezza nei mezzi adoperati per l'adempimento della sua missione che è quella di un palese, ufficiale osservatore militare, posto a lato del rappresentante diplomatico, osservatore poHtico;

4) ora l'attività informativa militare del colonnello Visconti, per quanto a noi consta, non giustifica alcun appunto di • scorrettezza • ed in simili condizioni una formale richiesta di richiamo non avrebbe, nel suo caso, fondamento ragionevole, nè precedenti storici, nè in Jugoslavia nè altrove;

5) che, quindi, allo stato attuale delle cose, soprattutto tenendo conto che non ignoriamo affatto che da parte jugoslava, e con mezzi assai diversi, non si resta inattivi in Italia in materia informativa, contiamo che costà non si insisterà nella richiesta comunicatale;

6) che, tuttavia, siccome siamo, evidentemente, desiderosi che l'ufficiale che adempie presso codesta R. rappresentanza alle mansioni di addetto militare, non sia, comunque, men che gradito e possa godere dell'intera considerazione e fiducia del Governo jugoslavo, non insisteremo affatto al termine del normale periodo di servizio all'estero del colonnello Visconti, che sta per scadere, per una proroga del servizio stesso, ma sarà provveduto alla sua sostituzione con altro ufficiale di pari valore;

7) che tale soluzione che offre ogni convenienza per le due parti contiamo sarà trovata soddisfacente, qualora le intenzioni ed il tono della comunicazione di Jeftic siano, come vogliamo ritenere, sinceri, e non rispondano a scopi od a pressioni che non dovrebbero trovare normalmente giuoco in casi di simile delicatezza e responsabilità.

La S. V. terrà conto, nella sua conversazione, di ogni altro utile elemento in suo possesso, nonchè dell'atteggiamento del suo interlocutore e mi riferirà in proposito non appena possibile.

Ho segnalato, per gli accertamenti e provvedimenti del caso, quanto concerne la parte avuta dal R. addetto aeronautico nella questione che ci occupa -parte che, tutto sommato, ritengo poter essere la causa determinante del passo di Jeftic -all'attenzione personale di S. E. Balbo (1).

Si fa qui menzione di un articolo giornalistico di Markovié (trasmesso allegato al
t. -posta 4170, Zagabria, 30 dicembre 1929) nel quale l'autore auspicava una intesa jugo-ungherese facendo balenare a Budapest la minaccia di restare isolata il giorno in cui Roma e Belgrado si fossero messe d'accordo.

(l) Cfr. anche il t. 40856 di De Bono del 25 febbraio 1930, del quale si pubblica il seguente brano, che è stato aggiunto sul testo di pugno di De Bono: • La questione della nostra influenza nello Yemen -è inutile nasconderlo -è sempre più per aria e va diventando ognidì più ~carsa. Occorre provvedere e per provvedere non sono nece5sari che denari •.

(l) Cfr. n. 264.

(l) -Con l. riservata pari data, che non si pubblica.
271

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 5036/495. Vienna, 21 dicembre 1929, ore 20 (per. ore 23).

Ho già attirato attenzione di queste competenti autorità federali sugli articoli del giornale Tirolo e sull'adunata di domani commemorativa Andreas Hofer Bund Innsbruck in occasione della morte di Noldin nonchè sulla necessità dell'astensione autorità Governo centrale da tali manifestazioni anti italiane. Mi si è promesso si farà quanto occorre: mi si è rinnovata l'espressione sincera del grande rincrescimento che si prova specie in questo momento per simile manifestazione e la volontà di adoperarsi in ogni modo per diminuirne l'importanza.

Io non trascuro di far qui lamenti, rimostranze, proteste quando manifestazioni anti italiane in Tirolo me ne diano giustificato motivo non solo perchè in tal caso ne ho il diritto ed il dovere, ma anche perchè credo utile convincere queste autorità centrali che ogni deficienza di energia da parte loro è rilevata dalla R. legazione e suscita inevitabilmente le conseguenze sgradevoli dei suoi interventi. Tuttavia credo si debba non attribuire eccessiva importanza a quelle manifestazioni tirolesi che non abbiano ripercussioni nel resto dell'Austria e specialmente in Vienna e si debba altresì tener conto che quanto più miglioreranno le relaz,ioni fra i due Governi, tanto più si agiteranno i mestatori anti italiani nelle manifestazioni della loro rabbia impotente.

272.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. s. 5035/1090/722. Parigi, 21 dicembre 1929, ore 20,40 (per. ore 2,30 deL 22). Dispaccio di V. E. n. 1097 (1).

Nel pomeriggio odierno ho rimesso al signor Briand H memorandum inviatomi esprimendomi nei precisi termini delle istruzioni di V. E. Signor Briand ha convenuto esplicitamente che negoziato in corso è cosa separata che non passa iu seconda linea, tanto è vero che il signor de Beaumarchais è già partito per Roma con istruzioni di riprendere subito contatto con V. E. in proposito; signor Briand ha riespresso vivo desiderio della collaborazione cordiale delle due delegazioni alla conferenza e sua impressione favorevole in proposito.

(l) Cfr. n. 261.

273

IL DELEGATO NEL COMITATO DEGLI ESPERTI PER LE RIPARAZIONI, BUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 5104/70. Parigi, 21 dicembre 1929 (per. il 27).

Coulondre mi ha parlato della questione dell'articolo 431 del Trattato di Versailles, il quale prevede le sanzioni in caso di • mancamento o carenza • tedesca. I Tedeschi chiedono una dichiarazione dei Governi alleati di rinuncia alle sanzioni. Essi osservano che lo spirito in cui è concepito il Piano Young, esclude di per sé la possibilità di futuri • mancamenti •. Ogni sanzione deve essere pertanto parimenti esclusa. Tutto il Piano riposa sul credito commerciale tedesco; e quindi in questo stesso credito e non in altro deve trovare la sua naturale sanzione.

Da parte francese ci si rende conto della delicatezza della questione e anche di ciò che possa esserd di giusto nelle argomentazioni tedesche; ma si esclude la possibilità di una dichiarazione di rinuncia.

Questione non è venuta ancora in discussione, ma verrà all'Aja. Coulondre mi ha chiesto se conoscevo l'avviso del R. Governo. Ha insistito sulla necessità di presentarsi all'Aja con un fronte unico per questo come per tutti gli altri punti.

Governo francese se è contrario alla dichiarazione domandata dai Tedeschi, è invece favorevole ad una soluzione di compromesso, che consisterebbe nel passare la questione sotto silenzio. Rinviare cioè il problema al momento in cui contro lo spirito nel quale è concepito il Piano Young, un • mancamento • dovesse effettivamente prodursi. Sorgendo allora disparere sull'applicabilità o meno dell'articolo 431, si andrebbe all'arbitrato in conformità del Protocollo stipulato al riguardo alla Conferenza di Londra del 1924 sul Piano Dawes. Non credo che atteggiamento francese sarebbe stato differente anche se situazione in Germania fosse stata diversa; ma ripresa agitazione nazionalista, induce certamente questo Governo a persistervi.

Poiché il nostro diritto alle riparazioni tedesche, è la contropartita del nostro obbligo pei debiti di guerra, e poiché prima di giungere all'applicazione dell'art. 431 si dovrebbe sempre passare per l'arbitrato, non mi pare che il nostro interesse in questa questione sia diverso da quello dei francesi. In ogni caso (anche assumendo un altro punto di vista) avremmo sempre tempo all'Aja per farne materia di negoziato. Ci sono infatti ancora diversi punti da regolare con Berlino, specie sulla • liquidazione del passato • che a noi interessano direttamente.

È del resto a notare, che, questa delle sanzioni, è in gran parte una questione

di opinione pubblica, poiché nessuno può pensare seriamente alla ripetizione

della Ruhr. Tuttavia il valore morale della rinuncia chiesta agli Alleati sulla

portata dell'obbligazione contenuta dal Piano Young, non sarebbe senza seria

importanza.

Anche gl'Inglesi assumono punto di vista analogo a quello francese. Leith

Ross ha anzi tenuto a spiegare che notizie apparse sui giornali di una diversa

attitudine inglese, sono destituite, a quanto egli ne sa, di qualsiasi fondamento.

274

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 5053/496. Vienna, 22 dicembre 1929, ore 17,48 (per. ore 22).

La concessione del nostro consenso al prestito e le dichiarazioni scambiate in questa occasione stanno avendo qui vasta ripercussione non solo nei circoli politici, ma anche in quelli finanziari ed intellettuali e lo stato d'animo che si va diffondendo esorbita dai limiti della semplice soddisfazione per il vantaggio economico ottenuto. Ciò può essere posto in relazione con gli accenni più di una volta fattimi da Schober circa la possibilità di ulteriore sviluppo nelle nostre relazioni (miei telegrammi 360, 454, 485) (1). Una conferma di tale favorevole disposizione del cancelliere è forse da vedere nell'affermazione fatta ieri dal suo capo di gabinetto a Baldoni nella visita di congedo di questo; essere desiderabile che i rapporti ora stabiliti divengano più stretti; e costituire lo stabilimento di tali più stretti rapporti condizione necessaria alla vitalità e allo sviluppo di un'Austria indipendente. Mentre il suaccennato stato d'animo generale è innegabile non potrei affermare in modo sicuro se parole del cancelliere e del suo capo di gabinetto rispondano bene intesa valutazione dei permanenti interessi austriaci

-o solo a contingenti considerazioni di convenienza transitorie connesse anzitutto colla questione riparazioni. In ogni modo sarebbe utile sapessi per norma mia se questo modo considerare nostri futuri rapporti corrisponda a quello del R. -Governo e in caso affermativo se io debba !imitarmi a raccogliere accenni che eventualmente mi fossero rinnovati o incoraggiare nuove manifestazioni se non anche prendere iniziativa di tornare ,io stesso spontaneamente sull'argomento. Sarei grato altresì a V. E. se volesse farmi conoscere sia pure in semplice linea di massima quale forma potrebbero eventualmente prendere tali futuri maggiori sviluppi e se essi potrebbero concretarsi in un patto di amicizia od in qualche analogo accordo. In caso affermativo sarei d'avviso però che qualsiasi accordo dovrebbe presentarsi come una iniziativa austriaca e concludersi solo dopo definitiva soluzione di tutte le varie questioni economiche ancora in sospeso.
275

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. (P. R.) 15549/338. Roma, 23 dicembre 1929, ore 19.

Prego ringraziare Schober delle comunicazioni che mi ha fatto pervenire circa priorità visita Roma (2) ed informarlo che appena sarà prevedibile termine lavori Aja stabiliremo d'accordo data precisa ed altre consuete modalità.

Circa idea già ventilata di un patto di amicizia ed arbitrato, prego riferirmi per corriere se e quali precisi accenni le siano stati fatti recentemente costi, nonchè suo pensiero sulla convenienza di cominciare fin d'ora ad esaminare un progetto di testo di un tale accordo.

(l) -Cfr. nn. 113, 200, 255. (2) -Cfr. n. 266.
276

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 5075/865. Angora, 23 dicembre 1929, ore 18,32 (per. ore 21).

Valendomi dei buoni rapporti che mi legano a ministro delle Finanze mi sono intrattenuto in amichevole conversazione con lui sugli argomenti di cui ai miei telegrammi n. 863 e 864 (1). Egli mi ha confermato quanto ho esposto con detti telegrammi, !asciandomi però sensazione che lavorio francese abilmente intrapreso per legare questo paese alla finanza di Parigi costituisca motivo di preoccupazione da parte di questo Governo che causa gli impegni che lo tengono unito alla Banca ottomana, teme un rinnovarsi e stringersi di legami con detta finanza della quale intende smisurati ... (2) mi ha incaricato di attirare attenzione della Banca Commerciale su delicato periodo che va attraversando la finanza del paese affinchè essa cerchi di seguire con spirito amichevole la situazione, tenendo presente accennato lavorio e desiderio del Governo turco di dare preferenza a Italia e mi ha aggiunto che direttore Banca ottomana ha fatto con lui malevole insinuazioni Banca Commerciale di Costantinopoli circa sue speculazioni sul ribasso della lira turca. Evidentemente questo Governo vuole mettere in concorrenza capitale straniero al quale si vede forse nella necessità di ricorrere e intanto in ogni modo ricorrerà per una partecipazione sia anche modesta alla formazione di detto capitale, malgrado le dichiarazioni del presidente del Consiglio che il capitale della Banca di stato sarà esclusivamente turco. Occorre che nostra fi

"' Crisi monetaria ha provocato nuovo esame da parte di questo Consiglio dei Ministri dei due problemi dei quali da vario tempo si va qui parlando per risanare situazione finanziaria del paese, e cioè la costituzione della banca di Stato e la conclusione di un prestito. Costituzione della banca è ormai decisa e annunziata ufficialmente a Grande Assemblea da Presidente del Consiglio con capitale proprio. Ministro delle Finanze mi ha detto che relativo progetto di legge sarà presentato ad Assemblea, entro prossimo mese, e ne prevede l'approvazione dopo

una quindicina di giorni, sicché nel mese di febbraio la Banca di Stato dovrà essere un fatto compiuto. Quanto alla conclusione di un prestito all'Estero, questo Governo fa sapere che non ne ha bisogno volendo far fronte alla crisi finanziaria con mezzi propri; non è alieno però da prendere in esame eventuali ragionevoli proposte. Effettivamente ha la preoccupazione che denaro gli sia offerto a condizioni onerose. Banca ottomana adombrata da viaggio del Conte Volpi ad Angora e da idea Banca Commerciale stia trattando un prestito con questo Governo ha da qualche tempo preparato viaggio in questa capitale del suo direttore generale e del direttore di Costantinopoli •· Sulla missione di Volpi ad Angora nel novembre 1929 cfr. una sua lettera a Guariglia, in data Roma 16 gennaio 1930, con vari allegati.

Con t. 411/.37 dell'8 febbraio 1930 Koch comunicava che la Banca Commerciale aveva concesso un prestito di 1.000.000 di sterline al Governo turco.

Sulla questione delle finanze turche cfr. anche il precedente R. rr. 6195/1078, Costantinopoli, 30 novembre 1929, di Orsini Baroni; se ne pubblica il brano seguente, al quale Mussolini ha posto l'annotazione « Importante. Stralciare per gli on. Benni e Jung » :

« La lira turca avrà da soffrire attacchi e scosse forti delle quali sarà massimo dovere del mio successore il seguire la reazione sia dal punto politico sia sul terreno economico commerciale, in difesa dei nostri particolari interessi nella Turchia. Fin d'ora intanto io mi permetto consigliare ai nostri commercianti, ai gruppi industriali e capitalisti qui operanti. la massima oculatezza e riserva; che non seguano l'esempio malsano dei nostri produttori di tessuti che dalla concorrenza si sono lasciati trascinare a nuovi affari assai magri se non in perdita. Non sono solo Costantinopoli e Smirne a trovarsi oggi in crisi ma anche l'interno dell'Anatolia, e la classe dei contadini. Oramai quella della calza piena di monete d'oro e tenuta nascosta, è una leggenda. I contadini non hanno più riserve nascoste, hanno invece molti bisogni che aumentano con il distaccarsi dalla terra, e un profondo disprezzo contro la lira turca carta che in alcune regioni accettano solo al tasso di 25 piastre. La difficile situazione economico finanziaria del paese è uno dei motivi su cui si appoggia l'opposizione la quale, domata completamente all'interno, mantiene ancor viva la sua attitudine ostile all'estero •·

nanza vigili, e che anche a Parigi sia seguita per quanto è possibile attività della Banca ottomana in questo campo. I due direttori sono ripartiti per Parigi con la intesa di tornare il prossimo mese. Da parte mia non mancherò di seguire interessante questione.

(l) Il primo è il t. 5061/863 del 23 dicembre, relativo al programma finanziario del Governo turco. Il secondo è il t. 5070/864, pari data, del quale si pubblica il brano seguente:

(2) Gruppo indecifrato.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI (l)

L. 8483. Roma, 24 dicembre 1929.

Ho letto con interesse i Suoi ultimi Rapporti sia in relazione al disarmo come al negoziato libico-tunisino (2).

A quest'ora Ella è già in possesso della nostra risposta (3), che prego illustrare opportunamente non solo a Briand ma altresì a chiunque Ella riterrà opportuno ed utile. Vedo con soddisfazione che il Suo punto di vista sulle diverse questioni coincide col mio. Finora la tattica da noi usata è buona e sono soddisfatto del come le cose procedono. Non dispero, se saremo prudenti, fermi e tempestivi di raggiungere qualche risultato concreto.

278

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 5093/8044/2831. Belgrado, 24 dicembre 1929.

Le notizie più attendibili fanno credere che il 6 gennaio p. v. compiendosi un anno di governo dittatoriale, non si avrà che una proclamazione reale che constaterà i risultati ottenuti, accennerà agli studi e lavori per una prossima costituzione. Non si avrà alcun cambiamento di Gabinetto. Si stima che ancora molto lavoro resti da compiere, anche per il completo funzionamento della Banovine, prima di addivenire a qualsiasi mutamento.

Quanto ai risultati ottenuti dal Governo dittatoriale gli avvenimenti recenti di Zagabria (4) sono sufficientemente eloquenti. Il loro significato all'estero è bene illustrato dagli articoli di Seton Watson nel Times, che destano nei circoli di Governo e di Corte non celata irritazione.

Le recenti manifestazioni croate di resistenza e di certa emozione quando si è trattato della fusione dei sokol, qualche significativo attrito fra il clero cattolico croato ed il regime, infine la scoperta del largo complotto che giunge a coinvolgere Macek, dimostrano una attività croata più tenace e profonda di quanto gli ultimi mesi potevano lasciar credere. Ma l'energia con la quale H Governo dittatoriale persegue l'opera di repressione giungendo all'arresto del successore di Radic e gettando perciò una aperta sfida a tutti i contadini croati, prova quanta sicura forza esso senta di possedere.

Questa resistenza croata indebolisce sicuramente la posizione internazionale jugoslava specialmente nei riguardi del prestito, dimostra ai serbi che ogni sacrificio loro imposto cancellando dalle denominazioni ufficiaJ.i la Serbia, distruggendo ogni tradizionale storica formazione provinciale, impedendo persino la esposizione della bandiera serba che condusse attraverso la grande guerra alla formazione del regno trino, è stato finora vano poichè la sperata conciliazione non è raggiunta, prova ben più che non fosse necessario che le spontanee deputazioni croate di omaggio sono commedia, più ancora fa riflettere che la compagine militare è indebolita e compromessa per una qualunque eventuale crisi.

Nel quadro generale della vita di questo stato si manifestano quindi, malgrado la tenacissima forza e la ferrea volontà che animano il gruppo nazionalista militare massonico al potere, oscurità ed incognite delle quali occorre tenere preciso conto (1).

(l) -Autografo di Grandi. (2) -Uno di questi rapporti è pubblicato al n. 253. Cfr. anche la l. p. edita al n. 183. (3) -Cfr. n. 261. (4) -Allude a un complotto per assassinare Re Alessandro.
279

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. 6813. Parigi, 24 dicembre 1929.

Nel colloquio del 21 corrente (2) il signor Briand mi chiese se V. E. sarebbe andata all'Aja. Risposi che non aveva precisioni ma che credeva di si.

Nella domanda del signor Briand io sentii un marcato interesse. Non è improbabile che egli pensi alla prima possibile occasione di incontro con V. E. per iniziare conversazioni personali con Lei. Io mi permetto aggiungere che sia da evitarsi il senso od il pretesto per asserire o far dire che noi non ci prestiamo a aperture di conversazioni particolari e responsabili.

• Mi incombe pertanto il dovere di far rilevare l'opportunità che siano per quanto è possibile, evitate in Italia -per qualche tempo almeno -tutte le manifestazioni d1 stampa,

di congressi. di piazza, ecc. relative alla Dalmazia le quali fanno buon gioco all'attuale

regime, che già ha saputo abilmente sfruttare il caso Gortan e si serve in mala fede continuamente di false pubblicazioni sul trattamento delle minoranze iugoslave in Italia, allo scopo di attirare i croati verso Belgrado •.

Sulla situazione in Dalmazia cfr. anche le osservazioni di Galli a un rapporto dell'ex vice console a Sebenico, Brigidi (t. posta 8005/2814, Belgrado 21 dicembre 1929):

c •..Sembrami tuttavia che alle constatazioni sopra citate del Brigidi, ed alle altre affermazioni circa il "secolare odio 11 che animerebbe gli slavi contro gli italiani in Dalmazia sia il caso di fare delle riserve, che la storia stessa ci fornisce essendo noto a tutti che gli slavi (schiavoni) furono fedelissimi sudditi di Venezia, e fra di loro la potente repubblicaarruolò le sue più fedeli soldatesche. ·

La speculazione politica di contrapporre lo slavo all'italiano in Dalmazia cominciò sotto l'Austria ed è ora portata alla sua massima efficienza. Ma per secoli slavi ed italiani vissero in Dalmazia in perfetto accordo, e gli slavi abbracciarono volontariamente la cultura italiana, essendo notorio come uno dei canoni della veneta repubblica fosse quello di non imporre colla forza alle popolazioni ad essa soggette né la sua cultura, né la sua religione, preferendo la pacifica convivenza e la lenta assimilazione all'assorbimento violento.

Ed anche oggi sarebbe molto arduo poter dire che nel cuore dei Dalmati slavi sia veramente spento ogni lume d'italianità.

La popolazione Dalmata posta ai confini di due razze, di due civiltà, di due religioni, di due mondi, pecca di carattere, come tutte le popolazioni di confine. Essa rappresenta una zona grigia, ai margini dei due mondi, offre quindi i caratteri della più grande instabilità, e non va senz'altro annoverata come perduta alla nostra influenza ed a noi definitivamente ostile.

Anzi se su di essa influissero alcune concezioni prettamente locali, campanilistiche, ner cui l'italiano nemico, non sarebbe tale, perché facente parte dell'Italia, ma bensì perché equiparato e assimilato a quel tale individuo e a quella tale famiglia, con cui la lotta entro le stesse mura dura da decenni, e se su di essa non operasse, come è sopra detto, la speculazione politica del governo centrale, non è escluso che non possa questa popolazione un giorno essere ricondotta entro le grandi braccia della nostra cultura, della nostra civiltà.

Questo punto merita, a mio modo di vedere, di essere attentamente considerato, specialmente nel momento attuale in cui la lotta fra i serbi domin'l.tori e croati oppressi è !ungi dall'entrare in una fase di ristagno •.

(l) Cfr. il t. posta u. 3648 di Rochira del 16 novembre 1929, del quale si pubblica l'ultimo passo:

(2) Cfr. n. 272.

280

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO, GASPARRI

[N. 481]. . .... (1).

Non è senza una profonda sorpresa che il Governo del Re ha preso cognizione

di un discorso pronunciato dal Sommo Pontefice, in risposta agli auguri Natalizi

del Sacro Collegio e pubblicato nel numero 300 dell'Osservatore Romano. Il R.

Governo non può lasciare senza risposta talune affermazioni e contro altre deve

elevare una categorica formale protesta. Il R. Governo non insiste nel rilevare la

distinzione che si è accennata fra Dicasteri che mostrerebbero le migliori dispo

sizioni e Dicasteri che tali disposizioni non avrebbero, mentre è noto che l'azione

di tutti i Ministeri ha un centro coordinatore e che in realtà tutti i Dicasteri

nessuno escluso fanno tutto il possibile perchè gli accordi siano -come sono

lealmente applicati.

Più grave ancora è l'affermazione che l'Azione Cattolica non sia trattata

• come dovrebbe essere e come un articolo del Concordato solennemente esige •. La verità è che l'Azione Cattolica svolge in tutta Italia ed in modo assolutamente indisturbato la sua vasta e molteplice azione, di cui -del resto -lo stesso Osservatore Romano dà quotidiane ed abbondanti notizie. Solo in talune poche località e d'importanza secondaria l'Azione Cattolica ha richiamato giustamente su di essa l'attenzione -in ogni caso -benevola dell'Autorità tutoria, per il fatto che ivi l'Azione Cattolica appariva guidata da anti-fascisti nemici subdoli, ma acerrimi del regime, come provenienti dal Partito Popolare. Di una gravità estrema è poi l'affermazione che la stampa dell'Azione Cattolica, sia trattata male, odiosamente male. Questa parola di odio, lanciata da sì Alta Cattedra, può avere le più funeste ripercussioni per l'ordine pubblico, in quanto contiene una specie di giustificazione anticipata di ogni resistenza agli ordini dell'Autorità costituita, la quale applica -non con sensi di odio, ma con raro senso di equità e di discrezione -la legge sulla pubblica stampa. La stampa dell'Azione Cattolica non è trattata • odiosamente • male: ma solo taluni giornali -ex-popolari, politicanti e anti-fascisti -incorrono talvolta nelle sanzioni di legge, quando contengono articoli tendenziosi ill cui lo spregio dell'Autorità Politica e l'avversione allo Stato Fascista è fin troppo evidente.

Consapevole delle gravissime ripercussioni -che in ogni senso e in ogni categoria di cittadini d.taliani -avrà la parola del Sommo Pontefice, il R. Governo ripete la sua formale protesta non senza aggiungere che tali documenti e tali parole -in quanto turbatrici delle coscienze e dell'ordine pubblico -non giovano alla veramente cordiale applicazione dei Patti Lateranensi, applicazione, alla quale il R. Governo intende -fin che gli sia possibile -rimanere assolutamente

fedele.

(l) Annotazione di Grandi: • Rimessa dall'Amb. De Vecchi il giorno 26 dic. 1929 alla Santa Sede •·

281

IL MINISTRO A TIRANA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. ss. 2816/1161. Tirana, 26 dicembre 1929.

Rispondo al telespresso Ministeriale del 14 dicembre n. 262080/645.

Quanto riferisce Mazzotti, circa la sollecitudine del Governo Albanese verso i profughi a tendenza antitaliana, e il suo marcato sospetto verso quelli a tendenza italofila, oltre ad essere assolutamente esatto, è anche intuitivo, data la mentalità di questi signori e dato il metodo seguito da certi nostri organi per attrarre a noi qualche gruppo di rifugiati.

Re Zog non ha mai creduto che noi sussidiassimo i Prishtina, i Mustafà Kruja etc. per avvicinarli al regime: e nemmeno che noi lo facessimo solo per averli sottomano onde sostituirli a lui in caso di disgrazia. Egli ha sempre pensato invece che noi volessimo puramente e semplicemente tener lui stesso sotto la pressione, e la minaccia, di un cambiamento della nostra politica a favore di certi rifugiati, e ciò per renderlo più ligio alla nostra volontà: egli inoltre ha sempre attribuito ai profughi da noi sussidiati un vivo desiderio di..... provocare una disgrazia!

Da ciò è derivato il sospetto verso la nostra azione, sospetto che ha avuto conseguenze visibilissime e gravissime nella condotta di Zog a nostro riguardo, inducendolo a continue esitazioni e a frequenti scarti, che hanno certamente influito a fargli percorrere con estrema lentezza la strada che mena a Roma.

Oggi Re Zog ha fiducia piena e completa nella politica del R. Governo; ma se il buon Mazzotti e la R. Legazione a Belgrado sapessero quanto ci sono costati, e quanto mi sono costati, nel 1927 e nel 1928 certi loro discorsi ai profughi da convertire!

282

L'AMBASCIATORE A MOSCA, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 5130/453. Mosca, 28 dicembTe 1929, ore 21,45 (per. ore 5 del29).

Mio telegramma n. 437 (1).

Riferendomi conversazione avuta al riguardo con Litvinoff ho parlato a Ka

rakhan della espressione • vicinanza immediata per mare e per terra • usata nel

protocollo turco-sovietico (2). Egli mi ha detto che espressione usata testo fran

cese firmato non era quella da me indicata ma quella di • stati confinanti per

mare e per terra •. Osservai che io mi riferivo testo pubblicato dalla agenzia Tass

• Chacune des deux Parties s'engage de ne pas entamer, sans en référer à l'autre Partie, des négociations tendant à la conclusion d'accords politiques avec les Etats se trouvant dans le voisinage immédiat de terre ou de mer de la dite Partie et de ne conclure des tels accords qu'avec le consentement de Celle-ci •.

che Karakhan mi disse ignorare. Egli mi .promise spontaneamente mandarmi copia

protocollo. Poichè Karakhan ignora completamente francese sarà bene verificare espressione effettivamente usata.

Mio interlocutore mi spiegò quindi essere stata intenzione due parti stabilire che nessuna di esse potesse non solo negoziare accordi politici segreti, ma nemmeno iniziare conversazioni al riguardo senza portare a conoscenza altra parte contraente ed averne ottenuto consenso. Venivano presi in considerazione stati confinanti per terra e quelli le cui acque territoriali toccavano acque territoriali stati contraenti.

Non era un segreto che con questo protocollo Russia da un lato aveva inteso impedire Turchia potesse concludere a sua insaputa accordi con Romania e Polonia e dall'altro Turchia aveva voluto impedire che Russia ne concludesse con Grecia, Bulgaria e stati balcanici.

Karakhan menzionò dapprima Jugoslavia come terzo stato balcanico, ma dopo avere riflettuto istantemente osservò che Jugoslavia non veniva considerata perchè non confinante con Turchia. Continuando egli osservò che Russia avrebbe così potuto ad esempio negoziare accordi politici col Governo persiano soltanto previa intesa con la Turchia.

Gli domandai se Germania fosse considerata stato finitimo della Russia per mare ed egli rispose in modo categorico che alla Germania non si era affatto pensato. Gli parlai dell'India ed egli mi disse che poichè questo territorio britannico non ·confinava con Russia protocollo non si applicava ad essa. In questo punto vi è disaccordo fra quanto mi dissero Litvinoff e Karakhan.

Accennando definizione datami circa vicinanza per mare, chiesi se protocollo

si riferiva soltanto territorio propriamente detto vari stati o anche loro possedi

menti al che egli rispose che protocollo si riferiva tutti due.

Karakhan che non aveva mai accennato all'Italia, mi domandò a questo punto

se vi fossero possedimenti nostri prossimi coste turche al che risposi nominandogli

isole italiane dell'Egeo. Egli se ne mostrò sorpreso come se non si fosse pensato

all'Italia nel firmare protocollo.

(l) -T. 5025/437 del 20 dicembre, che non si pubblica. (2) -Il passo del protocollo turco-sovietico del 17 dicembre 1929 è del seguente tenore:
283

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 4727/2687. Vienna, 27-28 dicembre 1929.

Mi onoro rispondere al telegramma di V. E. in data 24 corrente n. 338 (1).

L"accenno alla possibilità di un qualche accordo ·italo-austriaco mi fu fatto

da Schober, e spontaneamente, nel primo colloquio che ebbi con lui dopo il mio

ritorno da Roma (mio telegramma n. 454 del 29 novembre) (2). In quell'occasione

egli si valse della parola • patto di amicizia • e ne usò di passaggio in una sua

lunga frase, come prova delle sue amichevoli disposizioni verso di noi. Schober

si lamentava che noi lo avessimo tenuto per un mese nella • dolorosa situazione •

22 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

dell'attesa del nostro consenso al prestito quasi diffidando di lui, mentre egli voleva dimostrarmi quali fossero i suoi sentimenti per noi, non solo accettando di fare la dichiarazione in Parlamento da noi chiesta, bensì mostrandosi anche disposto a qualcosa di più importante. Io non sono ,in grado di riferire meglio in proposito giacchè, come comunicai a V. E. con il mio telegramma su citato, essendo rimasta senza risposta la proposta ch'io avevo presentata a V. E. qualche settimana prima, con i miei telegrammi nn. 360 e 361 del 26 ottobre (l) per la stipulazione di un qualche speciale accordo, non mi credetti autorizzato a incoraggiare Schober in un progetto che non mi risultava il R. Governo fosse pronto ad accogliere.

Dopo di allora Schober non ha fatto più allusioni a patti di amicizia; forse perchè aveva notato che il suo primo accenno non era stato raccolto da me. Ma nella sua visita, dopo le dichiarazioni in Parlamento (mio telegramma n. 48'5 del 16 corrente) (2) mi ha espresso la convinzione che quanto si era adesso seminato potesse produrre in seguito qualche bel frutto. A ciò si deve aggiungere l'affermazione del Cancelliere, nel pranzo della Legazione d'Ungheria, che, rimossi ormai gli ostacoli finora esistenti, si sarebbe potuto lavorare per stabilire vincoli più stretti fra i nostri due paesi (mio telegramma n. 497 del 22 corrente) (3).

Quasi a conferma di queste ripetute, se pur generiche, affermazioni di Schober, il suo Capo di Gabinetto ha manifestato al cav. Baldoni la persuasione che più stretti vincoli con l'Italia fossero non solo desiderabili ma anche necessari per l'Austria (mio telegramma n. 496 del 21 corrente) (4).

Quando si ripensi a queste allusioni, e se ne consideri la ripetizione e l'analogia, si deve supporre che si sia qui disposti ad accettare la proposta di concludere un patto di amicizia e fors'anche a prenderne l'iniziativa. Se la mia asserzione non può avere carattere più reciso ciò dipende dall'essermi io sempre naturalmente limitato a rispondere qui con qualche generica frase di cortesia, non osando andare a fondo in un argomento simile e mostrare così una disposizione nella quale non avevo ragione di credere che il R. Governo consentisse. Ho preferito per così dire non farmi avanti per non correre poi il rischio di dover tornare indietro; il che avrebbe fatto a Schober, molto sensibile e alquanto permaloso e vanitoso, peggiore impressione che non il non seguirlo nella via da lui indicata.

Per parte mia sono favorevole alla conclusione di un patto di amicizia. So bene che essi, considerati sia in se stessi sia in rapporto al numero che se ne sono conclusi dalla fine della guerra sino a oggi, hanno un valore limitato. Ma questa, che potrebbe per un verso sembrare una ragione per non concluderlo, è per un altro verso proprio una ragione per concluderlo. Giacchè, dato il loro stesso scarso valore intrinseco e data la facilità con la quale si sono andati stipulando, il non averne l'Italia conclusi con l'Austria potrebbe apparire come un segno di rapporti particolarmente freddi che oggi fortunatamente non esistono più. Suppongo non vi sarebbero qui gravi difficoltà. Innanzi tutto le varie manifestazioni di Schober fanno credere che egli vi sarebbe favorevole. Inoltre l'opinione pubblica austriaca

(ll Cfr. n. 113.

s'è in questi ultimi tempi, come ho già riferito, parecchio mutata nei nostri

riguardi, e ·Credo lo accoglierebbe bene. L'Austria ha già patti di amicizia con

parecchi suoi vicini, tra i quali la Cecoslovacchia verso cui, se si eccettuino i

socialisti, tutti hanno qui antipatia e più ancora un disprezzo di razza che, come

già negli anni scorsi ho avuto varie occasioni di far presente a V. E., non ho mai

sentito verso di noi anche nei momenti di maggiore freddezza di rapporti.

socialisti stessi, e in genere l'opinione pubblica europea, non dovrebbero mani

festarsi adombrati -se anche il loro consenso non fosse interiormente sincero

per un accordo pubblico, pacifico, che avrebbe il • crisma societario • della regi

strazione della Lega delle Nazioni. Noi ne trarremmo il vantaggio di maggior

mente avvicinare a noi l'Austria con un accordo il quale confermerebbe le recenti

dichiarazioni di Schober, e ne sarebbe una conseguenza e uno sviluppo. Sarebbe

un pur nuovo passo avanti, per quanto non grande, il quale darebbe maggiore

importanza e contenuto al viaggio di Schober e potrebbe preparare il terreno a

più importanti accordi di cui per ora non si vede la possibilità ma che è bene non

siano esclusi anzi siano preparati per le eventualità che l'avvenire fosse per

riserbarci.

Del resto nulla vieterebbe che in occasione della presenza in Roma di Schober

gli fossero direttamente da V. E. fatte allusioni alla possibilità di qualche parti

colare intesa, che l'E. V. credesse conveniente ,in rapporto alla nostra politica

generale in questa parte dell'Europa; intesa cui però ignoro quale accoglienza

farebbe il Cancelliere.

A me sembra che la firma di tal patto dovrebbe avvenire in Roma. E poichè il viaggio del Cancelliere non mi pare potrebbe effettuarsi se non fra un paio dd mesi, avremmo tutto il tempo per tentare, sia pure come mia iniziativa, la ripresa di tali discorsi, ove l'E. V. me ne desse l'autorizzazione. Le trattative potrebbero essere avviate accennando a Schobel' all'utilità di risolvere prima della sua andata a Roma le varie qu~::stioni economiche tuttora sospese, e chiedendogli se dovendosi iniziar all'uopo qualche negoziato egli non credesse, in rapporto a quanto mi aveva accennato, ch'essi potessero avere contenuto più làrgo e toccare la possibilità di fissare fin da ora il modo di regolare in genere tutte le questioni che avessero da sorgere in avvenire tra i due stati. Qualora egli accettasse potrebbe esaminarsi quale contenuto dare al patto.

A tale scopo desidererei, se V. E. vi consentisse, qualche testo, fra gli accordi del genere da noi conclusi, che Ella credesse più adatto a servire di traccia per quello con l'Austria. Discuterei qui la redazione durante l'assenza del Cancelliere per la sua partecipazione ai lavori dell'Aia, salvo a condurre a compimento il progetto dopo il suo ritorno a Vienna e prima del suo viaggio a Roma. S'intende ch'io riferirei particolareggiatamente a V. E. per darLe informazioni e riceverne istruzioni.

28 dicembre 1929.

P. S. -Apprendo che Schober partirà per l'Aja il 1° gennaio. Le eventuali trattative quindi non potrebbero essere iniziate che al suo ritorno.

(l) -Cfr. n. 275. (2) -Cfr. n. 200. (2) -Cfr. n. 255. (3) -T. 5050/497, che non si pubblica. (4) -Cfr. n. 274.
284

IL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO, GASPARRI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

N. 3038/29. DaL Vaticano, 29 dicembre 1929 (1).

Mi affretto a riscontrare la Nota n. 481 del 26 corrente (2) la quale, non posso celarlo, e per la sostanza e per la forma, mi ha recato il più penoso stupore. Essa, infatti, vuole contestare le affermazioni del discorso Pontificio del 24 corrente al Sacro Collegio dei Cardinali, affermazioni che sono purtroppo, rispondenti ad una ben dolorosa realtà, come V. E. potrà rilevare dalle seguenti osservazioni:

Se il Sommo Pontefice credette opportuno di accennare ad un diverso modo di comportarsi dei varii Dicasteri, per quanto riguarda l'applicazione del Concordato, ciò fu soltanto perchè giustizia e gratitudine impongono di riconoscere tale distinzione, che è nella realtà dei fatti, e, del resto, tanto più significativa, dato, come accenna V. E., • l'unico centro coordinatore •. E ciò appunto ebbe più volte a sperimentare il Nunzio Apostolico, il quale, mentre in alcune materie incontra, con vero gradimento, una pronta volontà di cooperare alla leale applicazione del Concordato, in altre, e proprio in quelle indicate dal Santo Padre nel Suo Discorso, trova invece una dolorosa quanto invincibile incomprensione; del quale fatto V. E. stessa non può non essere consapevole.

Tale dunque essendo lo stato delle cose, di fronte alla protesta del R. Governo, la Santa Sede non potrebbe che opporre una formale controprotesta, quando, cioè, si volesse asserire, sia pure velatamente, che il Santo Padre abbia oltrepassato la realtà, la quale, al contrario, è confermata da tanti e cosi chiari argomenti.

Non si può infatti asserire che l'Azione Cattolica • svolge in tutta Italia e in modo assolutamente indisturbato la sua vasta e molteplice attività •, mentre è noto che più volte si è dovuto richiamare l'attenzione di cotesto R. Governo su molteplici e gravi inconvenienti. Nè certo suffragano tale asserzione-per citare qualche esempio:

a) le numerose e minuziose inchieste che ripetutamente si sono fatte e si fanno in molte Provincie d'Italia, sulle Associazioni Cattoliche e su i loro Dirigenti,e proprio come se si trattasse di pericolose o clandestine associazioni di cattivi cittadini, ingenerando in tal modo giustificati timori negli iscritti, che si vedono per ciò stesso messi in cattiva luce, quasd fossero contrari alle vigenti istituzioni, ed allontanando molti, specialmente i giovani, dall'opera dell'apostolato, col timore d'incorrere nelle diffidenze e vessazioni dei rappresentanti dell'Autorità fino a perdere quegli impieghi che assicurano la sussistenza alle loro famiglie;

b) la affermata, ed in parecchi luoghi purtroppo praticata, incompatibilità fra l'appartenenza ad Associazioni cattoliche e l'appartenenza ad Associazioni nazionali, di modo che, mentre l'Azione Cattolica accetta tutti coloro che, osservanti dei suoi Statuti, vogliono essere apostoli del bene, vede al contrario i suoi iscritti posti al bando dalle Associazioni nazionali, non senza penose conseguenze e veri danni;

c) il continuo e ingiustificato controllo di ogni manifestazione di Azione Cattolica ed anche di riunioni private, controllo che si fa mediante speciali informatori, i quali riferendone secondo la loro mala e inesatta comprensione (come appare anche da recenti pubblicazioni uscite dalla Tipografia e dalla Libreria del Littorio) fomentano nell'Autorità Politica una diffidenza quanto ingiustificata, altrettanto dannosa;

d) l'interpretazione eccessiva, e talvolta affatto arbitraria, di leggi vigenti, (come è spesso accaduto, ad esempio, per sequestri di bandiere, proibizioni di riunioni, ecc.).

È dunque, inevitabile l'impressione formatasi, generalmente, che l'Azione Cattolica sia sospetta ed invisa alle Autorità politiche e perciò trattata nelle sue manifestazioni -di stampa sopratutto -in maniera non solo non benevola ma propriamente • odiosa •, perchè per tale realtà di cose la nostra lingua non ha altra parola.

A questo proposito, sarei grato a V. E. se potesse darmi una benevoLa spiegazione di tante denunzie e di tanti notori provvedimenti, contro la stampa cattolica, anche prettamente religiosa.

Lasciamo pure da parte la solenne proclamazione del Capo del Governo innanzi al Parlamento, di avere dopo la firma dei Patti Lateranensi • in tre mesi sequestrato più giornali cattolici che nei sette anni precedenti • e l'avvertimento da lui aggiunto che • nessuno creda che l'ultimo fogliucolo che esce dall'ultima parrocchia non sia ad un certo momento conosciuto da Mussolini • quasi che si annidassero in siffatta stampa quei pericoli a cui aveva allora appunto fatto allusione. Stiamo ai fatti più recenti; lo stesso immeritato sequestro ebbero parecchi giornali giovanili (a Milano, Verona, Firenze, ecc.) solo perchè fecero, com'è dovere di ogni cattolico, dichiarazione di fedeltà e di amore al Papa in occasione della sua festa (29 giugno): più recentemente si è avuto in Torino la negata autorizzazione alla ripubblicazione dell'Unità Cattolica ed a Como -dopo incidenti a lungo trascinati e che non ebbero la conclusione che si era in diritto di attendere -, ecco in questi ultimi giorni, un nuovo provvedimento, del tutto ingiustificato, che rende impossibile la pubblicazione dell'Ordine: ma prima ancora si erano sequestrati anche per.iodici e riviste gravi e scientifiche come La CiviLtà Cattolica ed altresì la Rivista del Clero per aver trattato dell'educazione cristiana

o simili argomenti. Ciò che però rende più odioso il trattamento fatto a queste pubblicazioni, è che mentre si esercita la preventiva censura di articoli e di affermazioni ispirate da principii cristiani, sotto pretesto che diminuiscono l'autorità del Governo, e si proibisce a giornali e periodici cattolici di trattare dei Patti Lateranensi, si lascia invece a scrittori d'altri ed opposti sentimenti piena libertà di fare commenti, in sensi alieni dalla verità e dal Santo Padre ripetutamente esclusi e condannati, non senza vere indiscrezioni e non meno vere irriverenze alla parola ed alla persona del Papa. Anzi si è giunti persino a dmpedire la pubblicazione dei discorsi Pontifici, e, fatto non meno odioso, a mutilare le relazioni telegrafiche delle Agenzie Estere, non escluse altresì misure odiose anche a riguardo dell'Osservatore Romano.

Questi fatti già così gravi in se stessi, presi poi nel loro complesso, e tutti insieme, oltrepassano evidentemente la portata di fenomeni isolati per assumere l'importanza di indici rivelatori -non di sole inesplicabili diffidenze ed in-comprensioni -ma quasi di determinati propositi e di piani concreti ai danni di quelle attività dell'apostolato laico, che il Sommo Pontefice, in Italia -come in tutto il mondo, e con generale e mirabile corrispondenza -ritiene cooperazione utile e necessaria all'Apostolato Gerarchico. Si rendono cosi necessari, da parte della Santa Sede, pronti ed autorevoli interventi per impedire, fin dal principio, danni ben gravi nel proprio suo campo di azione religiosa e spirituale.

Leggo con maraviglia, nella Nota di V. E. che a giustificare un tale atteggiamento, ci si oppone che l'Azione Cattolica in alcune c poche località è guidata da antifascisti, nemici subdoli, ma acerrimi del Regime •. V. E. mi consenta di ripetere ciò che varie volte fu risposto a tale difficoltà, che cioè ove esistessero questi acerrimi nemici del Regime, basterebbe designarli, con buone prove, all'Autorità Ecclesiastica, la quale non mancherebbe di provvedere nel modo più energico, secondo quanto lo stesso Santo Padre ha dichiarato nel suo discorso. Ma sino a quando si procederà coi metodi lamentati, V. E. converrà che non può purtroppo parlarsi di attenzione benevola e che non è esagerazione affermare che la stampa dell'Azione Cattolica è c trattata male, odiosamente male •.

È dunque la Santa Sede che deve fare e ripetere formale protesta contro atti

o metodi, non certo conformi alla lettera e allo spirito delle pattuite convenzioni, particolarmente contro il permesso e il favore dato a pubblicazioni falsatrici delle coscienze e per ciò stesso contrarie all'ordine pubblico. E appunto perchè delle coscienze e dell'ordine pubblico la Santa Sede ed il Santo Padre furono sempre e sono tuttora la più salda tutela, riesce sommamente penoso che espressioni affermanti il contrario si scrivano in Documenti Diplomatici da Cattolici ed in Rappresentanza di Stato Cattolico.

Dopo tante cose spiacevoli, non posso a meno di rilevare con viva soddisfazione che la Nota dell'E. V. si chiude con l'affermazione che il R. Governo intende rimanere assolutamente fedele alla veramente cordiale applicazione dei Patti Lateranensi.

E, appunto per questo, faccio di nuovo appello alla cooperazione dell'E. V. affinchè abbiano presto a cessare i lamentati inconvenienti, e sopratutto si dissipi nei dirigenti dello Stato italiano ogni diffidenza verso l'Azione Cattolica, e vi sottentri la chiara comprensione dell'alta missione religiosa e spirituale, che la Santa Sede ha affidato all'Azione Cattolica e che da essa si r.ipromette.

Conto sulla nota cortesia di V. E. affinchè S. E. il Capo del Governo abbia al più presto copia di questa mia risposta (1).

(l) -Inviata a De Vecchi il 31 dicembre e da questi trasmessa in pari data a Grandi. (2) -Cfr. n. 280.
285

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

TELESPR. 263125. Roma, [30 dicembre 1929].

Come è noto all'E. V. il R. Governo ha da tempo rivolto la sua particolare attenzione ai problemi dell'America Latina; in questi ultimi tempi ha deciso di occuparsi dei medesimi con ancor maggiore intensità che non nel passato.

Rivolgo pertanto all'E. V. la viva preghiera di continuare a riferire in ordine a tali problemi con l'assidua cura dimostrata in passato, riservandomi di darle comunicazione degli elementi informativi più rilevanti che perverranno dalle RR. Rappresentanze nei paesi dell'America Latina.

Per sua conoscenza le accludo copia di circolare inviata in data odierna alle medesime (1).

(l) Sull'atteggiamento politico delle organizzazioni cattoliche nel corso del 1929 cfr. il documento della polizia ed. in P. ScOPPOLA, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Bari, 1971, pp. 241-251.

286

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ZOLI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA

L. P. Asmara, 31 dicembre 1929.

Ella avrà forse dubitato che io avessi dimenticato la promessa. Ma non è così. Dal mio ritorno in Colonia, ho passato sei settimane tempestosissime! Ho avuto mia moglie malata di febbri gastro-reumatiche: ciò che, date le sue condizioni fisiche generali, m'è stato causa di gravissime pene e preoccupazioni. Mi son venuti a mancare improvvisamente: il Segretario Generale, il capo del mio Ufficio, e tre o quattro altri funzionari fra i migliori e i più esperti. Ella può dunque pensare quale sia stato il mio lavoro e in quale stato d'animo io abbia dovuto compierlo!... Fortunatamente, ora, il mio fosco orizzonte pare incominci a schiarirsi: mia moglie va rimettendosi, lentamente ma progressivamente, un paio di funzionari nuovi mi sono arrivati coll'ultimo piroscafo; e il Segretario Generale con un altro funzionario è sbarcato proprio oggi! Ancora non ne sento il benefizio, naturalmente; ma già incomincio a respirare... E la prima cosa che faccio è di ricordarmi di Lei e della promessa fattale. Per brevità, Le accludo due rapporti -uno sulla politica yemenita ed uno sulla situazione etiopica -che partono con questo corriere; ma che... chi sa quando Le perverrebbero c per la prescritta via gerarchica •! Ciò mi permette di non tediarLa troppo con questa mia prima epistola, e di !imitarmi a darLe qualche chiarimento supplementare sulle varie situazioni.

l) Situazione yemenita. -Poco rosea. L'Imam ha pagato duecentomila talIeri: gliene restano da pagare trecentomila e rotti per saldare il suo debito. Da

Fu inviato, il 14 gennaio 1930, un telespresso circolare alle ambasciate e legazioni in America del sud del quale si pubblicano i passi seguenti:

c È intenzione del R. Governo di seguire con la massima cura la politica estera dei

Paesi dell'America Latina e di intensificare in ogni campo le relazioni con i medesimi...

Nel primo rapporto riassuntivo che l'E. V. si compiacerà inviarmi non oltre il 30 aprile,

vorrà riassumere le vicende della politica estera di codesto paese nell'ultimo quinquennio

1924-29; il rapporto annuale negli anni venturi dovrà essere inviato non oltre il 31 gennaio •·

Nel dicembre 1929 il ministero aveva chiesto alle ambasciate e legazioni dell'America

del sud e del Messico notizie sullo stato del clero cattolico e suggerimenti circa le provvi•

denze che c sarebbe utile adottare nei riguardi religiosi a vantaggio del nostro Paese •.

A proposito delll'analogo interesse per i paesi dell'Asia cfr. un telespresso diretto a

Tokio in data 10 febbraio 1930, del quale si pubblicano i passi seguenti:

c L'importanza vieppiù crescente che vanno assumendo i paesi dell'Asia nel giuoco della

politica internazionale induce il R. Governo a seguire con la massima cura gli avvenimenti e

ad intensificare in ogni campo, e sopratutto in quello economico, le relazioni con i medesimi...

Nel primo rapporto riassuntivo che l'E. V. si compiacerà inviarmi non oltre il 30 april.e,

vorrà riassumere le vicende della politica estera di codesto Paese nell'ultimo quinquenmo

1924-29; il rapporto annuale negli anni venturi dovrà essere inviato non oltre il 31 gennaio •·

questo lato, dunque, non s'andrebbe troppo male, se non fosse la situazione disastrosa dell'art. 90 R (politica dello Yemen) sul quale grava tutto l'infausto passivo gaspariniano (amministrativamente parlando) cosicchè sono costretto, come vede, di bussare disperatamente a danari!... Pensi, caro amico, che ìl passato grava su questo infelicissimo articolo per ben sei miLioni e mezzo di lire italiane di passivo, e le faccio grazia degli... spezzati! (punti 3, 4 ed 8 del Passivo alla pag. 10 del mio unito rapporto).

Ergo, necessità imprescindibile di tirare i remi in barca, e di.. ... consolidare il nostro passivo futuro ed inevitabile in 750.000 lire annue... che però qualcuno bisogna bene che mi dia! (La prego di leggere colla massima attenzione la conclusione del mio Rapporto: pagg. 11 e seguenti).

Noti poi che, anche con un'assegnazione simile, tener testa all'azione strampalata dei Russi sarebbe un assurdo!... Ora, noi tutti abbiamo detto che tale azione non può durare..... Ma dura da più di un anno; e non accenna ad affievolirsi! Non vorrei che noi ci facessimo delle illusioni: come quando si pretendeva che il regime comunista in Russia non potesse durare più di qualche mese! ... E son dodici anni e mezzo che dura e imperversa!

Creda, caro Guariglia, che mi piange .n cuore di dovervi domandare quei soldarelli destinati alla infausta navigazione del Basso Mar Rosso ... Ma come fare altrimenti?... Se, invece di -mi perdoni la sincerità! -buttare quattrocento milioni annui in Libia, vi se ne buttassero soli trecentonovanta, e si dessero gli altri dieci all'Eritrea, tutto andrebbe a posto; e -creda a me! -con molto maggior vantaggio per il Paese!..... Ma..... non voglio sfondare porte aperte!.....

2) Riconoscimento Ibn Saud. -Ho spedito oggi stesso, per telegrafo, gli schemi richiestimi dei due trattati. Ma, disgraziatamente, non ho potuto tener conto di quello stipulato recentemente tra Ibn Saud e Turchia; perchè nessuno, neppure a Gedda, dove l'ho domandato a Sollazzo, ne sa niente. Se volete, potete provare a domandarlo all'Ambasciata ad Angora; e poi regolarvi anche su quello per i testi definitivi. Tuttavia, penso che anche quelli che vi ho mandati sieno sufficienti.

Il riconoscimento bisogna farlo: nessun dubbio in proposito. Ma non appena fatto e firmati i trattati -ed è particolarmente per ciò che ritengo la cosa UTgente -bisogna fare subito un'azione ferma verso Ibn Saud, per fargli ben comprendere che la nostra politica si basa nettamente e recisamente sul mantenimento dello status quo almeno sulle rive del Mar Rosso. (Da notarsi che pel mantenimento di questo status quo noi siamo pienamente ~n diritto di domandare la solidarietà inglese: vedi conversazioni di Roma) (1). Questa solidarietà, per ora, ce la darebbero certamente obtorto colLo perchè essi hanno l'interesse contingente di... sfottere l'Imam; ma, messi alle strette, ce la dovrebbero pur dare! Tutti questi ragionamenti riguardano la

3) Questione delL'Asir. -Certo è che Ibn Saud non ha mai deposto il pensiero di avaler la grenouine dell'Asir, Tehama settentrionale compreso! Non credo assolutamente che, con quel po' po' di grane che ha nel Neged e ai confini della Transgiordania, dell'Irak, del Koweit, egli voglia affrontare in pieno e direttamente la questione, almeno per ora. Ma che egli possa tentare un colpo mancino, giovandosi dell'Ali Idrissi e delle turbolente tribù dell'Asir meridionale -oggi Yemen settentrionale -è sempre ammissibile! ...

Ora, che a noi importi poco, moralmente parlando, di volare in concorso di quella-scusi l'espressione-carogna dell'Imam, sta bene. Ma che noi lasciamo Ibn Saud con tutte le sue • dipendenze • scendere sin di fronte a Massaua, non starebbe affatto bene! ..... Non è anche il Suo pensiero?..... Caro amico, tra Ibn Saud e l'Imam, per quanto poco simpatico sia, è sempre meglio avere a che fare con questo che con quello! E ciò anche, e soprattutto, per la considerazione che, per gli Inglesi, la conquista delle simpatie dell'Imam e dei Yemeniti è, per così dire, cosa impossibile; mentre sarebbe tutt'altro che impossibile una loro molto più stretta intesa con Ibn Saud..... E, allora, vede come ci staremmo bene noi in un Mar Rosso interamente inglese o anglofilo? .....

4) Isole Hanisc. -Ci siamo da quindici giorni. Tutto bene. Baracche montate; campi gregari, con un bravo brigadiere dei CC.RR. a Zocùr e uno scianisc dei gregari a Hanisc grande; creato un villaggio ,indigeno con nostri Dancali della costa e persino alcuni..... Zaranich! Sambuchi per la pesca. Nel villaggio, asinelli, pecore e polli! ..... Abbiamo anche avuto la fortuna di trovar l'acqua -che si credeva mancasse assolutamente -a otto chilometri dal villaggio di Hanisc: ho fatto subito forare un pozzo. Speriamo di trovarla anche a Zocùr. Insomma, sembra che ci siamo dai tempi del Re Salomone..... e quindici giorni fa l'arci.pelago era assolutamente deserto!

Della cosa darò notizia, tra qualche giorno, al Ministero Colonie, come se si trattasse di affare di ordinarissima amministrazione e ..... coll'aria più ingenua del mondo! Come d'accordo, niente bandiera; ma grandi stemmi tricolori, fasci, ecc. Amministrativamente, tutto in regola: domanda regolare di concessione di pesca -che, del resto, si effettua veramente, ed anche con risultati assai promettenti! domanda di una guardia di gregari. Il Governo dell'Eritrea non ha fatto che ..... consentire.

Degl'inglisc ancora nessuna notizia..... Uno dei loro stazionari del Mar Rosso, l'H.M.S. Dhalia, è arrivato stasera a Massaua, e posdomani gli ufficiali verranno su: ricevimenti, complimenti, feste, partite di football, ecc. Ma, evidentemente, non se ne sono ancora accorti.. ...

5) Faro di W est Haycoch. -Tutto sospeso, causa il monsone. Ma tutto il materiale per la costruzione è già sullo scoglio (Dio sa come mi si ridurrà il cemento con queste ultime settimane di piogge torrenziali..... ). E il lavoro si potrà iniziare senza fallo verso la metà di febbraio; l'ottica della lanterna, già ordinata in Germania, l'avrò per i primi d'aprile. Cosicchè per il.. ... Natale di Roma, spero di far risplendere una luce italiana di più sul Mar Rosso! .... .

Però, scusi, non ho capito troppo bene l'ordine di • andare adagio • -al quale, del resto, il monsone mi aveva già costretto ad ottemperare! Io dico: intanto facciamo il faro, che è veramente indispensabile e del quale tutti ci saranno grati (la voce si è già sparsa da Suez a Aden, e non abbiamo avuto che..... benedizioni da tutti gli elementi marinareschi!) e poi vedremo quel che salterà fuori!..... Non ce lo faranno mica demolire, no?... Tutt'al più ce lo riscatteranno e ... ce lo pagheranno certamente il doppio di quel che ci sarà costato! .....

5) Situazione etiopica. -Legga il mio secondo Rapporto e dia un'occhiata al mio schizzo (che è proprio quello originale, da me stesso -e non ho vergogna di confessarlo! -disegnato) e tenga presente che, sebbene non sieno passate che settantadue ore da quando ho tracciato quello schizzo, la situazione è già aggravata!..... Infatti, ho sopraccaricato in • bleu • la nuova zona, alla quale la rivolta si è ancora estesa in questi ultimi tre giorni! ..... Com'Ella vede, caro don Raffaele, non è una cosa allegra..... per il Negus nostro amico! Ed assai meno allegro deve essere per lui l'atteggiamento dei grandi Ras del settentrione! Ed ancor più preoccupante ritengo che sia l'atteggiamento sornione del Ras Hailù del Goggiam!

Ora, si parla di un nostro intervento?..... Andiamoci piano, e ragioniamo. Se mi si parla di un intervento, con carri armati e sia pure scorta di ascari, sulla direttrice Assab-Dessiè, allora capisco che si ha voglia di scherzare... e rido di cuore anch'io. Non riderei, bene inteso, se lo dovessi veramente effettuare; perchè a far prendere in giro il mio Paese non ci tengo proprio affatto -e Lei neppure!

Ma, se mi si parla di un intervento, con bombe a mano e ascari déguisés nello Zebul, allora non posso più neppur ridere..... Perchè mandare in malora trecento ascari non sarebbe un danno enorme; ma scavare un incolmabile fosso di sangue e di odio, non tra noi e i ribelli soltanto-badi bene! -ma tra noi e tutta l'Etiopia settentrionale e centrale, caro Guariglia, sarebbe uno scherzo da non prendersi mai a cuor leggero da nessun buon Italiano!...

Ah! se voi mi parlate invece di intervento nel..... Tigrai, nell'Uolcait e nel Semien, questa incomincerebbe ad essere una cosa seria..... E questa si può fare. Ditecelo; e noi partiremo subito tutti col piede sinistro; senza domandarvi, oltre ai necessari complementi dei servizi, che un solo reggimento di fanteria -in primo tempo, bene inteso! -sul piede di guerra per tenerci le piazze forti. Ma, allora, vuoi dire che dove andremmo, resteremmo! Non è vero? ..... Può l'Italia affrontare questa soluzione, oggi? È quello che io ignoro, e che voi sapete. Epperò, mi guardo bene dal suggerire consigli, che non avrebbero alcun fondamento di conoscenza della nostra situazione generale, interna ed estera.

Ma c'è, a mio modestissimo e subordinatissimo parere, una cosa molto sensata da fare, comunque, nelle attuali contingenze: quella di non sposare affatto la causa del Negus, che anche se vittorioso, non ce ne sarà affatto riconoscente, e di fare invece una politica un po' più..... periferica in Etiopia!..... (1).

È bene per ciò, caro amico, che ho accolto con un gran sospiro di soddisfa

zione le recenti istruzioni di.. ... fare discretamente l'occhiolino al Ras Hailù! Po

trebbe darsi-mi sono detto-che incominciassimo a metterei sulla buona via!

Ma Lei mi perdoni la lunghissima chiacchierata e le..... strampalerie che posso

anche aver dette: non l'ho fatto apposta! Si faccia vivo.

P. -S. -In questo momento mi portano le c intercettazioni radio •, nelle quali veggo segnalato con compiacenza alla c Stefani • il fatto che un aeroplano di marca italiana, acquistato (?) dal Negus, è arrivato trionfalmente ad Addis Abeba, pilotato da un aviatore..... francese ed avente a bordo come motorista un ridicolo filibustieretto ex sergente maggiore italiano...

Ebbene, caro Don Raffaele, io sarò una vecchia bestia che non capisce niente; ma Le assicuro che cose simili mi fanno pena e, se ascoltassi il mio primo impulso, telegraferei al Ministro delle Colonie mass. prec. ass.: c Prego V. E. voler considerare se non Le sembri opportuno inviare al R. Corpo dell'Eritrea sei batterie antiaeree delle quali, come la E. V. sa, questo R. Corpo est completamente sprovvisto..... •.

(l) Allude probabilmente ad un telespresso del 30 dicembre 1929, che non si pubblica.

(l) Con t. 50/11 del 4 gennaio 1930 Chiaramonte Bordonaro comunicò che il Governo inglese lo aveva informato della decisione di creare una legazione a Gedda. Sulle conversazioni italo-inglesi di Roma nel gennaio-febbraio 1927 circa l'Arabia si rimanda, come nel volume precedente, ai Documents on British Foreign Policy 1919-1939 (DB), serie I A. vol. II. nn. 460, 462, 463, 465, 468, 469.

(l) -Analoghi concetti in un rapporto riservato di Zoli a De Bono del 31 dicembre 1929, n. 423.
287

PER QUALE RAGIONE NON PARTECIPAMMO ALLA CONFERENZA TRIPARTITA, NON ADERIMMO AL COMPROMESSO NAVALE ANGLOFRANCESE, MENTRE OGGI CI CONVIENE ADERIRE ALL'INVITO ANGLO-AMERICANO

(USM, cart. 3172)

•.... (1).

!110 Febbraio 1927, il Governo Americano, per il tramite diplomatico, faceva consegnare al nostro Ministro per gli Affari Esteri uno schema di progetto per una nuova Conferenza di riduzione degli armamenti navali, relativa alla limitazione delle categorie di navi non comprese nel Trattato di Washington.

Il 21 Febbraio ed il 16 Maggio il Governo italiano specificava mediante due note, le ragioni per le quali si trovava nella necessità di declinare l'invito a partecipare alla nuova Conferenza.

Infatti l'accettare di partecipare alla nuova Conferenza importava per il Governo italiano le seguenti necessità: derogare al suo principio della inscindibilità dei tre problemi del disarmo (terrestre, navale ed aereo); derogare al suo principio della limitazione degli armamenti navali per tonnellaggio globale.

Correre i seguenti rischi: vedersi imporre gli stessi coefficienti di proporzionalità anche nelle categorie non limitate a Washington, riducendo così la sua flotta a cifre assai inferiori a quelle ritenute indispensabHi alla sua sicurezza;

veder rimettere in discussione il principio della parità navale con la Francia (questa al momento della ratifica del Trattato di Washington aveva dichiarato

che non avrebbe mai accettato che i rapporti dei tonnellaggi globali per le categorie limitate dal Trattato potessero essere estesi alle altre categorie);

di accettare limitazioni in fatto di nav.iglio leggero, quando le Marine minori rimanevano libere da ogni impegno, ed alla Conferenza di Roma avevano anche rifiutato di aderire agli obblighi imposti ai firmatari del Trattato di Washington per ciò che riguarda le grandi navi;

di trovarsi davanti alla proposta ufficiale di abolizione dei sommergibili.

Il 31 luglio ed il 3 agosto 1928, rispettivamente, il Governo inglese ed il Governo francese trasmettevano al Governo italiano due note, a mezzo delle quali era comunicato il testo di un compromesso navale anglo-francese, da servire per i lavori della Commissione Preparatoria della Conferenza per il disarmo.

Secondo i termini del compromesso, la Conferenza doveva stabilire l'estensione alle altre Nazioni marittime degli impegni di Washington relativi alle grandi navi ed alle navi porta aerei, e per le cinque Nazioni, l'estensione della limitazione ad altre due categorie di navi, ossia quelle non superiori alle 10.000 tonnellate, armate con cannoni da 203 ed i sommergibili di dislocamento superiore alle 600 tonnellate.

Il Governo italiano con due note quaBi identiche, il f). Ottobre 1928 (l) rispondeva ai due Governi, esponendo le ragioni per le quali non riteneva di poter aderire alla proposta anglo-francese.

Le ragioni si possono elencare nel modo seguente:

Se il Governo italiano aderisce alla proposta anglo-francese v.iene ad essere indotto alla discussione separata del problema navale, ed a considerare il problema del disarmo limitatamente ad alcuni Stati soltanto, mentre gli armamenti e le loro limitazioni non possono avere carattere assoluto, ma relativo a quello degli altri Stati.

Viene indotto a derogare al criterio della limitazione globale del tonnellaggio, che ritiene essere il criterio più facilmente applicabile a tutti gli Stati, poiché data la relativa libertà che offre la limita:done per tonnellaggio globale, gli Stati meno armati e meno ricchi hanno la possibilità, con la scelta dei tipi che meglio corrispondono alle esigenze della propria sicurezza di trovare un certo compenso alla superiorità altrui.

Nella nota italiana vengono richiamate le considerazioni che nascono dall'esame delle condizioni particolari in cui si trova l'Italia (tre sole linee di comunicazione col resto del mondo -sviluppo costiero enorme -centri vitali sulle coste -grandi isole -gravitazione di potenti basi strategiche altrui sulle linee essenziali di comunicazione italiane -ecc.).

Nella nota inglese e francese è contenuta l'altra proposta relativa alla dichiarazione preventiva di un programma navale; ed il Governo italiano non può aderire neppure a questa, poiché ciò, di necessità porta ogni paese a presentare ed attuare un programma navale quanto più ampio possibile.

Invece il Governo italiano espone la controproposta di un periodo di vacanza navale per i • Capitai Ships • che dovrebbero essere impostati dalle 5 Nazioni dal 1931 al 1936.

L'8 ottobre 1929 (l) il Governo inglese fa consegnare all'Ambasciatore italiano a Londra l'invito di partecipare ad una nuova Conferenza navale che dovrà essere tenuta ·a Londra nella 3• decade del gennaio 1930. L'invito è ugualmente rivolto agli Stati Uniti d'America, al Governo giapponese ed al Governo francese.

Le basi su cui è impostato l'invito inglese sono le seguenti: Le trattative anglo-americane hanno portato ad un accordo provvisorio e non ujjìciate. Il Patto Kellogg, dato il contributo che esso apporta al concetto di sicurezza, è stato preso come punto partenza.

L'accordo si fonda sulla parità navale anglo-americana, per categorie, e risulta desiderabile riesaminare gli impegni del Trattato di Washington in ciò che riguarda le nuove costruzioni.

Il concetto che sia augurabile la abolizione dei sottomarini come mezzo bellico, non ha sollevato discussioni fra i due concordatari.

L'invito è pertanto rivolto alle quattro potenze firmatarie del Trattato di Washington, per considerare le categorie non contemplate nel Trattato di Washington, e per disporre circa le questioni contemplate nell'articolo XXI di esso (2).

Il Governo proponente si riserva di comunicare a suo tempo la sua opinione sugli argomenti che esso crede debbano venire discussi alla Conferenza ed attende comunicazioni analoghe dagli altri Governi.

Esistono oggi delle ragioni dalle quali si può essere indotti a riprendere in esame i punti che portarono al rifiuto di partecipare alla Conferenza tripartita e di aderire al compromesso anglo-francese, e possono far ritenere opportuno di accettare l'invito alla Conferenza di Londra.

Il Patto Kellogg, di rinunzia alla guerra come politica nazionale, ha ottenuto l'adesione di 56 Nazioni. Qualunque sia il reale valore del suo contenuto, e della interpretazione di esso, il Patto Kellogg è stato presentato all'opinione pubblica mondiale, in modo tale, che l'ha effettivamente scossa, ed è nata la tendenza a modificare sostanzialmente il concetto universale di sicurezza, e sopratutto la valutazione della sua origine; incomincia infatti a trovare maggiore diffusione il concetto che la sicurezza nasce più facilmente dalla buona volontà (accordi, fiducia reciproca, buona fede) che dalla forza (armamenti).

La recente Conferenza dell'Aja, per l'accettazione del piano Young, pur dimostrando quanto sia potente la leva dell'interesse particolare delle Nazioni, per il fatto solo che ha felicemente risolto un gravissimo problema internazionale, ha contribuito allo stabilirsi di uno spirito nuovo.

Le trattative anglo-americane, ed il loro apparente felice risultato, alimentano ancora di più questo nuovo stato d'animo internazionale, stato d'animo che si può definire come • maggior fiducia nella riuscita delle trattative internazionali •.

Anche il fatto che varie Nazioni, fra le quali l'Impero Britannico e l'Italia stessa, hanno aderito alla clausola facoltativa dell'arbitrato obbligatorio, è un segno della evoluzione dei tempi.

Alcuni dei principi sui quali è impostato per noi il problema della riduzione

degli armamenti rimangono intangibili, come quello della parità, della inter

dipendenza, del rifiuto di adottare come punto di partenza lo c statu quo • e del

rifiuto di qualsiasi forma di controllo. Questi principi non pongono effettivi osta

coli alla possibilità ed alla opportunità di una nostra partecipazione alla Confe

renza di Londra, con la quale si potrebbe conseguire i seguenti risultati: dichia

rare in un Congresso internazionale la nostra aspirazione alla parità e sostenere

il nostro diritto; subordinare i risultati eventuali della Conferenza a quelli più

comprensivi della Conferenza per il disarmo generale (interdipendenza); più

ottenere limiti di armamento tali da non impedire alla nostra Marina militare di

raggiungere la proporzione necessaria e non quella esistente in confronto alle altre

Marine militari (Statu quo).

Altre ragioni per partecipare alla Conferenza sarebbero:

la possibilità di ottenere indirettamente che la Francia riduca il programma

di costruzioni previsto nello Statuto navale, programma che noi potremmo non

essere in grado di raggiungere;

il dislivello di armamenti nelle categorie non limitate a Washington po

trebbe diventare minore, ottenendo dei coefficienti di proporzionalità più elevata;

non dover nutrire grandi timori per l'abolizione dei sommergibili dato il

delinearsi di una specie di reciproca protezione italo-franco-nipponica;

l'essere oggi abbastanza difficile opporsi, con un rifiuto a priori, alla marea

di ottimismo internazionale creata dall'azione politica combinata da Hoover e

MacDonald;

dover considerare che come è .impostato oggi l'invito alla Conferenza, una adesione di massima, lascia lungo margine a precisare posizioni e riserve, nello scambio preliminare di vedute desiderato e suggerito;

dover considerare che la nostra tesi del tonnellaggio globale intransigente, oltre a poter costituire buon elemento di scambio, non conserverebbe una grande importanza qualora si fosse ottenuta la parità desiderata.

(l) Questo e il documento successivo fanno parte di un gruppo di relazioni preparate dallo Stato Maggiore della Marina in vista della conferenza navale di Londra e raccolte in un ,volume a stampa riservato del 1929 dal titolo Conferenza navale in Londra 1930. n problema della limitazione degli armamenti navali nei suoi aspetti tecnico-politici.

(l) Cfr. Serie VII, vol. VII, n. 22.

(l) Cfr. n. 50.

(2) Testo dell'art. 21 in Trattati e convenzioni ecc., 1922, pp. 43-44.

288

ALCUNI ASPETTI DEL PROBLEMA NAVALE ITALO-FRANCESE

(USM, cart. 3172)

. . . . . . . (1).

La proposta transazionale francese (2) contempla che, sotto l'impegno di una preventiva comunicazione, si possa trasferire una percentuale di tonnellaggio da una categoria ad un'altra. Questo Ufficio ha avuto già occasione di far rilevare che, anche il principio del tonnellaggio globale (già ufficialmente enunciato), con

tiene in sè l'adesione ad ammettere che, per la durata della futura Convenzione, le varie Potenze accettino volontariamente una graduatoria del loro potere marittimo, ciò che implica una gerarchia di Potenze.

Ciò si può accettare verso compensi e solo per la durata della Convenzione. L'Italia potrebbe aderire a rinunciare al principio del tonnellaggio globale alle seguenti condizioni:

far precedere la discussione di tale principio dall'accettazione, da parte delle altre Potenze, del principio della parità con la Potenza continentale più armata. Di più fare una riserva temporanea per quanto ha riferimento alla interdipendenza degli armamenti.

* * *

FRANCIA -Sostiene che la necessità di una Marina più forte è dovuta al possesso di due frontiere marittime, l'una mediterranea, l'altra atlantica.

ITALIA -Tale situazione rappresenta un vantaggio e non un'inferiorità, giacché permette di chiudere nel bacino mediterraneo la eventuale Potenza nemica mediterranea, e di mantenere una preziosa libertà di rifornimento e di movimento, utilizzando l'altra frontiera. Si noti che appunto dall'Oceano provengono le materie prime per il funzionamento del potenziale bellico.

Di più, il possesso di due frontiere marittime, separate da uno stretto, a passaggio obbligato come Gibilterra, rende difficile il blocco di tale Potenza, sulle due fronti così divise.

FRANCIA -Sostiene la necessità, basandola sul possesso di un Impero coloniale. ITALIA -Possiede altresì colonie nel Mediterraneo, nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano. Il compito di difesa di queste è aggravato dal compito di: a) proteggere le linee ove trafficano i piroscafi che debbono arrecare il sostentamento;

b) proteggere le altre linee di comunicazione, battute dalla sua Marina mercantile, la quale oggi è superiore a quella francese, e non ha ausilio di basi e punti di appoggio che per il fatto della loro presenza, rendono minore l'esigenza di un numeroso naviglio di superficie.

Per di più l'Italia deve provvedere a che le materie prime di cui ha assoluto bisogno giungano alle sue coste.

E siccome:

l) i passaggi di Gibilterra e Suez sono in mano inglese,

2) i passaggi dei Dardanelli e Bosforo sono poco utilizzabili, causa la

discrepanza politica tra ,i regimi italiani e russo, l'attitudine malsicura della Turchia e la limitata forza della Grecia; se ne deduce che l'unico mezzo per conseguire una razionale possibilità di rifornimento è il possesso di una Marina tale che, non solo l'averla nemica debba destare serie preoccupazioni, ma che abbia la possibilità di conseguire una efficace padronanza nel Mare Nostrum.

Ciò è avvalorato dal fatto che il rifornimento attraverso i valichi alpini non può materialmente essere sufficiente per i bisogni della Nazione in guerra.

In passato, pilone della nostra politica era una stretta amicizia con l'Inghilterra, amicizia giustificata dal pensiero che Gibilterra e Suez sarebbero state porte aperte per noi. Ma in passato, l'Inghilterra era quasi sovrana del mare, specie se si riferisce al periodo del presviluppo teutonico.

Oggi l'Inghilterra ha di fronte gli Stati Uniti, il cui recentissimo sviluppo costituisce un fatto nuovo e ponderoso; la Russia la cui attività di propaganda antimperialista è specialmente contro l'Inghilterra, e la Germania che si avvia alla riconquista delle posizioni perdute.

Il fattore inglese, quindi deve essere da noi pesato con una bilancia a scala minore.

l) l'idea di assicurare il rifornimento collegando le nostre coste a zone di sorgenti di ricchezza, attraverso le acquE~ territoriali di altri Stati, presume una politica intesa ad unire Italia, Russia, Grecia, di dubbia realizzazione;

2) o un'intesa italo-spagnuola per stabilire una linea Catalogna-BaleariSardegna-Toscana. Queste soluzioni non danno affidamento completo; dunque quale sarà la via di uscita? La risposta più naturale e che pare evidente, è quella di possedere una flotta che costituisca il coefficiente decisivo verso la soluzione stessa.

Per i motivi su esposti non sembra possibile ammettere che tra Marina italiana e quella francese possa esservi una differenza di forza. Gli aspetti demografici, l'evoluzione storica del nostro popolo, i diritti moralmente acquisiti nel gruppo delle grandi Potenze contribuiscono a rendere tale eguaglianza un assioma, e quindi una disuguaglianza inconcepibile e inammissibile.

Una risoluzione che potrebbe avere apparenze allettanti sarebbe quella di sostenere a fondo la dottrina della libertà dei mari, che mira al rispetto della bandiera neutrale, che copre carichi diretti ad un paese belligerante non bloccato in modo effettivo. È evidente che in. tale caso, si potrebbe sempre cercare il tonnellaggio necessario, per far giungere ai nostri porti, le materie prime indispensabili con navi battenti bandiera neutrale.

Ma, quantunque tale principio sia alternativamente evocato e sostenuto dagli Stati Uniti d'America, si ritiene che debba diffidarsi della sua effettiva applicazione in tempo di guerra.

I tentativi ufficiosi fatti per conseguire una reale libertà dei mari si fondono con gli altri che mirano l'abolizione del sottomarino. Ma è appunto la Francia che non ha ratificato la Convenzione di Washington, e che si è opposta all'abolizione di detta arma; anzi essa ha già sviluppato un intero programma di costruzioni.

Vi è da essere scettici sul successo di tali iniziative.

Conviene quindi considerare il problema navale puro e semplice.

I problemi fondamentali che vogliamo raggiungere sono ben noti:

a) parità con la Francia; b) ottenere che il tonnellaggio totale assegnato alla Francia, che noi vogliamo raggiungere, sia rappresentato da una cifra ridotta rispetto allo Statuto

Navale enunciato dalla Francia nel 1924, e che si avvicini assai alla cifra da noi ritenuta indispensabile alla difesa, come conseguenza dello studio strategico geografico del nostro Paese.

Accennando alla parità con la Francia si deve intendere:

a) parità del tonnellaggio complessivo o globale;

b) parità altresì delle singole categorie, nelle quali il naviglio è suddiviso

-o per lo meno che una categoria compensi l'altra (1).

• Politica navale dell'Italia. -Mantenere impregiudicato il diritto, che oggi possediamo in tutto e per tutto, al n one power standard n rispetto alle marine delle Potenze Continentali Europee.

Non possiamo intaccare questo principio e tanto meno abdicarvi, perchè l'Italia è la più vulnerabile tra tutte le Potenze continentali d'Europa agli attacchi dal mare. Essa dipende, in un certo senso anche più dell'Inghilterra (ad esempio per combustibili e materie prime), dalla libertà delle proprie comunicazioni marittime. Queste, costrette a passaggi obbligati e fiancheggiati a breve distanza da basi navali ed aeree di altre Potenze, possono essere facilmente dominate ed interrotte.

Relativitd di forze. -Tale situazione ci impone di tendere al miglioramento del nostro rapporto di relatività di forze rispetto alle altre Potenze, tenendo presente che, se anche raggiungessimo la parità di fatto, saremmo pur sempre in condizioni di precaria inferiorità, dato che gli sbocchi del Mediterraneo sono in mano altrui e altre Potenze sono interposte tra noi e questi sbocchi.

Una relatività di forze basata sulla parità di fatto è meno quindi di quanto potremmogiustamente pretendere in applicazione dell'articolo 8 del Patto della Società delle Nazioni e degli altri obblighi giuridici assunti con i Trattati di Pace e con quello di Locarno...

Procedura. -Esposto il punto di vista del R. Governo -e cioè che esso è disposto a priori ad assumere come limite dei propri armamenti cifre qualsiasi, anche le più basse, purchè non sorpassate da alcun'altra Potenza continentale europea -convenienza di fare una dichiarazione e riserva generale nel senso che l'assentimento dei Delegati italiani a qualsiasi proposta fatta nel corso della Conferenza non dovrà in alcun caso considerarsi definitivo, bensi subordinato all'insieme delle stipulazioni, ed in particolare ai livelli ai quali verranno limitati gli armamenti. In altri termini, impossibilità per noi di pronunciarcidefinitivamente fino a quando non sia stato raggiunto l'accordo sui rapporti di relatività e sulle cifre delle forze....

Statu quo e programmi navali preventivi. -Non raggiungendo l'accordo a Londra, è prevedibile che verrà proposto di impegnarsi almeno a non accrescere gli armamenti, vale a dire si cercherà sotto una forma o l'altra di stabilizzare lo statu quo di oggi o di un prossimo domani a tutto vantaggio dei paesi più armati.

In altri termini si tornerà al progetto transazionale francese, o comun9.ue ad una dichiarazione impegnativa (sia pure soltanto moralmente) dei programmi navall, col risultato di pregiudicare la nostra tesi, precludendoci la possibilità di raggiungere, qualoraimperiose circostanze lo richiedessero, la parità di fatto, quando non venisse addirittura sancita, per tutta la durata della convenzione, la disparità di forze oggi esistente. È questocui tendono le Potenze più armate, ed è in questo che risiede il pericolo maggiore della Conferenza ed il carattere insidioso del suddetto progetto transazionale.

A proposte del genere si potrebbe obiettare che non vogliamo essere obbligati ad intensificare le costruzioni, o comunque dichiarare un programma, che dovrebbe necessariamente avere sufficiente margine per tener conto di possibili imprevisti, nè possiamo stabilire in cifre assolute il nostro fabbisogno, essenzialmente questione di relatività....

Criterio del tonnellaggio globale. -La limitazione in base al solo tonnellaggio globaleè la più semplice e la più equa e può applicarsi a tutte le marine. Tale metodo di limitazione ha importanza capitale per noi, la meno forte tra le grandi Potenze, sotto diversi aspetti, e perciò ad esso converrà tendere quanto più possibile.

Ottenuto il riconoscimento giuridico del diritto -che oggi possediamo indiscusso e per intero -alla parità con la Potenza Continentale Europea più armata, saremmo pure sempre, a meno di una sostanziale riduzione degli armamenti, ancor lontani dalla parità di fatto. E fintanto che questa non sarà raggiunta, e su di un livello che potremmo mantenere senza eccessivo sforzo finanziario, è di importanza precipua per la difesa nazionale che si possa costruire "diversamente " dai possibili avversari, sfruttando a seconda dei casi la possibilità di costruire -con minor spesa -poche unità di potenza nettamente superiore ad un numero considerevole di quelle altrui, oppure -sempre con minore spesa -un numero maggiore di unità più deboli, con le quali potere contemporaneamente attaccare o difendere un maggior numero di obbiettivi di quanti ne possa difendere od attaccare l'avversario con le sue unità più forti. In altri termini, fintanto che non si possaraggiungere l'equipollenza di forze, assicurarci o la superiorità del "tipo " o quella del "numero 11 , onde stabilire un certo compenso. Questo dagli Anglo-Americani è stigmatizzato "competitive building ", ma è ineluttabile necessità di difesa, essendo l'unico mezzo per far correre all'aggressore più forte un certo rischio nell'attaccare il più debole...

Considerazioni finali. -Quanto è stato esposto sopra nei riguardi delle diverse questioni rappresenta piuttosto che il punto di partenza delle trattative, il limite al quale si potrebbe giungere nelle concessioni qualora fosse accolta la nostra pregiudiziale della parità, e dopo la rinunzia definitiva ad ogni tentativo palese o larvato di stabilizzare lo statu quo attuale

o di un prossimo futuro, e alla denuncia di programmi navali preventivi. Se la Francia accettasse questa nostra tesi, sarebbe facile e opportuno accordarsi su ogni altro punto •.

(l) -Cfr. nota al doc. precedente. (2) -Per c proposta transazionale • si intendeva la proposta avanzata dalla Francia nell'aprile 1927 per conciliare la tesi della limitazione navale per categorie e quella basata sul tonnellaggio globale (USM, cart. 3179/5). Sulla proposta transazionale cfr. un doc. s.d. c Osservazioni sull'ordine del giorno ., forse di Ftuspoli: c Il punto fondamentale di questa proposta abilmente mascherato è quello della denuncia del programma di costruzione per il periodo della conferenza [di Londra] e l'impegno di non oltrepassarlo. A questo modo vorrebbero girare la questione della parità. È per noi inaccettabile • (ibid., cart. 3177/2). (l) -Cfr. anche un altro documento dello Stato Maggiore della Marina dal titolo • Conferenza Navale di Londra •, datato 30 dicembre 1929, di cui si pubblicano i brani seguenti:

2 3 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

289

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 7324. Roma, 2 gennaio 1930.

Comunico in copia a V. E. gli acclusi sei telegrammi (l) pervenuti negli ultimi giorni a questo ministero con le più recenti notizie dall'Abissinia.

Dall'esame di essi e dai precedenti telegrammi sullo stesso oggetto si rileva, come anche l'E. V. avrà osservato, che la situazione in varie regioni etiopiche si aggrava e che l'autorità del Negus reggente appare di ben scarsa efficacia.

Richiamo specialmente l'attenzione di V. E. sul numero 8 del telegramma di S. E. Zoli n. 6786 in cui si accenna a una prossima generale sollevazione.

Gradirei conoscere se V. E. non creda opportuno, come sembra a me, di richiamare su tali fatti l'attenzione del R. ministro in Addis Abeba affinchè esprima chiaramente il suo pensiero al riguardo..

Sarò grato a V. E. se, qualora concordi nel mio parere, vorrà a suo tempo comunicarmi la risposta del comm. Cora.

290

PROMEMORIA DEL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 3 gennaio 1930.

Telegramma segreto di V. E. n ...... (2). Ho avuto il 27 e 28 dicembre scorso due colloqui con S. E. Jeftic relativamente all'affare Visconti.

Nel primo gli ho esposto minutamente e con ogni possibile argomento accessorio, quanto V. E. mi aveva dato istruzioni di dirgli. Ho notato un serio disappunto quando dal corso della mia esposizione risultava che V. E. rifiutava un immediato richiamo. Sono allora passato alla proposta conciliativa indicata da

V. E. (il colonnello Visconti al termine del sessennio sarebbe sostituito). Ma S. E. Jeftic non ha accolto favorevolmente neanche tale proposta avvertendomi che fra poche settimane si inizierebbe il processo contro il gruppo di russi arrestati ed a quel momento, poichè sarebbe stato impossibile evitare fosse fatto il nome del colonnello Visconti, questi si sarebbe trovato in posizione insostenibile.

Gli ho subito replicato che quanto mi diceva adesso contrastava con le espressioni del nostro primo colloquio. Egli mi aveva intrattenuto in modo confidenziale ed amichevole e nell'intento di risolvere l'incidente con tale spirito. La nuova circostanza della quale ora mi parlava era in contrasto pieno con tali precedenti a) perchè egli mi aveva assicurato non vi sarebbe alcuno scandalo pubblico e la stampa non avrebbe parlato di alcuna ingerenza del colonnello

nelle malefatte dei russi; b) perchè una soluzione amichevole dell'incidente era una soluzione lenta quale ero autorizzato a proporre, non precipitosa come ora egli chiedeva; c) perchè una soluzione precipitosa implicava anche prove indiscutibili o la ,flagranza, mentre per ora non avevamo che affermazioni autorevoli ma unilaterali, quando d'altro canto l'esame della condotta del colonnello Visconti escludeva egli si fosse mai condotto in modo meno che corretto. S. E. Jeftic ha detto allora che senza richiamare subito il colonnello Visconti, si sarebbe potuto concedergli immediatamente un congedo, che egli si sarebbe potuto trovare dinanzi al rifiuto del ministero della guerra di riceverlo, di altri ufficiali di stringergli la mano. Ne sarebbe derivata anche una situazione generale di diffidenza nociva a tutti.

Ho replicato affermando che l'epoca del processo il governo avrebbe potuto fissarla a suo piacimento, che il rifiuto o meno di ricevere il colonnello Visconti dipendeva unicamente da S. E. Jeftic e dal Governo non da altri o da altro.

Infine Jeftic mi ha detto che egli insisteva perchè l'incidente fosse regolato rapidamente. Pochi ancora erano informati dei colloqui che avevamo avuto, il primo a saperli era Re Alessandro, ma facilmente la voce si sarebbe diffusa. Quanto alle prove della scorrettezza di Visconti mi pregava tornare all'indomani e me le avrebbe fornite.

Tornato all'indomani da S. E. Jeftic mi ha detto che fra i russi arrestati l'ing. Zviet aveva confessato immediatamente di essere da molti mesi in rapporti col colonnello Visconti col quale aveva avuto numerosi convegni sia nella sua casa sia fuori e dal quale aveva percepito da 40 a 50 mila dinari.

Ho mostrato molto stupore, ho asserito avrei sottoposto a reciso interrogatorio il colonnello Visconti e siamo rimasti di intesa che avrei esposto a V. E. quanto precede per averne nuove istruzioni. Gli avrei riferito il tenore di esse qui a Roma dove egli giungerà il 4 corrente con S.A.R. il principe Paolo di Jugoslavia. Gli facevo richiesta dal canto mio di giungere a Roma con i propositi più concilianti.

Resto ora in attesa delle istruzioni di V. E.

(l) -Non si pubblicano. (2) -Manca il numero.
291

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 28/21. Vienna, 3 gennaio 1930.

Seipel è venuto a farmi visita per gli auguri di Capo d'Anno. Si è mostrato molto lieto del miglioramento dei rapporti tra i nostri due paesi. Quantunque si sia trattenuto con me abbastanza, ha evitato qualunque accenno al suo ritorno nella vita politica e alle polemiche cui esso dà luogo: ho riferito in proposito con qualche telespresso, ma mi riservo tornare su questa materia quando avrò maggiori elementi di giudizio. Due soli accenni politici mi ha fatto. Il primo, di politica interna, per smentirmi il suo asserito colloquio con l'ex Imperatrice Zita in Lussemburgo (mio odierno telespresso n. 19).

L'altro, di politica estera, per affermare che se Schober ha potuto parlare

energicamente ai tirolesi circa le relazioni itala-austriache e se essi si sono mo

strati docili, ciò è dipeso dall'opera svolta in nostro favore dalle Heimwehren e specialmente dal loro capo Steidle che, come è noto, è di Innsbruck: se nel tempo in cui egli era stato cancelliere non aveva avuto la possibilità di parlare con la stessa chiarezza ed energia ai tirolesi, ciò era dipeso dal fatto che le Heimwehren non avevano ancora allora raggiunto la forza ed il prestigio conseguiti in seguito. Ciò conferma indirettamente quanto ho riferito a V. E. con il mio rapporto n. 22 (l) circa la diversità di contegno fra Schober e Seipel verso tirolesi nei riguardi dei rapporti italo-austriaci, benché dia a tale diversità una differente ragione.

Pur non negando la benefica influenza che le nostre buone relazioni con le Heimwehren e il loro prestigio in Tirolo hanno potuto avere per il miglioramento della nostra situazione, non solo, iin genere, in Austria, ma anche, in specie, in quella provincia, nulla ho da modificare su quanto ho riferito con il rapporto succitato circa i motivi del contegno di Seipel relativamente all'Alto Adige.

292

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 29/22. Vienna, 3 gennaio 1930.

Quando l'anno scorso, dopo la mia lunga assenza da Vienna in seguito al discorso di Seipel nella camera austriaca, tornai in sede dissi al cancelliere che, s'egli voleva adoperarsi a un effettivo miglioramento nei rapporti fra i nostri due paesi, occorreva parlare chiaro e fermo ai tirolesi (2). Seipel, che è altrettanto loquace nelle sue pubbliche conferenze quanto è laconico nei privati colloqui, non mi dette alcuna precisa risposta, e si limitò a un vago cenno del capo che poteva essere considerato piuttosto come assenso di cortesia che non di promessa. Ebbi occasione di tornare con lui altre volte sull'argomento ma l'accoglienza non fu molto dissimile, e non mi risultò che egli si fosse mai deciso a prendere al riguardo il netto atteggiamento da me chiestogli. Essendomi lamentato più volte con il segretario generale del dipartimento degli esteri, questi pur affermandomi genericamente che Seipel si adoperava secondo i miei desideri, mi obbiettava sempre le difficoltà della instabile situazione parlamentare che gli impedivano un troppo reciso contegno. Alla solidità di una tale giustificazione io non ho prestato mai fede, e gli argomenti che mi si esponevano nella cancelleria federale contro la mia convinzione non avevano mai valso a infirmarla. Le difficoltà parlamentari di Seipel erano innegabili,. ma esse non gli derivavano dalla sua variopinta maggioranza bensì dalla omogeneità, compattezza e forza di una numerosa minoranza socialista. Era appunto tale forza che rendeva facile a Seipel mantenere la disciplina nei tre partiti della sua maggioranza, giacchè, non avendo nessuno di essi il coraggio di passare dalla parte dei socialisti ed assumere con loro un governo mediante un compromesso nel quale quelli si sarebbero attribuita la parte del leone, non osavano rifiutarsi di obbedire a Seipel e prendersi la

responsabilità delle conseguenze. Un suo linguaggio energico quindi con i deputati tirolesi non gli avrebbe di certo fatto correre il rischio di perdere i voti di questi ultimi, i quali erano i più decisi avversari dei socialisti; tanto più ch'essi non potevano non essere convinti -e l'incidente così dannoso per l'Austria seguito al discorso parlamentare di Seipel ne aveva dato la prova -che, fuori di qualche demagogica orazione, nulla di utile per la loro causa poteva da loro esser fatto contro di noi. La ragione vera della indifferenza, se non voglia anche dirsi mala volontà, di Seipel era secondo me un'altra e cioè che, pur tra riserve e entro certi limiti, egli era convinto della bontà della causa dei suoi tirolesi, e che, parteggiando per essi nel fondo del suo animo, gli ripugnava un contegno contrario alle convinzioni della sua coscienza; tutto ciò senza voler negare in lui nè la simpatia per l'Italia nè l'ammirazione per il Duce. Io non posso dimenticare una conferenza di Seipel quattro anni fa circa, quando egli non era al potere, tenuto da Ramek, e alla quale assistetti. Era una delle consuete conferenze alla germanica, molto teoriche e alquanto nebulose di cui monsignor Seipel parecchio si diletta, su un argomento di pacificazione dei popoli. N el corso di tale conferenza l'oratore parlò anche di una pacificazione dei nostri due paesi e manifestandone, se ricordo bene, più che la speranza la convinzione, mostrò riporla nella nostra cessione volontaria, in una parte imprecisata della presente frontiera, di un qualche piccolo pezzo di territorio: • ein Stuckchen • come lo chiamava, modestamente per sua bontà, il nostro monsignore; la parola mi è da allora rimasta impressa.

Quando or sono tre mesi Schober venne al potere, manifestai a V. E. le mie speranze in un miglioramento di rapporti. Me ne affidava la differenza di carattere tra i due cancellieri -Schober è più tipo di austriaco accomodante mentre Seipel di tedesco intransigente -; me ne affidavano altresì il modo con cui Schober mi aveva sempre parlato dell'Italia, le sue costanti prove di amicizia date alla R. legazione, e l'accoglienza entusiastica da lui fatta all'invio, per mia proposta, di una fotografia dedicata e firmata di S. E. il Capo del Governo (l) e di una cospicua elargizione per opere di beneficenza a favore di questa polizia; me ne affidavano infine il suo programma di ricostituzione dell'autorità del governo che doveva portarlo, nelle inevitabili diffidenze e opposizioni di altri stati, a piegare un po' dalla nostra parte, nonchè, ultimi di certo per importanza, i nostri cordialissimi rapporti personali in questi miei anni di residenza a Vienna. Le mie speranze erano allora alquanto maggiori che non riferissi a V. E., ma considerai prudente dire meno ch'io non credessi perchè stimavo preferibile, entro certi limiti, che gli avvenimenti mi provassero d'aver peccato per difetto piuttosto che per eccesso. Il mio primo colloquio con il cancelliere mi mostrò ch'io non avevo errato, non solo nelle mie manifestate previsioni ma neanche nelle mie celate speranze. Schober mi parlò con una chiarezza e precisione che invano io avevo atteso da Seipel: l'Alto Adige era questione sulla quale i tirolesi dovevano decidersi a fare una croce; non essere ammissibili manifestazioni di irredentismo e in genere di atteggiamento anti-italiano nelle autorità del Tirolo; essere egli deciso a esprimersi come si conveniva con i tirolesi, gente dura con la quale valgono soltanto le parole nette e forti, e a far loro comprendere

come noi fossimo dalla parte del diritto e com'egli fosse deciso a far tenere dagli altri verso di noi il contegno che ci era dovuto. Nè queste manifestazioni di Schober, che a me non abituato a udir parlare in tal modo Cancellieri austriaci parevano cosi straordinarie da considerarle quasi incredibili, rimasero puramente verbali. Prima delle sue dichiarazioni pubbliche nella Camera Schober parlò con i deputati tirolesi, e parlò loro nella riunione segreta della Commissione Principale Parlamentare, ed ha parlato più di una volta con il Capitano Provinciale del Tirolo che la recente perdita della moglie sembra abbia reso meno insofferente di ammonimenti. Nessuno si è ribellato, nessuno lo ha contrastato; e se ciò è dipeso innanzi tutto dalla energica e rigida politica del R. Governo e dalla convinzione in essi che un prolungarsi del precedente stato di cose non serviva a mutare in nulla la nostra condotta e manteneva l'Austria in una situazione economicamente e anche politicamente dannosa, non può negarsi vi abbiano anche contribuito il contegno e l'autorità del Cancelliere. Io ne sento i favorevoli effetti anche nelle mie relazioni con il Segretario Generale del Dipartimento degli Affari Esteri. Quando finora andavo da lui a reclamare per qualche manifestazione anti-italiana, il signor Peter, preso fra l'incudine delle agitazioni tirolesi e il martello delle mie proteste, privo di autorità sufficiente per risolvere da sè la questione e privo dell'appoggio del Cancelliere per integrare con quella di Seipel, o anche di Streeruwitz, le deficienze della propria, cominciava a dimenarsi sulla sua poltrona come se sedesse su chiodi e cercava cavarsi d'impaccio ora aggrappandosi agli uncini dei cavilli ora ricorrendo alla commozione degli affetti. Adesso le cose sono parecchio mutate: il signor Peter non tenta più provarmi con l'ostinazione di prima che due e due fanno ventidue o di invocare la debolezza del governo centrale e la piccolezza dell'Austria; rimane seduto comodamente sulla poltrona, discorre senza agitazioni e fa ogni più gradevole promessa.

Io non mi illudo che non vi saranno più manifestazioni anti-italiane in Tirolo, e non vi saranno più ragioni per interventi e fors'anche proteste della R. Legazione; che anzi, se le nostre relazioni eontinueranno com'è sperabile a migliorare, considero assai probabile si accompagnino con esse, specie nei primi tempi, maggiori agitazioni dei mestatori tirolesi. Non bisogna dimenticare che anche quando l'Austria era più forte di noi, Innsbruck rappresentava il centro di maggiore avversione all'Italia; che il Tirolo ha subìto un gravissimo danno economico con la perdita dell'Alto Adige; che infine parecchi tirolesi traggono dai fondi raccolti per la campagna anti-italiana i mezzi alla propria sussistenza. Tuttavia l'importante è per ora che il contegno e l'azione del governo centrale mutino, e che esso, invece di mostrare una passività la quale, se pur non vuol essere, può apparire condiscendenza approvazione e anche compartecipazione, non solo separi la propria responsabilità da quella degli agitatori, ma agisca per mantenere questa entro i limiti stabiliti dalle leggi e dalle consuetudini internazionali, e faccia in genere quanto può per cercare di ottenere che un'atmosfera meno sfavorevole per noi succeda a quella che v'è stata sino adesso in Tirolo contro l'Italia. Ciò appare attualmente tanto più importante in quanto la riforma costituzionale, testè realizzata, ha aumentato competenza e prestigio del governo centrale in confronto a quelli delle provincie; e in quanto, com'è noto, l'opinione pubblica austriaca si dimostra oggi in genere favorevole ad un ulteriore sviluppo di tale competenza e di tale prestigio, se anche in misura meno ampia di quella

chiesta dalle • Heimwehren •. Finora mi sembra possa affermarsi che ciò avviene, e se specialmente Schober rimarrà al potere per tempo non troppo breve e questa sua azione di governo si consoliderà e passerà dal centro alla periferia è da sperare che anche il giorno della nomina di un nuovo Cancelliere non tutti i frutti saranno perduti.

Questò-è quello che mi sembra noi possiamo per ora ragionevolmente desiderare. Se in un avvenire più o meno prossimo la situazione politica nell'Europa centrale ci portasse a stringere più saldi vincoli con l'Austria, anche l'atteggiamento del Tirolo dovrebbe sentirne, sia pure attutiti, i favorevoli effetti nei nostri riguardi. Ma in ogni caso un più sensibile miglioramento potrà solo aversi con il tempo; e cioè quando cosi in Tirolo come in Alto Adige sarà diventata adulta la generazione nata dopo la guerra.

Da parte nostra sarà bene tener presente quanto il signor Peter mi riferiva avergli di recente confidato un agitatore tirolese, e cioè che qualunque nostra manifestazione possa essere usata in Tirolo per mantenervi acceso l'odio contro di noi e serbare viva la campagna, vi è accolta con particolare gioia, come il mezzo più acconcio, in quanto offerto da noi stessi, per evitare che la stanchezza e l'oblio dei Tirolesi scendano sulla regione dell'Alto Adige.

Ad effettuare la ricostituzione del carattere italiano di quella provincia molto valgono le nostre opere di natura scolastica ed i nostri provvedimenti per i suoi progressi economici, compiendo le une azione di propaganda morale e gli altri di propaganda materiale. Potrebbe esaminarsi se non converrebbe moderare alcune pubbliche manifestazioni, quali discorsi telegrammi ecc., per celebrare programmi compiuti o da compiere, le quali non sono necessarie a provare l'esistenza e l'esercizio dei nostri incontestabili diritti in quella provincia d'Italia e sono le più facili a essere ritorte dai nostri nemici a danno nostro. Ma anche un'altra possibilità credo converrebbe esaminare, e io stimo doverla esporre perchè mi sembra possa avere qualche interesse per il R. Governo conoscere l'opinione di chi come me guarda all'Alto Adige dallo Stato al quale esso rimase annesso per lungo tempo e nel quale egli vive da molto. Se le classi umili degli allogeni possono essere guadagnate con opere di cultura, d'assistenza e con benefici economici, quelle superiori, oltre che con questi ultimi mezzi, dovrebbero essere guadagnate con altri. Fra questi mi limito ad indicare quello, che stimo di grande efficacia morale, dell'invio di un Principe della Real Casa a prendere dimora a Bolzano. La regalità, e ciò che con essa si accompagna di pompe e manifestazioni esteriori, ha tuttora un grande fascino su queste popolazioni, specie fra le classi colte. Nulla di simile potrebbe più offrire alla aristocrazia e alla borghesia allogena d'Alto Adige la piccola repubblica austriaca e nemmeno il grande « Reich • germanico. Un Augusto Membro della vecchia e gloriosa Casa Savoia, che vivesse colà e con udienze e ricevimenti s'adoperasse ad attrarre a sè i rappresentanti più notevoli di quelle classi lusingando in tal modo il loro amor proprio, non potrebbe non svolgere nei loro riguardi la migliore opera di propaganda nazionale e di riaffermazione dell'italianità di quella nostra provincia. V. E. mi perdonerà d'aver ardito toccare argomenti che non devono riguardarmi e presentare proposte che nessuno mi ha chiesto; valga a scusarmene il motivo che è, tutto e solo, quello dell'amore per la Patria e della devozione al Regime.

(l) -Cfr. n. 292. (2) -Cfr. Serie VII, vol. VI, n. 459.

(l) Cfr. p. 60, nota l.

293

MEMORANDUM DEL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND, PER L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI (l)

Parigi, 3 gennaio 1930.

l) Le Gouvernement français a été heureux de constater qu'un accord existe entre le Gouvernement italien et lui sur le principe essentiel de l'interdépendance des armements et sur les conséquences qui en résultent en ce qui concerne l'entrée en vigueur d'une Convention sur les armements navals; il constate également avec satisfaction que le Gouvernement italien, comme lui-meme, ne croit pas pouvoir se lier définitivement à un système de limitation d'armements navals aussi longtemps que n'aura pas été obtenue l'adhésion des Puissances navales qui ne seront pas représentées à Londres.

2) Des possibilités d'entente paraissent également exister en ce qui concerne la méthode de limitation à adopter; le Gouvernement italien, comme le Gouvernement français, préfèrent la limitation par le tonnage global, mais n'excluant pas, éventuellement, une solution transaetionnelle.

3) Le Gouvernement français regrette que le Gouvernement italien croie devoir ajourner jusqu'à la conclusion d'tm traité d'arbitrage et d'amitié francoitalien et au règlement, inséparable de ee traité, des questions pendantes entre les deux pays son adhésion au principe d'un pacte de non agression et de garantie mutuelle, conclu dans le cadre de la Société des Nations, entre Puissances méditerranéennes.

Il regretterait, d'autre part.. qu'il apparut impossible de conclure entre Puissances méditerranéennes un accord tel que celui qu'il envisageait et qui permettrait une réduction du tonnage nécessaire pour faire face aux besoins auxquels les différentes marines doivent etre en mesure de satisfaire en Méditerranée.

4) Le Gouvernement italien considère que la proposition française destinée à écarter entre les deux pays toute question de prestige et de hiérarchie de marines est de nature à encourager la rivalité des armements en amenant les Puissances à déclarer et à appliquer des programmes maxima pour se garantir contre toute éventualité imprévue. L'objet de la proposition française était, au contraire de garantir mutuellement les marines contre • l'imprévu • en les mettant dans l'obligation de déclarer leurs intentions avant la signature de la Convention. En revanche, la proposition italienne, qui dispense les marines d'indiquer meme le tonnage global qu'elles entendent effectivement construire pendant la durée de la Convention, risque précisément de les piacer devant ces situations imprévues.

5) Le Gouvernement français, ne pouvant perdre de vue que, en raison

meme de la situation géographique de la Prance sa marine doit etre répartie sur plusieurs mers, persiste à penser que, lorsqu'il s'agit de flottes ayant à faire face à des besoins profondément di:fférents, un principe abstrait, camme celui de la parité, ne saumit fournir les bases d'une solution équitable. Il veut cependant

exp1·imer t'espoir que, si la conversation se poursuivait, non sur des questions de principe mais sur des problèmes concrets, une entente serait réalisable. Il se réjouirait sincèrement d'un tel résultat qui rendrait possible la coopération efficace des deux délégations à la prochaine conférence (1).

(l) Risponde al n. 261, allegato.

294

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI (2)

T. 18/4. Roma, 4 gennaio 1930, ore 24.

Buti telegrafa dall'Aja (3) quanto segue:

• Buroff che ho incontrato ieri in treno e che veniva da Bruxelles dove si era fermato per conferire con Ministri Belgi ha detto che teneva ad informarmi che nell'ultima intervista con Tardieu si era messo di accordo anche con lui sulla cifra di 11 milioni. Di ciò si era affrettato ad informare R. Governo a mezzo Legazione Bulgaria a Roma. Restavano ancora le due difficoltà delle forniture in natura e delle questioni particolari con Romania. Cifra 11 milioni è quella di cui miei ultimi telegrammi da Parigi •.

Se Bulgaria otterrà questa riduzione ciò devesi quasi esclusivamente azione svolta dall'Italia presso Governi francese e inglese. Lo dica chiaramente costì

(3~ Dopo quella dell'agosto 1929 si tenne all'Aja, dal 3 al 20 gennaio 1930, una seconda conferenza per la sistemazione definitiva del piano Young con particolare riferimento alle riparazioni orientali. Si pubblicano qui alcuni passi di una lunga relazione di Pirelli, membro della delegazione italiana alla conferenza:

• Alcuni degli Stati minori interessati alle riparazioni orientali, sono anche creditori di riparazioni germaniche, ed avevano notato che, mentre il Trattato di Versailles non fa discriminazioni fra i creditori nell'istituire il principio della corresponsabilità della Germania nelle riparazioni orientali, nel Piano Young questo principio gioca a favore soltanto dell'Italia, giustificando l'aumento di quota rispetto al 10 % di Spa e l'attribuzione al nostro Paese di un saldo in più sulla copertura dei debiti di guerra.

Tali Stati minori avevano quindi buon gioco a subordinare la propria adesione al Piano Young ad una soddisfacente sistemazione delle riparazioni orientali, ma erano ridotti a dare lo spettacolo di interminabili litigi per la spartizione delle cifre irrisorie a cui necessariamente si riducevano queste ultime.

Se nel Comitato degli Esperti a Parigi fosse stata applicata in modo rigoroso la percentuale di Spa, nei confronti dell'Italia, anche la nostra Delegazione si sarebbe veduta costretta all'Aja ad accomunarsi alla schiera petulante e talvolta persino rissosa dei creditori minori.

Una tale situazione avrebbe reso ancor più difficile all'Italia di praticare, come era desiderabile per ragioni politiche, una sensibile indulgenza nei confronti dell'Austria e della Bulgaria e un pieno appoggio alle rivendicazioni ungheresi.

Soltanto il fatto di avere ottenuto in seno al Comitato degli Esperti a Parigi, non solo la piena copertura dei suoi debiti, ma anche un saldo netto sulla annualità germanicaindifferibile per un ammontare di 42 milioni superiore a quello che, nella migliore delle ipotesi, l'Italia avrebbe potuto ottenere dalla sua quota di diritto sulle riparazioni orientali, ha permesso all'Italia di separarsi all'Aja dai creditori minori e sedere nel gruppo delle Grandi Potenze che fungeva da arbitro fra i minori Stati creditori e debitori ed in nome di superiori interessi europei largiva anche compensi per appianare gli ostacoli...

S. E. Mosconi ha avuto ringraziamenti calorosi dal Cancelliere Schober, dal Signor Buroff e dal Signor Venizelos. Anche la Grecia infatti ebbe dall'Italia pieno appoggio e godette di altrui sacrifici, modesti per chi li faceva, ma importanti per la Grecia, riuscendo questa, nel complesso dei vantaggi ottenuti, ad elevare la sua percentuale sulle riparazioni orientali...

Le due grosse questioni furono: -le riparazioni ungheresi, con la connessa questione dei cosiddetti optanti e -la questione cecoslovacca... La Delegazione Ungherese fu tenace ed abile. Certo essa sapeva di poter contare

sull'appoggio italiano e sfruttò in pieno tale situazione... La Delegazione italiana le diede appoggio incondizionato anche nei momenti più difficili e la gratitudine testimoniata da tutta la Delegazione ungherese e segnatamente dal

prima che Buroff faccia apparire il contrario. A tal proposito debbo rilevare che malgrado miei telegrammi precedenti (l) nessun'eco si è avuta finora nella stampa bulgara circa azione svolta dai nostri Delegati Parigi in favore della Bulgaria. Ciò mi meraviglia. Non bisogna perdere tempo in queste cose.

(l) -L'addetto navale a Parigi, capitano di vascello Radicati di Marmorito, riteneva che dal memorandum risultasse che le trattative per un accordo preliminare itala-francese non avevano fino allora portato ad alcun risultato (R. rr. del 6 gennaio 1930, USM, cart. 3177/7). (2) -Autografo.
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. RR. 524. Roma, 4 gennaio 1930.

Oggi sono venuto a conoscenza che la Santa Sede sta per inviare a tutti i Vescovi d'Italia una circolare segreta, allo scopo di chiedere di voler esprimere chiaramente il loro pensiero sul modo con cui da parte Governativa si è attuato il Concordato con la Santa Sede nelle singole Diocesi, invitandoli ad esporre tutte le difficoltà e gli ostacoli incontrati in questo primo periodo di Regime Concordatario.

La portata di questa Circolare si desume dal Questionario dettagliato, che doveva accompagnarla e che toccava punti assai delicati, come l'Azione Cattolica, l'educazione religiosa dei Balilla, la sorveglianza politica esercitata sul Clero, la stampa, il matrimonio, ecc. Per il momento sarà trasmessa solamente la Circo-

Conte Bethlen a S. E. Mosconi, non lascia dubbio sul loro apprezzamento del valore di tale appoggio. Cionondimeno la Delegazione italiana procurò di partecipare alla ricerca di soluzioni transazionali ed anche di apportarvi alcuni contributi concreti che le guadagnarono la manifesta riconoscenza anche della Piccola Intesa. Col mantenere così la sua azione ad un livello superiore a quello delle singole parti contendenti, la Delegazione italiana ebbe l'autorevolezza che occorreva per contribuire a mantenere anche nei momenti difficili, quel fronte unico tra Grandi Potenze, e segnatamente tra Francia e Italia, che essa era stata prima a reclamare.

Infatti, fino dal primo giorno la Delegazione italiana prendeva contatto con la Delegazione francese ed essendo stato nominato il Signor Loucheur Presidente della Commissione per le riparazioni orientali, Pirelli gli espresse subito, in un discorso confidenziale, la speranza di una intima collaborazione per risolvere il difficile problema, dicendogli: "evitiamo che una vittoria dell'Ungheria sia chiamata una vittoria italiana, o una vittoria della Piccola Intesa, vittoria francese". Naturalmente, la Delegazione italiana era, in pectore,ben salda nella sua intenzione di appoggiare a fondo l'Ungheria.

Loucheur riferì poco dopo a Pirelli di essere autorizzato da Tardieu e Briand a comunicare a S. E. Mosconi il desiderio francese di marciare assolutamente d'accordo, al fine di dominare la situazione.

È giusto riconoscere che, se la Delegazione inglese fu la più salda nel mantenere coll'Italia il fronte unico, e in nome della solidarietà intervenne validamente nel momento critico che ora dirò, anche la Delegazione francese ha dato risalto durante tutto il negoziato a tale collaborazione, benchè i suoi contatti fossero naturalmente più frequenti con la Piccola Intesa, mentre i nostri erano più frequenti con l'Ungheria.

Solamente il 17 di gennaio si ebbe una difficoltà tra la Delegazione italiana e la Delegazione francese: Loucheur i giorni 15 e 16 ci aveva dato l'impressione di disperare che si giungesse ad un accordo o forse di capire che ad un accordo non si potesse giungere se non facendo all'Ungheria concessioni che sarebbero apparse come una vittoria italiana.

Fu allora suggerita dalla Delegazione francese una formula che riservava tutto il problema delle riparazioni ungheresi compresa la questione degli optanti, impegnando le Grandi Potenze a risollevare davanti alla Commissione delle Riparazioni la questione del prolungamento delle riparazioni ungheresi dopo il 1943, e pregiudicando in certo modo la questione a danno dell'Ungheria. La reazione della Delegazione italiana fu assai energica sia. i~ conversazioni private, sia nella riunione dei delegati delle cinque Potenze creditrici e mv1tanti, e questo fu l'unico urto tra francesi e italiani durante tutta la Conferenza.

II Cancelliere dello Scacchiere, che aveva promesso il proprio appoggio alla Delega

zione italiana in seguito anche agli accordi di cui al capitolo II, 2 della presente relazione,

appoggiò la tesi della Delegazione italiana, con qualche malumore di Tardieu ».

Gli accordi italo-inglesi cui alludeva Pirelli si riferivano alla modificazione delle date di pagamento del debito di guerra italiano verso la Gran Bretagna. Sulla questione della Cecoslovacchia, quale fu trattata alla conferenza dell'Aja, cfr

n. 313.

lare, che ha carattere più generico; il Questionario sembra possa eventualmente seguire soltanto in un secondo tempo. Di tutto questo mi affretto ad informarti anche perchè, ove tu lo creda, possa portarlo a conoscenza di S. E. il Capo del Governo (1).

(l) Cfr. n. 229; e anche il telegramma di Piacentini edito al n. 240.

296

IL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI (2), AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. R. 73/5. L'Aja, 5 gennaio 1930, ore 20,40 (per. ore 23,40).

Ieri sera venne farmi visita cancelliere austriaco Schober. Anzi tutto espresse gratitudine per appoggio fino ad ora datogli e desiderio che questo continui durante conferenza. Lo assicurai che nei limiti del possibile lo avrei fatto. Mi incaricò poi far conoscere suo proposito far visita a V. E. a fine consolidare e aumentare cordialità attuali rapporti. Egli sarebbe stato lieto che visita avvenisse anche durante la presenza costì S. E. ministro degli affari esteri ma teme ciò sia ostacolato prossime riunioni Ginevra e Londra poichè sarebbe suo vivissimo desiderio effettuare visita costì subito dopo riuscita questa Conferenza Aja e mi pregò manifestare tale desiderio a V. E. affine di conoscerne intendimenti. Schober mi fece inoltre comunicazioni di carattere confidenziale. Governo inglese e francese lo richiesero dichiarazione in forma ufficiale, accontentandosi poi forma privata, circa intendimenti suo Governo relativamente organizzazioni militari di partito in rapporto osservanza trattati. Schober si limitò rispondere che obblighi derivanti trattati saranno rispettati. Da ultimo egli si compiacque cordialità nostro colloquio, manifestando desiderio che anche nel seguito della conferenza continuassero frequenti cordiali contatti con me. A ciò naturalmente aderii di buon grado. Mi disse infine che intendeva opporre rifiuto qualsiasi richiesta pagamento pretesi crediti Cecoslovacchia.

297

IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 72/4. Sofia, 6 gennaio 1930, ore 22 (per. ore 1,10 del 7).

Telegramma di V. E. 18/4 (3).

Anche per conforme parere autorevoli amici Bulgaria e influenti personalità stampa non si era sino ad ora creduto nè opportuno nè utile dare ulteriore pubblicità alla già conosciuta notizia dell'appoggio italiano nella questione delle riparazioni, visto che tale appoggio non aveva ancora avuto ragione della intransigenza francese cui era associata Inghilterra e visto, come risulta da tutti i telegrammi di V. E. e di Buti, che i desiderata bulgari non erano stati positivamente specificati in nessun punto. Cifra undici milioni infatti di cui telegramma

di V. E. n. 4 era stata citata una sola volta ma soltanto come impressione personale di Buti. Conoscendo questa opinione pubblica, conseguenza del nuovo generico appoggio Italia senza concreto successo di fronte Francia e Inghilterra sarebbe stata, anche mercè interessate e tendenziose interpretazioni degli avversari, giudicata come prova di inefficacità della nostra azione. Non si è quindi trattato di perdita di tempo bensì di attesa del tempo opportuno. Non appena ricevuta infatti prima notizia di un preciso successo, telegramma di V. E. n. 4, questa Legazione ha immediatamente provveduto diffonderla in modo inequivocabile nei riguardi dell'azione decisiva dell'Italia. Seguono commenti stampa con mio telegramma n. 5 in chiaro (1).

(l) -Annotazione marginale: « A S. E. il Capo del Governo ». (2) -Mosconi guidava la delegazione alla conferenza dell'Aja. (3) -Cfr. n. 294.
298

PROMEMORIA DEL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 6 gennaio 1930.

Conforme autorizzazione ed istruzioni di V. E. ho conferito il 5 corrente all'Albergo degli Ambasciatori con S. E. Jeftic (2) a proposito della questione Visconti.

Gli ho confermato quanto dettogli a Belgrado che cioè una partenza immediata del Colonnello Visconti contrastava con le premesse dalle quali egli era partito nell'intrattenermene la prima volta, che anche ammesso, in azzardata ipotesi, egli avesse agito non correttamente (ciò che malgrado le prove datemi potevasi del resto discutere ma non era il caso di entrare in simili dettagli) egli non aveva fatto niente di diverso da quanto ci risultava facessero anche funzionari jugoslavi verso di noi. Non si trattava qui tanto del Colonnello Visconti quanto dell'Addetto Militare italiano, del rappresentante dell'Esercito Italiano a Belgrado. Se S. E. Jeftic faceva una quesione di amor proprio nel chiederne la partenza immediata, uguale ne facevamo noi perchè la partenza avvenisse al termine del sessennio che scadeva poi al 6 marzo. Jeftic aveva dato risposta soddisfacente nella sostanza, quanto al modo e forma non comprendevo le sue insistenze, lo esortavo anzi nell'interesse comune a non farne. Il pensiero mi suggeriva a quel momento e lo avrei proposto a V. E. di chiedere nei prossimi giorni il gradimento per il nuovo addetto militare. Il Colonnello Visconti avrebbe poi regolato le sue consegne e la liquidazione della sua gestione in modo da partire nei primi giorni di marzo o negli ultimi di febbraio.

Ogni inconveniente temuto da S. E. Jeftic (difficoltà di permanenza del

Colonnello durante il processo dei russi, situazione difficile verso il Ministro

della Guerra, ecc. ecc.) sarebbesi verificato solo se il Governo jugoslavo lo

volesse o no. Il processo poteva farsi fra due settimane o fra due anni quando

Belgrado lo volesse.

La conclusione di questo punto del nostro colloquio è stata da parte di

Jeftic che non aveva importanza che Visconti partisse fra tre o quattro settimane,

che tornando a Belgrado avrebbe parlato per il rinvio del processo.

Ho la impressione che dopo il colloquio con V. E. (l) Jeftic non insisterà più per la immediata partenza del Colonnello Visconti. Occorrerà però chiedere in breve tempo il gradimento del nuovo addetto militare, qualora V. E. approvi il mio suggerimento.

Mi sia consentito a tale punto attirare l'attenzione sulla persona del Colonnello Visconti. Non è dubbio come detto già da Belgrado, che egli abbia ben meritato dal nostro paese in questi sei anni, che ha reso indiscutibili preziosi servizi, che ha mostrato non comuni qualità anche politiche. Stimo che se una parola di V. E. raccomandasse al Ministero della Guerra di tenere conto di questi suoi precedenti al fine di utilizzare tutte le sue esimie qualità o nello stesso settore, od in campo analogo a quello nel quale egli ha operato fin qui, essa non sarebbe male spesa, ed il rendimento intero di questo egregio ufficiale sarebbe assicurato al servizio dello Stato, ben meglio che se egli rientrasse nella unica attività militare sia pure con comando in tutto pari ai suoi meriti puramente militari.

La seconda parte del colloquio con Jeftic ha toccato il problema generale delle relazioni itala-jugoslave. Gli ho detto che avevo avuto un lungo colloquio con V. E. Mi era stato consentito esporre con ogni larghezza e comodità la situazione, soprattutto avevo insistito perchè la stampa e non solo della capitale, ma anche della provincia e specialmente di determinate tendenze politiche, cessasse dall'attitudine che aveva tenuto fin qui, e che del resto corrispondeva interamente alla irritante astiosa aggressività della jugoslava. Avevo trovato in

V. E. benevolo ascolto, ed affidamenti così incoraggianti, che era lecita in me la speranza si potesse eliminare dai rapporti dei due paesi quella atmosfera pesante che rendeva difficile lo sviluppo delle relazioni quotidiane, acri gli incidenti, dure le discussioni.

Poichè tale disposizione di V. E. corrispondeva a quella di S. E. Jeftic ritenevo che ove vi fosse stato un colloquio fra lui e V. E. esso avrebbe giovato a fissare probabilmente l'inizio di un periodo di alleggerimento dell'atmosfera politica che potevo ritenere fosse nelle intenzioni comuni.

S. E. Jeftic dettomi che giungendo a Roma pensava si sarebbe incontrato con V. E. ha risposto che accoglieva volentieri la mia proposta, e sulla sua responsabilità personale accettava mi incaricassi di fissare un colloquio.

Ho concluso con S. E. Jeftic che evidentemente dalla conclusione di quanto si riferiva alla questione Visconti e da quelle che deriverebbero dal colloquio con V. E. si doveva stabilire questo minimo di conclusioni:

a) il Colonnello Visconti partirebbe da Belgrado con ogni riguardo ed onore. Ogni scandalo pubblico doveva essere evitato, la stampa non avrebbe mai fatto cenno del processo.

b) La vigilanza opprimente della polizia sulla Legazione a Belgrado sul personale diplomatico e consolare in Jugoslavia doveva cessare assolutamente. Non dovevano essere fatte intimidazioni poliziesche a nessuno perchè cessasse dal frequentare i funzionari diplomatici e consolari.

c) Ogni campagna di stampa doveva cessare in Jugoslavia sia nei giornali della capitale che della provincia. Evidentemente l'esame sereno e spassionato della situazione reciproca doveva poter continuare.

Ho parlato analogamente col Prineipe Paolo di Jugoslavia, aggiungendo che se si fosse potuto ottenere una migliore atmosfera fra i due Paesi sarebbe già un risultato. Quanto ad altri maggiori risultati aggiungevo a titolo personale, che fin quando la nostra opinione pubblica fosse persuasa che la Jugoslavia era una base francese contro di noi, sarebbe stato difficile raggiungerne.

Il Principe mi ha risposto che egli poteva assicurarmi formalmente che Re Alessandro il Generale Zivcovich Jeftic erano assolutamente di questa opinione (ottenere migliore atmosfera con l'Italia raggiungere i migliori stabili rapporti). Debbo notare che ha volutamente escluso Marinkovich, al cui riguardo [si] è limitato a dire che ora questi sarebbe nuovamente partito per due mesi o tre (anche a Davos per cura).

Circa i legami con la Francia mi ha detto avere più volte ripetuto che era errore spingerli al punto in cui sono. La Francia non avrebbe mai marciato per la Jugoslavia bensì il contrario. Gli ho dato ragione, e gli ho fatto notare il recente arrivo dei sottomarini, il discorso del Ministro Dard, rilevando che la impressione era che i sottomarini non arrivavano già per la difesa delle coste dalmate ma per rafforzare la marina francese contro la nostra.

Il Principe Paolo ha detto che sarebbe stato lieto di conoscere V. E. al quale avrebbe ripetuto quanto aveva detto a me. Circa i legami con la Francia ha affermato di avere ripetuto a S. E. Mussolini che era la stessa politica italiana che aveva vieppiù spinto la Jugoslavia nelle braccia francesi.

Concludo:

a) le affermazioni di Jeftic del Principe Paolo a parte la maggiore o minore sincerità sono di carattere generico corrispondono a quelle fattemi innumeri volte ma mai seguite da fatti;

b) la situazione oggi esistente in ;rugoslavia (legami impegnativi con lo stato maggiore francese, dipendenza finanziaria da Parigi progressivo assorbimento economico delle maggiori industrie jugoslave da parte del capitale francese) nei riguardi della Piccola Intesa e della Francia, più l'essere la Jugoslavia punto base di attacco antifascista da parte di tutta la social-democrazia-massonica che spera trovare nelle difficoltà crescenti italo-jugoslave un indebolimento della situazione italiana, forse un suo serio insuccesso diplomatico od anche militare, escludono la possibilità di un mutamento sostanziale. Vi si oppongono altresì gli interessi industriali militari fortemente costituiti;

c) tale mutamento non potrebbe avvenire che per un rivolgimento politico interno che riportasse i radicali pasciciani al potere. Ciò è fuori di qualsiasi prudente previsione;

d) è però possibile uscire dallo stato acuto attuale con la attenuazione del linguaggio di stampa. Ciò avrà subito un effetto internazionale dando la impressione di ripresa tranquillità;

e) la difesa dei nostri interessi generali, e delle particolari attività italiane in Jugoslavia, resterà pur sempre difficile ed esigerà azione non meno strenua della passata, forse anche atteggiamento, se possibile, ancora più risoluto ed adozione di quei mezzi di difesa e di controffesa che potranno essere suggeriti dalle circostanze. Non è neppure da escludere che possano verificarsi momenti estremamente difficili. Ad essi sarà però tolta ogni asprezza maggiore se la stampa ne tratterà con tono moderato o meglio ancora ne tacerà;

f) mi è necessario fare poi una riserva. Abbiamo da fare con gente di ambigua mentalità balcanica. Nel ripetere le assicurazioni di Jeftic o di altro personale di Governo, io non posso affermare verranno mantenute. Abbiamo sempre nel fondo della politica estera jugoslava Marinkovich la cui spudoratezza nel mentire, la cavillosità leguleia, e la provata malafede possono prendere il sopravvento in qualunque momento.

(l) -Non si pubblica. (2) -Sui motivi della venuta a Roma di Jeftié cfr. n. 302.

(l) Cfr. n. 302.

299

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, BARBARICH, AL MINISTRO GALLI, A ROMA

R. 72. Belgrado, 7 gennaio 1930.

Mi onoro far seguito al mio telegramma di ieri (l) del quale accludo copia in chiaro. Oltre le famiglie Stolnicoff e Lukin delle quali ho riferito in precedenti comunicazioni, in questi ultimi giorni sono state arrestate le seguenti persone:

Sorelle Korenieff che conoscevano Visconti, Petrucci e me.

Signorina Natalia Beluvsky che conosceva Visconti, don Bruzzone e me. Una cantante russa della Ruska Lira e la madre che sembra abbia in passato conosciuto Menzinger. Il Generale russo di brigata Ivanoff subito rilasciato perchè scambiato con tale Stefano Ivanoff impiegato al Ministero della Guerra jugoslavo.

Le cifre degli arrestati di questi ultimi giorni, indicate da varie fonti si aggirano fra i venti e i trenta. Spero avere una lista completa, già richiesta ma da notizie che ho potuto avere è fuori dubbio che tutti vennero sottoposti agli interrogatori dei quali ho fatto cenno nel telegramma e diffidati a non frequentarci.

La famiglia Lukin, conosciuta da tutti noi, sarebbe stata internata a Osiek

o a Obrenovac; le sorelle Stolnikoff espulse se ci frequenteranno ancora o se diranno una parola sull'interrogatorio.

Una commerciante russa della quale mi sfugge il nome che doveva consegnare un vecchio orologio alla Signora Nascimbeni ha fatto conoscere che non sapeva come venire in contatto con lei, non avendo il • coraggio • di inviarle un garzone del negozio. Il traduttore di Morandi è scomparso, e quest'ultimo non sa più a che santo dirigersi per le traduzioni.

L'elettricista che eseguiva riparazioni al nostro centralino ha pure fatto sapere, come Le ho già comunicato, di non poter più recarsi in Legazione. Io non vedo più alcuno dei miei informatori. Spariti tutti: isolamento completo.

La persona serba alla quale era stato negato il visto al passaporto è il Comm. Raicevich il quale è avvilitissimo e ha dovuto ricorrere alla Corte, ricordare i suoi precedenti, mostrare i suoi documenti per ottenere il permesso di uscita dal Regno jugoslavo concessogli alla fine non per più viaggi come è già scritto nel timbro abituale, ma per un solo viaggio.

Del Comm. Raicevich Le scrivo nel promemoria a parte (1).

La colonia russa è, come è facile ilmmaginare, in uno stato di spavento, e di sconforto tale che Strandmann dopo aver avuto assicurazioni dallo stesso generale Zivkovich, sembra abbia già pensato alla eventualità di far sgombrare in qualche anno tutti gli emigrati russi dalla Jugoslavia.

La Signorina !rene Stolnikoff, diciassettenne, sorella dell'ex nostra impiegata, ha avuto al momento dell'arresto una paralisi cardiaca ed è tuttora sostenuta, (sono già passati circa dieci giorni) a base di iniezioni di caffeina.

Nei ristoranti e nei pubblici ritrovi vediamo dal contegno dei camerieri e delle persone conosciute che qua e là si incontrano che c'è qualche cosa di mutato. Siamo evitati, non si risponde al nostro saluto.

La Signora Grgin avrebbe detto che non intende riprendere le relazioni con i funzionari italiani della Legazione.

La Signora Stolnikoff che ho fatto pregare di farmi conoscere quale trattamento ha avuto in prigione, e gli argomenti che hanno formato oggetto dell'interrogatorio, ha supplicato, scongiurato di non farle domanda alcuna su tale faccenda, con accenti di terrore tali da dover desistere da ogni ulteriore insistenza. Da altre fonti ho saputo la imposizione fatta agli arrestati, con giuramento, di non parlare di quanto la polizia ha loro chiesto.

Questa è dunque la situazione che la polizia jugoslava, sta facendo alla nostra Legazione e agli italiani qui residenti. Per ora fa eccezione un solo impiegato: il Cav. Peslaz che ieri sera ho visto a pranzo al Palace in compagnia di note persone jugoslave.

Le altre Legazioni a Belgrado sono già a conoscenza di questa messa all'ostracismo di tutti noi, e la situazione come V. E. può immaginare è già intollerabile. Si sa che Escobar è stato trasferito a Stambul per aver offeso questo paese. Sarà possibile continuare così senza una qualsiasi reazione? Potremo noi assoggettarci di continuo a non essere salutati per la via, com'è già accaduto al comandante Cattaneo, a Mazzolini ed a me, a non avere risposta dal personale dei pubblici ritrovi che -eccettuati quelli non frequentabili anche in condizioni. normali -non è possibile disertare per ragioni di dignità? Parlo ad esempio dei due ristoranti, dei due circoli Jockey e Auto Club, dove troveremmo certamente persone che per quieto vivere farebbero mostra di non conoscerci?

Lo stesso Nesich che fino a qualche giorno fa era solito chiedere di noi, attenderci all'uscita delle visite [a] Solari (2) è divenuto irreperibile e quando lo

{l) Allude probabilmente ad un promemoria nel quale è scritto a proposito àel Raicevié:

• È venuto stamane molto più avvilito di ieri per i noti fatti. Ha aggiunto stamane di essere sempre meno soddisfatto del trattamento che la centrale di Trieste usa verso di lui. Ha dichiarato essere perciò in trattative con un gruppo tedesco e di e;;sere pronto a lasciare le assicurazioni se tale stato di cose non verrà modificato. Ne informo V. E. perchè sembrami che la perdita del Comm. Raicevich sarebbe assai dannosa alle Generali ed a noi. Il signor Smoleski capo del ramo vita a Trieste, semita e antifascista notorio, si è espressopiù volte contro il regime nostro: malgrado dò è al suo posto a sgovernare a suo piacimento •·

si incontra è sempre occupato. Per queste considerazioni ho espresso a V. E. il

parere di disertare il ballo a Corte del 9 gennaio e la cerimonia religiosa del

mattino dello stesso giorno, il cui avviso è giunto dopo che era stato spedito

il telegramma. Parmi inconcepibile che di fronte a offese sì gravi manchi un

gesto di reazione all'ingiuria.

Se necessario si potrà dire ben chiaro qual'è la ragione della astensione:

non si può essere trattati da appestati e rendere omaggio, sia pure al Re, espo

nente di intollerabili ambienti polizieschi. Se l'astensione farà rumore tanto

meglio, o il Re conosce i fatti e provvederà, o non li conosce e domanderà di

essere messo al corrente.

Ancor più grave sarebbe a parer mio l'umiliazione di fronte alle rappresentanze estere. Neppure la Legazione bulgara e albanese sono trattate in tal guisa, nè è lontanamente concepibile che anche in circostanze politiche identiche la più alta autorità di polizia oserebbe fare la centesima parte di quanto si sta facendo, contro legazioni di altre grandi potenze. È dunque in giuoco non solo la nostra dignità verso il Governo jugoslavo, ma forse e quel che più conta di fronte a tutti i paesi qui rappresentati.

Il fatto Visconti deve restare a sè, nè può coinvolgere in modo così scandaloso tutta una R. rappresentanza. Del resto questi nuovi arresti possono dimostrare anche che si cerca affannosamente qualche elemento nuovo e che quanto J eftic dice essere già in suo possesso non si riduce altro che alle deposizioni dello Zviet che possono facilmente essere smentite e che comunque bisognerebbe conoscere. Se dal fatto Visconti, si tende ad inaugurare un periodo di sorveglianza sulla Legazione d'Italia, quale soltanto nella Russia Sovietica è possibile immaginare, parmi che si debba molto riflettere anche sul caso Visconti, prima di dare una soddisfazione qualsiasi, sia pure apparente come la sua sostituzione a compiuto sessennio.

Mi permetto ricordare a V. E. che fra poche settimane il Comandante Cattaneo lascerà questa sede, che qualche altro potrebbe seguirlo, che Petrucci e Menzinger sono partiti, che sulla partenza di Visconti si sta discutendo a base di giorni. Che cosa dirà il grosso pubblico che ignaro dei particolari potrebbe vedere in questo una vittoria della polizia che forse non esiterà a gabellare come tale tutte queste partenze?

Mazzolini mi dice che molto di questo stato di cose è dovuto al successore di Zica Lazich, signor Matkovich che fu zupan di Bitolj e che ripete a Belgrado in proporzioni naturalmente molto maggiori quanto già fece laggiù appena riaperto il nostro consolato.

I fatti sono perfettamente identici: lo stile dei provvedimenti assolutamente lo stesso. Agisce questo signore di propria iniziativa in tutto od in parte, oppure ha istruzioni di agire in tal modo?

Questo è quanto, Signor Ministro, ho creduto doveroso di esporre affinchè

V. E. nei colloqui col nostro Ministero e con Jeftich sia al corrente delle ultime novità. Aggiungo che Jeftich durante il viaggio del Principe Paolo. ha tenuto un contegno assai poco simpatico e che il suo sicuro astio traspariva in modo assai mal celato dalle parole, dal sogghigno e dallo sguardo.

Unisco un promemoria su questioni minori.

24-Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) Non si pubblica.

(2) Il giornalista Solari Bozzi era ricoverato in una clinica.

300

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 68/44. Vienna, 7 gennaio 1930.

Com'è noto a V. E., ai primi d'aprile dello scorso anno Seipel dava, improvvisamente inaspettatamente e senza alcun voto contrario del Parlamento, le dimissioni. Da allora se ne è vissuto ritirato in un convento di monache viennesi, adducendo con verità il peggioramento della sua malattia del diabete, affermando falsamente che si teneva al di fuori della vita politica. È venuto intanto il Gabinetto Streeruwitz; è venuto il Gabinetto Schober. La nomina a Cancelliere di Schober è stata accolta con soddisfazione cosi all'interno come all'estero: lo si è lodato per avere condotto in porto pacificamente le riforme costituzionali, lo si è lodato per avere ristabilito relazioni di amichevole simpatia con l'Italia. Intanto l'opinione pubblica si chiedeva eosa mai facesse Seipel, ne considerava misterioso il contegno, ne affermava diminuita l'autorità.

Ed ecco che l'antico Cancelliere, asserendo migliorata la sua salute, come è in effetto, torna alla luce, e vi torna facendo subito, come egli suole, parlare molto di sè, sollevando rumori diffidenze proteste. Dopo una sua breve gita per una conferenza nel Lussemburgo, per la quale si è qui asserito che egli vi abbia visto l'ex Imperatrice Zita, ciò che ha fatto negare dal Vescovo di quella città con telegrammi a questi giornali, e, tornato qui, nega recisamente e pubblicamente egli stesso, ha tenuto la sera di San Silvestro nella sede del suo partito, un discorso il quale ha sollevato commenti e chiasso che durano e dureranno ancora qualche tempo.

In tale discorso, che è una specie di quos ego, Seipel mostra voler dire: sono sempre qui, sono sempre io che comando e con cui bisogna fare i conti, e tutto l'avvenuto è frutto e merito dell'opera mia. Seipel afferma: me ne sono andato quando ho voluto io e me ne sono andato perchè si effettuassero quelle riforme il cui compimento era impedito dalla mia persona. Sono io che ho fatto venire al potere Streeruwitz affinchè attuasse le riforme. Ma quando ho visto che, ottenuta l'approvazione di quelle economiche (legge sugli affitti), egli credeva esaurita la sua missione e non intendeva presentare al parlamento quelle politiche, sono io che l'ho obbligato a dimettersi. E sono io che ho fatto venire al potere Schober. L'ho fatto venire per due ragioni; perchè i socialisti ed i paugermanisti (da notare che se gli uni costituiscono l'opposizione, gli altri fanno parte della maggioranza) scontassero ora di aver rovesciato Schober nel 1922, con l'accettarlo come Cancelliere; perchè Schober a sua volta scontasse di avere nel 1922 fatto approvare dal Parlamento due leggi dannose per lo Stato (separazione di Vienna dalla Provincia della bassa Austria e legge sulla stampa), riconoscendo il suo torto con il presentarne ora altre destinate ad annullare gli effetti di quelle. Nessuna considerazione politica dunque -intelligenza, capacità di Schober, necessità della situazione -adduce Seipel per spiegare di averlo fatto chiamare al potere, bensì esigenze morali, potrebbe forse anche dirsi religiose: peccato, pentimento, penitenza. Monsignore mostra di vedere la politica in funzione della religione, e sembra parlare non da una tribuna bensì da un pulpito. Del resto Seipel è scolastico e quindi logico: in un suo studio, di cui mi ha fatto dono poco tempo fa, afferma che il migliore reggimento politico è quello democratico, ma che esso sarà rettamente attuato solo quando ogni cittadino sentirà la sua responsabilità politica di fronte a Dio.

Le ragioni di questo improvviso e violento -per servirmi del linguaggio teatrale -ritorno alla ribalta di Seipel è da molti attribuito all'indisciplina che si è andata manifestando nel suo partito cristiano-sociale ed alla necessità di riprenderne energicamente il comando anche in vista delle future elezioni politiche, che alcuni prevedono per l'autunno di quest'anno ma che in ogni caso non potranno costituzionalmente avvenire più tardi della primavera del prossimo. Tali ragioni pare esistano in realtà, senonchè esse non ne escludono altre per questo colpo di scena dell'integerrimo sacerdote, ma irrequieto intrigante presuntuoso ed autoritario uomo politico. E su di esse credo metta conto fare qualche congettura.

Dalla primavera del '22 all'autunno del '29 Seipel è stato sempre il Cancelliere austriaco; anche nel tempo in cui altri ne aveva portato il titolo, Ramek, Streeruwitz, uomini docili e nulli che appunto per tale docilità e nullità egli aveva fatto eleggere, era sempre lui che aveva comandato. Ma nell'ottobre '29 la situazione richiedeva un Cancelliere di un'altra capacità ed autorità che non Streeruwitz, e Seipel ha pensato a Schober. Si è però ingannato in due punti: nel credere che lo Schober il quale aveva fato sparare sui rivoltosi nel luglio '27 non avrebbe esitato a fare, se necessario, quell'impiego della forza, cui Seipel non poteva, se Cancelliere, ricorrere per via della sua qualità di sacerdote; nel credere che Schober, per riconoscenza, e per debolezza politica di funzionario che non capeggia alcun partito nella Camera, sarebbe stato ligio ai suoi voleri. Senonchè Schober non ha voluto ricorrere alla forza pur potendo, in opposizione a Seipel che avrebbe voluto e non poteva; e bisogna riconoscere che in questo caso era Seipel che aveva più probabilmente ragione, giacchè è prevedibile si sarebbe avuto una soluzione rapida e definitiva di tutte le difficoltà politiche in parte ancora esistenti. Inoltre Schober, che da vecchio funzionario era stato disciplinato prefetto di polizia con Seipel cancelliere, rotto colle dimissioni di questi il vincolo di subordinazione gerarchica, e, anche maggiormente divenuto a sua volta cancelliere, non si è creduto obbligato a sopportare la protezione ed i consigli di quello. Ciò tanto più quando si consideri da un canto il suo sensibilissimo amor proprio che si è sentito irritato dal desiderio in Seipel di una tutela non chiesta e non voluta, dall'altro la sua nota vanità che è stata lusingata dal generale consenso alla sua nomina e dai successi interni ed esterni della sua opera. Che siano così nati e che esistano un contrasto ed un risentimento personale tra Schober e Seipel è innegabile ed i più lo ammettono. Nelle mie varie conversazioni con Seipel questi si è limitato a qualche giusta critica sui procedimenti di Schober per il conseguimento delle riforme costituzionali, nonchè a qualche ingiusta diminuzione dei meriti di lui per il ravvicinamento coll'Italia. Ma se Schober nei suoi colloqui con me nulla mi ha mai detto contro l'antico cancelliere, non mantiene con altri lo stesso riserbo. Mi è stato narrato aver Schober fatto notare a qualcuno che mentre Seipel pur con l'invio di un suo libro dedicato a S. E. Mussolini non era riuscito a nulla, egli aveva già prima di venire ed era poi riuscito a ristabilire cordiali rapporti

con noi. Mi è stato altresì narrato che Schober è assai preoccupato dell'attività di Seipel: crede che questi avrebbe voluto procurare a se stesso il merito del riavvicinamento all'Italia, ciò che credo anche io; e che, fallitagli l'occasione, vuole rovesciarlo prima che egli compia il viaggio a Roma per privarlo di questa soddisfazione, o quanto meno suscitarg:li, mediante qualche attacco di giornali contro di noi difficoltà con il R. Governo le quali rendano meno cordiale l'accoglienza di Roma; quella prima ipotesi mi appare più verosimile di questa seconda. Intanto non si sa ancora quando il Parlamento sarà riconvocato e si afferma che Schober non voglia si riapra mentre egli è lontano da Vienna nel timore che Seìpel, durante la di lui assenza, lo rovesci con qualche intrigo di corridoio. Nel discorso succitato Seipel si è limitato sulla fine a qualche oscura affermazione sulla necessità di riforme dei partiti, cominciando dal proprio, nell'interesse del mantenimento dei principi democratici, riforme che egli ha annunciato saranno trattate nella prossima riunione plenaria dai vari dirigenti federali del partito cristiano-sociale. Ha inoltre asserito la necessità anche di nuove riforme legislative e detto che queste desteranno nuove agitazioni anch'esse inevitabili, al pari di quelle dell'autunno scorso, come condizione necessaria per impedire qualcosa di peggio: H popolo ha bisogno non di una debole pace a qualunque prezzo bensì di una stabile pace basata sulle solide fondamenta della verità e del bene. Quali siano i precisi progetti dì Seipel, nessuno lo sa. Ma io so, da quanto mi disse egli stesso in un suo colloquio di alcune settimane fa, che egli non considera affatto terminato il periodo delle riforme (le quali del resto nello stesso programma di Schober comprendono ancora quella della legge contro il cosiddetto • terrore • cioè la propaganda violenta socialista, nonchè la ripartizione dei tributi tra Governo centrale e provincie), e che egli è convinto della necessità del proseguimento dell'opera di risanamento basandola sull'appoggio delle • Heimwehren •. Ignoro quali siano i propositi presenti di queste, giacchè per le feste natalizie i vari dirigenti sono andati in provincia e non ne sono ancora tornati. Ma, a parte la necessità di un ristabilimento della disciplina interna che sembra indebolita da recenti polemiche e scissioni, occorrono due premesse. La prima è che riacquistino prestigio di fronte ai socialisti i quali, in principio spaventati, hanno ripreso animo vedendo che le minacce

delle • Heimwehren • rimanevano verbali; e per ciò fare occorre che alla prima occasione si decidano finalmente a menare le mani e le menino sul serio in modo da avere un visibile e indiscutibile sopravvento. La seconda è che riescano ad ottenere nuovi fondi e nella misura adeguata. Quando nel colloquio suddetto Seipel mi accennò alla necessità che le • Heimwehren • continuassero ad esistere per dar modo di riprendere l'opera delle riforme e io gli risposi che nessuno meglio di me poteva con maggiore sincerità consentire con lui ma che il mio dubbio era nella possibilità per esse di continuare a procurarsi il danaro occorrente, Seipel replicò che io avevo ragione e non seppe aggiungere altro.

È difficile elevare castelli in aria di profezie sulla mobile sabbia di questa situazione parlamentare. E, dal punto dì vista dei nostri interessi, non è neanche necessario. Quello invece che mi sembra necessario è prevedere quale sarebbe la politica austriaca verso di noi .n giorno in cui Seipel tornasse al potere, specie se tale giorno venisse prima di quello che fosse stato già fissato per il viaggio di Schober a Roma; ciò che del resto non sembra per ora probabile. Che Seipel avrebbe preferito avessimo atteso il suo ritorno al potere per concedere il nostro assenso al prestito non credo dubbio, per molte ragioni, e anche per questa forse, che come egli aveva avuto di fronte all'opinione pubblica austriaca il demerito di aver suscitato con il suo discorso del febbraio '27 (l) l'allontanamento dell'Italia dall'Austria, voleva avere il merito dell'ottenuto riavvicinamento. Senonchè anche se avessimo voluto, non sarebbe stato conveniente per noi attendere e soddisfare tale desiderio. Se avessimo dato il nostro consenso dopo la conferenza dell'Aia, e nessuno può sapere quanto tempo dopo di essa Schober rimarrà ancora al potere, ci saremmo inimicati questi ingiustamente e inutilmente, e avremmo perduto il momento psicologicamente favorevole: i nostri nemici d'Austria e di fuori Austria avrebbero insinuato che le altri Grandi Potenze ci avevano obbligato a rinunziare alle riparazioni austriache e pertanto ad assentire al prestito togliendoci con quella coatta rinunzia il titolo maggiore del nostro diritto di opposizione all'Austria; avremmo così udito, invece che parole di riconoscenza, molte parole di indifferenza e qualcuna anche di dileggio. Malgrado tale delusione di Seipel, credo poter asserire che il giorno in cui venisse al potere, a parte una probabile minor energia verso i Tirolesi -che del resto, la Dio mercè, non sarebbe di nessun sostanziale danno per noi egli continuerebbe la politica di Schober, e se questi non fosse ancora venuto a Roma si affretterebbe a venirci lui. E ciò anche per altre ragioni, oltre al desiderio di non lasciare a Schober tutto il merito del riavvicinamento all'Italia, merito che in cuor suo egli deve essere convinto spettare anche a lui, essendo innegabile che appunto da lui si iniziarono i primi spontanei tentativi di riavvicinamento nell'autunno '27 (2). A questa deduzione non mi induce soltanto il ricordo che fu appunto Seipel che incominciò a farmi accennare alla possibilità di un suo viaggio di riconciliazione a Roma (3); nè mi induce ad essa soltanto la convinzione che Seipel è amico dell'Italia ed ammiratore del Duce con la riserva mentale che sarebbe equo noi dessimo qualche soddisfazione ai suoi Tirolesi e facessimo qualche concessione agli allogeni di Alto Adige. La mia convinzione è tratta anche da altro. Seipel non è favorevole all'annessione, e molto meno alla confederazione danubiana; non ama gli Jugoslavi e detesta i Cechi. Si propone, se torna al potere, di fare una politica di destra. Di qualche aiuto internazionale ha pure bisogno; e chi può darglielo meglio di noi? Tanto più

che vuole sostenere le « Heimwehren •, e sa i nostri appoggi nell'anno scorso a queste, e prevede che quelli che esse potranno trovare in Austria nell'anno

testè cominciato non saranno sufficienti.. ...

Strana e interessante figura, benchè non sempre e in tutto simpatica, quella di questo prelato, nei suoi contrasti. Contrasti fra lo scrupoloso adempimento dei suoi doveri sacerdotali e la tessitura di intrighi e la manifestazione di ambizioni parlamentari; i quali possono essere ridotti ad unità nella sua convinzione che la sua presenza al potere è necessaria agli interessi politici e, attraverso di essi, al bene religioso del suo paese. Contrasti, fra citazioni oratorie di esempi di mansuetudine biblica e propositi di rigori e desideri di uso, sia pure da parte

di altri, di mezzi violenti; i quali possono risolversi con la giustificazione data da Sant'Agostino dell'impiego della forza se per la salvezza dell'anima come il dolore dell'operazione chirurgica se per il bene del corpo. Il più autorevole uomo politico austriaco è il più dissimile per qualità e difetti da tutti i suoi concittadini.

Ad ogni buon fine stimo utile per la nostra situazione qui mantenere buoni rapporti personali con lui, dandogli manifesti segni di stima e riguardo; e non credo che la visita da lui fattami per le feste sia dono natalizio che egli abbia concesso a parecchi altri miei colleghi. Tutto ciò per previdenza e prudenza; ma se anche Schober sarà nel corso dell'anno rovesciato dalla maggioranza, tornata dietro a Seipel, non è oggi probabile che ciò avvenga avanti la primavera.

(l) -Sic, per '28. Cfr. serie VII, vol. VI, n. 127. (2) -Un tentativo di riavvicinamento nell'autunno del 1927 ci fu effettivamente (cfr. Serie VII, vol. V, n. 454). Ma probabilmente Auriti allude all'autunno del 1928 (cfr. Serie VII, vol. VII, nn. 128 e 163). (3) -Cfr. Serie VII, vol. VII, n. 236.
301

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, BARBARICH

T. 32/8. Roma, 8 gennaio 1930, ore 24.

Suo telegramma n. 7 (1).

Vada (dico vada) al ballo di Corte (2).

302

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI AGGIUNTO JUGOSLAVO, JEFTIC

Roma, 8 gennaio 1930.

Jeftic -Ministro della Real Casa di Re Alessandro, e Ministro aggiunto degli Affari Esteri. È l'uomo di personale fiducia del Re e di Zivkovich, e ne è parimenti lo strumento. Vive presso i1 Re, di cui esprime le direttive e la volontà, specie in materia di politica estera. Jeftic è, di fatto, il Ministro degli Esteri di Jugoslavia, di cui Marinkovich non è ormai più che un titolare puramente nominale, e di cui lo stesso Jeftic mi ha parlato come di un sorpassato e di un tollerato dal regime dittatoriale. Je:Etic fu precedentemente Ministro serbo in Albania, durante il periodo acuto dei rapporti italo-serbi, e la realizzazione della nuova politica dell'Italia in Albania.

È di statura bassa, tarchiata e goffa. Faccia larga, tipicamente « serba ".

Pelo nero, occhio tranquillo. Fra i serbi ve n'è di più antipatici. Nel complesso

la sua figura non è repellente, il che è già gran cosa per un serbo.

II colloquio a Palazzo Chigi è durato due ore. Ne riproduco i punti essen

ziali. Jeftic è stato designato da Re Alessandro in accompagnamento a Roma del

Principe Paolo per le nozze del Principe di Piemonte. Evidentemente la sua

scelta non è stata fatta a caso. Ed infatti non appena il Ministro Galli, che ho

fatto venire a Roma in questi giorni, lo ha (dietro mie precedenti istruzioni)

incoraggiato a venire a Palazzo Chigi, assicurandolo che avrebbe trovato una accoglienza cordiale da parte del Ministro degli Esteri italiano, Jeftic ha domandato di vedermi nella stessa giornata di ieri.

Dopo i consueti • approcci • generici (politica europea, Società delle Nazioni, nozze principesche, ecc. ecc.) il discorso è filato dritto sulle relazioni fra l'Italia e la Serbia. Io gli ho parlato con brutale franchezza, ed egli, bisogna riconoscerlo, mi ha parlato con altrettanta franchezza. Nessuna perifrasi o circonlocuzione. Le cose che sono, colla loro faccia e col loro nome.

Constatazione comune, dirò così, preliminare: la situazione fra Italia e Jugoslavia è delicata. Conosciamo le cause. Cosa si potrebbe fare per migliorare questa situazione, o quanto meno, per non renderla ancora più difficile?

• Voi siete, e lo siete specialmente da tre anni a questa parte (ho detto a Jeftic) Lo strumento pTovocatore in Ad1·iatico dello Stato Maggiore francese. La vostra alleanza colla Francia è passata dal quadro politico generale, che noi non abbiamo mai discusso, anzi, al contrario, abbiamo sempre compreso e qualche volta anche incoraggiato, ad una concreta funzione bellica e militare. Da tre anni voi state perseguendo una politica di provocazione nel campo politico, e di febbrile preparazione militare, che è sproporzionata ai vostri normali bisogni, e che è inconsiderata ove si pensi alle necessità della vostra finanza e della vostra economia •.

Sul principio Jeftic ha cercato di replicare dicendo che la Serbia è un'amica, non un'alleata della Francia. Ma poi ha dichiarato: • Ebbene, perchè negarlo? La Jugoslavia è strettamente legata colla Francia. Noi ci armiamo, è anche vero. Ma tutto questo perchè abbiamo paura di voi. Voi pure vi armate; la vostra politica è la politica di una grande potenza che cerca nuove strade, nuovi sbocchi, nuovi territori. L'Italia si prepara alla guerra, e naturalmente alla guerra contro di noi che siamo i più vicini, e siamo i più piccoli (1). Noi non abbiamo, nè vogliamo avere interessi mediterranei, e ci contentiamo della mediocre situazione che abbiamo in Adriatico. La nostra modesta posizione non può confrontarsi colla posizione di una grande potenza marinara come è l'Italia. La Serbia è un paese balcanico, vuole rimanere balcanico, nei Balcani è la sua ragione di essere e il suo destino. Se siamo oggi nelle mani della Francia è colpa della politica italiana di questi ultimi anni che ci ha costretti a buttarvici. Vi posso dire che vi ci siamo buttati contro voglia, perchè i nostri interessi non coincidono tutti con quelli della Francia, bensì, in molti casi, coincidono più cogli stessi interessi dell'Italia. Ma l'Italia prepara la guerra contro la nostra nazione, e noi siamo costretti a difenderci » •

• Ma, al contrario siete voi che ci provocate, che eccitate la coscienza pubblica contro l'Italia, che organizzate attraverso le vostre associazioni pseudopatriottiche le manifestazioni contro l'Italia, incoraggiate l'Oriuna ai suoi crimini nefandi, inspirate nella stampa un linguaggio inammissibile, perseguitate siste·· maticamente nelle persone, nelle cose, ogni attività italiana entro il vostro territorio, determinate in una parola, un " clima " irresph·abile e per conseguenza intollerabile da parte nostra. Lo scoppio artificioso della reazione psicologica

in Jugoslavia contro la condanna di R. Gortan a Pola, ci ha dato la riprova se pure ne avessimo avuto bisogno, della volontà provocatrice della politica di Belgrado •. Gli ho citato a questo punto uno degli innumerevoli • elenchi • delle questioni che attendono una soluzione.

• Riconosco ed ammetto senz'altro, che, in molti casi, le nostre autorità hanno esagerato. Voi sapete che molte volte lo zelo delle autorità periferiche va oltre il segno tracciato. Riconosco che voi avevate pieno diritto di dare un esempio salutare come quello di Pola. Voi avete difeso colla sentenza di Pola i diritti dello Stato sovrano nei riguardi dei propri sudditi. È giusto. Voi non avrete più a dolervi dell'attività dell'Oriuna, che il Governo di Belgrado non approva e contro la quale abbiamo preso delle severe misure.

Ma riconoscete allo1·a, anche voi, che il Governo serbo non può non esse1·e impressionato specie di una ce1·ta attività espLicata in Italia e nello stesso territorio jugoslavo contro l'unità del nostro Stato ..... •.

A questo punto Jeftic si è fermato. Si vedeva, e sta di fatto, che il punto ossessionante per la dittatura serba è !"appoggio che l'Italia dà al movimento rivoluzionario croato. Jeftic non osava, e si scorgeva bene, affrontare il punto difficile. Ma era lì soprattutto dove egli voleva arrivare.....

• .....non crediate che la dittatura in Jugoslavia sia debole, non credete a chi vi dice che lo Stato jugoslavo è in crisi. L'unità dello Stato jugoslavo è assicurata ormai, contro tutti i movimenti sediziosi.. ... •. Ma Jeftic non osava pronunciare una parola che scottava: c Croazia •. Allora l'ho pronunciata io.

c Voi volete evidentemente alludere alle simpatie, e diciamo pure, all'appoggio che i patrioti croati godono in Italia. Perchè negarlo? È verissimo. L'Italia vede con simpatia il movimento irredent:lstico che i croati hanno intrapreso per la difesa della loro nazionalità. Ciò risponde ad una delle caratteristiche della nostra razza che ha sempre guardato con simpatia a tutti i popoli che lottano per la libertà. Ma è altrettanto vero che queste simpatie sono state nutrite daJ fatto che esse rappresentano un elemento di rappresaglia contro di voi e contro la politica provocatrice della Serbia. L'Italia Fascista non ha, nel quadro della sua politica generale, mire specifiche territoriali sulla Croazia. Ma è viceversa logico che l'Italia veda con soddisfazione il problema croato come un elemento di debolezza interna dello Stato jugoslavo. Voi potete essere certo che queste simpatie, di cui voi tanto vi preoccupate, si ridurrebbero al minimo consentito dal sentimento dell'anima italiana, per natura idealista e cavalleresca, ove la Serbia mostrasse a fatti, e non a parole, di cambiare condotta nei riguardi dell'Italia •.

• L'Italia, ho proseguito, ha sufficientemente dimostrato colla stipulazione del Patto di Roma, nel 1924, e colla susseguente politica durata due anni, la sua volontà di pace e d'amicizia per la Serbia. Fu Nincic che ruppe, premeditatamente, l'incantesimo. Fu Nincic a creare un'atmosfera di sospetti pretendendo un patto a tre colla Francia, quasi che il Patto di Roma non fosse sufficiente a garantire le nostre relazioni. Fu Nincic a fare in occasione del Patto di Tirana, un gesto che offese il nostro Paese, e dimostrò nel contempo, smascherandolo, in un momento di rabbia, le mire effettive della sua politica di egemonia balcanica e adriatica.

Adesso L'Albania è fuori questione. L'Albania non è più L'elemento scottante nei nostri rapporti. L'Albania è legata aLl'Italia dal Patto di Tirana e dal Patto d'Alleanza. Noi siamo i garanti della sua integrità e deLla sua indipendenza. L'Albania è per l'Italia quello che il Belgio è per l'Inghilterra. Un intervento serbo, diretto o indiretto, in Albania è senz'aUro la guerra con voi •.

Al che Jeftic ha risposto, con eguale franchezza:

• Noi non abbiamo intenzione di attentare in verun modo all'integrità del Regno d'Albania. Riconosciamo che l'Albania rappresenta l'elemento fondamentale strategico dell'Adriatico. Riconosciamo che l'Italia ha speso delle somme enormi, ha creato una rete cospicua di interessi laggiù, allo scopo di organizzare il nuovo Stato albanese. Noi non intendiamo attentare alla vita ed allo sviluppo di questo Stato. Con altrettanta since1·ità vi rispondo dicendovi che un inte1·vento dell'Italia in Albania potrebbe essere la guerra con noi. Ma anche su questo problema noi desideriamo sinceramente una intesa coll'Italia •.

Il colloquio è continuato, ora calmo ora vivace, e molti altri punti sono stati toccati: politica della Piccola Intesa contro l'Ungheria, politica d' equilibrio balcanico, ecc. ecc.

• L'Italia, ha detto Jeftic, ha cercato di crearci i più seri imbarazzi, e continua a crearcene, colla sua diplomazia audace, volitiva, che non si ferma di fronte a nessun ostacolo. Ci avete accerchiato, tentate accerchiarci anche nel " proche Orient ". Come possiamo noi restare tranquilli di fronte a tutto ciò? •.

Jeftic alludeva evidentemente alla nostra politica colla Grecia e colla Turchia.

• -Io vi parlo non a nome mio. Quello che vi dico è quello che pensa Re Alessandro e il Capo del Governo Zivkovich. È quindi non Jeftic, bensì la Jugoslavia che vi parla. Voi vi lamentate della nostra azione che definite "provocatrice ". Ebbene, dateci l'impressione che noi possiamo calmare i nostri nervi, ~he di fronte all'Italia la Jugoslavia non ha nulla da temere. Se voi "m'incoraggiate " in questo senso, e mi dite, come mi dite, che l'azione della stampa italiana, delle associazioni italiane, degli agenti italiani non sarà più così spietata contro la Jugoslavia, voi constaterete immediatamente una distesa di nervi, una ripresa di calma non solo a Belgrado bensì in tutte le regioni di frontiera ed in genere in tutta la Jugoslavia. Tanto in Italia quanto in Serbia i regimi sono dittatoriali. Se a Roma si vuole e a Belgrado si vuole l'atmosfera fra i nostri due Paesi potrà essere in breve mutata •. • -Queste sono, ho risposto, le direttive del Capo del Governo. Il Capo del Governo vuole una politica di reciproca fiducia con tutti i Paesi, e, naturalmente in special modo, coi Paesi come il vostro che per ovvie ragioni ha comuni con noi molti interessi. Ma non fatevi, come non mi faccio, soverchie illusioni. Il miglioramento dei nostri rapporti, la determinazione di un'atmosfera di calma e di fiducia, non possono se non essere lenti e graduali. Ad ogni modo io desidero considerare la franca conversazione avuta con voi oggi, come l'inizio concreto di questa mutata situazione fra i nostri due Paesi, e l'impegno reciproco di lavorare in questo senso •.

Conclusione -Il colloquio con Jeftic, evidentemente desiderato da Re Alessandro segna un punto. Esso mi dispensa da una presa di contatto con MarinkoviPh a Ginevra. contatto che forse mi sarebbe stato difficile. Il Governo serbo è venuto a Roma e ha cercato delle spiegazioni. È bene, con questa torva gente, che il problema in questo speciale momento, resti impostato così. Non c'è, a mio avviso, bisogno di affrettarsi più lontano e più oltre. Moderare il linguaggio della nostra stampa, mettere il • silenziatore » all'azione pseudo-irredentistica e controproducente del signor Coselschi e del suo finto volontarismo concepito per i beceri del Casentino, agire con un po' più di prudenza nei nostri contatti con i croati. Mostrare di non accorgersi troppo di quello che ad ogni momento l'odio serbo fa contro l'Italia. Anche il leone quando passa lo sciacallo, socchiude spesso gli occhi e finge di dormire, poichè pensa e sa che gli sarà più comodo acciuffare lo sciacallo quando va al guado, la sera. Niente di più, almeno a mio avviso, per ora.

Vediamo intanto cosa fanno i briganti della Mano Bianca e della Mano Nera.

Se dovessi riassumere con poche parole le impressioni conclusive che ho avuto dalla conversazione con Jeftich, ec:cole: La guerra colla Jugoslavia è inevitabile. Se la facciamo adesso, sarà ben difficile evitare che dietro alla Jugoslavia non compaia, in una forma o nell'altra, la Francia, la cui infatuazione militare assume ogni giorno più senza distinzione di partiti, una fisonomia ed un carattere. La Germania è, e rimarrà molto tempo ancora, un gigante coricato che si lecca le ferite tutt'altro che rimarginate, anzi putrefatte, qua e là. L'Ungheria è, per ora, un cannone carico di polvere nera, buono per i temporali d'estate, ma non ancora per la guerra. In realtà ove la guerra scoppiasse, l'Ungheria, oggi, sarebbe il pretesto per giustificare forse l'intervento della Piccola Intesa, più o meno apertamente, a fianco della Serbia. Nulla più.

Poichè la guerra ci sarà, occorre che noi la facciamo, come la faremo, nel momento che sarà scelto da noi. DominaTe gli avvenimenti ed il tempo. Ecco, a mio avviso, il senso della nostra azione internazionale in questo momento (1).

(l) -Non si pubblica, ma cfr. n. 299. (2) -Nella minuta il telegramma continuava cosi: « Si calmi e si astenga dal telegrafare e dal telefonare ».

(l) Nel gennaio 1930 il Governo di Belgrado avverti quello di Londra che l'Italia progettava di occupare militarmente la Dalmazia. Lo ricordava Galli nel t. posta 3670/1239, 13 luglio 1931.

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, A L'AJA

T. 38. Roma, 9 gennaio 1930, OTe 24.

Interessa ai fini della nostra politica che stampa italiana renda ampiamente conto del valido appoggio che nostra Delegazione ha dato e continuerà a dare all'Ungheria, Austria e Bulgaria.

Prego interessarsi perchè codesti corrispondenti di giornali italiani riferiscano abbondantemente in tale senso in base agli elementi e secondo le dirpttive che potranno essere fornite da codesta Delegazione.

(l) Dopo questo colloquio Grandi-Jeftié, Mussolini disse a Grandi di avviCmare Marinkovié in occasione della futura sessione del Consiglio della S. d. N. a Ginevra, ma Grandi reputò opportuno non avvicinare Marinkovié. Sulla questione cfr. Grandi a Mussolini, 17 maggio 1930, che sarà pubblicata nel prossimo volume.

304

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 10 gennaio 1930.

Il mio viatico per la Conferenza di Londra (l) è il seguente: considero un delitto di lesa patria ed una catastrofe politico-morale per il Regime Fascista la rinuncia alla parità navale colla Francia. Tale parità è acquistata dalla Conferenza di Washington. Rinunciarvi, oggi, equivarrebbe a diminuire irreparabilmente la statura dell'Italia nel mondo. Questo non deve essere e non sarà, anche a costo di far saltare la Conferenza di Londra (2).

305

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 48/5. Roma, 11 gennaio 1930, ore 20.

Suo rapporto 2687 (3).

R. Governo è favorevole conclusione di un patto di amicizia ed arbitrato con l'Austria che dovrebbe poter essere firmato alla prossima venuta a Roma di Schober. Prego pertanto V. S. appena Schober tornerà costì di agire opportunamente in modo che egli le riparli della questione. Le trasmetto col prossimo corriere alcuni progetti di testo. Per quanto riguarda la risoluzione delle questioni economiche pendenti ho telegrafato alla nostra delegazione Aja di vedere se sia possibile discuterle e risolverle colà prima della partenza di Schober. Ho pregato ( 4) pure S. E. Mosconi di cercare di fare in modo che quest'ultimo dopo terminati i lavori della conferenza, passi per Vienna prima di venire a Roma, per dare così a V. S. possibilità di intrattenerlo sulla conclusione del patto e discuterne il testo. Data più conveniente per viaggio Schober in Italia è ultima settimana gennaio.

(l) La conferenza navale di Londra si apri il 21 gennaio e si chiuse il 22 aprile 1930, giorno in cui fu firmato il trattato navale fra Inghilterra, Stati Uniti e Giappone.

(2) Questo e i successivi documenti relativi alla conferenza di Londra sono tratti da copie che dovevano servire per una pubblicazione segreta del Ministero dal titolo Documenti riservati suUa questione navate itato-jrancese. Nè la pubblicazione nè la maggior parte dei documenti originali sono stati trovati.

(3) -Cfr. n. 283. (4) -Cfr. n. 306.
306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, A L'AJA

T. 49. Roma, 11 gennaio 1930, aTe 20.

Mio telegramma 30 (1).

Prego tener presente che S. E. il Capo del Governo desidera che visita di Schober a Roma non (dico non) avvenga prima della fine del corrente mese. Prego V. E. quindi nelle conversazioni che avrà con Schober di indirizzarlo opportunamente in modo che egli non venga in Italia direttamente appena terminati i lavori della conferenza, ma si rechi prima a Vienna, dove è anche utile che prenda contatti con R. ministro (2).

307

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 151/89. Vienna, 13 gennaio 1930.

Il funzionario di questo Dipartimento Esteri che fa parte della Direzione delle Heimwehren (3), è venuto l'altro giorno a visitarmi per dirmi in nome delle Heimwehren stesse che queste speravano avremmo raccomandato a Schober nella sua venuta a Roma di proseguire nella sua politica anti-socialista d'accordo con esse.

Ho risposto che le Heimwehren sapevano quali fossero le nostre simpatie per il loro programma, e che come nel passato queste simpatie le avrebbero accompagnate anche nel futuro. Io non avrei mancato di riferire al R. Governo questo loro desiderio, come sempre sinora per qualunque loro richiesta, non facendo del resto con ciò che eseguire le istruzioni datemi da V. E. a suo tempo. Come mia personale opinione, dovevo però far loro presente la delicatezza della situazione in cui ci saremmo trovati qualora si fosse in seguito accentuato iì dissenso che aveva cominciato a manifestarsi tra loro ed il Cancelliere. Fino ad ora esse non avevano avuto grandi divergenze di vedute con Schober e quindi non vi erano state per noi gravi difficoltà a mantenere buoni rapporti con le une e con l'altro, ed a sostenere con il Cancelliere la causa delle Heimwehren. Se invece esse fossero giunte ad una rottura, ci sarebbe stato meno . agevole appoggiarle apertamente presso Schober, tanto più che noi non potevamo non essere soddisfatti delle dichiarazioni e dell'opera del Cancelliere nei riguardi dell'Italia. Ho aggiunto che siccome però se vi era stato U:n raffreddamento di relazioni tra il Cancelliere e le Heimwehren non si era fortunatamente

poi cancellato :

• Per sua personale notizia e norma aggiungo che tali contatti sono necessari per con cretare stipulazione patto amicizia prima dell~ partenza dì Schober a Roma allo scopo procedere qui alla firma di detto trattato »,

giunti ancora a un'aperta rottura, confidavo che al ritorno di Schober a Vienna si sarebbero avverate le speranze manifestatemi da altri dirigenti delle Heimwehren di potere riprendere le loro buone relazioni di prima con il Cancelliere, ciò che avrebbe di molto facilitato la nostra opera. Ad ogni modo, anche nella presente situazione, non credevo che il R. Governo si sarebbe astenuto dal manifestare al Cancelliere durante la sua visita a Roma la nostra simpatia per le Heimwehren ed il loro programma, e la fiducia di vedere proseguire il Cancelliere d'accordo con esse l'opera iniziata per il rafforzamento dell'autorità dello stato e dei principii di ordine in questa Repubblica.

Accludo un appunto di un recente colloquio di Morreale con Steidle e Pabst. Mi sembra notevole, fra l'altro, che anche le Heimwehren non credano ad una possibilità di crisi anteriore alla primavera.

ALLEGATO.

APPUNTI SUL COLLOQUIO DI MORREALE CON PABST E STEIDLE (l)

Steidle mi dice che la permanenza sua e di Pabst nel Tirolo ha consentito loro non solo di giungere ad una chiarificazione delle posizioni delle Heimwehren in Tirolo, ma di tracciare il nuovo programma di lavoro.

La nuova riforma costituzionale annunziata da Monsignor Seipel nel discorso di San Silvestro formerà la base per una nuova tappa del movimento delle Heimwehren. L'accordo con Seipel è perfetto, occorrerebbe invece evitare che Schober consegua, particolarmente a Roma, successi notevoli. Schober dovrebbe sentirsi chiedere a Roma -mi spiega Pabst -la prosecuzione della lotta contro l'austro marxismo, dato che da tale lotta egli mostra attualmente di voler desistere. Chiedo a Steidle se accenni qua e là comparsi nelle manifestazioni ufficiali più recenti delle Heimwehren si possono interpretare come ferma decisione di partecipare con candidati proprii alle prossime elezioni parlamentari. Steidle nicchia; si va per tale strada, ma la forma ed il momento per una tale partecipazione diretta alla vita parlamentare non è stata ancora decisa.

In tal caso, data l'alleanza dei capi delle Heimwehren con Seipel il movimento delle Heimwehren -chiedo io -assumerebbe il carattere di un movimento di avanguardia del partito cristiano sociale.

Pabst mi risponde affermativamente aggiungendomi che Steidle va gradatamente entrando in tale ordine di idee.

-Però ora -aggiunge Pabst -abbiamo da provvedere alla riorganizzazione del movimento; verso la fine del mese di gennaio riprenderemo più attivamente le nostre posizioni. Il Cancelliere Schober non ha lunga vita; le occasioni per minarlo non mancheranno ma non vi è da aspettarsi nulla fino al mese di aprile: io stesso conto di andare in Italia nel mese di marzo per un periodo di riposo. Spero in quella occasione di avere a Roma qualche colloquio interessante.

Chiedo a Steidle quale è la posizione di Seipel in seno al partito cristianosociale; Kunschack e le sue associazioni operaie gli sono ostili; una certa ostilità si manifesta anche da parte dei rappresentanti dell'Alta Austria; gli altri sono tutti fedeli.

Traggo l'impressione che tra Steidle e Pabst regni di nuovo grande armonia e che entrambi sono al seguito di Seipel. Pabst che prima di partire per le vacanze in Tirolo mi aveva manifestato un po' di sfiducia in Steidle ed il proposito di appoggiarsi a Schober, ha quindi abbandonato le sue idee (2).

(l) -Del 7 gennaio, che non si pubblica. (2) -Nella minuta, di pugno di Grandi, il telegramma continuava con il brano seguente,

(3) Alexic.

(l) -Il colloquio avvenne il 9 gennaio 1930, alle ore 15,30 a Vienna, in casa di Pabst, presente anche Alexic. (2) -Il rapporto di Auriti e l'allegato furono trasmessi da Guariglia a Grandi a Londra col seguente appunto del 21 gennaio: « Ho l'onore di richiamare l'attenzione di V. E. sull'accluso rapporto del R. Ministro a Vienna relativo alle Heimwehren per il caso che S. E. il Capo del Governo ritenga di tenerlo presente nelle conversazioni sull'argomento in occasione della prossima venuta del Cancelliere Schober a Roma •.
308

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND

Ginevra, 15 gennaio 1930.

l) Spiego a Briand i motivi e le giuste ragioni dell'atteggiamento italiano sul problema del disarmo navale, e in particolare, il contenuto delle due note inviate nel mese scorso al Governo Francese (1), dichiarando inaccettabile la controproposta francese (denuncia del programma ecc.) (2).

2) Briand, dopo avermi detto che i. punti determinanti dell'atteggiamento francese sono: l o -lunghezza costiera; 2° -necessità coloniali; 3° -pericolo di una flotta tedesca sul Mar del Nord, ha finito col riconoscere che la controproposta francese non è accettabile da parte nostra. Egli mi dichiara che, ove da parte nostra lo si incoraggiasse in tal senso, egli potrebbe forse fare accettare dal suo Governo un'altra proposta: Parità navale itala-francese prendendo come punto di partenza lo statu-quo. Gli ho risposto che, praticamente, ciò significa sanzionare la nostra inferiorità di parecchio. Egli ha riconosciuto che la nostra inferiorità resterebbe del 25 per cento secondo i suoi calcoli, quanto rappresenta appunto il fabbisogno francese nei lontani mari coloniali.

Ho dichiarato la proposta inaccettabile. Briand mi ha pregato di riflettere,

e di farla esaminare dagli esperti navali italiani.

Siamo rimasti d'accordo che proseguiremo la conversazione sulla quale ci

siamo impegnati al silenzio, senza impegni nè per lui nè per me, a Londra.

3) Briand è quindi entrato a parlare del negoziato particolare libico-tunisino,

dicendosi ottimista su una prossima soddisfacente soluzione. Gli ho detto che ero

ottimista quanto lui, ma gli ho dichiarato nel contempo tutta la ferma volontà del

Governo Italiano di raggiungere un'intesa colla Francia, intesa leale e senza

riserve di sorta, su tutti ,i problemi della politica non solo itala-francese, ma

europea.

Siamo rimasti d'accordo che profitteremo della presenza a Londra di M.

Pietri, Ministro delle Colonie, per discutere anche con lui dell'argomento.

4) Nessuno dei due ha fatto cenno al patto Mediterraneo.

5) Briand, parlando dei diritti dell'Italia nel Mediterraneo, ha detto che le

notizie che gli pervengono dalla Turchia fanno presumere una crisi a breve

scadenza.

Ho finto di non capire, e gli ho risposto dicendogli che avevo informazioni

contrarie alle sue e che consideravo il regime di Kemal stabile e duraturo. II

discorso è morto cosi.

(l) -Nel dicembre 1929 risulta inviata una sola nota al governo francese (n. 261, allegato). (2) -Cfr. n. 293.
309

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, E AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, E A PARIGI, MANZONI

T. PER CORRIERE 75. Roma, 16 gennaio 1930, ore 21.

Ho telegrafato ad Addis Abeba quanto segue (l):

• Questo ambasciatore d'Inghilterra ha informato questo ministero che sono giunte al suo Governo notizie inquietanti circa l'attuale situazione in Etiopia e lo stato di insurrezione di varie regioni contro Governo centrale; Negus Tafari avrebbe insistentemente chiesto ai tre ministri Italia Inghilterra e Francia invio di ingenti quantitativi di armi per fronteggiare situazione. Foreign Office sarebbe disposto esaminare possibilità di tale fornitura, subordinandola però all'accettazione da parte Negus delle stipulazioni concordate recentemente a Parigi circa importazione armi in Etiopia. È stato risposto all'ambasciatore di Inghilterra che finora da codesta legazione non erano giunte notizie allarmanti, mentre però le informazioni pervenute dall'Asmara e da altri nostri agenti erano invece tali da richiamare tutta nostra più seria attenzione. Che finora V. E. non aveva riferito circa richieste di armi rivoltele dal Negus. Che avremmo quindi atteso più precise notizie da parte di codesta legazione. Ma che in ogni caso facevamo fin d'ora nostre più ampie riserve sulla opportunità o possibilità di inviare armi al Negus ed intervenire così direttamente nei conflitti interni abissini. Che dovevamo richiamare ancora una volta tutta l'attenzione del Governo britannico sui pericoli derivanti principalmente per noi e per l'Inghilterra dall'eccessivo spirito di liberalità con cui si considera attualmente al Foreign Office la questione dell'importazione delle armi in Etiopia. Che il R. ambasciatore a Londra aveva ricevuto istruzioni di far presenti al Foreign Office le nostre preoccupazioni a tale riguardo.

Prego pertanto V. S. telegrafare urgenza notizie esatte sul vero stato delle cose costì e sui passi che il Negus avrebbe fatto presso le tre legazioni • (2).

310

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 402,20. Roma, 16 gennaio 1930.

Con riferimento al colloquio avuto il giorno 14 corrente con il Ministro Plenipotenziario Guariglia di codesto R. Ministero, riassumo qui -in forma breve e schematica -le mie idee in fatto di politica etiopica.

«·Informazioni pervenute questo Ministero farebbero ritenere che situazione varie regioni etiopiche, in seguito esten~ersi ribellioni ed in~erto atteggiamento ~aluni capi influenti, vada aggravandosi, mentre autorità Negus appare di ben scarsa efficacia.

Gradirò ricevere in proposito esauriente dettagliato rapporto V. E. •·

Cora rispose (t. 172 del 16 gennaio): c Momento è certamente delicato per il Negus... ma senza l'ingranaggio che lo tiene legato, se fosse libero delle sue decisioni, potrebbe facilmente aver ragione, come già altre volte, di questa rinnovata coalizione retrograda e di

eterno malcontento •.

l) Di recente ho creduto necessario di richiamare l'attenzione di codesto

R. Ministero su vari sintomi, che da qualche tempo si vanno manifestando, di una situazione in Abissinia, che credo possa per lo meno definirsi di incerto equilibrio politico. Altre comunicazioni dello stesso genere sono in corso; e importante fra esse quella del R. Governatore della Colonia Eritrea su di una richiesta fattagli dal superiore della Missione Lazzarista francese dell'Agamè. Questo sacerdote, profondo conoscitore del paese ed anche buon amico nostro, ha accennato alla possibilità di gravi torbidi, chiedendo se, in tale ipotesi, potrebbe contare sull'assistenza e la protezione del Governo dell'Eritrea. Sarebbe certo azzardato voler trarre da questi vari indizi -per quanto sintomatici -delle conclusioni precise: ma certo può dirsi che in questo periodo (e da circa un anno) l'autorità del Negus Tafari attraversa un'evidente fase di depressione.

2) Ora noi dobbiamo tener sempre presente che -data la costituzione politica dell'Abissinia -il nostro trattato dell'agosto 1928 più che con uno Stato

o con un Governo, è stato stipulato con una persona: il Negus Tafari. E vorrei anzi aggiungere che sono chiari gli scopi che hanno indotto quest'ultimo a stipulare il trattato, e sono scopi personalistic:l, volti a rafforzare il suo potere in previsione di quel colpo di stato che poi gli è riuscito soltanto a metà. Ottenere un trattato di amicizia e di non aggressione da una Potenza, che (sarebbe ozioso adoperare eufemismi) nel 1896 era stata battuta dall'Abissinia, permetteva di far credere all'opinione pubblica (che esiste eolà, seppure in forma diversa da quella dei paesi civili) di avere indotto quella Potenza a rinunziare ad una rivincita, unica conclusione logica per un Paese che ha la vendetta del sangue a base della sua concezione familiare, sociale, politica. E la zona franca di Assab doveva evidentemente essere gabellata di fronte all'opinione pubblica come quello sbocco al mare, di cui essa -sia pure oscuramente -·Sente la necessità. Atto quindi di pura politica interna, manifestazione per la platea: come è dimostrato dal fatto che di ottenere in sostanza questa zona franca il Negus assai mediocremente si cura, o meglio non si cura affatto.

3) In ogni modo (e non è il caso qui di esaminare se e quali concreti vantaggi il patto del 1928 ci abbia finora arrecato) è chiaro che quel patto -stipulato in realtà non con l'Abissinia ma con Tafari-ci ha portati quasi ad assumere un atteggiamento di parte in quel paese, cosi che i nostri rapporti con l'Etiopia si risentono direttamente dei mutamenti di equilibrio politico, che colà sono così frequenti e così improvvisi. È quindi a mio giudizio necessario di equilibrare la nostra posizione, entrando in contatto con la parte opposta: quella dei grandi feudatari. E di questi l'unico veramente importante è il Ras Hailù; e l'utilità di intensificare i nostri rapporti con lui ha già formato oggetto di una mia precedente comunicazione.

4) Questo concetto non discende da un esame episodico, momentaneo, contingente delle necessità della nostra politica etiopica. La quale deve in fatto essere inspirata a queste chiarissime direttive: evitare con ogni mezzo in nostro potere che l'opera di accentramento, svollta in ANssinia da Tafari, ed evidentemente appoggiata dalla Francia, sia coronata da successo; evitare al tempo stesso che le forze antagonistiche a tale accentramento si sviluppino e si intensifichino in misura tale da portare ad una disgregazione dell'attuale compagine. Perciò un Impero abissino, che rispondesse in fatto a quello che adesso è in buona parte soltanto un nome, costituirebbe per le nostre due Colonie del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano un grave pericolo, soprattutto nell'ipotesi di difficoltà politiche europee; mentre una disgregazione in grande stile dell'Abissinia ci renderebbe -nelle attuali condizioni -troppo difficile di approfittarne in quella misura, che tutti i precedenti storici, politici e diplomatici ci danno il diritto di pretendere.

5) Fra questi due poli estremi la nostra politica etiopica deve essere orientata. E basta enunciare questo principio per comprendere che se i fini da raggiungere debbono essere immutabili e -per quello che valgono le cose umane permanenti; mutabili e contingenti debbono invece essere i mezzi, che al raggiungimento di questi fini occorrerà impiegare. Oggi per esempio ci conviene senza dubbio di agire verso Ras Hailù in senso antagonistico al Negus; ma è egualmente fuori dubbio che noi con ciò non dobbiamo sposare la causa del Re del Goggiam, come in altri tempi e con i risultati ben noti sposammo con sorprendente ingenuità quella del Re del Scioa.

Ciò premesso, è d'uopo aggiungere che l'attuale situazione abissina è quanto mai propizia ad una nostra azione verso Hailù, e che un ritardo potrebbe farci perdere questa favorevole occasione.

6) Questa nostra azione avrà indubbie ripercussioni in Addis Abeba, ma tutto deve spingerei a credere che tali ripercussioni saranno, seppure in principio sconcertanti, .in definitiva favorevoli. In paesi come l'Abissinia non si può certo pretendere di essere amati: occorre essere invece rispettati e temuti. E, inoltre, se io penso che la soluzione della questione del Lago Tsana non dipende soltanto da Tafari, ma anche -e forse in misura preponderante -da Hailù, debbo concludere che una nostra presa di contatto con quest'ultimo potrebbe darci modo di agire in questa faccenda in senso favorevole agli interessi inglesi, adempiendo così allo spirito delle nostre intese del 1925.

Ciò naturalmente ove in questo campo il Governo Britannico non ci precedesse.

7) Il Ministro Plenipotenziario Guariglia conosce quali sono e di che genere i passi che si dovrebbero fare verso Ras Hailù, dei quali non è qui il caso di scrivere.

P. S. Leggo ora copia telegramma n. 65, 14 gennaio (l) diretto Addis Abeba e che dà maggior ragione su ciò che è qui scritto (2).

« Da tutto il complesso delle informazioni attuali, come da quelle pervenute In quest'ultimo periodo di tempo, si può con certezza desumere questo: che è chiaro come la situazione del Nefus Tafa~i non sia molto forte,.ed anzi tenda ~ diven.ire sempre più debole; e come il colpo d Stato d1 un anno e mezzo fa, 1n sostanza abb1a nuoc1uto al Negus, sebbent!, al momento della sua incoronazione, siasi pensato che egli ne uscisse rafforzato.

Tutto ciò non può presentare una qualche utilità; ma senza dubbio, un qualsiasi nostro intervento a suo favore, come quello suggerito dal Comm. Cora qualche mese fa relativo all'invio dei carri armati, sarebbe, a mio credere, un grave errore. Nell'ipotesi che la situazione peggiorasse, potrebbe darsi che il Negus cercasse aiuti da potenze europee: l'ipotesi è poco probabile, ma tuttavia possibile: ed è perciò da tener presente per difficile che ne sia il verificarsi. Ritengo pertanto indispensabile che il Comm. Cora vigili, con la massima attenzione, e tenga informato il R. Governo del successivo svolgersi degli avvenimenti, degli atteggiamenti dei capi, delle opinioni e degli intendimenti del Governo Etiopico per quanto sia possibile, così da consentire al R. Governo di esaminare la situazione via via che si modifichi e di prendere le determinazioni opportune in tempo utile.

Resto in attesa di conoscere se V. E. concordi nel mio punto di vista e in tal caso, se e auali istruzioni saranno impartite al Comm. Cora ». Non si pubblica una successiva nota del ministero delle Colonie (N. 41432, 8 marzo 1930) con notizie sulla situazione interna etiopica.

25 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) -Con t. 76/7, pari data. (2) -Con precedente t. 65/4 del 14 gennaio, a firma Fani, era stato trasmesso a Cora: (l) -Cfr. p. 339, nota 2. (2) -Cfr. anche il t. 40364 del 2.3 gennaio di De Bono, del quale si pubblica il passo seguente:
311

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

TELESPR. RR. 201541/14. Roma, 17 gennaio 1930.

Prego V. S. restituire a Mazzotti l'acclusa lettera che egli ebbe a rimettere personalmente a questo Ministero, nella sua ultima gita a Roma, per un eventuale recapito a questo Ministro di Bulgaria, Generale Volkoff.

Il contenuto della lettera stessa è, in traduzione, qui accluso. L'ultima parte della lettera, che evidentemente Mazzotti doveva ignorare, è tale da rendere assolutamente inopportuno il recapito della stessa. Mazzotti potrà regolarsi secondo ritiene meglio per giustificare, qualora dovesse occorrere, il mancato recapito della lettera presso il mittente.

ALLEGATO.

IL COMITATO ESECUTIVO DELL'OPPOSIZIONE DEGLI EMIGRATI DELL'UNIONE AGRARIA NAZIONALE BULGARA A VOLKOV

Vienna, 1 gennaio 1930.

Dopo essersi soffermato sulla cattiva situazione interna, estera ed economicofinanziaria della Bulgaria, il Comitato dell'opposizione degli emigranti ha deciso di uscire dalla sua passività e non solo cercare sostenitori, che l'aiutino nella lotta contro il male dell'emigrazione, cioè contro i capi (i dirigenti) venduti dell'emigrazione stessa in Bulgaria, ma di indirizzare anche i proprì sforzi nell'interno del paese al servizio del popolo e dello Stato.

I motivi che ci spingono a rivolgerei a Voi sono anche a Voi chiari e forse vi sono già noti. Noi vogliamo appoggio, noi cerchiamo una forza che non sfrutti la nostra dipendenza partigiana, che non faccia minuscoli conti partigiani, ma tale che, sollevandosi al di sopra dei pregiudizì di parte, lavori per un ideale più puro e più alto.

Ecco in che cosa è sita la causa che ci ispira fiducia e ci spinge a cercare questo contatto con Voi e a lavorare per la causa della nostra Patria.

Superfluo è esporre a Voi il quadro della cattiva situazione della Bulgaria, che Voi rappresentate in un paese amico e che cercate con ogni sforzo di aiutare. Ma la disposizione delle sfere governative, il loro contegno, i loro disorientamenti e le diverse influenze nell'opposizione sono ben lontane dall'essere garanzia per una felice uscita da tale triste situazione.

Il nostro scopo non è soltanto di criticare e indicare il male; nostro scopo è

adoperarci per allontanare questo male, che grava sulla nostra attività interna.

Il Comitato, uscente dalle fila dell'Unione Agraria e rappresentante gli elementi sani, puri e patriottici dell'emigrazione, avente le sue radici profonde nella popolazione rurale bulgara, ha adottato per la sua attività futura un programma in questo senso dentro e fuori del paese.

I più importanti punti di questo programma sono i seguenti:

l) Scalzare e distruggere l'influenza degli elementi serbofili negli strati infimi

dell'organizzazione;

2) Liquidare la nefasta azione delle rappresentanze estere a Belgrado, a Praga

e altrove e reintegrare tutti gli emigranti. degni del lavoro e non demoliti;

3) Avvicinare le masse agrarie all'esercito, agli ufficiali e ai sottufficiali di

riserva;

4) Contegno leale e ravvicinamento con la Corte (col Monarca) sulla base di.

reciproca fiducia e considerazione;

5) Chiara e inequivoca oppos1z10ne agli elementi rivoluzionari e adozione di nuovi metodi di lotta contro le tendenze estreme;

6) Chiarimento dei rapporti fra l'Unione Agraria e gli Autonomisti e ricerca d'una piattaforma conciliativa per le due parti;

7) Orientamento dell'Unione Agraria e delle sue masse verso una politica di avvicinamento e di collaborazione con l'Italia e coi suoi nuovi alleati, che realmente sostengono i diritti e gli interessi bulgari.

I mezzi per raggiungere i fini fissati nel programma sono:

a) L'organizzazione dell'emigrazione;

b) Organizzazione d'una propaganda orale e stampata e agitazione nei distretti e nei circondarii del paese; c) Liberazione economica dell'unione agraria dai creditori greco-serbo-romeni.

Il Comitato ritiene che solo una potenza uscente dalle masse nazionali e dal loro vanto: l'organizzazione militare onorevole e degna, libera da ogni e qualsiasi influenza e impegno di parte, possa salvare la Bulgaria da una simile situazione senz'uscita.

Il Comitato pensa che il contatto personale con Voi è più che necessario e desidera al più presto un primo incontro fra Voi e il suo fiduciario.

Pel Comitato Esecutivo

Dr. D. Petrov (l)

P. S. -La presente lettera vi viene trasmessa pel tramite della R. Legazione d'Italia, che è la via più sicura e più segreta.

Preghiamo che la vostra risposta per l'incontro personale venga trasmessa per la medesima via, per mezzo della persona che vi porta la presente, oppure, meglio ancora, direttamente all'indirizzo:

Dr. D. Petrov, Reichsrathstrasse, 9/12. WIEN I, con precisa indicazione del dove e del quando debba avvenire l'incontro.

D. P.

312

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA

L. P. Belgrado, 18 gennaio 1930.

Ho rivisto Jeftic dopo il colloquio da lui avuto con S. E. Grandi (2).

Come già il nostro Ministro, così lui ha detto che in tale occasione non erasi

che accennato appena al nome del Colonnello Visconti, ed ha aggiunto che lasciava

a me regolare nel miglior modo il seguito della cosa. Rammenterai che erasi con

venuto che il Colonnello Visconti partirebbe alla fine del suo sessennio, nel frat

tempo noi chiederemmo il gradimento per il nuovo addetto militare.

Mi parrebbe ora conveniente tu affrettassi tale designazione in modo io

potessi chiedere il gradimento per la fine del corrente mese. Mi accennasti alla

possibilità che l'attuale addetto militare aggiunto, Maggiore San Giorgio, dive

nisse effettivo. Ti confermo la mia prima impressione. Il Maggiore San Giorgio

è distintissimo ufficiale, ottimo per addormentare la attenzione di queste sospet

tose e vigilanti autorità, (specie dopo quanto avvenuto) mi sembra tuttavia (a parte che io non posso pronunciarmi sulle sue effettive qualità militari) egli sia troppo poco rappresentativo per quello che comunque deve essere qui l'Addetto Militare italiano.

So per altra via che i candidati sono due. Il Col. Amari ed il Col. Franceschini. Io non conosco nè l'uno nè l'altro. Il Col. Visconti mi dice moltissimo bene del secondo, ma io non intendo influire sulla decisione del Ministero della Guerra. Ciò che preme è che si tratti di ufficiale di elevato carattere, di indiscutibile serietà che si renda conto della difficoltà di questo posto, delle maggiori che egli troverà dopo la partenza del Colonnello Visconti, della sua indispensabile generica subordinazione al rappresentante politico. È pure necessario che il Corpo di Stato Maggiore soprassieda dal richiedere al nuovo addetto, almeno per vario tempo, informazioni di carattere delicato e riservato che se lo dovessero fare incorrere in qualche imprudenza comprometterebbero irrimediabilmente la situazione della Legazione già così delicata. Nè devesi trascurare che poichè non siamo per certo alla vigilia di complicazioni belliche, se i risultati di informazioni riservate possono essere utili ai fini generici della comprensione degli scopi che Io Stato Maggiore Jugoslavo persegue, non lo sono per quelli specifici di un possibile urto bellico italo-jugoslavo. Quando questo dovrà venire (per ipotesi) le informazioni di oggi o dell'immediato domani non serviranno più. Sono quelle della vigilia che conteranno, ed alla vigilia non ci siamo. Mentre per la conoscenza generale della effettiva efficienza attuale e di qualche anno ancora dell'esercito jugoslavo bastano con le preziosissime notizie raccolte dal Colonnello Visconti le conoscenze che si potranno avere per le normali e palesi vie informative. Se lo Stato Maggiore abbisogna di altro, lo cerchi con mezzi che non facciano capo a Belgrado.

Tale è il mio pensiero che spero vorrai condividere.

La questione Visconti ha poi un altro aspetto che molto ti raccomando. Come già scritto e detto più volte, si tratta di ufficiale di altissime qualità non soltanto militari ma anche politiche. Egli nei suoi anni di permanenza a Belgrado ha ben meritato dal R. Servizio. E se oggi per una maleaugurata disgrazia si trova nella necessità di lasciare questo paese chiudendo il suo lavoro con un infortunio, ha agito per istruzioni e per ordini dei suoi superiori, non per vantaggio ed utilità propria. Nè conviene menomamente egli appaia sconfessato o punito di fronte a queste autorità. Se perciò potrai spendere una parola al riguardo presso il Ministero della Guerra farai buona e doverosa cosa non solo per lui, come anche per il prestigio del nostro addetto militare a Belgrado che non può partire da qui come un colpevole. Il Ministero ha molti mezzi per togliere tale impressione, sia accordandogli una promozione eccezionale, sia destinandolo a compito che appaia in tutto degno del suo grado e dei servizi resi, il che dovrebbe essere comunicato contemporaneamente alla richiesta del nuovo gradimento.

Grazie di quanto potrai fare. In attesa delle comunicazioni che potrai farmi per questo Governo e per il Colonnello Visconti.. ... (1).

(l) -Si tratta di Dimitri-Petrov-Stefanov, fuoruscito agrario bulgaro, da anm m contatto con la legazione d'Italia a Vienna e con Mazzotti. Egli aveva fornito numerosi documenti relativi alla attività dei fuorusciti agrari bulgari legati al Governo jugoslavo. Su di lui cfr. serie VII, voL V, dove è erroneamente identificato col nome di Nino. Negli anni successivi il Petrov-Stefanov aderì al partito fascista bulgaro. (2) -Cfr. n. 302.

(l) Guariglia trasmise a Ghigi a Londra questa lettera, con preghiera di farla leggere a Grandi e chiedendo istruzioni circa la proposta contenuta nell'ultima parte (1. p. 21 gennaio).

313

IL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 186/31. L'Aja, 20 gennaio 1930, ore 1,30 (pe1·. ore 7).

Ho in queste ultime ore di discussione accentuata ferma determinazione italiana di opporsi per quanto riguarda questione ungherese, a ogni decisione che non rispettasse posizione Ungheria e le assicurasse una equa soddisfazione, e mio atteggiamento ha trovato leale appoggio da parte del Cancelliere dello Scacchiere. Dopo matura riflessione ho anche lasciato chiaramente intendere che, ove Cecoslovacchia non avesse firmato i due accordi che ci assicurano i nove milioni da noi garantiti all'Inghilterra, mi sarei trovato costretto mio malgrado a rinviare firma piano Young; e dinanzi gravità situazione, tutte le parti interessate hanno assunto atteggiamento più conciliante. Per quanto riguarda accordi con Cecoslovacchia, Benès, sotto le critiche della propria opinione pubblica che gli rimprovera l'impegno di Parigi, ha fatto tuttavia uno sforzo determinato per ottenere, se non di essere liberato dall'impegno stesso, almeno una considerevole riduzione delle annualità. Cancelliere dello Scacchiere, secondo gli accordi precedentemente presi con me, ha assunto posizione nettamente contraria alla proposta di Benès, discussione è stata difficile. Impegnandosi da ultimo la delegazione cecoslovacca, ad appoggiare la soluzione del problema ungherese, si è raggiunto l'accordo ,su una riduzione da 11, a 10 milioni, e sulla cessione di l % sulle riparazioni orientali a favore Cecoslovacchia. Ciò che rappresenta una soddisfazione che non sarebbe stato equo negare alla Cecoslovacchia in relazione agli impegni da essa assunti. Contemporaneamente Francia e Belgio hanno accresciuto la propria contribuzione sulla quota-parte italiana sui 10 milioni, in guisa da portarla, insieme coll'accordo speciale da noi concordato con la Cecoslovacchia a Parigi, alla cifra di 9 milioni, che abbiamo garantito all'Inghilterra e che ci viene pertanto integralmente assicurata. Resta anzi a nostro vantaggio un piccolo margine di circa centocinquantamila marchi all'anno per trentasette anni (1).

È doveroso però dire che il contegno della Delegazione francese fu sempre corretto e che non appena la questione fu portata ufficialmente in discussione, il Signor Loucheur, Presidente della Commissione, dichiarò: "les 11 millions de la Tchéco-Slovaquie sont nécessaires à l'équilibre financier du Pian tel qu'il a été établi au mois d'Aout à la Haye ".

In tale discussione ufficiale il Signor Snowden fu durissimo con i cecoslovacchi, il che permise a noi di assumere un'attitudine ferma ma più cortese nella forma e, dopo le sospensioni di seduta e le discussioni a parte che sono di prammatica in ogni crisi di Conferenza, si arrivò all'accordo che riduceva da 11 a 10 milioni di marchi l'annualità cecoslovacca e concedeva alla Cecoslovacchia una partecipazione dell'l % sulle riparazioni orientali.

Quest'ultima fu una proposta italiana appoggiata dagli inglesi e, se finanziariamente il vantaggio. ottenuto dalla Cecoslovacchia ammonta ad una cifra minima (circa 200 mila corone oro all'anno), moralmente e politicamente rappresenta una notevole soddisfazione per Benes, il quale mostrò una grande riconoscenza alla Delegazione italiana e venne a ringraziare in termini calorosissimi >.

(l) Si pubblica qui un altro passo della relazione cit. di Pirelli sulla Conferenza dell'Aja: « Tardieu nelle conversazioni private insisteva sul pericolo di veder rovesciato Benes e sulle ripercussioni che ciò avrebbe potuto avere.

314

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. (P. R.) PER CORRIERE S. 761. Roma, 20 gennaio 1930.

Da notizie di fonte macedone da Skoplje risulterebbe che il congresso dei comitati dell'Ormi costà tenutosi il 15 dicembre u. s. avrebbe avuto per effetto di eliminare ogni scissione fra le frazioni mihailovista e protogheroviana, la quale, oramai, specie dopo la scomparsa di Baschlaroff, sarebbe completamente sottomessa alle direttive di Vancio Mihailoff. Tali notizie avrebbero destato fra i membri delle organizzazioni segrete rnacedoni di Skoplje vivo entusiasmo e conseguenti speranze.

Prego V. S. di riferire urgentemente come le risultino essere realmente le cose nell'attuale momento, in cui la questione può avere notevolissima importanza.

315

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 21 gennaio 1930.

Ti scrivo subito dopo la seduta inaugurale della Conferenza. Spero che il mio discorso (1), che ho lungamente meditato (e a cui ho dato una forma definitiva solo nella giornata di ieri dopo che ho )::n·eso conoscenza del testo del discorso MacDonald, ed ho avuto notizia di quello che avrebbe detto Tardieu) incontrerà la Tua approvazione.

Posso assicurarti che esso ha fatto un'eccellente impressione.

Nessun fatto concreto, che meriti la pena di esserti particolarmente segna

lato, è accaduto nei giorni di sabato, domenica e lunedì.

Il mio primo ed i successivi incontri con MacDonald e Stimson, sono stati

cordiali, ma non sono usciti, per ora, dalJla sfera generica degli incontri d'occa

sione. Tutti hanno timore di affrontare le questioni concrete, si guardano in faccia

l'un l'altro, si tastano il polso, ma non osano andare più oltre. Una specie di

• frenesia di ottimismo • (così io la defìnisco) presiede a tutti i discorsi, le conversazioni, le dichiarazioni. Questo è, a mio avviso, il sintomo più significativo di un effettivo generale pessimismo.

La più imbarazzata di tutte è la Delegazione francese, Briand abituato a governare, con la sua eloquenza demagogica e baritonale, le Assemblee ginevrine, è nero e rimpicciolito. Non capisce una parola d'inglese, e nessuno di questi anglo-sassoni capisce alla loro volta, e tanto meno si commuove al suo francese fiorito. Tardieu lo tiene al guinzaglio e lo ha ridotto un • povero vecchio •. Tardieu è un uomo sodo. Questa è, almeno, la mia personale impressione. Oggi, dopo la seduta inaugurale, siamo andati insieme a far colazione, noi due

soli, in un ristorante fuori centro. La conversazione è stata lunga e vivace. Interessante, anche. Tardieu mi ha domandato perchè l'Italia non intende procedere insieme colla Francia nelle questioni di comune interesse, che verranno sul tappeto nei prossimi giorni della Conferenza. Gli ho risposto che mi meravigliavo di questa domanda. Siamo Noi che abbiamo proposto proprio questo alla Francia. La Francia ci ha risposto con delle controproposte inaccettabili. Ragione per cui (ho detto) c il Capo del Governo fascista ha ripreso la sua libertà d'azione. I nostri interessi ce li difenderemo da soli, e bastiamo noi per questo. Voi, Francesi, difendete i Vostri. La Francia è un Paese abbastanza forte per sostenere da sè solo il peso e la responsabilità di un insuccesso della Conferenza. L'Italia non può permettersi questo lusso, epperciò è disposta ad accordarsi con gli AngloSassoni. Ecco tutto •.

Questo è il discorso che brucia ai Francesi, i quali cominciano ad essere preoccupati del nostro atteggiamento sereno, tranquillo, che non domanda aiuti ed alleanze con chicchessia.

Tardieu mi ha fatto il solito sfogo contro le sinistre, ed è entrato a parlare immediatamente dei rapporti generali tra Francia ed Italia. Gli ho premesso subito che questa materia delicata era trattata personalmente dal mio Capo, e che in Italia, per nostra fortuna, gli Uffici di Palazzo Chigi sono degli strumenti obbedienti della volontà di Mussolini, il che non avviene sempre in Francia, dove il Quai d'Orsay finisce sempre col mettersi sopra a tutti i Governi francesi. Tardieu ha avuto uno scatto. • Vedrete che non sarà più così. Adesso in Francia comando io •. c Tanto meglio -ho risposto sorridendo -vi vedremo alla prova, Signor Tardieu •.

Conversazione frammentaria, imprecisa, senza un risultato comunque tangibile. Ho voluto dare a Tardieu l'impressione netta che sulla questione della parità siamo intrattabili, e nessun compromesso sarà possibile. D'altra parte ho avuto l'impressione (dico l'c impressione •, nulla più) che Tardieu è diverso dal solito tipo di uomini politici francesi, che ho incontrato finora, nell'alone nebuloso della cometa briandista. Non sfugge alle questioni. Le affronta. Mi è parso sincero quando mi ha dichiarato che bisogna finirla con questa diffidenza reciproca nei rapporti itala-francesi, e che egli vuole, a tutti i costi, creare, su basi concrete • l'entente itaio-francese •.

• -Sta bene, gli ho risposto, ma queste sono frasi, le medesime che Briand sta dicendo da sei anni a questa parte • . • -Ma io non sono Briand, e vedrete che riusciremo. Riprenderemo la nostra conversazione di qui a qualche giorno. Volete? • . • -Certo. Mi troverete sempre pronto. Quando mi direte qualcosa di concreto, lo trasmetterò immediatamente al mio Capo, il quale, del resto, ha molta simpatia per voi... •.

Quest'accenno della Tua simpatia per lui (che non so precisamente se esista) lo ha tuttavia lusingato, almeno a vedere dalla faccia.

Tuttavia, io ho troppo nel sangue la diffidenza instintiva del contadino romagnolo, per credere... alla buona fede del signor Tardieu. Vedremo. La Conferenza di Londra è lunga. Il punto da segnare oggi, a nostro vantaggio, è il seguente: La Francia ci lusinga e ci cerca. Il che significa che la tattica usata fino ad ora, è stata buona. La Francia non vuole perdere la posizione di c leader • del pacifismo europeo e mondiale, che gli americani ed i laburisti stanno spostando da Ginevra a Londra, e che il 1~ascismo minaccia addirittura di strapparle. La Francia era persuasa che il Fascismo avrebbe dovuto fare le spese di tutto, anche in questa occasione.

Il mio discorso di stamane, senza panna democratica, ma fascista fino all'osso li ha un po' sorpresi. Li secca perfino il fatto che io parlo inglese, e non un cattivo inglese. Per una volta tanto avrebbero preferito ascoltare in una riunione internazionale, l'italiano. Ma l'italiano lo riservo per Ginevra alla seconda riunione del Consiglio di maggio. Non foss'altro per affermare, una volta tanto, il diritto alla nostra lingua.

Tutto ciò per quanto riguarda lo speciale settore ìtalo-francese, che non è, naturalmente, il solo nel piano della Conferenza.

Io non mi faccio, a tal riguardo, soverchie illusioni. La Francia è forte e temuta. Il preteso accordo anglo-americano è tutt'altro che raggiunto. Il Giappone sta assumendo la funzione d'arbitro nelle discussioni anglo-americane. La posizione del Giappone è politicamente molto forte. MacDonald ha una paura matta che Tardieu gli siluri questo caste:llo di pastafrolla da lui costruito. MacDonald lusingherà la Francia e cercherà di venirle incontro fin dove potrà. Questo già • si sente •, e non credo di sbagliarmi.

Per ora le simpatie generali sono per noi. Ma non bisogna farsi nessuna illusione. I prossimi giorni saranno partieolarmente difficili, proprio per noi.

Una cosa sola è raggiunta per ora: che il • fascismo •, la nostra Fede, è in testa come • Regime •. Laburisti inglesi e democratici francesi non riescono ad adombrarlo. Quando ieri alla Camera dei Pari ho detto e ripetuto ad alta voce

• .....Mussolini..... • • .....il Governo fascista • tutti stavano rispettosi, silenziosi, e, alla fine, hanno sottolineato le dichiarazioni del delegato fascista con un generale mormorio di approvazione.

Ti terrò informato di quanto accadrà nei prossimi giorni.

(l) Per il testo, cfr. D. GRANDI, L'Italia fascista nella politica internazionale, Roma, 1930, pp. 121-125.

316

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL PRIMO MINISTRO FRANCESE, TARDIEU

LondTa, 21 gennaio 1930

Conversazione lunga, vivace, interessante.

Ecco i punti essenziali:

l) Tardieu mi domanda perchè non possiamo procedere d'accordo nelle questioni di comune interesse, qui alla Conferenza. Gli rispondo che la questione della • parità • è pregiudiziale per noi. Risolviamo quella, e poscia ci metteremo d'accordo sul resto.

Tardieu mi comunica che la Delegazione Francese non accetterà il principio del • ratio •, ma insisterà sul programma. Io ho risposto a Tardieu che l'Italia insisterà sulla proporzionalità delle forze, ossia sul • ratio •.

2) Tardieu è entrato direttamente nell'argomento del negoziato libicotunisino, e dei rapporti generali italo-francesi. Niente di conclusivo. Ma gli ho

chiarito molti dettagli che egli non conosceva perfettamente. Siamo rimasti d'accordo che riprenderemo il discorso fra qualche giorno. 3) Ho fatto intendere a Tardieu che l'Ambasciatore de Beaumarchais non è l'uomo più adatto per giovare ad un'atmosfera di amicizia italo-francese.

4) Tardieu, molto genericamente, ha ripreso l'idea del patto di mutua garanzia mediterranea (1), dicendomi queste precise parole: • io non credo molto a questi Patti, ma in Francia ci credono. Potrebbe essere un passo per risolvere la stessa questione della " parità " •.

Gli ho risposto che l'Italia era disposta ad esaminare questa proposta, ove fossero risolte prima le questioni libico-tunisine, di cui un Patto mediterraneo non può essere che la conseguenza.

317

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, E AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, E A PARIGI, MANZONI

T. PER CORRIERE R. 106. Roma, 21 gennaio 1930, ore 18.

Mio telegramma per corriere n. 75 R. del 16 corrente (2). (Per Parigi e Colonie). Ho telegrafato Londra quanto segue:

R. ministro in Addis Abeba, in data 18 corrente telegrafa quanto segue (3):

• Circa situazione non posso che riferirmi mie precedenti comunicazioni alle quali non ho per il momento altro da aggiungere. Situazione è delicata ma non allarmante nel senso come è interpretato da altri. Miei colleghi Inghilterra e Francia riferiscono ai loro Governi notizie di questo genere " ribelli marciano su Addis Abeba" "Negus è stato assassinato" "sono pronti treni speciali per evacuare popolazione europea, ecc. ". Ribellione rimasta per ora localizzata nota regione settentrionale e potrebbe essere grave se fallirà anche spedizione militare orgànizzata da Governo centrale mentre in generale truppe governative hanno sempre sedato queste ribellioni che si son pertanto prolungate per inetto ostruzionismo governatori locali. Ripeterò constatazione funesta disorganizzazione perdurante Impero causata da dualismo Governo centrale ma tale stato di cose è semi-cronico dalla morte di Menelik in poi. N egus non è popolare per la sua politica progressista e nemmeno personalmente ma finchè rimarrà in Addis Abeba dispone abbastanza mezzi dei quali non dispongono i suoi avversari e se non ha fra la sua avanguardia progressista dei capi militari non ne hanno neppure i suoi avversari. Quando anche Negus fosse eliminato, avvenire reggenza rimarrebbe Imperatrice e ciò che avverrebbe in Abissinia in tale eventualità non dovrebbe avere alcunchè di allarmante.

(l} Il testo del progetto di questo patto, consegnato da Massigli a Craigie il 26 febbraio, in DB, Serie II, vol. I, n. 151. (2} Cfr. n. 309.

Tutti questi avvenimenti interni etiopici non hanno mai avuto delle ripercussioni esterne. Dal nostro punto di vista noi ci troviamo in posizione speciale ed i nostri accordi sono firmati sia dall'Imperatrice come dal Negus e sia che siano eseguiti sia che non lo siano e si verifichi un caos in Etiopia ci troveremo in posizione favorevole per profittare deUa situazione. Nessuna richiesta di armi è stata fatta dal Negus e questo ministro di Inghilterra mi ha dichiarato categoricamente di non averne neppure ricevuta. Non ho ancora visto ministro di Francia. Ad ogni modo convengo pienamente con V. E. inopportunità intervenire faccende interne Abissinia ovvero consentire armamenti ad un Governo imbelle •.

(Solo per Colonie). • Tuttavia le richieste che il Negus ha fatto a noi sono diverse e non implicano reale intervento negli affari interni etiopici perchè avrebbero primordiale interesse per la camionabile ed a questa dovrebbe invero principalmente mirare nostra attuale azione per le nostre possibilità che ci offrirebbero profittare manifesta debolezza dell'impero •.

Nel portare il soprascritto telegramma (tranne l'ultimo periodo) a conoscenza del R. ambasciatore a Londra ho aggiunto:

(Per tutti). È interessante rilevare che contrariamente a quanto è stato affermato da questo ambasciatore d'Inghilterra non sembra che .il Governo etiopico abbia fatto alle tre legazioni in Addis A!Jeba una richiesta di rifornimento di armi.

(3) Con t. 196/7.

318

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 299/121. Belgrado, 21 gennaio 1930.

Mio telecorriere n. 97 del 18 gennaio corrente.

Trasmetto qui uniti sei rapporti del Colonnello Visconti e del Comandante Cattaneo relativi agli arresti dei russi per spionaggio ed alle intimidazioni fatte a russi e serbi in rapporti con questa R.. Legazione (1).

Nei riguardi dell'arresto dei russi per spionaggio il Colonnello Visconti riferisce che ad eccezione dell'ingegnere Zviet essi sono stati tutti rilasciati, ciò che mi risulta confermato anche da altra fonte. Le prove contro il Colonnello Visconti si riducono quindi alla sola testimonianza del Zviet la quale se permette al Governo jugoslavo di valersene nei riguardi diplomatici, non ha che scarsissimo valore giudiziario e rende poco probabile la possibilità di scandalo grave come minacciato da Jeftic nel caso in cui il richiamo del Colonnello Visconti non avvenisse immediatamente, come da lui chiesto in un primo tempo.

Devesi però rilevare che se scandalo non vi è stato nel senso che la stampa non ha parlato di questi arresti e della eventuale compromissione del Colonnello

Visconti, tuttavia la temporanea detenzione le ammomzwni e minaccie fatte a qualche trentina di persone, insospettabili, di non frequentare più il personale della Legazione, o di servizio, hanno determinato una situazione ben peggiore della minacciata. Poichè lo scandalo di cui al primo colloquio di Jeftic del 12 dicembre 1929 (l) avrebbe eventualmente dovuto toccare soltanto il Colonnello Visconti, mentre tutta l'azione poliziesca svolta di poi, mentre mi trovavo costà a conferire con V. E., tocca tutto il personale della Legazione me compreso.

Se quindi la lettera delle promesse fattemi da Jeftic non è stata tradita, certo si è mancato allo spirito degli impegni presi con me prima della mia partenza, e che mi si ripetevano poi costà a Roma mentre si creava la situazione nota a V. E.

Il Comandante Cattaneo ha a questo riguardo appreso che il Ministro di Francia Dard avrebbe intrattenuto il Ministro degli Affari Esteri su questi arresti ed intimidazioni facendone notare la gravità, la inopportunità e consigliando la sospensione di tale illegittimo procedere.

Riferisco quanto precede per doverosa informazione, ma facendo ogni mia riserva, proponendomi tuttavia indagare che slavi di fondato in tale informazione.

Col telegramma per corriere su citato ho riferito a V. E. come io mi sia espresso con Jeftic. Attendo ora vedere se e quale risultato darà il mio intervento. Ma se esso non ne desse, se i procedimenti intimidatori della polizia dovessero continuare e si dovesse perciò mantenere intorno alla Legazione l'atmosfera creata dai primi di Gennaio, pur sdrammatizzando gli avvenimenti e la situazione, non parrebbe possibile restare indifferenti. In tal caso mi permetterò domandare istruzioni a V. E. (2).

(l) Non si pubblicano gli allegati, che si caratterizzano (soprattutto quelli di Cattaneo) per un tono fortemente ostile alla Jugoslavia.

319

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND

Londra, 22 gennaio 1930 (3).

Conversazione di un'ora e mezza. Nulla di essenziale. Briand è come le spugne. Anche a volerle premere, non ne esce che acqua. Mi ha confermato il suo desiderio che io m'incontri col Ministro delle Colonie Pietri, onde discutere sulla questione libica.

Circa la Conferenza Navale nulla che meriti la pena di essere segnalato. Ha voluto darmi l'impressione che Inglesi e Francesi stanno mettendosi d'accordo sulla limitazione per categorie, che il Giappone e l'America non potranno tardare a mettersi sull'identica via.

Quanto sopra, naturalmente, dedicato all'Italia, che, secondo Briand, dovrebbe restare la sola a difendere la tesi del tonnellaggio globale.

(l) -Cfr. n. 244. (2) -Allegato al documento c'è un appunto di Ghigi per Guariglia, s. d.: « Il Ministro ha preso visione. Attendiamo per ora •. (3) -Il documento reca questa data. Ma con ogni probabilità la conversazione aveva avuto luogo il 20 gennaio (cfr. n. 32.3).
320

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUI COLLOQUI CON IL DELEGATO AMERICANO, GIBSON, E CON IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD

Londm, 22 gennaio 1930.

Ieri sera si sono incontrate, a pranzo, la Delegazione americana, inglese e francese; la Delegazione americana ci ha in precedenza telefonato per informarci di questo incontro, pregandoci di non attribuire ad esso alcun carattere particolare. Analoga comunicazione ci è pervenuta da MacDonald, a mezzo di Slr Maurice Hankey, Segretario Generale della Conferenza.

Oggi è venuto Gibson, l'Ambasciatore americano, braccio destro di Stimson, per dirmi che Stimson ha in animo di fare brevissime dichiarazioni domani e pregherebbe di limitarsi a principi generali onde non dare l'impressione di polemiche fra le Potenze, fin dal primo giorno. Gibson mi ha affermato che Stimson intende, prima di affrontare problemi particolari, che sia risolto il principio della proporzione fra gli armamenti. Ho detto a Gibson che anche l'Italia è di questo avviso.

Oggi alle ore 17 ho avuto un lungo colloquio di un'ora con MacDonald alla Camera dei Comuni.

MacDonald mi ha informato che la Delegazione francese e quella britannica si sono già incontrate per discutere i problemi del trasferimenti dal tonnellaggio di una categoria ad un'altra (Accordo franco-inglese del 1928). MacDonald avrebbe desiderato che anche noi ci aggiungessimo alla discussione. Gli ho detto che è impossibile. L'Italia non ha accettato l'accordo franco-inglese del 1928, ed a maggior ragione è costretta ad opporsi all'esame di qualsiasi problema tecnico prima che non sia risolta la questione della relatività delle forze, che fu il principio informatore della Conferenza di Washington e che deve costituire la condizione preìiminare per un qualsiasi accordo nella presente Conferenza. Gli ho spiegato ancora, in dettaglio, il punto di vista italiano sulla questione del disarmo navale. Noi non possiamo discutere il problema delle categorie fino a che non sappiamo quale sarà il nostro tonnellaggio globale. Siamo rimasti d'accordo che domani vi sarà un incontro fra le tre Delegazioni francese, italiana, britannica, alle 16, a Downing Street, e poscia MacDonald radunerà il Comitato dei cinque per decidere la procedura da seguirsi per i lavori della prossima settimana.

MacDonald mi ha altresì informato ehe la Delegazione Francese ha proposto a MacDonald il Patto Mediterraneo e della Manica. MacDonald ha risposto che questo problema non deve interferire con quello della Conferenza del Disarmo ed ha pregato Tardieu e Briand di parlarne con Henderson. Egli non crede alla possibilità concreta di questo patto.

321

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO (l)

TELESPR. RR. 202130/51. Roma, 22 gennaio 1930.

Richiamo l'attenzione di V. E. sull'odierno telespresso diretto al R. Console a Gedda, e a cotesta Ambasciata per conoscenza, relativamente alle presunte intenzioni aggressive di Ibn Saud verso lo Yemen per l'occupazione del Tehama, secondo le dichiarazioni fatte al Governatore dell'Eritrea da Mahmud Nedin Bey, ex-Governatore turco dello Yemen.

Per quanto sia da ritenersi poco probabile, anche per la situazione interna nel Neged ed ai confini con la Transgiordania, con l'Irak e col Koweit, che Ibn Saud voglia affrontare almeno per ora in pieno e direttamente la questione dell'Assir, tuttavia non è assolutamente da escludere che egli possa tentare un colpo mancino sul Tehama, giovandosi dell'Alì Idrissi e delle turbolente tribù dell'Assir meridionale, ora sotto il dominio yemenita.

Di una tale eventualità noi non possiamo non preoccuparci fin d'ora, essendo evidente nostro interesse di non veder soverchiamente allargato il dominio di Ibn Saud sulla sponda opposta del Mar Rosso, nel quale mare è tutta nostra convenienza che sia invece mantenuto lo statu qua territoriale.

Come l'E. V. rileverà dalle istruzioni inviate al R. Console a Gedda, nel corso delle conversazioni relative al riconoscimento di Ibn Saud da parte nostra, sarà fatto chiaramente comprendere a quest'ultimo che la nostra politica di amicizia verso di lui si basa nettamente e recisamente sul mantenimento dello statu quo territoriale, e che dal fatto del nostro riconoscimento egli non deve trarre affatto l'illazione che il R. Governo intende, in qualunque modo, favorire

o approvare un suo contegno aggressivo verso lo Yemen.

Per il mantenimento di tale statu qua noi siamo, d'altra parte, piénamente in diritto di domandare la solidarietà inglese, in conformità della lettera e dello spirito delle conversazioni di Roma.

Riterrei quindi opportuno che, alla prima favorevole occasione, l'E. V., senza precisare la fonte di provenienza, intrattenesse verbalmente cotesto Governo circa queste notizie, di intenzioni aggressive di Ibn Saud sul Tehama, sondando opportunamente quanto fosse al riguardo a conoscenza del Foreign Office e facendo rilevare come sia interesse comune dei due Governi -anche in conformità delle conversazioni di Roma -frenare qualsiasi proposito aggressivo di Ibn Saud, -sia direttamente, sia pel tramite dell'Idrissi-verso lo Yemen.

Rimango in attesa di Sue comunicazioni al riguardo (2).

(l) -Alcuni documenti in partenza da Roma, che recano la firma di Grandi, erano stati precedentemente inviati a Londra al ministro degli Esteri per la firma. (2) -Il telespresso venne inviato, per conoscenza, al ministro delle Colonie, con il seguente riferimento: «Sua nota 7444 del 30 dicembre»,
322

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 354/159. BeLgrado, 23 gennaio 1930.

Mio telespresso n. 299/121 del 21 e. m. (1).

Il Colonnello Visconti ed il Comandante Cattaneo mi hanno rimesso due nuovi rapporti (2) diretti rispettivamente allo Stato Maggiore della Guerra ed a quello della Marina nei quali con forti tinte continuano a segnalare la ripercussione dell'arresto dei russi in relazione col personale della R. Legazione, lo scandalo che ne è derivato, la posizione delicata di questa R. Legazione.

Entrambi poi mettono in luce il supposto passo di questo Ministro di Francia, notizia che per altro, malgrado la autorevolezza delle fonti che la hanno fornita al Comandante Cattaneo merita precisa conferma prima di trarne ipotetiche deduzioni.

Non è nelle mie intenzioni diminuire la gravità del provvedimento poliziesco che ha messo a rumore la città, nè attenuare il fatto che in ultima analisi si è avuto per altra via lo scandalo che Jeftic prometteva di evitare. Ma non è nemmeno utile attribuire a quanto avvenuto una importanza drammatica come anche esagerare le conseguenze che ne sono derivate e la ripercussione che può essersene avuta in città o nell'ambiente diplomatico. Chè, in contrapposto ad impressioni raccolte nell'ambito dei circoli russi, o di famiglie private, potrei citare altri fatti e manifestazioni di circoli e di personalità di ben maggiore importanza che non sono certo all'oscuro dell'accaduto.

V. E. è a conoscenza della situazione generale degli avvenimenti ed incidenti quotidiani che meglio la colorano e la precisano, sa delle mie vivissime rimostranze a Jeftic per questo ultimo fatto, e può eventualmente darmi istruzioni su quanto altro di più debba esser qui fatto.

Del resto la situazione non è nuovissima. Sulla vigilanza fatta ai consoli in Jugoslavia ho riferito più volte a V. E.., come della insolente attitudine della polizia a mio riguardo mentre mi trovavo a Bled. Quanto ad intimidazioni a coloro

• Come ho avuto l'occasione di dire l'insieme delle misure di boicottaggio organizzatonei nostri danni -sono state considerate una "vittoria" della politica jugoslava sul Fascismo e sull'Italia -e nei circoli serbi si è riparlato più che mai " della viltà italiana " " della retorica fascista " ...

Cosicchè Io scandalo è avvenuto ugualmente e secondo la versione del ricatto jugoslavo senza possibilità per noi di mettere le cose in chiaro, poichè " pro bono pacis " esse furono messe a tacere. Lo scandalo si è aggravato con le misure poliziesche e vessatorie di boicottaggio, che non offrendo né la possibilità di una protesta concreta da parte nostra, né di una riparazione hanno confermato nell'opinion•~ pubblica la veridicità dell'accusa e il torto nostro nonchè gli apprezzamenti della nostra debolezza, con le conseguenti ripercussioni immaginabili al nostro prestigio e a quello del R. Esercito •.

Del rapporto di Cattaneo si pubblicano i seguenti passi:

• Sono convinto sia necessario assumere verso la Jugoslavia un atteggiamento che eviti l'inasprimento dei rapporti; ciò però riflette: le manifestazioni della nostra stampa, la quale,anche per non scendere al livello della stampa balcanica, deve mantenersi in uno stile di dignitoso riserbo verso questo Paese; le inutili manifestazioni provocatrici in genere che si prestino alla ritorsione; ma non deve significare abdicazione o debolezza, anzi è richiesta maggiore fermezza nella difesa del prestigio e della dignità nazionale....

Sono convinto che vi sia ancora modo di riprendere in mano la situazione e ritengo che sia urgente e necessario farlo, se non si vuoi giungere al tracollo completo del prestigiodell'Italia, con nuove e più gravi umiliazioni.

Perchè V. E. possa rendersi conto del grado di gravità della situazione, divenuta moralmente insopportabile, dirò che se non fosse già stabilito il mio rimpatrio e non mi apprestassi già a lasciare definitivamente questa sede, non esiterei a pregare V. E. di esonerarmi dall'incarico •.

che frequentano la Legazione, esse purtroppo si sono verificate anche in passato benchè non in misura così ampia e significativa come nell'attuale. Nel 1927 il Generale Bodrero presentò in proposito anche una nota verbale (vedi telespresso di V. E. n. 222673/351 del 9 maggio 1927 uff. Egoc.).

La situazione odierna è più grave, ma tuttavia esaminata con ogni possibile calma, non parmi sia il caso di considerare compromesso il prestigio del nostro Paese.

(l) -Cfr. n. 318. (2) -Entrambi del 21 gennaio. Di quello di Visconti Frasca si pubblicano i seguenti passi:
323

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 24 gennaio 1930.

Nella giornata di mercoledì non debbo segnalare che una conversazione con Briand (1). Briand è venuto a restituirmi la visita fattagli a Ginevra. Un'ora di conversazione inconclusiva sotto ogni punto di vista. Volontà generica di trovare un accordo, nulla nel terreno concreto dei fatti.

Ieri, prima riunione plenaria della Conferenza. I Primi Delegati delle cinque Potenze erano rimasti d'accordo di esprimere in un discorso succinto i rispettivi fabbisogni. Come avrai veduto io ho ripetuto, sviluppati, i concetti contenuti nella nota da Te trasmessa due anni fa ai Governi Francese ed Inglese (2), e da Te più volte confermati nelle Tue istruzioni a me, insistendo particolarmente sulla nostra situazione di • prigionieri » del Mediterraneo. Anche ieri la tesi italiana, nettamente autonoma, indipendente dalle altre, si è distanziata specialmente da quella francese e da quella britannica. Così il nostro problema è impostato senza possibilità di equivoci. La nostra buona volontà è dimostrata. Nessuno osa contestarla più. Nello stesso tempo nessuno osa sperare che l'Italia possa rinculare di un passo. Il mio discorso di ieri completa quello di martedì. Anche ieri l'Assemblea mi ha seguito con simpatia, eccetto i Francesi, scuri ed imbronciati come sempre, ed eccetto alcuni Inglesi, per i quali il mio linguaggio costituisce un imbarazzo. Ed infatti Tu hai veduto i giornali inglesi, anche laburisti: questi dicono chiaramente che il Fascismo è il più coraggioso di tutti. Ciò mette in imbarazzo i leaders laburisti.

Nella mia lettera di giovedì (3) scritta dopo la seduta inaugurale, Ti ho indicato come probabile un avvicinamento franco-inglese. Non mi ero sbagliato. MacDonald e Tardieu stanno già lavorando alla riesumazione dell'accordo del 1928 silurato da noi e dagli Americani.

Ieri, dopo la seduta generale, vi è stata la riunione dei Capi delle cinque Delegazioni. Due ore di discussione. MacDonald ha domandato se l'Italia voleva partecipare alle conversazioni franco-britanniche per raggiungere un accordo sulla base dell'accordo franco-inglese del 1928. Gli ho risposto di no. Tardieu è venuto a rincalzo di MacDonald. Ho confermato che l'Italia non accettò questo accordo due anni fa, e tanto meno è disposta ad accettarlo ora, nè entrare comunque in discussioni.

MacDonald allora ha girato, come si dice, la posi:t.ione ed ha proposto la nomina di Sottocomitati di esperti per esaminare le singole questioni tecniche e dar tempo così ai Capi delle Delegazioni di studiare la possibilità di accordi generali. Mi sono opposto anche a questa proposta inglese. Stimson si è dichiarato, su questo particolare oggetto, d'accordo con me. Tardieu è andato nuovamente a rincalzo di MacDonald. Ho dichiarato che l'Italia intende affrontare prima le grosse questioni pregiudiziali. Ho detto che non bisogna nascondersi la testa sotto l'ala, per non vedere. Finchè non sarà risolta la questione della relatività e del livello delle forze, nessun ulteriore cammino sarà possibile. Così la proposta MacDonald-Tardieu, che tendeva ad entrare nelle discussioni dei problemi di dettaglio attraverso riunioni di esperti, evitando così lo scoglio della • parità • , è stata, almeno per ora, scartata. Si è stabilito che, se questioni di dettaglio sorgeranno, queste saranno esaminate dagli stessi Capi delle cinque Delegazioni nelle loro riunioni che si prevedono giornaliere.

Non mi illudo gran che, Presidente.. che potrò riuscire a mantenere la Conferenza su questa linea. Gli Americani non hanno che una questione, grossa molto, è vero, ma specifica, da risolvere: gli incrociatori. Una volta risolta questa, non faranno più obiezioni, (essi che ormai hanno acquisito il principio della parità), alla proposta di discutere le questioni ad una ad una. Parimenti dicasi dei Giapponesi. Ma non importa. Rimarremo soli. Tanto meglio. Se io, in queste prime giornate, curo quella che si chiama • la buona stampa • attorno all'Italia, è soprattutto perchè prevedo che ad un eerto momento non è improbabile che dovremo sbattere forte la porta in faccia a tutti, e fare noi gli accusatori davanti alla pubblica opinione mondiale della fal!sità di questa gente, che sotto la veste del candido pacifico agnello, prepara meditatamente le condizioni della guerra.

Io mi riprometto di far questo, se occorre, al momento· opportuno, e dire

• arrivederci, o signori, a Ginevra alla Conferenza Generale del Disarmo •.

Per ora applico il motto dell'antica diplomazia repubblicana di Roma, la più grande diplomazia che abbia avuto sin'ora il mondo: suav iter in ve1·bis, jortite1· in re (1).

(l) -Cfr. n. 319. (2) -Sembra alludere al doc. ed. in Serie VII, vol. VII, n. 22. Per il testo dell'intervento di Grandi cfr. D. GRANDI, op. cit., pp. 126-129. (3) -Cfr. n. 315.
324

L'INCARICATO D'AFFARI A TIRANA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 286/77. Tirana, 24 gennaio 1930 (per. il 28).

Secondo informazioni giunte a Tirana da varie fonti, e particolarmente dai tre preti di cui al mio telespresso n. 77/37 dell'll corrente, risulterebbe che l'attività Jugoslava alla frontiera albanese abbia una nuova ripresa. Le autorità

• Venendo a parlare del problema franco--italiano, Stimson ha chiesto se un trattato per il Mediterraneo simile a quello quadruplice per il Pacifico non avrebbe potuto facilitare la soluzione del problema. A questo Grandi ha risposto che non aveva difficoltà per un simile patto se esso avesse potuto agevolare la :l.i'rancia ad accettare il principio della parità. Sembrava tuttavia più logico accordarsi preventivamente tra Francia e Italia sulle varie questioni in discussione che tuttora dividevano i due Paesi •.

jugoslave sarebbero riuscite a mettere d'accordo Gani Bey Krjeziu con Kol Biba per una azione comune contro il Governo di Zog. Gani bey continuerebbe ad arruolare volontari e conterebbe di poter costituire una forza da otto a diecimila uomini. L'offensiva contro l'Albania dovrebbe iniziarsi con un finto movimento insurrezionale delle bande di Gani Bey contro le autorità jugoslave, movimento che dovrebbe permettere agli insorti di impadronirsi del materiale bellico loro necessario, sedicentemente abbandonato dalle truppe jugoslave colte alla sprovvista.

Sotto gli auspici di quei Ministro degli Interni avrebbe avuto luogo a Belgrado una riunione fra Angelo Suma, Gemal Bey Bushati e Gani Bey. Scopo della riunione sarebbe stato far aderire quest'ultimo alla proposta accettata dai due primi, che cioè in caso di successo della insurrezione si dovesse offrire la corona d'Albania ad un Principe della casa dei Karageorgevic.

Non ho mezzo per controllare queste notizie e sarei anzi grato a V. E. se volesse farmi conoscere quanto possa risultare al riguardo ai nostri Agenti al di là della frontiera. Esse hanno però creato qui un ambiente di malessere e di apprensione. Tirana, che già di per se stessa non è tranquilla a causa del sopito, ma sempre aperto conflitto fra Governo e Parlamento, avrebbe avuto bisogno di molto meno per aumentare il suo nervosismo. Circolano le voci più disparate e più contradittorie sulle mene jugoslave e sull'attitudine delle tribù delle montagne. Non che si tema effettivamente Gani bey: l'organizzazione dell'esercito e la sua efficienza è ormai un fatto universalmente accettato. Quello che preoccupa è invece la possibilità di un colpo di mano contro Re Zog. La sua politica conciliativa ha raccolto a Tirana, anche in cariche importanti, elementi ex fuorusciti e sulla cui fedeltà ci sarebbe molto da dubitare. La Jugoslavia spende qui molto danaro e non si esclude che fra quelli che attingono alle casse di Belgrado vi siano anche persone vicinissime al Re. Ciò non permette di escludere, al momento in cui venga sferrata l'offensiva alla frontiera, la possibilità di un attentato fortunato. La morte di Zog getterebbe lo scompiglio in tutta l'organizzazione dello Stato e potrebbe rendere agevole qualsiasi colpo di testa.

Non si può negare che in tutti questi • si dice • vi sia molto, anzi moltissimo di vero. È però da notare che tutto questo è noto perfettamente al Re il quale, bisogna riconoscerlo, conosce persone ed ambiente molto meglio di noi, ed, a meno di volere ammettere un rammollimento completo -il che non è il caso -bisogna ritenere che egli abbia altri elementi in mano per sentirsi padrone della situazione e sicuro come dice e mostra di essere.

Del resto non si può dire che egli sia in questi ultimi tempi rimasto inattivo. Nella zona di Dibra, dove la situazione è ancora incerta, si sta svolgendo una serie di • vendette • fra i capi ostili a Zog, con tale regolarità da far supporre che le file dell'azione partano da lontano. Sotto pretesto poi di ridurre gli effettivi della guardia, per ragione di economia, un distaccamento di duecento fedelissimi è stato inviato a Pjskopeja per mantenere l'ordine nella regione.

In questi giorni sono stati raccolti a Tirana quasi tutti i Bairaktar della montagna, sotto pretesto di ricevere il sussidio annuale che viene loro pagato a titolo di stipendio quali ufficiali di riserva.

26 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Nella stessa occasione sono state risolte a favore dei montanari e per intervento diretto del Re alcune questioni di tasse pendenti fra le tribù ed il Governo Centrale. Alcuni dei Bairaktar, sulla cui fedeltà si hanno maggiori dubbi sono stati trattenuti a Tirana, con varii pretesti, e non sembra che faranno ritorno alle loro montagne per qualche tempo ancora.

Vengo inoltre informato che il Re sarebbe entrato in trattative con Kol Biba per indurlo a rientrare in Albania, promettendogli favori per lui e per la sua gente. Sembra che i negoziati prendano una piega favorevole, nonostante la grande diffidenza del Biba verso Zog.

Sebbene la situazione non sia più allarmante di quanto fu prospettato dal l'vlinistro Sola nel suo telegramma n. 384 del 5 dicembre u. s. (l) eccezione fatta del maggior nervosismo della Capitale.. ritengo sia ancora necessario vigilare attentamente e continuamente quanto si fa al di là della frontiera. Se questi armeggii jugoslavi, finchè restano allo stato potenziale, possono essere anche utili ai nostri fini, contribuendo a rendere il Governo Albanese più ragionevole nei nostri riguardi, altrettanto non si potrebbe dire di una vera e propria azione offensiva. Anche volendo escludersi l'ipotesi di un attentato a Zog, sempre possibile malgrado tutte le cautele immaginabili, la situazione di questo paese, nonostante le apparenze favorevoli all'attuale regime, può riservare delle sorprese più che spiacevoli per cui è meglio metterei in istato di eventualmente prevenire anzichè reprimere.

Per parte sua il Generale Pariani continua a ritenersi sicuro di poter fronteggiare qualsiasi situazione (2).

325.

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 305/173. Vienna, 24 gennaio 1930

L'organizzazione bulgara a carattere fascista • Rodna Zastita • si è rivolta al Magg. Pabst per stringere relazioni colle • Heimwehren • e gli ha annunziato che un proprio delegato gli farà visita il 6 febbraio p. v. per prendere accordi.

Il magg. Pabst ha pregato Morreale di volergli dire se la suddetta organizzazione si trova in buoni rapporti colle autorità italiane, poichè solo in questo caso sarebbe disposto ad entrare in relazione con essa.

Prego cotesto R. Ministero di volermi fornire elementi di risposta e possibilmente d'urgenza.

(l) Lo stesso giorno alìe ore 16 Grandi ebbe un colloquio con Stimson. Del verbale si pubblica solo il brano seguente:

(l) -Cfr. n. 218. (2) -A margine annotazione di Mussolini: ' Importante •. Ma le informazioni su possibilimovimenti insurrezionali risultarono poi infondate.
326

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 286/154. Vienna, 24 gennaio 1930.

Fo seguito al rnio odierno telegramma n. 13 (1).

Il Cancelliere mi ha accolto con volto assai lieto e mi ha espresso la sua grande riconoscenza per il ripetuto ed efficacissimo appoggio datogli, grazie alle istruzioni di S. E. il Capo del Governo, dalla nostra Delegazione nella Conferenza dell'Aja. Nel fornirmi particolari circa il corso dei lavori, Schober, pure ammettendo che i Francesi si erano manifestati ben disposti verso l'Austria, ha criticato alquanto Tardieu che, da francese facilone, mostrava credere potersi agevolmente risolvere le difficoltà opposte all'Austria dalla Cecoslovacchia mediante il pagamento, da parte della prima, della metà della ingentissima somma chiesta dalla seconda. Mi ha inoltre narrato aver risposto alle pretese di Benes, non riuscire a comprendere su quale diritto si basassero le domande di pagamenti rivolte a questa Repubblica da uno Stato come la Cecoslovacchia che, per quanto si sapeva, non aveva battuto in guerra l'Austria. Schober ha infine parlato con qualche ironia della superiorità con la quale i Francesi trattavano Benes e della remissività sorridente con la quale questi accettava tale inferiorità.

Il Cancelliere mi ha poi intrattenuto sulla relazione da lui fatta oggi nella Commissione principale esecutiva della Camera circa la Conferenza dell'Aja, ed ha richiamato la mia attenzione sul fatto, riferito nel resoconto dei giornali di stasera, che egli aveva rammentato come la principale creditrice dell'Austria fosse l'Italia. La stessa osservazione si prometteva di ripetere domani ai rappresentanti della Stampa che riceverà. (Si tratta di un suggerimento che gli avevo fatto dare da SchUller, il quale aveva consentito con me nello stimare necessario fosse chiarita all'opinione pubblica Austriaca, ignara o dimentica, che se anche le altre Grandi Potenze avevano rinunciato ai loro crediti a vantaggio dell'Austria, questa rinuncia aveva maggiore importanza nei nostri riguardi, essendo noi i principali creditori) (2). I membri socialisti della Commissione, appena udito della nostra rinuncia, si sono affrettati a chiedere al Cancelliere che cosa in cambio l'Italia

• ...Nos sentiments de gratitude sont d'autant plus profonds que nous nous rendons parfaitement compte que c'était l'Italie qui, pour amener l'heureux résultat obtenu, a dù renoncer à faire valoir des réclamations bie n plus considérables que les autres États... •.

Cfr. però una relazione per Grandi del 19 febbraio 1930 circa l'opportunità o meno di annullare i • debiti che l'antico Erario austro-ungarico aveva contratto fino al 1918 nei territori trasferiti all'Italia in base al Trattato di Pace, sia verso enti e comunità che verso persone. Fra questi particolarmente interessanti i debiti derivanti da requisizioni militari durante la guerra....

Conviene a noi rinunziare ad una cosi cospicua ipoteca sull'Austria? Si dice e si ripeteche l'Austria non può né potrà mai pagare una somma cosi ingente e che quindi vi sarebbe convenienza a fare il bel gesto di rinunziare al credito seguendo su tale via altri Stati creditori dell'Austria che hanno cosi operato. Il ragionamento è poco convincente perchè noi non pretendiamo di essere pagati dall'Austria ma di mantenere una via aperta per ogni eventualità: mutamenti politici interni di quel paese (la situazione parlamentare di Schober non è molto forte), nuovi orientamenti nella politica estera (confederazione Danubiana sotto l'egida della Francia), Anschluss ecc. Insomma il parere della Direzione Generale E.L.A. è di non barattare un credito imponente ma di tenerlo vivo e, in ultima ipotesi negoziarlo a tempo opportuno sul terreno politico •.

avesse imposto all'Austria di pagarle, e Schober ha risposto loro che l'Italia nulla aveva chiesto, sicchè l'Austria non le avrebbe fatto in avvenire nessun altro pagamento oltre la quota che, fin dal '28, le andava spontaneamente versando per i propri debiti derivanti dai • buoni di soccorso ». I socialisti non hanno replicato ma hanno invitato il Cancelliere ad astenersi da atti di servilismo verso l'Italia, al che questi ha ribattuto che nè il R. Governo glieli chiedeva nè egli era disposto a farne.

Terminato questo argomento, ho detto a Schober che nel nostro colloquio dopo il mio ritorno da Roma egli mi aveva spontaneamente accennato alla possibilità di un patto di amicizia con noi, come conferma dei suoi amichevoli sentimenti. Io non avevo nulla risposto allora., non conoscendo le idee del R. Governo. Ne avevo però riferito a V. E. e durante la di lui assenza avevo ricevuto la risposta, la quale era che, se egli perseverava nel suo progetto, questo sarebbe stato favorevolmente accolto da noi. Ho quindi sviluppato gli argomenti per i quali mi sembrava utile la conclusione di un simile patto, e opportuna l'occasione del suo viaggio a Roma. Schober mi ha risposto che, tanto più convenendo nei miei argomenti, era sempre disposto alla conclusione di tale patto. Gli ho allora detto che V. E. supponendo che egli non avesse mutato parere, mi aveva inviato il testo di un progetto. Glielo rimettevo perchè lo esaminasse, e mi facesse poi sapere se intendesse accettarlo tal quale o proporre qualche modificazione che mi sarei affrettato a riferire all'E. V.:: la firma del Patto stesso avrebbe potuto avvenire nella riunione in Palazzo Venezia indicata come eventuale per il 2° giorno, nel programma inviatomi da codesto R. Ministero. Schober ha annuito e si è riservato ulteriori comunicazioni in proposito, dopo esaminato il nostro progetto.

Merita al riguardo menzione il brano relativo al viaggio di Schober a Roma, nella intervista concessa di recente da Seipel a questo corrispondente del Popolo d'Italia. Ha detto: • Siamo convinti che il Cancelliere riuscirà ad ottenere anche molte cose che non hanno potuto :formare oggetto di pubblica discussione • (1). Non so a che cosa alludesse Seipel; ma ho preferito non accennarvi con Schober, nel timore di turbare le acque e di disporlo sfavorevolmente alla conclusione del Patto facendogli credere potessimo pensare che egli vi acconsentisse per imposizione, od anche solo suggerimento, del suo non troppo amato predecessore. Come dicevo, non so che cosa intendesse Seipel. con quella frase. Queste allusioni vaghe sono frequenti nell'oratoria dell'ex Caneelliere, ed occorrerebbe una interpretazione autentica che per il momento mi asterrò dall'andare a chiedere per non dare ombra a Schober e destare in lui dannosi sospetti di doppio gioco da parte nostra. Se per un verso si dovrebbe credere che Seipel pensasse ad altro e più che non ad un semplice Patto di amicizia, dall'altro non è da dimenticare che egli stesso, nella medesima intervista, ha dichiarato avere l'Austria ancora importanti problemi di politica interna da regolare e non poter quindi pensare ad una politica estera più attiva se non dopo la risoluzione di essi.

Pensava forse alle c He!mwehren » !' Ma le • Heimwehren • non sono per il momento in ottimi rapporti con Schober.

Io non so se il Cancelliere sarebbe disposto ad assumere con noi altri impegni, oltre quelli del Patto. Non ho fatto sondaggi, perchè ignoro le intenzioni in proposito di S. E. il Capo del Governo, e perchè credo che, se fossero affermative, sarebbe preferibile ne tenesse egli stesso direttamente parola a Schober. Limitandomi a ragionate supposizioni, dirò che non mi sembra probabile il consenso di questo a legami importanti e formali, quand'anche segreti. Ciò innanzi tutto perchè, come ha accennato Seipel, vi sono ancora problemi così gravi di politica interna da precludere la possibilità, prima della loro soluzione, di un nuovo orientamento di politica estera, per il quale, abbandonandosi la relativa equidistanza da tutti i vicini, si piegasse risolutamente e decisivamente dalla parte nostra. Inoltre, a lungo andare, non vi è segreto che rimanga tale in Austria, e la notizia rischierebbe di far rovesciare Schober, come già nel '22 per le sue intese con la Cecoslovacchia; e questa volta, oltre che dai pangermanisti, anche dai cristiano-sociali del Tirolo e dai socialisti: l'opinione pubblica è straordinariamente migliorata qui nei nostri riguardi in quest'ultimo mese, ma non consentirebbe ancora tanto. Tuttavia non stimo impossibile qualche intesa con lui relativa oltre che ai nostri interessi, anche a quelli ungheresi; essa, sia pure generica e non formale, avrebbe importanza non solo per sè bensì anche perchè, il giorno in cui a Schober succedesse Seipel od uno dei suoi partigiani, non è affatto da escludere potrebbe essere da questi confermata, se si rifletta all'intervista di Seipel. A ciò sono indotto dalle favorevolissime intenzioni manifestatemi dal Cancelliere in relazione così all'Italia come all'Ungheria, e da me riferite con il mio rapporto n. 2687 del 27 dicembre 1929 -VIII (1). Vi sono indotto altresì da quanto Schober mi ha detto durante il nostro odierno colloquio. Nel manifestarmi di nuovo le sue amichevoli disposizioni a nostro riguardo, il Cancelliere ha osservato che l'Austria deve pur decidersi nella sua politica estera, e che la recente Conferenza dell'Aja e il contegno assuntovi dalle varie Potenze non lascia dubitare verso quale di esse questa Repubblica debba volgersi. Egli è stato sempre d'opinione che gli interessi dell'Austria la inducessero a dirigersi verso di noi; ma fino a pochi mesi fa era semplice funzionario e, pur rammaricandosi assai in cuor suo nel vedere che • altri » -accenno a Seipel -sembrava non essere della stessa opinione, non poteva far nulla perchè il proprio avviso avesse il sopravvento.

Vi è poi da considerare come elemento di successo, la straordinaria ammirazione di Schober per il Duce, il grande fascino che mostra fin da ora subirne e che certo ne subirà maggiormente quando potrà soddisfare il desiderio in lui indubbiamente vivissimo di conoscerlo di persona. Alla fine del nostro colloquio il Cancelliere diceva che nuove importanti leggi, di carattere politico e sociale, dovrà sottoporre all'approvazione del Parlamento quando tornerà da Roma, affrontando nuove energiche opposizioni dei socialisti austriaci. « Molti non ne comprenderanno il valore e le difficoltà, ma vi è certamente un uomo cui ne parlerò e che -ne sono sicuro prima ancora di avergliene parlato e anche solo di conoscerlo -mi capirà e quest'uomo è Mussolini •.

(l) -T. (p. r.) 948/13, che non si pubblica. (2) -Schober scrisse a Mosconi una lettera, datata Vienna 28 gennaio 1930, per ringraziarlo dell'atteggiamento della delegazione italiana in favore dell'Austria alla conferenza dell'Aja:

(l) Cfr. n Popolo d'Italia, 19 gennaio 1930, sotto il titolo c I possibili sviluppi della politica austriaca nel pensiero di Monsignor Seipel •.

(l) Cfr. n. 28.3.

327

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL PRIMO MINISTRO FRANCESE, TARDIEU, E CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND

Londra, 25 gennaio 1930.

Colloquio di un'ora e mezza. Argomentazioni, ragionamenti, discussioni. A béitons rompus. Ma la situazione non avanza di un passo. Tardieu, davanti a Briand, è più prudente. Sembra che egli tema più di compromettersi con Briand che con me.

l. Tardieu mi ha dichiarato che è utile per l'Italia e la Francia di attendere i risultati delle conversazioni anglo-americane e giapponesi. È sua impressione che essi non si metteranno d'accordo. Gli rispondo che questa sua argomentazione fa appunto pensare che è vero quello che dicono molti francesi : poichè la Conferenza è destinata ad un insuccesso, meglio non impegnarsi in nulla e per nulla coll'Italia. Gli confermo che, qualunque sia lo svolgersi dei lavo1·i della Conferenza l'Italia non può rinculare e non rinculerà di un passo.

2. Briand ha ripetuto la sua proposta di Ginevra (l) (che i nostri marinai esaminerebbero con favore ma che io ritengo inaccettabile perchè significa effettivamente il sacrificio della parità). Ho risposto a Briand che l'Italia non può accettare la discussione sui programmi.

3. Tardieu cerca ancora di convincermi: • L'Italia non deve ripetere l'errore degli americani e degli inglesi che attraverso la loro parità hanno creato il Giappone arbitro fra loro. La parità italo-francese creerebbe nell'Inghilterra un arbitro fra l'Italia e la Francia ».

Gli rispondo che il ragionamento zoppica, e non trova basi nella realtà. Se la Francia continua nella sua attuale politica finirà sì col creare un arbitro fra Italia e Francia, la Germania. • La Francia lavora oggi in Italia per la Germania ».

4. -Briand ripete gli argomenti già noti. Mediterraneo. Lunghezza delle coste, ecc. ecc. Gli rispondo che desidero se;guirlo per un momento nel suo ragionamento. Il problema italo-francese è un problema mediterraneo e il coefficiente della lunghezza delle coste è determinante della potenza delle flotte. Bene. Allora in questo caso poichè la lunghezza delle coste italiane nel Mediterraneo è quasi il doppio di quella francese, così la flotta italiana nel Mediterraneo ha il diritto di essere conseguentemente quasi il doppio di quella francese. 5. -Tardieu fa il confronto fra la flotta francese nel 1914 e la flotta francese nel 1930.

• Ma nel 1914, gli dico, la flotta tedesca era la seconda flotta nel mondo. Oggi È= distrutta. Nel Mediterraneo la flotta francese aveva contro le flotte alleate italiana ed austriaca. La seconda è distrutta. La prima non fa parte di nes:;un sistema ostile alla Francia. Al contrario la Francia ha acquistato una nuova alleata navale nell'Adriatico, la Jugoslavia.

Inoltre: nel 1914 era inibito alla flotta russa l'ingresso nel Mediterraneo. Oggi l'equilibrio, col Trattato di Losanna e la libertà degli Stretti, si è mutato. Una flotta russa a Cattaro o Sebenico può essere per l'Italia una cosa seria. Una flotta russa nel mare francese entro la linea Tolone-Biserta, non rappresenta niente».

6. Nè Briand, nè Tardieu hanno accennato al Patto Mediterraneo.

(l) Cfr. n. 308.

328

PROMEMORIA DEL DELEGATO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO, SUL COLLOQUIO CON IL DELEGATO FRANCESE, MASSIGLI

Londra, 25 gennaio 1930.

Ho detto a Massigli che il mio Ministro desiderava che io mi tenessi in contatto con la Delegazione francese. Ne approfittavo per fargli conoscere lo spirito col quale noi consideravamo la questione franco-italiana della parità.

Gli ho detto che nell'impostare la questione all'inizio delle conversazioni svoltesi a Parigi fra il nostro Ambasciatore ed il Quai d'Orsay noi ci eravamo sforzati di formulare la nostra tesi in modo che fosse facile alla Francia di accettarla. Speravamo con questo di venire a Londra avendo risolto le difficoltà francoitaliane e di poter quindi lavorare d'accordo alla Conferenza come mi sembrava fosse interesse di entrambi i Paesi. Ci rincresceva che non si fosse arrivati ad un accordo prima di venire a Londra ma che con questo non escludevamo la possibilità di farlo qui. Io sarei sempre stato pronto ad esaminare con lui qualsiasi idea che potesse facilitare un'intesa. Egli doveva però tener presente che in nessun caso l'Italia avrebbe potuto firmare un qualsiasi accordo il quale la impegnasse in senso restrittivo in confronto con la Francia. Noi non intendevamo fare una corsa agli armamenti con la Francia, ma intendevamo conservare in qualsiasi caso la nostra libertà di costruire fino al limite delle costruzioni francesi.

Osservai che non era nell'interesse nè della Francia nè dell'Italia che il dissenso itala-francese sulla questione della parità venisse sfruttato dagli altri per far ricadere eventualmente su di noi la responsabilità di un fallimento della Conferenza.

Massigli ha convenuto sull'ultima osservazione. Mi ha detto che si rendeva conto della forza dell'argomento su cui basavamo la nostra tesi; e per la Francia vi erano difficoltà gravi da parte dell'opinione pubblica. Che però era molto contento di quello che io gli avevo detto, che per parte sua intendeva mantenersi in stretto contatto con noi e che mi avrebbe fatto conoscere anche solo a titolo personale qualsiasi idea o progetto che egli credesse suscettibile di essere discusso per regolare la nostra questione.

Gli ho parlato della riunione di ieri presso il Signor MacDonald. Egli non aveva ricevuto il verbale del Segretariato, sapeva soltanto che il Ministro Grandi avrebbe sollecitato l'intervento di MacDonald per intervenire fra Francia ed Italia nei riguardi della questione della parità. Ha detto che da parte francese si riteneva la questione potesse essere regolata direttamente senza intermediario. Gli ho spiegato che l'idea di una riunione a tre, prevista per lunedì prossimo, era stata suggerita dal Ministro Grandi più che altro per prevenire delle erronee interpretazioni sul fatto che la riunione a tre prevista per ieri non era stata tenuta.

Mi ha poi parlato delle sue conversazioni con Craigie informandomi che vertevano specialmente sulla questione del trasferimento applicato al naviglio leggero di superficie (e cioè ad esclusione delle navi da battaglia, grandi incrociatori e sottomarini); vi era ancora una divergenza sostanziale fra inglesi e francesi sulla classificazione di questo naviglio leggero. Circa i quesiti comunicati dal Segretariato la Delegazione francese aveva risposto facendo una riserva per salvaguardare integra la sua opposizione nei riguardi del tonnellaggio globale.

Massigli mi ha detto che gli risultava che Stimson aveva risposto osservando che i quesiti elencati nel documento del Segretariato gli apparivano • prématurés •.

329

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 40402. Roma, 25 gennaio 1930.

Mi riferisco ai due telegrammi a mano n. 106 e 108 del 21 corrente (1).

Ho di recente esposto a codesto R. Ministero la situazione in Etiopia quale risulta da Asmara (2). Anche volendo ammettere che vi sia qualche esagerazione, è certo che si tratta di una situazione di. una certa gravità. Del resto anche il ministro Cora incomincia ora ad ammetterla, ed egli dovrebbe riconoscere che, se • tale stato di cose è semi-cronico dalla morte di Menelik in poi •, da vari anni esso non si presentava con caratteri così spiccati e con sintomi così impressionanti. Convengo in ogni modo con il comm. Cora nel ritenere per lo meno assai improbabili ripercussioni esterne. Non di queste invero bisogna preoccuparsi, ma occuparsi dei possibili mutamenti dell'equilibrio politico interno, e seguire quindi con molta attenzione e non soltanto da Addis Abeba gli attuali avvenimenti abissini. In merito ai quali credo che nessuno sia in grado di fare previsioni, in qualche modo fondate: non è il caso quindi -io penso -di discutere o speculare in proposito, o di sottoporre ad esame critico l'asserzione del R. ministro che ove • si verifichi un caos in Etiopia ci troveremo in posizione favorevole per profittare della situazione •. A me basta di constatare con soddisfazione che egli

• conviene pienamente nella inopportunità di intervenire nelle faccende interne dell'Abissinia ovvero di consentire armamenti a un governo imbelle "• pur non riuscendo a comprendere -di fronte a queste così decise affermazioni -l'ultimo periodo del suo telegramma.

Quanto al passo compiuto di recente dall'ambasciata britannica, e all'asserzione (che dalle dichiarazioni del nostro ministro risulta non fondata) che Tafari

avrebbe chiesto alle tre legazioni di autorizzare forniture di armi, io credo che debba vedervisi una continuazione e un logico svolgimento della tesi inizialmente sostenuta dal sig. Murray a Parigi. La sua fretta di concludere in qualche modo un accordo, da perfezionare poi ad Addis Abeba, fu da noi ritenuta connessa con la prossima riapertura dei negoziati per il lago Tsana. Adesso che questi sono stati ripresi, il Governo britannico vorrebbe -in previsione della stipulazione dell'accordo di Parigi -accordare a Tafari qualche fornitura di armi per agevolare il corso di quei negoziati; e, poichè a Parigi si è rimasti d'accordo che ne;;suna fornitura dovrà aver luogo prima che l'accordo non sia stato sottoscritto, vuole sfruttare l'attuale situazione in Abissinia come un fatto nuovo, che debba indurre a modificare le decisioni prima adottate.

È perciò molto verosimile che un eguale passo sia stato fatto a Parigi.

(l) -Per il primo cfr. n. 317. Il secondo non si pubblica. (2) -Cfr. n. 310.
330

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P. R.) PER CORRIERE 1050/396/180. Belgrado, 25 gennaio 1930 (per. il 27).

Con telegramma per corriere n. 836 del 22 c. m. V. E. mi dà istruzioni di chiedere il gradimento alla nomina del colonnello Amari quale addetto militare a Belgrado.

È mia subordinata opinione che dovrebbesi contemporaneamente comunicare a quali altre funzioni sia destinato il colonnello Visconti affinchè egli non appaia presso queste autorità sconfessato o punito. Parmi una questione di prestigio dalla quale non dovrebbesi prescindere.

Prego quindi V. E. telegrafarmi di urgenza se e quale comunicazione io possa fare su questo punto. La nota verbale di comunicazione per questo ministero degli affari esteri sarebbe da me redatta nel seguente modo:

• (Omissis) ....... il colonnello Visconti compiendo il 6 marzo p. v. il sessennio di sua permanenza a Belgrado, termine massimo consentito dai regolamenti in vigore, ed essendo stato nominato ..... cesserà dalle sue funzioni al termine del sessennio predetto ".

Seguirebbe poi la richiesta di gradimento per il colonnello Amari.

331

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 234/87. Budapest, 25 gennaio 1930.

Mi riferisco al mio Rapporto n. 232/85 del 23 c. m.

Il Capo dell'Ufficio Stampa di questa R. Legazione ha avuto occasione di incontrare ier sera il redattore-capo del trust giornalistico • Az Est •, signor Andor Miklos, col quale ha avuto una lunga conversazione, di cui riferisco qui di seguito il tenore.

Il signor Miklos, a proposito della Conferenza dell'Aja, disse di essere informato pienamente circa l'attività svolta dal signor Loucheur e di saper bene che questi non ha agito in senso :favorevole al punto di vista ungherese. L'appoggio all'Ungheria, traverso una continua azione moderatrice presso la Piccola Intesa, è venuto all'Ungheria da parte francese per merito di Tardieu. Il Conte Bethlen, recatosi a Parigi subito dopo la chiusura della conferenza, ha colà discusso col Presidente del Consiglio francese il problema del prestito che l'Ungheria conta di avere dalla Francia. 1Quanto all'atteggiamento dell'Italia, esso era considerato in Ungheria naturale: egli ha osservato a questo proposito che l'Italia, la quale precedentemente aveva sostenuto l'Ungheria • dietro le quinte •, questa volta ha dato il suo appoggio con un'efficacia e con un'evidenza tale da persuadere definitivamente tutte le Potenze d'Europa della saldezza dell'amicizia itala-ungherese. L'appoggio della Francia fu invece velato e segna l'inizio di una condotta che porterà la Francia ad assumere nei riguardi dell'Ungheria l'atteggiamento che, prima della conferenza dell'Aja, aveva mantenuto per anni di seguito l'Italia: il suo appoggio all'Ungheria cioè si manifesterà nel lavorio di retroscena. Miklos ha affermato inoltre che hanno grandemente giovato all'Ungheria i colloqui che con gli uomini politici francesi hanno avuto Jean Sapene e Chiappe, i quali, come già dissi, sono stati ospiti di Miklos nell'ottobre scorso.

L'Ungheria -secondo Miklos -è per l'Italia un fattore politico e militare; ora bisognerà provvedere a renderla un fattore economico per la Francia, considerato che solo la Francia dispone oggi di capitali e solo la Francia potrà quindi fornire all'Europa le riserve finanziarie occorrenti. Nè l'America, nè l'Inghilterra, troppo preoccupate delle loro questioni interne ed estere di varia natura, potranno pensare al mercato continentale europeo, come ad un proficuo campo di azione. Il signor Miklos prevede che tra due o tre anni il capitale francese avrà pienamente conquistato il mercato magiaro ed allora l'economia ungherese potrà iniziare il suo vero periodo di rifiorimento.

Per raggiungere più speditamente lo scopo, Miklos ritiene necessario patrocinare una politica di avvicinamento agli Stati vicini e tra questi specialmente alla Jugoslavia, dato che con questa l'Ungheria ha minori superfici di attrito e dato che la Jugoslavia può essere considerata già una piazza conquistata del capitale francese nell'Europa orientale. Coordinare le due economie sotto l'egida del capitale francese, potrebbe significare una soluzione molto favorevole del problema economico della valle danubiana.

Miklos prese poi a parlare del valore dell"amicizia italiana per l'Ungheria constatando che tale amicizia è naturale come è naturale la luce del sole e che essa non potrà mai essere negata e perduta, perchè mai nessuno in Ungheria dimenticherà che all'Italia spetta il merito di aver portato alla conoscenza delle Nazioni d'Europa il problema ungherese. Egli aggiunse che purtroppo però l'amicizia italiana ha, a suo giudizio, anche un lato negativo rappresentato dal suo regime dittatoriale. L'Italia fascista, secondo Miklos, non è ben vista dalla democrazia invadente e incontra, da parte dei Governi democratici, ostilità e spesso odii, che si riflettono dannosamente anche sull'Ungheria. L'Ungheria, purtroppo, ha attirato su di sè tutto l'odio che l'Europa coalizzata aveva per l'ex duplice Monarchia, mentre l'Austria, indossando abilmente l'abito della miseria, ha allontanato da Vienna le conseguenze delle antiche colpe. Ora l'Ungheria logicamente ha bisogno di sfatare tutte le leggende che corrono sul suo conto ed ha bisogno di trovare quanti più amici è possibile. Essa deve provvedere a dissipare l'atmosfera di odio che la circonda e dimostrare di essere un elemento utile, se non indispensabile all'equilibrio europeo.

Ho ritenuto interessante riferire all'E. V. le idee esposte dal signor Miklos sia per l'importanza della persona (che è a capo di tre diffusissimi quotidiani), sia per il fatto che tali idee sono comuni ,alla maggior parte degli elementi democratici ungheresi. È evidente che il signor Miklos ha tanto lodato l'amicizia italiana solo per la forma, poichè non vedo come, allo stato attuale delle cose, egli possa conciliare un orientamento così deciso verso la Francia e la Jugoslavia con una politica di amicizia verso l'Italia (1).

332

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI

T. PER CORRIERE 122. Roma, 27 gennaio 1930, ore 24.

Il R. ministro a Praga riferisce (2) :

" Oggi profittando della restituzione della visita che mi faceva il ministro bulgaro dott. Vazoff mi sono intrattenuto a lungo con lui su rapporti ceco-bulgari e sul patto di cui è imminente firma. È noto patto proviene da iniziativa detto ministro. Su mia domanda Vazoff mi ha risposto idea essere veramente partita da lui ma che patto normalissimo, da mettere nella collezione della Società delle Nazioni non avrebbe potuto mai avere portata oltre le relazioni di buon vicinato e che mai (ha ripetuto più volte mai) Bulgaria sarebbe entrata in Piccola Intesa o in qualsiasi federazione e raggruppamento balcanico avendone avute dure lezioni dalla storia. Gli ho osservato che fatica parevami sproporzionata a tale scopo modesto. Allora è saltata fuori la vera sostanza politica del patto. Cerco ripetere parole dì Vazoff. Abbiamo rinunciato ad ogni rivendicazione territoriale, noi non vogliamo più cambiare nostre frontiere. Bulgari son rimasti fuori dei confini, ma speriamo che essi otterranno in avvenire vantaggi culturali che ci basteranno. Noi insomma vogliamo rimanere come siamo, ed essere amici di tutti. Tra noi e Jugoslavia esistono spesso frizioni e inconvenienti, ci è utile che un alleato della Jugoslavia abbia un patto anche con noi perchè possa attutire gli urti ed aprire gli occhi di Belgrado. Ho allora osservato che sostanza patto diviene così una specie di arbitrato affidato a Cecoslovacchia. Vazoff mi ha risposto non parte di arbitri ma di consiglieri.

Segnalo colloquio prolungatosi sul medesimo tono perchè dichiarazioni sia pure confidenziali del Vazoff danno al patto che sta per essere firmato un carat

tere più accentuato di quanto ufficialmente non appaia tanto più se si tien conto che Vazoff è autore della iniziativa e che notoriamente è fautore quasi fanatico dei buoni accordi tra Bulgari e altri Slavi.

Vazoff mi ha anche parlato delle interferenze che gli agrari cechi hanno in politica interna bulgara, ricordando che essi mantengono a Sofia un giornale cui redattore capo è stato qui in questi giorni a bussare a denari; mi ha anche detto che qui ci sono molti illusi che si immaginano di poter influire notevolmente su destini Bulgaria. Nonostante questo, ministro che deve avere carattere da esercito della salute lavora accanitamente per mettere Bulgaria sotto tutela di Benes nei rapporti con la Jugoslavia »,

A meno che le dichiarazioni che Vazoff ha fatto al R. ministro a Praga non rappresentino idee strettamente personali, a conforto dell'iniziativa da lui presa per il patto fra Bulgaria e Cecoslovacchia, la portata che si intenderebbe attribuire allo stesso appare di molto maggiore importanza per la futura politica bulgara di quanto non risulterebbe dal telegramma di V. S. n. 235 (l) e tale da dar ragione del segreto col quale, anche di fronte a noi i negoziati sono stati condotti.

Prego, ad ogni modo, la S. V. di approfondire l'argomento per cercare di sapere la verità, che deve esserci di utile norma di condotta.

(l) -Annotazione marginale di Grandi: , A S. E. il Capo del Governo "· Annotazione marginale di Mussolini: «Importante"· (2) -Con t. 194/12, 16 gennaio.
333

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 536/296. Parigi, 28 gennaio 1930.

Suo telespresso n. 200703/C del 10 corrente.

In una conversazione di carattere personale avuta da Boscarelli col conte di St. Quentin questi gli ha detto che il Governo francese si preoccupa delle conseguenze che potrà avere l'iniziativa presa dall'Ufficio Internazionale del lavoro in merito al lavoro forzato nelle colonie.

Il questionario inviato dall'U.I.L. ai varii Governi è stato oggetto di esame da parte di una commissione interministeriale nella quale erano rappresentati i Ministeri francesi delle Colonie, del Lavoro e degli Affari Esteri.

Il de St. Quentin, che nella riunione rappresentava quest'ultimo Dicastero, ha detto che, a suo avviso, i rappresentanti dei vari governi interessati nell'U.I.L. avrebbero dovuto fare delle riserve quando nel giugno scorso fu presa l'iniziativa di cui si tratta. Al punto in cui sono ormai giunte le cose è difficile di non rispondere al questionario e di declinare l'invito di partecipare ad una conferenza incaricata di redigere il progetto di Convenzione.

Si può però cercare di !imitarne la portata.

Le domande contenute al numero 2 ed al numero 29 del questionario ne

offrono l'occasione.

La prima di esse infatti sarebbe -a dire del St. Quentin -in rapporto

coll'articolo 421 del Trattato di Versaglia e domanderebbe alle potenze interessate

se esse sono disposte a rinunziare alle riserve contenute nei numeri uno e due di

detto articolo. Rispondendo in tutto o in parte, negativamente, la portata della

futura convenzione promossa dall'U.I.L. verrebbe ad essere molto limitata.

La seconda propone addirittura la formazione di un comitato permanente nel

seno dell'Ufficio Internazionale del Lavoro incaricato di sorvegliare, non solo il

lavoro forzato, ma il lavoro indigeno nelle colonie. Occorrerebbe respingere -e

la Francia respingerà -tale proposta. In tal guisa si eviterebbe la creazione

dell'organo incaricato dell'esecuzione della futura convenzione.

Il de St. Quentin ha terminato la conversazione (nella quale Boscarelli si è tenuto molto sulle generali, sia in esecuzione alle istruzioni da me impartitegli, sia perchè la R. Ambasciata non ha avuto conoscenza del questionario di cui si tratia), dicendo che a suo modo di vedere uno scambio di vedute preliminare fra le potenze interessate sarebbe molto utile e che forse il Governo italiano avrebbe potuto incaricare il Comm. Astuto, in occasione del suo ritorno per la Conferenza delle armi in Etiopia, di parlare della questione con i competenti uffici francesi. A quanto risultava al de St. Quentin stesso i Governi belga, olan. dese, portoghese, avrebbero aderito con molto piacere ad un tale scambio di

vedute.

Visto che l'Italia non ha nelle sue Colonie il lavoro forzato; se siamo in

situazione dì poter escludere al riguardo delle Colonie nostre ogni sgradevole

ripercussione di eventuali decisioni rigide in materia di lavoro forzato e di sor

veglianza internazionale in proposito; potremo, qualora la Francia tenga nella

questione delle forniture di armi all'Abissinia un atteggiamento per noi sgrade

vole, ripagarla di atteggiamento corrispondente in questa questione !asciandole

capire che lo muteremmo ove essa muti il suo nel riguardo dell'altra questione.

Il fatto che le due faccende saranno trattate entrambe dal Comm. Astuto faciliterà

la eventuale manovra.

(l) T. 4528/235 del 21 novembre 1929, col quale Piacentini smentiva le notizie àl cui al n. 157.

334

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 330/186. Vienna, 28 gennaio 1930.

Il Segretario Generale di questo Dipartimento Esteri mi ha segretamente confidato che il Governo Austriaco intenderebbe valersi della prossima visita del Cancelliere a Roma per fargli domandare a S. E. il Capo del Governo il suo consenso ad alcune richieste relative ad armamenti. Basterebbe un consenso di massima da parte di S. E. Mussolini: i negoziati e i conseguenti accordi positivi sarebbero poi lasciati ai due Ministeri della Guerra. Ma tale richiesta non sarebbe rivolta dal Cancelliere al Duce se non dopo che quegli avesse avuto assicurazione preventiva di una accettazione di principio da parte di questo. Circa le richieste specifiche, il R. Addetto Militare ha ricevuto un promemoria da questo Ministero dell'Esercito, che egli trasmette ai suoi Superiori e di cui una copia si trova qui acclusa.

Da parte mia osservo che le richieste austriache sulle modificazioni nel sistema di arruolamento e sull'aviazione militare non hanno alcun valore attuale, giacchè non è da credere che, almeno per ora, la Francia, in opposizione ai trattati di pace, vi consentirebbe, affine di evitare pericolosi precedenti nei riguardi della Germania. Perciò mi sembra che un nostro assenso di massima, mentre riuscirebbe qui assai gradito, non muterebbe in nulla il presente stato di cose.

Più importante mi pare l'altra richiesta relativa ai cannoni. Anch'essa mi sembra accettabile, sia perchè non muterebbe il rapporto di valore dell'armamento dell'esercito austriaco di fronte al nostro, sia perchè rafforzerebbe le nostre migliorate relazioni volgendole su un nuovo campo positivo. Al nostro interesse politico se ne aggiungerebbe poi uno economico, qualora insieme con i cannoni potessimo fornire materiale guerresco sussidiario di produzione italiana. Senonchè le difficoltà sorgono dal fatto che al nostro consenso teorico dovrebbe seguire l'atto pratico della consegna. Potrebbe effettuarsi il trasporto in modo segreto? E che cosa avverrebbe, dal punto di vista così interno austriaco come internazionale, qualora la cosa, come è possibile, fosse conosciuta dalla stampa socialista? La questione mi sembra alquanto delicata e complicata. Ma mi pare che anche per essa un assenso di principio potrebbe essere dato, subordinandone la pratica effettuazione alla indicazione da parte austriaca delle sicure premesse per la buona riuscita del progetto.

Queste mie proposte sull'accoglienza da fare alle richieste austriache sono dettate così da quanto V. E. mi comunicava con la sua lettera N. l del 6 corrente (l) intorno alle nuove direttive della nostra politica nei riguardi dell'Austria, come dalla supposizione che i risultati dei colloqui del Cancelliere con il Capo del Governo confermeranno all'E. S. corrispondere al mutamento della politica italiana verso l'Austria un mutamento della politica austriaca verso l'Italia (mio rapporto N. 154 del 24 gennaio u. s.) (2).

Vorrà V. E. considerare se non sarebbe opportuno fossi fin da ora autorizzato a comunicare qui che la richiesta di Schober a S. E. Mussolini non troverebbe obiezioni di principio, così da dar modo al Cancelliere di sapere già prima di partire (3 febbraio) che egli potrà intrattenerne costì il Capo del Governo.

In relazione al dispaccio N. 8475 in data 21 dicembre u. s. basterebbe mi fosse semplicemente telegrafato subito che la mia proposta del rapporto n. 186 è in massima approvata.

Per ora io mi sono limitato ad assicurare qui che avrei appoggiato le richieste austriache, e che ero sicuro sarebbero state esaminate dal R. Governo con la più grande benevolenza (3).

ALLEGATO.

FABBRI A GAZZERA

N. 138. Vienna, 28 gennaio 1930.

Il Ministero per gli Affari Militari austriaco mi ha consegnato, ieri, 27 corrente,

gli uniti documenti (tre allegati) (l) significandomi che essi sono la copia esatta

del promemora presentato, pure in data di ieri, dal Ministro per gli Affari Militari

Vaugoin al Cancelliere Schober.

Le autorità militari austriache e per esse il loro capo, cogliendo occasione

delle migliorate relazioni politiche tra i due Paesi desidererebbero far conoscere

quali sarebbero le linee di massima da seguire, per ridare all'organismo militare ·austriaco quella efficienza della quale attualmente difetta.

Il Cancelliere della Repubblica Dottor Schober, in possesso degli uniti alle

gati, dichiarò di voler approfittare del suo prossimo viaggio a Roma, per confidare

a S. E. Mussolini, Capo del nostro Governo, tali desiderata massimi dell'esercito

federale austriaco.

Il Cancelliere Schober dichiarò, inoltre, che avrebbe sottoposto la questione

a S. E. Mussolini, solo nel caso egli fosse informato che, in linea di massima, il

nostro Duce non opporrebbe un rifiuto categorico alle proposte formulate negli

allegati.

Considerando che il Cancelliere Schober dovrà partire da Vienna alla volta

di Roma, il mattino del 3 febbraio, ho dato carattere di massima urgenza all'unito

documento perchè codesto Ministero possa farmi pervenire una risposta telegrafica

da comunicare al Ministero per gli Affari Militari entro il giorno 2 febbraio p. v.

L'allegato n. l e l'allegato n. 2 si riferiscono a progetti di massima relativi alla radicale riforma del sistema di reclutamento (da volontario ad obbligatorio) ed alla organizzazione di una piccola flotta aerea.

Ambedue le proposte sono in aperto contrasto con i vincoli imposti all'Austria

dal Trattato di San Germano.

Le autorità militari austriache sono ben convinte di tutto ciò e mi confidarono che, pur comprendendo di avere azzardato nel formulare tali proposte, ritennero doveroso il farlo in considerazione della necessità che l'Austria possegga un esercito del quale poter fare qualche affidamento, in caso di bisogno.

Nei cordiali colloqui avuti con il rappresentante l'esercito federale, compresi, inoltre, che riguardo alle due questioni contenute negli aHegati l e 2, le autorità austriache, sarebbero ben liete di ottenere dal nostro Duce assicurazioni di appoggio qualora, in avvenire, il problema dovesse essere rimesso sul tappeto della politica internazionale.

L'allegato n. 3 contiene, invece, alcune richieste di materiali dei quali l'esercito austriaco necessiterebbe.

Anche su questo argomento le autorità militari hanno rappresentato, con franchezza, i desiderata massimi, ben liete se il nostro Governo acconsentirà a cedere loro anche una parte soltanto dei materiali ne.cessari.

Aggiungo, infine, che le autorità del Ministero Federale austriaco mi dichiararono, più volte, di essere a completa disposizione del nostro Esercito per quanto

Di un quarto promemoria, dal titolo • Modificazione dell'attuale assetto delle forze armate in Austria •. con ogni probabilità anch'esso fatto pervenire dal ministero della Guerra austriaco si pubblicano i brani seguenti: • Comparando la relativa situazione negliStati si osserva ~he dappertutto ave la Forza armata è stata ridotta al minimo, dapprima sorsero, forse per motivi di politica interna, per lo più però in virtù del sano istinto di propria conservazione innato nella popolazione, sia delle formazioni legali -anche in contraddizione agli articoli originari dei trattati -sia delle organizzazioni militanti clandestine, le qual'ultime però portano in loro naturalmente il germe latente per disordini ~nterni...

In Austria il pubblico in generale s'avvede sempre più che solamente med1ante la corroborazione dei poteri di forza dello Stato e soprattutto della Forza armata tanto la posizione dell'Austria nell'Europa centrale può essere mantenuta e riaffermata quanto possono crearsi le garanzie necessarie alla prosperità culturale ed economica dello Stato •·

potesse eventualmente occorrergli e per ricambiare a quanto ritenessimo concedere loro.

Di ogni particolare della presente comunicazione e dei colloqui svolti tra me ed il rappresentante dell'esercito federale austriaco (Generale Tarbuk von Sensenhorst) ho dato notizia a S. E. il Ministro Plenipotenziario.

(l) -Non rinvenuta. (2) -Cfr. n. 326. (3) -Annotazione marginale di Mussolini: c Importante •.

(l) Il primo è un «Promemoria sul sistema di organizzazione militare in Austria •: il secondo concerne il • Materiale aereonautico desiderato.; il terzo concerne l'• Armamento ed equipaggiamento». Non si pubblicano.

335

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 29 gennaio 1930.

Venerdì, sabato, lunedì, martedì. Giornate laboriose.

Venerdì 24. -Incontro a Downing Street della Delegazione Itaiiana e Delegazione Britannica. MacDonald fa un altro tentativo per convincermi a rinunciare al principio pregiudiziale della proporzione di forze e al livello dei tonnellaggi massimi, ed accettare invece di partecipare alle conversazioni franco-britanniche sulla base di un accordo sul progetto transazionale francese. Gli rispondo confermandogli la nostra impossibilità a rinunciare ai nostri principi, persuasi, come siamo, che i nostri principi sono i soli che possano veramente avviare la Conferenza verso un'effettiva riduzione degli armamenti. In ogni altro caso la Conferenza prepara il fallimento. La proposta della denuncia dei programmi, contenuta nella seconda parte del progetto francese non significa altro che spingere i Paesi ad una pericolosa gara di armamenti. MacDonald ha nuovamente insistito. Io ho nuovamente ribattuto.

MacDonald ha finito col dire che, visto la nostra irriducibilità, non gli rimaneva altro che dichiararci che noi saremmo stati tenuti al corrente del modo con cui avrebbero proceduto le conversazioni franco-britanniche.

Nella stessa giornata di venerdì la Delegazione Britannica faceva pervenire alle altre quattro Delegazioni un elenco di argomenti che MacDonald proponeva di prendere come base dì formulazione dell'ordine dei lavori della Conferenza. Ciascuna Delegazione era invitata a suggerire eventuali modifiche ed aggiunte. Naturalmente nella lista proposta dalla Gran Bretagna non figuravano le due questioni considerate fondamentali per l'Italia. Mi sono persuaso immediatamente (e i fatti dei giorni successivi hanno confermato le mie previsioni) che se non avessi puntato i piedi subito, con tutta l'energia voluta, l'Italia si sarebbe trovata prigioniera nella rete degli accordi particolari franco-britannici, senza poterne uscire più. Questi accordi particolari tendono infatti per la Gran Bretagna ad assicurarsi l'appoggio francese specie nelle grosse questioni che sorgeranno nei prossimi giorni fra Gran Bretagna-America-Giappone; per la Francia a girare lo scoglio della parità con l'Italia senza dirlo, ed assicurare nello stesso tempo l'intangibilità dello Statuto Navale.

Ho cominciato intanto con lo spedire, sabato mattina, al Segretario Generale

della Conferenza una lettera contenente la nostra esplicita riserva all'ordine dei

lavori proposto dalla Delegazione Britannica. Ma non prevedevo, Ti confesso,

che Francesi ed Inglesi sarebbero giunti fino dove sono giunti nella giornata di

lunedì, contando, in precedenza, sull'indifferenza giapponese, e sullo scarso interesse americano a questa questione, che in apparenza è procedurale, ma che in sostanza investe in pieno il problema della parità italo-francese.

Lunedi 27. -Quando lunedì i Capi delle cinque Delegazioni si sono riuniti a Downing Street, ho constatato che l'Agenda proposta venerdì dalla Delegazione Britannica era stata nel frattempo sensibilmente modificata. La riserva italiana appariva soltanto in caìce come annotazione secondaria, e quindi era esclusa dall'ordine dei lavori, la proposta francese (tonnellaggio globale e progetto transazionale Boncour) era stata posta invece in testa a tutte le questioni da discutersi alla Conferenza.

Mi sono reso conto che bisognava puntare ancora più i piedi e costringere la Francia e la Gran Bretagna ad assumere le loro precise posizioni di responsabilità, sin dall'inizio. Ho domandato allora che la questione della proporzione delle forze e del livello di tonnellaggi massimi figurasse addirittura come argomento preliminare in testa a tutte le questioni poste e da porsi all'ordine dei lavori. Non Ti ripeto i dettagli della discussione che sono stati veramente penosi. Stimson mi ha debolmente sostenuto. Come Ti ho già detto, gli Americani debbono far finta di apparire conseguenti al principio della proporzione delle forze (che è stata la base della presunta parità anglo-americana), ma in sostanza hanno già rinunciato a questo principio. I Giapponesi hanno esitato, poi si sono schierati coi Francesi e con gli Inglesi. Sono rimasto effettivamente solo contro Tardieu e Briand, appoggiati da MacDonald. Hanno tentato tutte le strade, ma io ho tenuto testa, e sono stato più duro di loro. Inglesi, Francesi, Giapponesi, anche Americani si rendono conto che i due punti italiani posano i termini del problema del disarmo con una chiarezza brutale, e rendono più difficili quelle soluzioni di compromesso, che oramai essi considerano come l'unico mezzo per evitare un insuccesso dannoso della Conferenza. Ora l'insuccesso della Conferenza sta precisamente nel probabile raggiungimento di un accordo di compromesso come quello, ad esempio, basato sulla denuncia dei programmi. Questo ultimo è in sostanza il progetto Francese, diventato lungo la strada Franco-Britannico, ed oramai quasi accettato dall'America e dal Giappone, accordo destinato a determinare, dopo la Conferenza, una gara di armamenti navali come forse non si è mai vista l'uguale. Questa gara risponde alle necessità americane desiderose di raggiungere il livello Britannico. Risponde alle necessità Giapponesi desiderose di raggiungere od avvicinarsi il più possibile al livello Anglo-Americano, risponde alle necessità Francesi di avvicinarsi il più possibile al livello Britannico.

Dopo tre ore e mezzo di discussione ho ottenuto che i due argomenti proposti dall'Italia figurassero almeno nell'ordine del giorno dei lavori della seduta seguente, ossia di ieri martedì, salvo a decidere se dovessero o no figurare nell'ordine generale dei lavori della Conferenza. Questo è stato accettato malgrado le ultime resistenze di Tardieu e di Briand.

Nel pomeriggio MacDonald, in un colloquio a due, ha tentato nuovamente

di persuadermi a cedere. Non ho ceduto.

Martedi 28. -Si è ripresa la discussione. Dalle 10 alle 12. Io ho rinnovato

la mia domanda. MacDonald ha cercato di girare la posizione proponendo la co

stituzione dì un comitato incaricato di studiare i metodi da applicarsi nella limi

tazione degli armamenti dichiarandosi disposto, in tal caso, ad accettare che le

due questioni avanzate dall'Italia figurassero nell'Agenda della Conferenza. Que

27 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

sta argomentazione, molto sottile, mirava a trasformare la questione di principio in questione di metodo. Se avessimo accettato di far discutere da un Comitato speciale i nostri due principi fondamentali, attraverso una votazione di maggioranza e sullo stesso piano delle altre questioni di metodo (tonnellaggio globale, classificazioni delle navi, ecc.) la nostra questione sarebbe stata ipso-facto cancellata dalla Conferenza. Ho risposto che non potevo accettare, ed ho insistito sulla mia domanda, proponendo io stesso, per tagliar corto, che le questioni, una volta incluse quelle italiane, fossero presentate alla Conferenza nell'ordine alfabetico adottato sin dal primo giorno nella prima seduta plenaria. Ho dichiarato altresì che ove le nostre questioni fossero state incluse nell'ordine dei lavori, io non avrei avuto difficoltà alla costituzione di un Comitato incaricato di studiare i metodi, purchè fosse ben chiaro che le domande italiane, pregiudiziali e preliminari, non sarebbero state incluse fra quelle da esaminarsi dal Comitato medesimo, ma sarebbero rimaste fissate nell'ordine dei lavori della Conferenza salvo ad essere discusse più tardi. Ho dichiarato altresì che facendo questa concessione (non è di fatti una concessione) l'Italia intendeva dimostrare la sua volontà di non intralciare i lavori delle altre delegazioni. Tanto ad un momento o ad un altro a questa questione fondamentale ci si deve arrivare. Stimson ha riconosciuto che la mia proposta era accettabile da parte sua. Tardieu non ha più insistito, e la cosa è passata. MacDonald ha domandato allora che anche la questione interessante prossimamente la Gran Bretagna e cioè la divisione per categorie, fosse posta all'ordine dei lavori.

Così domani affronteremo la Conferenza plenaria (1), dove io mi riprometto di fare una nuova dichiarazione che fissi in modo inequivocabile la nostra posizione.

Ti spiego le ragioni per cui ho creduto necessario adottare, fin dall'inizio della Conferenza, un atteggiamento di rigida intransigenza.

Tu hai accettato, primo fra tutti, l'invito Inglese di intervenire alla Conferenza di Londra. Pregiudiziale • assoluta • del nostro intervento a Londra: • parità • con la Francia. Questa c parità • (sviluppo logico di quanto fu già acquisito a Washington nel 1922) è la conseguenza del principio della proporzionalità delle forze, principio nel quale fu precisamente raggiunto l'accordo di Washington. Il secondo punto da Te enunciato c ••• riduzione al livello più basso purchè non superato ecc. ecc. •. Questo punto è a sua volta la conseguenza logica del principio del • livello massimo dei tonnellaggi da assegnarsi a ciascuna Potenza • (2).

Io non dico che la parità con la Francia non si possa raggiungere lungo il cammino della Conferenza (io sono scettico, e non credo per ora che la Francia si persuada a venirci incontro su questo terreno) in altra maniera, e con altro metodo, ma è certo che se la Delegazione Italiana avesse receduto, di un solo millimetro, dalla strada inizialmente segnata, e ciò solo per mostrare condiscendenza, collaborazione cogli altri, e per evitare il cosidetto • isolamento • (di cui tutti, anche qui, hanno tanta paura!) credi, Presidente, che noi non solo avremmo compromesso il principio della parità colla Francia ma ci saremmo impigliati in una

rete da cui noi non avremmo potuto uscfre che sacrificando un po' della nostra dignità e certo un po' del prestigio del Fascismo.

Perciò ho voluto essere chiaro, netto, intransigente fin dal primo momento, ed ho voluto dare altresì l'impressione che non si illudano di trovarci condiscendenti.

Io non sono qui a Londra per cercare dei successi, sono qui a Londra, a mio avviso, per dimostrare: 1° che il Fascismo è l'unico che veramente sia disposto, contro l'ipocrisia della letteratura democratica, ad attuare una politica di riduzione effettiva degli armamenti; 2° che il Fascismo non è disposto ad accettare compromessi atti a diminuire o intaccare il principio della sovranità interna dello Stato.

Che cosa succederà? Ecco le mie previsioni. La prima settimana della Conferenza è stata caratterizzata dall'intransigenza italiana, e dal conflitto delle due tesi italiana e francese, quest'ultima intransigente verso l'Italia, apparentemente condiscendente verso l'Inghilterra. La mia dichiarazione di domani costituirà l'ultima fase del ciclo iniziale della Conferenza. Da giovedì in poi noi staremo a guardare. Sarà il turno delle dispute, fra Francesi, Americani, Giapponesi, Inglesi. Vedremo cosa succederà. Se non si metteranno d'accordo, tanto meglio. Ciò significa che avremo ragione noi. Se si metteranno d'accordo, si metteranno d'accordo sul progetto francese raffazzonato, e cioè: denuncia dei programmi da parte di ognuno, colle relative limitazioni (categorie, calibri, trasferimenti, rimpiazzi, preavvisi, ecc. ecc.), e per un periodo limitato di cinque anni. Allora noi (ed attenderò la tua approvazione per far ciò a suo tempo) potremmo alzarci in piedi per dichiarare :

l) che l'Italia ripete il principio affermato nella prima seduta plenaria della Conferenza, e cioè che essa si impegna a non oltrepassare il limite massimo del tonnellaggio globale costituito dalla flotta della potenza continentale più armata;

2) che l'Italia constata l'insuccesso della Conferenza, la quale finisce coll'accettare non solo la cristallizzazione degli armamenti esistenti, bensì col consacrare l'aumento degli armamenti rispettivi. Tutto ciò in netto contrasto col principio di riduzione, riduzione che tutti i Paesi hanno conclamato come necessità pregiudiziale all'inizio dei lavori della Conferenza. La Conferenza di Londra, quindi, ha non solo fallito il suo scopo, bensì aggravato i problemi esistenti, determinando una nuova corsa agli armamenti, e creato alla guerra condizioni più favorevoli.

In questo modo noi usciremmo da Londra avendo ottenuto: l o nessun impegno per quanto riguarda i nostri futuri programmi navali, 2° denunciando ancora una volta la effettiva volontà di armare delle democrazie, in contrasto colle false enunciazioni pacifiste, e dimostrando la reale volontà di disarmare da parte del Regime Fascista.

Tutto ciò, evidentemente, nella peggiore delle ipotesi. Può darsi (io non lo credo) che durante la strada si trovi un progetio in cui la parità italo-francese sia in un modo o in un altro, riconosciuta ed accettata! Gli elementi in mio possesso, finora, debbono farmi presumere del contrario. È dunque necessario dare la sensazione netta che nessun compromesso è possibile da parte nostra, finchè non sia stato risolto il problema che ci interessa.

È certo che le simpatie nella Delegazione Britannica verso la mia persona, i complimenti dei primi giorni, hanno dato luogo ad un senso di perplessità. MacDonald è premurosamente imbarazzato. Questa è, per il mio spirito, la riprova che va dunque benissimo. Ricordo un motto di Ferravilla • ... quando si fa una battaglia, la tattica migliore è quella di cominciare a indisporre l'avversario ...•.

Quando ieri sera ho finito il mio discorso al banchetto dei • Pilgrims • ho insistito nella necessità di fare meno chiacchiere e più fatti, nè MacDonald, nè Tardieu, nè Briand mi hanno stretto la mano. Solo gli Americani, che leticano ogni giorno cogli Inglesi, hanno lungamente applaudito. Come Tu vedi, metto a buon profitto il successo delle due prime giornate. D'altra parte la condotta Italiana continua, malgrado la febbrile attività francese per controbatteria, ad avere sufficienti consensi nella stampa, consensi di cui, beninteso, potremo fare, ad un determinato momento, benissimo a meno.

Quello che è importante è ài mantenere in tutta questa gente, la persuasione, che scaturisce del resto, dalla semplicità delle nostre enunciazioni, che l'unico Paese il quale voglia veramente disarmare è l'Italia fascista.

Qui, qualcuno fra gli Ammiragli amerebbe meglio accordarsi con la Francia, prescindendo dalla parità e non parità. Essi nutrono l'illusione che, sacrificando la parità e presentando un nostro programma navale inferiore a quello Francese, la Francia consentirebbe (pur mantenendo i suoi programmi sempre superiori al nostro) d'abbassare di qualche cosa i limiti già fissati dello Statut Naval. • Noi faremmo n sacrificio della parità, dicono, ma in compenso avremmo qualche nave di meno contro di noi •.

Illusioni. Lo Statut Naval è fatto contro l'Inghilterra prima ancora che contro l'Italia. La politica della Francia qui a Londra, si riassume in questo: che le grandi Potenze mondiali prendano atto, attraverso un riconoscimento solenne, dei vasti programmi navali annunciati dalla Francia nei suoi statuti navali. Ecco tutto.

(l) -I verbali delle sessioni plenarie, insieme ad altri documenti relativi alla conferenza furono editi in una pubblicazione ufficiale inglese, Documents of the London Naval Conje:_ rence, 1930. (2) -Cfr. Serie VII, vol. VII, n. 22.
336

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

TELESPR. R. 202995/22. Roma, 29 gennaio 1930.

Suo teleposta n. 305/173 del 24 corrente (1).

La • Rodna Zastita •, organizzazione nazionalista bulgara, soltanto in occasione del congresso tenuto a Sofia 1'8 novembre scorso, ha dato impressione di aver superato dissidi e diffidenze interne che fino a quel momento ne avevano assai diminuito l'efficienza politica, la coesione e la disciplina. In tale circostanza essa ha assunto carattere antigovernativo con tendenze filofasciste. L'esperimento dell'azione dell'organizzazione in parola è, peraltro, finora, di troppo breve durata perchè, da parte nostra, possa pronunciarsi un apprezzamento definitivo sulla stessa. Molto più che vi è anche chi afferma che la • Rodna Zastita • è.

malgrado tutto, ancora legata alla massoneria bulgara ed al partito dei • Narodniak •, che è quello del Ministro degli Esteri, Signor Buroff.

Nessuna comunicazione seguita, ciò stante, ha potuto esservi fra l'organizzazione e le Autorità italiane. Sta di fatto, però, che il Presidente della Rodna Zastita, il Generale della riserva Skoinoff, ha tenuto in ripetute occasioni a dimostrare particolare deferenza verso la nostra Rappresentanza a Sofia e verso il Governo Fascista.

Ad ogni modo, il risultato delle comunicazioni che il delegato della Rodna Zastita farà prossimamente al Maggiore Pabst potrà essere di utile chiarimento della situazione anche nei nostri confronti.

(l) Cfr. n. 325.

337

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 681/54. Innsbruck, 30 gennaio 1930.

Teleposta 561/42 del 25 corrente e precedenti.

Ieri sera ha avuto luogo qui una riunione dei capi e sottocapi della Heimatwehr tirolese nella quale il Dr. Schweinitzhaupt, ben noto pei suoi sentimenti patriottici e le sue tendenze nazionaliste, presentò una relazione diretta a chiarificare gli scopi e le vie di quella organizzazione e a dissipare dubbi diffidenze e inesatte interpretazioni che in questi ultimi tempi sono andati facendosi strada in taluni circoli politici, fra gli stessi aderenti alla Heimatwehr e nella opinione pubblica. Il Dr. Schweinitzhaupt afferma dunque che le Heimatwehren nella loro lotta per annientare l'austromarxismo ed impadronirsi del potere avevano da tener presente il pericolo interno, costituito dalla organizzazione armata della socialdemocrazia, ed il pericolo esterno specialmente da parte italiana ed ungherese. Durante la campagna per la riforma costituzionale, la socialdemocrazia austriaca è riuscita ad ammutinare contro le Heimatwehren tutte le forze rosse in Cecoslovacchia, in Jugoslavia, in Francia, in Germania, in Inghilterra ed in Svizzera, mettendo in pericolo perfino tutta l'economia austriaca, sicché le Heimatwehren dovettero rendersi conto della necessità di evitare, in caso d'un crollo violento. l'intervento straniero, specialmente da parte dell'Italia e dell'Ungheria. Gli insegnamenti forniti dalla campagna per la riforma costituzionale hanno dimostrato la necessità di combattere la socialdemocrazia con mezzi analoghi a quelli da essa impiegati e di stringere relazioni con la stampa straniera e con tutte le organizzazioni straniere orientate agli stessi fini per assicurarsi all'esterno l'appoggio e la copertura necessari ad assicurare alle Heimatwehren libertà d'azione all'interno. D'altra parte, vogliono queste ultime impratichirsi dei sistemi e dei mezzi usati altrove con successo contro il marxismo e devono quindi rivolgersi là dove l'autorità dello Stato è stata ripristinata e l'ordinamento corporativo creato per l'eliminazione della lotta di classe, cioè all'Italia. Son questi rapporti puramente spirituali ed in questo senso va intesa l'espressione usata dal Dr. Steidle di • Internazionale nazionale •, che vuol essere soltanto un mezzo per combattere il marxismo e non implica alcun sacrifizio delL'egoismo

nazionale, del territorio e delle minoranze tedesche, né assenso all'oppressione di queste ultime o garanzia della frontiem del Brennero (?!). Questi rapporti spirituali hanno, sotto l'aspetto della politica estera, una portata negativa, nel senso che tendono ad evitare ogni intervento straniero nei conflitti interni dell'Austria, ma non possono avere alcuna portata positiva poiché l'Austria non è in grado attualmente per la sua debolezza di stringer legami che la farebbero necessariamente vittima d'uno Stato più forte. Ma le Heimatwehren non vogliono, d'altra parte, minacce contro uno Stato più forte, che sono ridicole e prive di risultato pratico, senza tuttavia impedire che i singoli suoi membri partecipino a dimostrazioni o manifestazioni patriottiche. Esse desiderano di tutto cuore una mitigazione della sorte delle minoranze tedesche e anche la liberazione, a tutte le frontiere, del territorio tedesco soggetto allo straniero ed il fine ultimo della sua politica nazionale è la riunione di tutti i fratelLi tedeschi, ma questi scopi possono esser conseguiti per due vie soltanto, quella della lotta colle armi, che non è possibile all'Austria nelle sue condizioni attuali, o quella di sopportabili rapporti politici e di pacifiche relazioni diplomatiche con gli Stati vicini, che le Heimatwehren vogliono e ritengono più adatti, che non le dimostrazioni e l'opera della Società delle Nazioni, a migliorare la sorte delle minoranze tedesche anche nel Tirolo del sud.

La seduta in cui il Dr. Schweinitzhaupt ha esposto queste direttive programmatiche è stata, a quanto mi si riferisce, tempestosa: scene violente hanno avuto luogo fra i partigiani dell'orientamento, sia pur con le necessarie riserve, verso l'Italia e i più ostinati pangermanisti che nulla vedono all'infuori dell' • Anschluss • e delle rivendicazioni sudtirolesi. Il Dr. Steidle ha sopratutto attaccato con acredine i dissidenti, minacciandoli d'una resa di conti alle prossime elezioni e non risparmiando neppure il Borgomastro Fischer, creatura delle Heimatwehren e tesoriere dell'organizzazione, al quale ha apertamente rimproverato di voler tenere il piede in due staffe. Il noto agitatore irredentista, Signor Pembauer, ritorna a polemizzare sulla stampa con le Heimatwehren e, mentre prende atto che anche quest'ultime han dichiarato di aver anch'esse come scopo finale l' • Anschluss •, il miglioramento delle condizioni delle minoranze tedesche e la rivendicazione del • Suedtirol •, dissente dalle vie e dai mezzi che esse vogliono seguire, pretendendo non essere necessario, per importare in Austria la dottrina e i metodi fascisti, di avvicinarsi o legarsi coll'Italia; di non esser possibile perseguire accordi o assumere impegni ai quali non partecipi la Germania; di non esser conveniente legarsi all'Italia e all'Ungheria inimicandosi la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Francia, ma preferibile proseguire le trattative di accordi coi circoli nazionalisti jugoslavi, esistenti fin dal 1925, tenendo presente che un riavvicinamento coll'Italia rappresenta un pericolo oltre che politico anche economico, che asservirebbe l'Austria alla sua vicina meridionale. Le Heimatwehren ribattono a lor volta che le trattative coi circoli nazionalisti jugoslavi furono abbandonate perché si rivelarono prìve di valore ed una collaborazione con essi è impossibile a causa del conflitti fra i gruppi nazionali e la debole situazione politica della Jugoslavia; che, in fin dei conti, la politica estera austriaca è affidata al Sig. Schober, il quale conosce le vedute delle Heimatwehren e ne terrà conto tanto a Roma che a Berlino, ma che lo stesso Cancelliere federale, del resto, non ritiene che l'Austria non possa o debba fare una politica estera indipendente dalla

Germania. Ciò potrà avvenire quando l' • Anschluss • sarà un fatto compiuto, ma attualmente sarebbe un errore, ciò che non esclude naturalmente la comunità dei grandi intenti finali.

A parte le ambiguità programmatiche della Heimatwehr e le non poche sue reticenze, comprensibili, del resto, a chi conosce questo ambiente e la composizione degli organi direttivi di quella organizzazione, che han dovuto esser composti di elementi borghesi di tendenze diverse, i dissensi di vedute, che si vanno manifestando nel seno stesso della medesima e che probabilmente si allargheranno ancora più, sono una espressione del processo critico pel quale va passando quella organizzazione e della necessità d'una epurazione selettiva: molte defezioni dai ranghi della Heimatwehr sono da prevedersi, ma essa guadagnerà in omogeneità e sopratutto in disciplina. Per quel che ci riguarda, mi sembrano in ogni modo confermate le ragioni di soddisfazione ormai aperta da parte deile Heimatwehren di volgere i loro occhi al Fascismo e di volerlo guida ed appoggio del loro movimento e breccia nel fronte unico tirolese nel pensiero e nell'azione irredentista ai nostri danni.

338

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 31 gennaio 1930.

Il Ministro di Cecoslovacchia è venuto ad esprimere, per incarico del Signor Benes, i ringraziamenti del Governo Cecoslovacco per l'efficace contributo dato dall'Italia all'Aja alla risoluzione della intricata questione delle Riparazioni Orientali (1).

Il Governo Cecoslavacco --ha detto il Signor Mastny -è riconoscente al Governo Italiano non solo per quanto riguarda le facilitazioni ottenute dal proprio Paese (assestamento del debito verso l'Italia e aumento della quota riparazioni), ma anche per la soluzione della questione degli Optanti Ungheresi, dovuta unica

.... Egli mi aggiunse che aveva dato ordine al Ministro cecoslovacco in Roma di ringraziare il nostro Governo per quanto aveva fatto alla conferenza. Conoscendo la nota doppiezza del Dottor Benes gli risposi che le sue dichiarazioni private avrebbero avuto ben altro valore se fossero state fatte in parlamento, anche per rispondere alle critiche ingiustificate che i suoi stessi giornali avevano stampato in questi giorni. Il ministro promise che avrebbe parlato chiaro alla Camera a proposito dell'Italia e debbo riconoscere che una volta tanto egli ha tenuta la promessa •.

Sulla politica cecoslovacca Pedrazzi osservava :

• Sulla linea: "Francia e Piccola Intesa" continuerà a muoversi la politica estera di questo paese. Scarsissima e quasi irrilevante fortuna trovano altre iniziative di indole sopratutto economica che vorrebbero costituire altro raggruppamento centro-europeo facente capo alla Germania. In questi giorni è stato a Praga per sostenere questa tesi l'ex cancelliere austriaco Streeruwitz che in un discorso tenuto nella Camera di Commercio ad un pubblico di industriali e di banchieri ha invocato una stretta unione della Germania coll'Austria e colla Cecoslovacchia, una specie di federazione economica che potrebbe secondo lui dominare e regolare tutta la economia del centro Europa e dei Balcani. La tesi non è piaciuta •.

mente all'opera della Delegazione Italiana ed al progetto da questa concretato per la creazione del • fondo speciale •.

Nell'assicurare il Ministro di Cecoslovacchia che tali sue dichiarazioni sarebbero state portate subito a conoscenza di S. E. il Capo del Governo, ho approfittato dell'occasione per mettere in rilievo la lealtà della politica italiana rivolta sempre a portare una attiva collaborazione all'opera di assestamento delle questioni europee.

Ho messo specialmente in luce il fatto che la cordiale amicizia dell'Italia per l'Ungheria, che alcuni guardano con infondato sospetto, è invece elemento di preziosa utilità per tutta l'Europa, come lo ha provato recentemente la Conferenza dell'Aja e come in questa occasione ha potuto constatare lo stesso Benes.

(l) Cfr. quanto comunicava Pedrazzi con t. per corriere 20, Praga 31 gennaio 1930, a proposito di un colloquio con Benes :

339

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR.392/162. Londra, 31 gennaio 1930.

Ho intrattenuto oggi verbalmente il capo del competente Ufficio del Foreign Office delle notizie di presunte intenzioni aggressive di Ibn Saud verso lo Yemen, tacendo la fonte delle notizie stesse e conformandomi alle istruzioni contenute nel telespresso di V. E. n. 202130/51 del 22 corrente (1).

Il Signor Oliphant mi ha assicurato che nè il Foreign Office nè il Colonia! Office hanno avuto notizia di tali intenzioni aggressive dirette in special modo all'occupazione del Tehama. Ha aggiunto che le voci da me riferitegli gli sembravano inverosimili per il fatto che lbn Saud è in questo momento e già da varie settimane tutto assorbito dai negoziati con l'Irak e che la coincidenza del Ramazzan non gli permetterà almeno per ora di muoversi (2).

c In relazione alla corrispondenza precedente sull'argomento, formulo col presente telespresso le istruzioni perchè la S. V. proceda con codesto Governo alla ripresa delle trattative per il riconoscimento di lbn Saud e per la contemporanea stipulazione di due trattati, l'uno di amicizia e di stabilimento e l'altro di commercio.

Premetto che i recenti avvenimenti politici nella penisola arabica i quali hanno indubbiamente rafforzato la posizione di Ibn Saud, l'opportunità di non farci precedere nel riconoscimento del Re dagli unici tra i principali Stati interessati (l'Egitto e lo Yemen) che non vi hanno ancora proceduto, ed altresì la convenienza di dare un'indiretta sensazione all'Iman dello Yemen (col quale i nostri rapporti non sono certo in quest'ultimo periodo migliorati) del peso e del valore che l'altro Stato arabo del Mar Rosso annette all'amicizia deTI'Italia consigliano a far di tutto perchè si addivenga possibilmente senza ulteriori rinvii alla definizione del presente negoziato •.

Commentando l'articolo 6 (relativo alla liberazione degli schiavi) del progetto di trattato il telespresso diceva :

• Questo articolo è analogo al corrispondente del trattato stipulato tra l'Hegiaz e l'Inghilterra. Questo Ministero ritiene opportuno inserire detto articolo nel trattato per ragionipolitiche, sia per far constatare nei confronti del Re Ibn Saud la nostra condizione di parità con l'Inghilterra per quanto riguarda l'azione di sorveglianza e soppressione dello schiavismo, sia per riaffermare tale condizione di parità anche verso l'Inghilterra; ciò che è conveniente ad ogni buon fine per qualsiasi eventualità futura •.

(l) -Cfr. n. 321. (2) -Cfr. il telespr. 210962 del 31 marzo 1930 al consolato a Gedda:
340

IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI

L. 2029. Roma, 31 gennaio 1930.

S. E. l'On. Gombos, Ministro della Difesa Nazionale Ungherese, chiede di conoscere se possa essere ricevuto da S. E. il Capo del Governo, da S. E. il Ministro Grandi e da me, il maggiore Franz Von Stephani, capo della Organizzazione tedesca • Stahlhelm • che combatte il comunismo ed appoggia, così, anche gli interessi dell'Italia.

Prima di dare risposta a S. E. l'On. Gombos, desidero conoscere il pensiero di S. E. il Ministro degli Esteri, che prego interpellare in proposito. Quanto a S. E. il Capo del Governo, provvederò io stesso ad avvisarLo di persona (1).

341

L'ADDETTO MILITARE A BELGRADO, VISCONTI PRASCA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA (2)

N.14192. Belgrado, 31 gennaio 1930.

Il R. Ministro mi ha dato visione di un suo telegramma diretto al R. Ministero degli Esteri (3). In quel documento il R. Ministro propone che a togliere l'impressione nell'ambiente locale che la mia partenza da Belgrado potesse avvalorare l'accusa jugoslava di spionaggio -mi sia dato un segno tangibile che dimostrando la soddisfazione del R. Governo a mio riguardo venga a distruggere

quell'accusa.

Ho ringraziato il R. Ministro per la sua benevolenza. La questione ha assunto attualmente uno sviluppo di ben altra portata che non quella relativa alla mia modesta persona e ciò per i suoi riflessi permanenti e futuri sul prestigio delì'Italia e del R. Esercito.

E tale questione non può essere liquidata con una formula di bollettino od una frase di nota diplomatica riguardante la mia transitoria persona. Tra l'altro, quelle formule o frasi rimarrebbero entrambe ignorate in questo ambiente e quindi non servirebbero a nulla.

Il Governo jugoslavo ha avanzata un'accusa di spionaggio tanto ricattatoria e destituita di prove -quanto specifica per domandare il mio richiamo. L'ha presentata, a voce, con aspetto tanto conciliativo, quanto inusitato per simile materia in un simile paese, ciò che doveva far dubitare fin dall'inizio della sua fondatezza. Il Governo jugoslavo ha premesso di evitare scandali con una liquidazione della questione di comune accordo. Fin qui nulla di anormale nei rapporti tra due paesi entrambi civili -ciò che non corrisponde al caso presente.

Il Governo jugoslavo com'era da prevedere non ha mantenuto il suo impegno di segretezza, ma ha divulgato la questione ad • usum delphini • e con mezzi assai più efficaci che non la stampa e ha profittato dell'occasione per inquadrare il ricatto iniziale personale che lasciava troppa gente incredula, in una vasta messa in scena di boicottaggio e di offese contro l'Italia per mettere più in risalto l'accusa trasportandola dalla mia sola persona a tutta la R. Legazione e agli Italiani ln genere.

Ora, il Governo jugoslavo, a mia partenza avvenuta si prepara ad inscenare un grande processo spionistico. Questo verrà tenuto forse a porte chiuse, ma che rimarranno aperte a tutti gli elementi diplomatici e giornalistici della propaganda italofoba o jugoslavofila. I testi non mancheranno (a 100 dinari l'uno secondo l'usanza) e il processo abilmente organizzato, darà pure secondo la tradizione Io spunto ad una pubblicazione altrettanto ponderosa quanto falsificata nella quale verrà dimostrata l'azione disgregatrice dell'Italia nei Balcani -e quella diplomatica e aggressiva del R. Esercito.

Questa documentazione, costituirà per questo paese e forse per il tramite provvisorio dell'estero, un testo pe1·manente fondamentale morale storico in appoggio del vittimismo serbo e delle eventuali controversie jugoslave col Nostro Paese.

La questione episodica dell'infondata accusa al sottoscritto -che era assai modesta all'inizio e che poteva essere subito soffocata con una semplice domanda scritta • di prove • ora col suo seguito di scandali ben organizzati e con quello del processo -ha preso delle proporzioni non immaginabili e avrà ripercussioni permanenti a noi dannose.

Il processo non è stato ancora iniziato -e difficilmente lo sarà finchè sarò a Belgrado, e in grado di smentire ogni calunnia.

Ritengo che ad impedire la compilazione di una così fatta documentazione calunniosa per il Nostro Paese sia necessario -basandosi sulla inadempienza delle promesse purtroppo verbali del Governo jugoslavo, di richiedere, per iscritto a questo Gove1·no le p1·ove delL'accusa di spionaggio.

Se la Jugoslavia o non risponderà -o non potrà dare queste prove, più difficilmente potrà inventarle nel corso del processo e ad ogni modo esse saranno svalorizzate • a priori •.

Non v'è dubbio, che in questa questione ha avuto il sopravvento, l'abile azione jugoslava, che inizialmente si è svolta con tentativi ed assaggi prudenziali, circa le prove dell'accusa. Essa sembra aver sorpresa la buona fede del R. Ministro, portandolo gradatamente a delle ammissioni e semi ammissioni che costituiscono e costituiranno per il Governo jugoslavo elementi insperati e fondamentali di prove e che possono giustificare le continuate offese all'Italia che durano tuttora.

E aggiungo che le offese contro l'Italia sono state gravissime e clamoroso il boicottaggio governativo e poliziesco della R. Legazione. Indescrivibile è il terrore diffuso in tutto il paese con persecuzioni barbare a coloro che si avvicinano alla

R. Legazione compresi gli Italiani di questa Colonia (l) che non osano più appres

(l} Il concittadino Todo è stato chiamato il 28 gennaio alla Polizia per spiegare le ragioni della sua visita alla R. Legazione. Era stato chiamato dal R. Ministro per organizzare un concerto durante la proiezione della filma che illustra n Matrimonio di S.A.R. il PrincipeEreditario. [Nota del documento].

sarsi alla Rappresentanza di S. M. il Re d'Italia a Belgrado -e preferiscono di sopportare un sopruso serbo al pericolo del contatto e della protezione italiana.

Questa azione contro l'Italia iniziata già, da molto tempo ed emersa da numerosi episodi, accettata senza proteste nostre e condotta con abile successione e gradazione di effetti ha avuto il suo pieno sviluppo durante la temporanea assenza del R. Ministro (per il Matrimonio di S.A.R. il Principe Ereditario). L'azione non è finita e si traduce in minaccie, persecuzioni, arresti e torture poliziesche. Alcuni di questi fatti rimontano a due o tre giorni -e il 28 gennaio il Capo di questa polizia politica ammoniva ancora una personalità serba che era pericoloso per essa di avere contatto con elementi della R. Legazione.

Se anche la stampa locale tace nei riguardi dell'Italia (l) le persecuzioni continuano. Questo terrorismo diffuso attorno al nome d'Italia avrà una durata lunghissima, poichè anche se tornassero buoni rapporti fra i due Paesi, questo ambiente rimarrà timoroso e diffidente nella possibilità di un nuovo cambiamento di politica e di nuove persecuzioni -da noi accolte senza proteste, come è avvenuto questa volta.

In altra questione -di carattere politico -mi terrei doverosamente in disparte e mi confinerei nel mio compito d'informatore. Ma nella presente è stata la mia persona scelta dal Governo jugoslavo come punto di partenza del suo ultimo ricatto antitaliano -poichè lo sviluppo di quel ricatto e la nostra debolezza nell'accettarlo hanno dato luogo alle circostanze descritte, che ho presenziato personalmente ho il dovere di esprimere il parere anche come Italiano, che il R. Ministro, dapprima per la sua assenza da Belgrado e in seguito per la sua mancanza di contatto con l'ambiente locale, non ha potuto rendersi conto della gravità della situazione (2). I fatti in parola che durano da tre mesi, non arginati nè da una resistenza iniziale nè da una protesta che qui tutti aspettavano, hanno fatto ludibrio del nostro nome. Si ripete volentieri a nostro riguardo la consueta taccia di • verbosa viltà • e l'accenno che il motto dei nostri scudi d'argento: • meglio un giorno come leone... • suoni soltanto in sede di pecunia. Naturalmente questo ambiente ignora che, come per i fatti di Sebenico, il

R. Governo non sia stato informato.

Tanto più gravi sono queste circostanze in quanto che le voci di un riavvicinamento itala-jugoslavo -premurosamente raccolte da queste Legazioni d'Ungheria e di Bulgaria, danno l'impressione che un miglioramento dei rapporti itala-jugoslavi sia dovuto all'energia dimostrata in questi ultimi tempi da questo Governo verso di noi.

Mi permetto di rappresentare a codesto Ministero, che dal punto di vista mio personale, avrei tutto interesse a chiudere in silenzio la mia gestione belgradese, pago del dovere compiuto, dei preziosi elogi che le Supreme Autorità hanno

zione che per i lunghi e buoni servizi meritava la nostra protezione -quella del Prof.

Krucenko (che ha stabilizzato il dinaro) ammanettato dopo una visita alla R. Legazione ove

era andato per ordine del Ministero delle Finanze -quello della Signora Ponamareff.

Quest'ultima di avanzata età è la vedova dell'Ammiraglio russo omonimo insignito di

un'alta onorificenza italiana durante il terremoto di Messina. Le sue visite alla R. Legazione

-e specialmente alla casa particolare del R. Ministro -furono la causa del suo arresto.

[Nota del documento].

voluto tributarmi, e riconoscente al R. Ministro per la benevolenza dimostratami con le sue proposte a mio favore.

Ritengo però mio dovere patriottico, di segnalare come la questione iniziale per essere stata affrontata con debolezza e non definita nei suoi termini e affidata alle sole parole, ha avuto uno sviluppo in altro campo con ripercussioni morali molto gravi per il prestigio del Nostro Paese. Essa ne avrà ancora di più in seguito con i risultati di un processo che pur balcanico ha sempre un fondamento legale e se non altro tangibile -mentre da parte nostra non vi sono altro che parole a qnatt1·'occhi. E l'opinione pubblica jugoslava non farà dei • distinguo • tra l'opera del sottoscritto e quella della R. Legazione e del R. Ministro poichè considera questi come il Capo della R. Rappresentanza e dal quale emanano ordini e direttive a tutti, funzionari civili e militari (1).

Finchè vi è tempo -occorre che la questione iniziale sia ripresa nella forma che avrebbe dovuto assumere dopo le prime evidenti reticenze jugoslave: una nostra richiesta scritta di prove al Governo jugoslavo che si possa contrapporre

con precedenza di data ad una futura documentazione jugoslava pseudo storicogiuridica della questione -a danno permanente per il Nostro Paese e a giustificazione di tutte le presenti e future persecuzioni contro gli Italiani di qua e contro i fidenti e malcauti amici dell'Italia se ve ne saranno ancora dopo l'ultima triste esperienza.

(l) -Cfr. la lettera di Fani a Gazzera del 20 febbraio: Grandi fa sapere a Gazzera • di non ritenere opportuno, dato l'attuale momento politico, e i caratteri ultra-nazionalisti e pangermanisti dell'associazione "Stahlhelm ", di ricevere il Maggiore von Stephani >. (2) -Il doc. fu comunicato al ministero degli Esteri dal ministero della guerra il 7 febbraio (cfr. n. 373). (3) -Cfr. n. 330.

(l) Ad eccezione del Jugoslovenski Lloyd del 21 gennaio che propone di cacciare tutti gli Italiani dalla Jugoslavia. [Nota del documento].

(2) Segnalo alcuni tra gli arresti che destarono più impressione per le qualità degliarrestati e le circostanze in cui avvennero: vi furono: quello di un funzionario della R. Lega

342

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 504/233. Belgrado, 2 febbraio 1930.

Ho esaminato con ogni attenzione quanto V. E. mi ha comunicato con telespresso n. 200945/36 del 13 c. m. Con riferimento ai colloqui costà avuti confermo quanto ebbi a scrivere a V. E. con telespresso n. 4607/1676 del 18 luglio u. s. La inadempienza da parte jugoslava delle clausole riferentisi all'utilizzazione del Bacino Thaon di Revel va, a mio giudizio, esaminata ed in relazione alla esecuzione di tutto quanto si riferisce alle convenzioni di Nettuno, [e] nel confronto fra la economia gener,ale italiana e la economia generale jugoslava.

È chiaro che il ritardo nella ratifica delle Convenzioni di Nettuno ha consen

tito alla Jugoslavia di procedere ad un primo attrezzamento di Sussak che ha

l) Contro il Maggiore San Giorgio -con minaccie e inchieste presso i suoi padroni di casa -e con l'ordine di allontanare dallo stesso immobile degli ufficiali serbi che primavi abitavano -Una nota della R. Legazione rimase senza effetto pratico (ottobre 1929).

2) Contro il Colonnello Cassone ferito in una provocazione organizzata da tempo (18 novembre 1929). -Venne punito l'aggressore -con misure di polizia -ma non venne fatta nessuna deplorazione ufficiale jugoslava. Queste autorità militari durante la degenza del Colonnello Cassone mai si informavano del suo stato di s&lute.

3) Contro il Comandante Cattaneo -R. Addetto Navale -. Per i suoi contatti con una personalità serba del Ministero degli Esteri questa venne dapprima licenziata -e quindiultimamente il suo alloggio perquisito a fondo dalla polizia politica sotto l'imputazione di frequentare il Comandante Cattaneo. Anche questa questione non ha avuto un esito soddisfacente. (Dicembre 1929).

4) Contro il Colonnello Visconti. -Poichè non si era trovato modo di attaccarlo direttamente -venne avanzato un tentativo di accusa subdola -che la nostra azione e il risultato delle precedenti azioni venne a convalidare. La polizia jugoslava ne approfittò perinscenare una vasta persecuzione degli Italiani e degl'italofili. (Dicembre 1929). [Nota del documento].

corrisposto all'iniziale periodo di sviluppo commerciale di quel porto in piena concorrenza con Fiume. La convinzione di potere in un periodo, non troppo lungo, rendersi indipendenti dalle servitù fiumane ha oggi molta conferma nei fatti, sicchè se per avventura in un prossimo tempo la Jugoslavia pensasse di valersi del Bacino Revel, è mia opinione che non lo farebbe per la impossibilità assoluta di dare sviluppo ai propri impianti su proprio territorio, ma solo per ragioni negative, cioè per impedire a noi di valerci di quel Bacino e di quei magazzini in concorrenza con Sussak. Mi è stato riferito da persona che ha avuto contatti recentissimi con il Ministero dei Trasporti e Comunicazioni che si starebbero predisponendo i mezzi necessari per esercitare già alla fine della primavera ventura il Bacino Revel. Ma la mia impressione è che, giunte, come è estremamente facile immaginare a notizia della Jugoslavia le voci di qualche progetto di valerci dell'art. 48 dell'accordo integrativo circa la esecuzione delle riparazioni per utilizzare per nostro conto il Bacino Revel si voglia correre ai ripari con la fittizia utilizzazione del Bacino stesso, salvo a !asciarlo quanto più possibile inoperoso.

D'altro lato tenute anche presenti le informazioni datemi da V. E. circa la costante attitudine ostile delle autorità jugoslave contro ogni iniziativa fiumana (telespresso di V. E. n. 202993/114 del 29 gennaio u. s.) tutta la questione dovrebbe essere posta su una pura base di concorrenza commerciale indipendentemente se possibile da qualsiasi aspetto politico.

Tale principio generale evidentemente abbisogna di essere [messo] in confronto dell'esecuzione pratica e delle sue conseguenze prevedibili, ma pare che il commercio potrebbe trovare condizioni più favorevoli e più economiche che a Sussak, sia in rispetto alla comodità di magazzini, mezzi e rapidità di carico, riduzione di tariffe rese tanto elastiche da potere essere sempre e costantemente tenute più basse di quelle di Sussak etc, etc., non vi è sforzo sufficiente per trattenere il commercio dal valersi di Fiume piuttosto che di Sussak [sic]. Mentre le possibilità di resistenza dell'economia italiana sono a priori e debbon essere assai più forti e durevoli della jugoslava. Se questo enunciato fondamentale potesse attuarsi, Fiume e Sussak dovrebbero trovarsi nella condizione di due commercianti concorrenti dei quali quello che ha maggiori riserve finisce fatalmente o con l'avere il sopravvento o costringere l'altro ad un compromesso.

È anche evidente che ogni decisione non può prescindere dall'esame della situazione generale politica italo-jugoslava.

A tale proposta sono spinto anche dal ricordo della situazione di Fiume nell'anteguerra rispetto a quella di Trieste che ne è l'altro concorrente naturale. Nel periodo ante guerra la posizione di diritto dei due porti adriatici rispetto allo stato austro-ungarico era identica: uguali tariffe ferroviarie da qualsiasi punto dell'impero, uguali tasse marittime etc.

In fatto però il Governo ungherese concedeva una serie di refazie e di agevolazioni e di rimborsi il cui controllo era assolutamente impossibile e dei quali non era avvantaggiato se non chi piacesse al Governo ungherese.

Solo questi occulti vantaggi permettevano a Fiume di distogliere parte del traffico che altrimenti sarebbe andato a Trieste che non solo per attrezzamento portuale, ma per vere e proprie immodificabili ragioni naturali era ed è in condizioni superiori al porto di Fiume. Se con mezzi che non sono in grado di indicare e che in ogni caso non spetta a me suggerire, non si assicuri a Fiume una prevalenza del traffico ungherese rispetto a Trieste, sarà pressochè impossibile metterlo in condizioni di resistere alla odierna concorrenza di Sussak anche se vi fosse la completa esecuzione delle clausole di Nettuno. Se ante guerra, quando il porto di Sussak non aveva che importanza secondarissima, queste erano le condizioni per le quali Fiume poteva prosperare. a maggiore ragione esse occorrono oggi nella mutata condizione politica.

Perciò confermo che a mio giudizio la decisione di valersi o no delle facoltà del citato art. 48, o di costituire una società itala-jugoslava per l'esercizio di uno

o più magazzini, etc. etc. od attendere il buon volere jugoslavo per l'incremento commerciale e marittimo di Fiume sia solo in rapporto a tutto il complesso delle clausole ineseguite delle convenzioni di Nettuno, e nel confronto fra economia jugoslava ed italiana in relazione alla situazione generale politica fra i due paesi.

(l) Riassumo l'azione jugoslava contro la rappresentanza militare presso la R. Legazione -!imitandomi ai soli ufficiali. Questa azione è stata graduale per saggiare la nostra forza di reagire.

343

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA

T.l64/18. Roma, 3 febbraio 1930, ore 20,55.

Ricevuto tuoi rapporti (1). Tu hai interpretato fedelmente mie istruzioni. Tenere duro bisogna e non temere il cosiddetto isolamento. Meglio isolati che diminuiti.

344

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 351/29. Angora, 3 febbraio 1930, ore 19,30 (per. ore 23).

Mio telegramma n. 27 (2).

Intrattenendomi con questo ministro degli Affari Esteri su firma del trattato

con la Francia, gli ho ricordato che in varie occasioni, durante giornate in cui

si sono svolte trattative, egli mi aveva fatto presente che il contenuto del trattato

non può in nessun modo alterare direttive di politica estera della Turchia, di

cui salde basi sono sua amicizia con Roma e con Mosca, e che d'altra parte egli

avrebbe scelto il momento politico più adatto per firma del nuovo patto in ar

monia con quelle direttive.

Mi permettevo rilevare che mentre nulla posso dire circa portata del trat

tato perchè non ne conosco il contenuto, sembravami però che momento attuale

della sua firma non fosse il più felice. Governo francese sta riportando un certo

successo a Londra per quanto concerne discussione sua tesi in contrapposizione a

quella italiana. Esso non mancherà di valorizzare opportunamente sua nuova

amicizia; specialmente poi nei riguardi della sua politica balcanica; e in Grecia

sopratutto, che non ha ancora concluso suo patto con Turchia; questo sembra

ormai prossimo e firma trattato amicizia concluso con la Francia servirà utilmente alla politica francese in Atene. Ho rilevato anche che, data delicata situazione della finanza turca e preoccupazione che Governo di Angora sembra nutrire per quanto concerne capitale francese e pressioni dell'organo che soprattutto lo rappresenta (Banca Ottomana) nuovo vincolo con la Francia darà motivo a quel capitale per riprendere con maggiore efficacia suo lavoro di penetrazione in questo paese. Non potevo quindi non considerare firma del patto in questo momento come un successo del conte Chambrun che è ora a Parigi e di quello ambasciatore turco Fethi bey di cui è nota la politica attiva ed influente per sempre più legare Angora al Quai d'Orsay. Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo.

(l) -Cfr. nn. 315, 323 e 335. (2) -T. 338/27 del 2 febbraio, che non si pubblica.
345

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 353/30. Angora, 3 febbraio 1930, ore 21,15 (per. ore 23,48).

Seguito telegramma con numero protocollo precedente.

Ministro degli Affari Esteri mi ha subito detto che politica estera della Turchia dipende esclusivamente da lui che riscuote la piena fiducia e il consenso del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio. Se firma del patto con la Francia avviene oggi, è perchè egli non ha potuto più resistere alla pressione di Parigi (sic). È di parere che neutralità è pura e semplice e che non può in nessun modo influire sulle note direttive della politica estera turca. Intento del patto è solo quello di completare normalizzazione dei rapporti tra i due paesi di cui furono gettate basi con firma degli accordi per la Siria. Egli si riserva di confermare ufficialmente linee di politica estera del Governo turco nella conferenza che sta per dare ad Angora (mio tel. n. 28) e quanto patto politico con la Grecia egli conta che sarà firmato prossimamente da Venizelos ad Angora e si riserva di fare in quella occasione dichiarazione solenne circa suo significato, quello cioè che esso costituisce la completa realizzazione della politica mediterranea italo-turco-greca, quale fu fissata nel convegno di Milano del marzo 1928 (1).

346

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 331/169. Berlino, 3 febbraio 1930.

Ho l'onore di trasmettere a V. E. l'accluso appunto, relativo alla interessante conversazione avuta dall'addetto Stampa di questa Ambasciata con il barone von Medem circa la situazione politica attuale in Germania.

•...Il Ministro è d'accordo con lei che non sia per ora il caso di dare speciali istruzioni a Koch nei riguardi della prossima firma del Patto franco-turco •.

ALLEGATO,

LA SITUAZIONE POLITICA ATTUALE IN GERMANIA

RISERVATO. Berlino, 2 febbraio 1930.

Ho l'onore di riferire a V. E. circa una conversazione da me avuta ieri col Barone von Medem, Direttore del Tag e membro influente dello • Stahlhelm ».

Il Medem, come più volte ho avuto occasione di riferire, è mio amico di vecchia data e, come entusiastico ammiratore dell'Italia Fascista, più volte mi ha fornito informazioni molto importanti. Non occorre ricordare inoltre, perchè sempre segnalato, il contegno amichevole che nei nostri riguardi ha sempre avuto il suo giornale dacchè ne ha assunto la direzione.

La conversazione ha preso le mosse dalla situazione politica attuale in Germ:mia. Secondo il Medem nel momento presente si può affermare che la posizione del Governo, che qualche settimana fa sembrava disperata, si sia alquanto consolidata specialmente perchè il Ministro delle Finanze è riuscito a trovare bene o male i denari per far fronte alle difficoltà di Cassa per circa un semestre e spera che, malgrado le enormi anticipazioni che si fanno per i disoccupati, nei mesi futuri non si troverà più coll'acqua alla gola come alle ultime scadenze. Tale

• rabberciatura • del Governo ha fatto fallire i tentativi che avevano iniziato i socialdemocratici di uscire dal Governo rifacendosi una verginità presso le masse, come avevano tentato di fare colla loro azione contro Schacht e colla mozione diretta alla riapertura illimitata di crediti all'Estero allo scopo di trovare fondi per eseguire lavori pubblici e diminuire la disoccupazione. Tali tentativi sono stati resi vani specialmente dal Centro che non vuole, per ora, acconsentire a questo giuoco della Socialdemocrazia. Anche i Popolari sentono che non è ancora venuto il momento del discredito completo dei socialdemocratici e pertanto ritengono preferibile continuare a comprometterli colla responsabilità del Governo. Ciò è reso più facile dal fatto che, per ora almeno, non si può pensare alla riforma finanziaria, almeno nella sua parte più sostanziale, che erano gli sgravi fiscali a beneficio dell'Industria.

Secondo il mio interlocutore, una delle chiavi della situazione attuale è la questione dei crediti privati od a breve scadenza concessi dagli americani. Secondo un calcolo, forzatamente approssimativo, questi crediti ammontano a circa nove miliardi di marchi-oro e gli americani sono convinti che essi siano nella loro forma attuale perfettamente inesigibili. Tutta la manovra americana consiste ora nell'ottenere che quei crediti vengano consolidati e ridotti a lunga scadenza, ben inteso colla garanzia degli Enti pubblici ed in definitiva, dello Stato. L'azione di Schacht, d'accordo colla Casa Morgan non avrebbe altro obiettivo che quello di preparare la realizzazione di queste aspirazioni americane, preparando al tempo stesso il ristagno totale dei crediti esteri. Sarà quello il momento critico per la Germania, ed è quello di cui spera profittare l'Opposizione nazionale, che pertanto è interessata anche essa a che fino a quel momento duri il malgoverno amministrativo dei socialdemocratici e dei loro complici. Non occorre dire che anche Mosca ed i comunisti speculano sulle stesse difficoltà: l'azione comunista, l'importanza della quale non deve assolutamente essere sottovalutata malgrado gli insucessi delle dimostrazioni e dei comizi, deve essere piuttosto considerata come grandi manovre e come addestramento delle masse agli scontri colla Polizia e colle organizzazioni antimarxiste.

In tali condizioni la tattica della Opposizione nazionale consiste nel guadagnare tempo, intensificando la sua preparazione, penetrando le masse ed iniziando un lavoro, che già sarebbe promettente, di controrganizzazione specialmente operaia, colla costituzione di sindacati e di cellule destinati ad assicurare il funzionamento dei pubblici servizi in caso di bisogno, cioè di sciopero generale o di sabotaggio da parte dei rossi. Per quello che riguarda particolarmente lo • Stahlnelm •, i suoi Capi sono persuasi che il lavoro esterno di parate e di congressi con esibizioni di Principi ex-sovrani è ormai sufficiente e che esso debba far posto ad un lavoro interno di preparazione per il momento decisìvo: a tale scopo sono atati fatti i viaggi in Italia, che è intenzione dei Capi di continuare, discretamente e senza chiassi, persuasi come sono che siano la migliore scuola per la preparazione dello Stato futuro. In questo senso viene sempre più intensamente studiata la costituzione dello Stato su basi organiche, cioè corporative.

Ad ogni modo la parola d'ordine, data in questi ultimi tempi allo • Stahlhelm • è quella di aspettare il momento nel quale gli avvenimenti saranno maturi. Anche Hitler personalmente è persuaso della necessità di aspettare e di non commettere imprudenze, tuttavia il Fronte Unico Nazionale è preoccupato che il Partito nazionalsocialista non sia più completamente nelle mani di Hitler e che i succe~si ottenuti nelle ultime elezioni abbiano fatto perdere un poco la testa ai Capi locali, ognuno dei quaìi si considera in cuor suo adatto a diventare il Capo supremo ed a agire per conto suo.

Mi ha anche assicurato che sono completamente scomparsi i timori di qualche tempo fa circa un probabile divieto dello • Stahlhelm • in tutta la Germania. Senza esprimersi esplicitamente, mi ha accennato al favore, sia pure condizionato, del quale ora lo • Stahlhelm • godrebbe nuovamente nelle • altissime sfere • a tale punto che molte delle ~ue speranze sono ora basate sulla vita del più che ottuagenario maresciallo-presidente.

Naturalmente il Fronte Nazionale esclude ogni possibilità collaborazionistica e qualsiasi possibilità di risanamento su base parlamentare: il Popolo dà sempre più visibili segni del suo disgusto per i partiti parlamentari: questi, nessuno escluso, mostrano il loro progressivo sgretolamento, che non può che essere salutato con soddisfazione da tutti i nazionalisti. In tal senso c'è anche da felicitarsi delle nuove formazioni annunziate in questi giorni, condannate all'insuccesso per un cumulo di ragioni e che non possono che accelerare lo sgretolamento di tutto il sistema.

Il Barone von Medem mi ha anche detto di avere, nel suo recente viaggio, avuto occasione di spingersi fino ad Innsbruck e di avere avuto lunghi colloqui col famoso Maggiore Pabst, organizzatore e Capo di Stato Maggiore delle • Heimwehren •. Malgrado le notizie in contrario zelantemente diffuse dalla stampa tedesca di sinistra, quel movimento lungi dall'affievolirsi sarebbe in pieno rigoglio. Le • Heimwehren • si stanno riorganizzando e specialmente ne vengono eliminati in quantità i vecchi generali ed Hofrate che non costituivano più che un peso morto. Notevolissimi sono già i progressi conseguiti nelle • Heimwehren • fe)'roviarie, come pure in vari rami dell'Amministrazione, Gendarmeria etc. La riforma costituzionale rappresenta agli occhi dell'organizzazione circa il 40 % del suo programma, ed un altro 40 % spera di conseguire nel corso di un anno. In quegli ambienti si considera un forte successo il fatto che Mgr. Seipel sia riuscito a far trangugiare dal Partito Cristianosociale e senza opposizione il suo programma su di una nuova assemblea, su per giù corporativa.

Ho messo il discorso sul viaggio del Cancelliere Schober a Roma. In Germania gli viene attribuita certamente dell'importanza, ma non eccessiva. A tale riguardo il Barone Medem mi ha segnalato un rifiorire di notizie sull'• oppressione • dell'Alto Adige, che le solite centrali interessate pongono in circolazione in relazione col viaggio di Schober e che occorrerebbe che fossero sempre prontamente smentite.

Circa la Conferenza di Londra, la sua opinione è che la Francia abbia manovrato con grande abilità e che abbia fatto perdere terreno all'Italia. Ho cercato di fargli intendere come il punto di vista italiano sia non solo giu'sto, in quanto corrisponde alle necessità vitali dell'Italia, ma anche a vantaggio comune di tutti i paesi a marina debole. Mi è però sembrato che non si rendesse conto perfettamente di tale importanza, essendo come tutti i nazionalisti tedeschi, ipnotizzato dalla tesi che la Conferenza in definitiva non sia altro che un tentativo dell'Inghil

28 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

terra per scuotere la potenza francese e che pertanto l'Inghilterra alla fine dovrebbe sempre finire col sostenere l'Italia contro la Francia. Di fronte a queste idee non ho voluto insistere perchè almeno la stampa nazionalista tedesca sostenga maggiormente il nostro punto di vista, riservandomi di farlo in un prossimo colloquio nel quale vi sia maggiore agio di trattare l'argomento della Conferenza come argomento unico o principale (1).

(l) Si riferisce evidentemente a questo e al precedente telegramma il passo (che qui si pubblica) di una lettera di Ghigi a Guariglia, datata Londra 9 febbraio 1930:

347

APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, SUL COLLOQUIO CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHOBER (2)

4 febbraio 1930, ore 17.

Lo Schober ha cominciato coll'esprimermi le sue più sentite condoglianze per

la morte di Michele Bianchi e quindi mi ha molto a lungo e credo sinceramente

ringraziato per l'appoggio dato dall'Italia all'Austria nella recente conferenza

dell'Aja. Al suo ritorno è stato dalla stazione di frontiera fino a Vienna, accolto

come un trionfatore.

Lo Schober mi ha quindi narrato diffusamente tutte le fasi della Verfassung

kampf, lotta per la costituzione, conclusa con un grave smacco per la social

democrazia austriaca. Mi ha accennato con parole acidule all'atteggiamento di

Seip"'l. Secondo lo Schober la fronda di Seipel, è soprattutto dovuta al suo sistema

nervoso non più equilibrato e alla sua decadenza fisica dovuta al diabete.

Circa le Heimwehren lo Schober mi ha detto che l'organizzazione è potente,

convoglia la gioventù, può servire all'educazione militare del popolo austriaco,

ma difetta di capi -ed è divisa in due grandi correnti: quella tirolese e quella

della Bassa Austria (la prima che fa capo allo Steidle, la seconda al Pfrimer) di

cui lo Schober mi ha fatto un elogio. Rlntelen fa un po' parte da se stesso.

Il piano d'azione politica dello Schober è il seguente: in pri1nis et ante omnia conclusione del prestito. Schober ha detto che contatti sono stati già presi coi rappresentanti della Casa Morgan e appena avvenute le ratifiche da parte delle Potenze interessate, il prestito sarà lanciato sulle piazze di New York e Londra. Tale prestito-ha insistito Schober-è una questione di vita o di morte per l'Austria. Ottenuto il prestito, che sarà utilizzato per i grandi e minori servizi pubblici dell'Austria, la situazione interna migliorerà e nell'ottobre si potrà procedere a una nuova elezione. Su mia domanda lo Schober prevede una notevole falcidia nei seggi dei socialisti e quindi una solida maggioranza in suo favore, che gli permetterebbe di procedere a un ulteriore rafforzamento della compagine statale.

Qui lo Schober mi ha accennato alle enormi difficoltà -interne ed esterne che ha dovuto superare per giungere in porto colla nuova Costituzione.

Circa le Heimwehren -verso le quali lo Schober mi è parso inspirato da molta simpatia e mi ha a tal proposito ricordato l'aperta apologia che delle Heimwehren, egli ha fatto al Parlamento Federale nel Settembre scorso; circa le Heimwehren, lo Schober mi ha detto che ha avuto anche di recente colloqui coi loro capi e li ha indotti a disarmare. Le armi sarebbero conservate dallo Stato, ma a disposizione delle Heimwehren, in caso di necessità; le armi dello Schutzbund, dovrebbero pure essere consegnate allo Stato, il quale, però, in caso di bisogno, le passerebbe alle Heimwehren (testuale) (1).

Dall'interno ha passato il discorso sui paesi confinanti coll'Austria a comincia:re dall'Ungheria: • la causa dell'Ungheria, ha detto Schober, è giusta, molto giusta •. I miei rapporti personali, ha aggiunto, sono ottimi, ma non esiste fra i due paesi alcun protocollo politico.

Lo Schober si è mostrato pessimista sull'avvenire della Cecoslovacchia e sulla dittatura jugoslava. Mi ha accennato ai suoi rapporti con il Generale Sarkotic, il quale vive a Vienna, pensionato dell'Austria.

Piuttosto pessimista si è addimostrato lo Schober per quanto concerne la situazione interna della Germania, che andrebbe sempre più verso il social-comunismo.

Lo Schober non è favorevole all'Anschluss. Secondo lui è un movimento che non ha radici profonde nell'anima austriaca.

Ho portato il discorso sugli argomenti di cui ai recenti rapporti e cioè Milizia, Aviazione, Armamenti (2). Ho detto che accoglievo i desiderata dell'Austria, anche per dare una prova concreta di amicizia allo Schober e all'Austria stessa. Lo Schober mi è parso commosso e siamo rimasti d'accordo che-per H come e iZ quando ·-la questione sarebbe stata approfondita dai competenti ministeri.

Sul finire del colloquio lo Schober mi ha raccontato ora per ora gli avvenimenti del 25 e 26 settembre, quand'egli da Presidente della Polizia, dovette assumersi il Cancellierato per salvare dalla sicura rovina l'Austria.

Lo Schober non mi è parso eccessivamente preoccupato per la disoccupazione, ch'egli attribuisce anche a cause di natura stagionale. Dopo avermi rinnovato azioni di grazie per l'Aja e per il resto, ha preso congedo. Lo Schober ha l'aspetto di un funzionario austriaco, più vecchio regime, che nuovo; più impero, che repubblica. Egli è dotato della perspicacia media, che

Cfr. anche una minuta di risposta a tale documento, s. d., che si pubblica qui di seguito:

• Con riferimento alla Sua comunicazione che ho letto con vivo interesse, relativa agli armamenti austriaci, Ella può riservatamente assicurare il Cancelliere che il R. Governo farà quanto è possibile per venire incontro, anche su questo punto, ai desideri del Governo Federale, il quale ci potrà far conoscere il suo fabbisogno, e, all'occorrenza, stabilire col concorso di nostri tecnici un piano completo di rifornimento di materiale vario.

È però indispensabile che l'inizio di tali negoziati avvenga dopo la conclusione del noto prestito e che la consegna del materiale debba in ogni caso essere subordinata, per ragioni ovvie al licenziamento dei ferrovieri socialisti •.

pruviene da una lunga carriera nell'amministrazione e quindi dalla conoscenza di uomini e cose nel meccanismo interno dello Stato.

Non ha nulla del Dittatore: tuttavia lo ritengo capace di tenere una posizione sino a dovere compiuto. Si è dichiarato ottimista poichè, ha dichiarato, senza un certo ottimismo nulla si può fare nella vita. Ritengo che le sue disposizioni spirituali e politiche verso l'Italia, siano sincere. Nel complesso ne ho riportato una buona impressione anche dall'aspetto esterno (1).

(l) -In quei giorni De Stefani, in viaggio in Germania, ebbe a Berlino un colloquio con Schacht. Questi si disse favorevole al fascismo e manifestò l'opinione « che il comunismo non presenta possibilità di sviluppo e che il vero e proprio pericolo tedesco è il socialismo di Stato, che rovina la Germania perchè alimenta nei cittadini l'idea e l'abitudine di essere mantenuti, o di avere l'esistenza garantita dallo Stato • (l. p. De Stefani a Giunta, Berlino 12 febbraio 1930, ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, fase. De Stefani 4/R). Da colloqui avuti con altre personalità tedesche risultava a De Stefani «che lo sviluppo della politica estera con l'Italia è, almeno per ora, subordinato alla politica estera verso la Francia, che la Germania ha la necessità di conservare nelle sue attuali direttive, evitando qualunque ragione che possa nuocere a questi rapporti •. De Stefani proseguiva osservando che « la politica estera della Germania nei confronti con l'Italia è dunque bloccata ed effettivamente determinata dalla Francia». (l. p. a Giunta, Berlino, 14 febbraio 1930, ibid). (2) -Schober giunse a Roma il 4 febbraio e vi si trattenne fino al 7. (l) -Una bozza del trattato itala-austriaco, firmato poi a Roma il 6 febbraio, trasmessa a Vienna il 16 gennaio 1930 diceva nel preambolo che i due Stati stipulavano il trattato c desiderosi di congiungere i loro sforzi per il mantenimento della pace e dell'ordine •· Nel testo definitivo del trattato c'è solo il riferimento alla pace ma non più quello all'ordine. Testo del Trattato in Trattati e convenzioni ecc., 1930, pp. 252-269. (2) -Cfr. n. 334.
348

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. [Londra], 4 febbraio 1930.

La mia ultima lettera (2) data da mercoledì. Giovedì feci le mie dichiarazioni in seduta plenaria (3), dichiarazioni che Tu hai veduto sui giornali. Queste mie dichiarazioni hanno segnato il punto inconfondibile dell'Italia alla Conferenza, e sul problema del disarmo in genere. Esse sono state accolte con deferenza da parte inglese, con simpatia da parte americana e giapponese, con favore dalla stampa in genere. Dopo le giornate di lunedì, martedì, mercoledì, avevo ragione di credere che le mie dichiarazioni, da farsi giovedì avrebbero reso ancora più difficile la nostra posizione, che è, come Tu vedi, piuttosto difficile. Invece tutto il contrario. Dove si vede, ancora una volta, che i Tuoi insegnamenti, (Tu mi hai sempre detto che bisogna preferire al nebuloso, all'impreciso, al • furbesco », le posizioni nette, chiare, semplici) hanno ragione, attraverso la realtà, ancora una volta.

Del resto, basta seguire la stampa francese per convincersi (ex adverso) che la via presa e battuta dall'Italia, a Londra, è la migliore. I Francesi si sono ridotti a cantare come vittoria francese, la vittoria dell'alfabeto: Tardieu batte il tamburo, ma la stessa stampa francese è, almeno fino ad og~ martedì, guardinga e preoccupata. Nega la parità all'Italia, ma non vuole rompere i ponti con noi, ci liscia secondo il pelo, e non si nasconde le difficoltà che sorgeranno, quando, dal sottile paravento del cosidetto progetto transazionale, si dovrà arrivare al sodo: cioè alle cifre. E alle cifre si arriverà (così io penso) ancora prima di quanto noi stessi potessimo sperare, e saranno gli altri (americani, giapponesi soprattutto) ad arrivarci ancora prima che finisca la cosidetta discussione sui metodi attraverso cui la Francia vuole salvare l'intangibilità dello Statuto Navale.

Eppoi, già appare, sul tappeto della Conferenza, l'incubo della Germania e

della Russia. Il Daily Express di oggi parla addirittura di fantasmi, di • ghosts »,

c Per quanto riguarda la comunicazione di De Hory circa la visita di Bethlen, S. E. desidera che S. E. il Capo del Governo ne venga informato, e quanto alla data della visita si rimette alla decisione che S. E. il Capo del Governo crederà di prendere •.

accennando alla Germania e alla Russia. Tu segui certamente la stampa tedesca di questi giorni, che non dice molto, ma quello che dice è interessante.

Io credo, insomma, che se noi avremo il fegato di tener duro, fino all'ultimo, senza prestarci a lusinghe od adescamenti (che sono già cominciati, e quanti, da giovedì ad oggi), tenendoci chiusi nel fortilizio inattaccabile della nostra tesi, che è quella della • riduzione degli armamenti •, riduzione che l'Italia fascista è ormai la sola a difendere, (e lo stesso antifascismo europeo verde e rosso è costretto, sia pure a denti stretti, a riconoscerlo), potremo preparare giorni tutt'altro che tranquilli a questa gente, alla futura Conferenza Generale del disarmo, a Ginevra.

Bisogna veder lontano, oltre la Conferenza di Londra, e non lasciarsi impressionare, se siamo • isolati • per quindici giorni. Maledetta parola che turba i deboli; ma non è proprio attraverso l' • isolamento • che l'Italia si è fatta, dal giorno in cui Umberto Biancamano a cavallo del passo di Aosta diceva • no • all'Imperatore e • no • al Duca di Borgogna, per averli poi ai piedi tutti e due, fino al giorno in cui proprio Tu, Mussolini, hai detto all'Europa democratica:

• Il Fascismo è contro i diritti dell'uomo, ossia contro tutti voi ». Ma poi. Come si fa ad affermare la propria individualità, incomprensibile agli altri, se non si comincia coll'essere soli?

Queste ed altre sono le lezioni di coraggio che faccio ogni giorno ai miei amici, sui quali questi francesi, insinuanti ed abili, lavorano a tutto andare, per seminare dubbi sulla bontà della via intrapresa dall'Italia a Londra.

L'anima italiana non ha ancora conquistato quella libertà spirituale, che mille anni di politica anti-unitaria del Papato, politica • femmina • e servile verso lo straniero più potente del momento, le ha appiccicato addosso, come una cappa di piombo.

La riunione del comitato, venerdì 31, ha subito dato plasticamente un'idea

delle crepe che già esistono fra le altre delegazioni. I Dominions contro Mac

Donald. L'America e il Giappone imbronciati. Il Primo Lord dell'Ammiragliato,

rispondendo a Tardieu gli ha detto chiaro che lo attende alle cifre. Ho pregato

Sirianni di fare una dichiarazione. • Fino a che voi non ci direte le cifre, noi

dobbiamo insistere sulla tesi del tonnellaggio globale •. Questo il succo.

Oggi, martedì, il Comitato riprende i suoi lavori. Già ieri Garvin nell'Observer si domandava: ma cosa vuole ancora la Francia? Ieri sera è giunto inaspettatamente un contro-progetto britannico, al progetto transazionale francese, con cui l'Inghilterra insiste sulle categorie. La delegazione inglese, evidentemente, è divisa. Con tutto ciò, io credo che tra Francia e Gran Bretagna un accordo ci sia, di massima. È però sintomatico che stamane l'organo laburista, il Daily Herald attacca Tardieu per il suo discorso di Calais e gli dà dell'imprudente e del leggiero. L'accordo colla Francia è nelle presenti difficoltà il meno peggio per MacDonald bramoso di placare l'opposizione dei conservatori, che sono stati sempre per l'intesa con la Francia, nel momento in cui sono messi in serio dubbio i risultati della sua politica coll'America. Tardieu, dall'altra parte, ha bisogno di un successo qualsiasi per presentarsi alla Camera. Se egli potrà dire • Vi porto l'intesa coll'Inghilterra laburista che Briand non ha saputo conservare • può darsi che egli raggiunga un certo consolidamento della sua situazione personale, che, nonostante il discorso di Calais, è tutt'altro che sicura.

Le questioni coll'Italia passano, nel momento attuale, in secondo piano per la Francia. Tardieu vorrebbe, è chiaro, raggiungere un accordo stabile coll'Inghilterra, senza cedere [naturalmente] la parità dell'Italia, ma nello stesso tempo senza guastarsi con noi.

Il problema è molto complesso perchè il signor Tardieu possa risolverlo da ogni parte. Ad ogni modo c'è ancora molta strada da fare, su questo cammino.

Martedì, 4 sera.

Oggi è arrivato il Tuo telegramma (1). Ti ringrazio, Presidente. Avere la certezza d'interpretare i Tuoi ordini. Questo mi basta.

(l) In quei giorni ci fu una comunicazione del ministro d'Ungheria, Hory, a palazzo Chigi circa una futura visita di Bethlen a Roma. Cfr., in proposito, quanto rispondeva Ghigi a una lettera di Guariglia:

(2) -Cfr. n. 335. (3) -Testo delle dichiarazioni, fatte il 30 gennaio, in D. GRANDI, op. cit., pp. 136-138.
349

PROMEMORIA DEL DELEGATO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO, SUL COLLOQUIO CON I DELEGATI INGLESE, CRAIGIE, E FRANCESE, MASSIGLI

[Londra], 4 febbraio 1930.

Ad un pranzo dai Craigie ho incontrato Massigli ed alcuni membri della

Delegazione americana.

Craigie mi ripetè che spiaceva a MacDonald ed a lui stesso che la Delega

zione italiana non partecipasse alle conversazioni particolari fra le diverse De

legazioni e specialmente alle conversazioni che egli aveva con Massigli. Egli si

rendeva perfettamente conto della riserva generale da noi fatta in base alle

due questioni pregiudiziali. L'Inghilterra stessa si trovava del resto nella stessa

situazione, in quanto che non intendeva accettare definitivamente nessuna so

luzione circa i metodi della limitazione prima di aver parlato di • cifre • e prima

di essersi messa d'accordo con le altre Delegazioni circa i rispettivi tonnellaggi.

Ciò però non le impediva -come non impedirebbe alla Delegazione italiana

di prendere una parte attiva al lavoro che si sta facendo ora per giungere ad

un accordo di massima circa il metodo e le modalità della limitazione. Oramai

tutti conoscevano la posizione da noi assunta e nessuno avrebbe pensato che

l'Italia si impegnava in modo definitivo quando i nostri Delegati esprimessero

il loro modo di vedere su questa o quest'altra questione particolare.

Massigli mi disse che riteneva potersi facilmente appianare la differenza

di concezione che si è verificata tra francesi ed inglesi circa la distribuzione

del tonnellaggio globale nelle diverse categorie. La divergenza era importante

specialmente dal punto di vista teorico, ma non dal punto di vista pratico. Pen

sava che un accordo avrebbe potuto raggiungersi stabilendo nel testo francese

che la distribuzione del tonnellaggio globale fra le diverse categorie sarebbe

stata fatta • previa consultazione • fra i Governi interessati.

Gli ho chiesto se la Delegazione francese era disposta a giungere a Londra ad un accordo, non soltanto sul metodo ma anche sulle cifre. Mi ha risposto che in primo luogo egli pensava si sarebbe dovuto arrivare ad un accordo di massima sul metodo, per servire poi ai lavori di Ginevra. Non escludeva che in pari tempo si potesse fare un accordo limitato alle cinque grandi Potenze anche per le cifre del tonnellaggio (cioè un accordo per sè stante).

Mi ha chiesto se avevo trovato la • formula • per regolare la questione italo-francese. Gli ho detto che personalmente mi pareva che il progetto transazionale (l) nel suo nuovo testo che parlava, non più del tonnellaggio da raggiungere, ma del tonnellaggio massimo da non superare, poteva offrire il modo di conciliare i nostri due punti di vista. Naturalmente noi non avremmo potuto fare a meno di chiedere per l'Italia le stesse cifre che chiederebbe la Francia. In tale caso -gli chiesi -avete intenzione di accettare le nostre cifre senza fare contestazioni oppure volete discutere sulla base dei • bisogni •?

• N o i siamo pronti a fare questa discussione •, mi ha risposto Massigli. Al che ho risposto che eravamo pronti anche noi, ma che con questo non vedevo la possibilità di raggiungere la soluzione amichevole che si cercava, visto che l'Italia era altrettanto libera quanto la Francia nel giudicare il fabbisogno necessario per la propria sicurezza, e che questo fabbisogno corrispondeva per noi a quello che avrebbe dichiarato la Francia.

Su questo si è terminata la conversazione.

(l) Cfr. n. 343.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

TELESPR. RR. 203814/101. Roma, 5 febbraio 1930 (2).

Telegramma per corriere di V. E. n. 36 del 9 gennaio scorso (3'), con il quale ha riferito la conversazione avuta con codesto Ministro degli Affari Esteri, in seguito alle istruzioni di cui al telegramma del 6 dicembre u. s. n. 2315 R. (4), relativamente all'atteggiamento della Delegazione britannica nei lavori della Conferenza armi in Etiopia.

Dato il rinvìo di tali lavori, questo Ministero concorda con V. E. nel ritenere

opportuno rimandare ad epoca più vicina alla riconvocazione della Conferenza

una più attiva e conveniente azione sia a Londra che a Parigi, per indurre i due

Governi ed in ispecial modo quello Britannico ad una più realistica comprensione

degli interessi solidali che legano le Potenze limitrofe di fronte alla eventualità

di notevoli armamenti abissini.

V. E. accenna al rischio di una tale nostra azione che, ove non venisse secondata a Londra ed a Parigi e giungesse a conoscenza del Governo Etiopico, potrebbe farci chiamare da quest'ultimo unici responsabili dell'eventuale fallimento dei lavori della Conferenza.

(4J Cfr. n. 221.

Questo Ministero ha pienamente vagliato un tale rischio prima di impartire tanto a V. E. quanto al R. Ambasciatore a Parigi le istruzioni di cui al precitato telegramma del 6 dicembre, ma, avendo di mira i superiori interessi delle nostre Colonie confinanti con l'Etiopia, ha ritenuto e ritiene ancora suo dovere non lasciar alcunchè intentato per evitare in avvenire gravi pericoli a dette Colonie, derivanti da un forte armamento dell'Impero Etiopico: rischio di evidente ben maggiore gravità.

Questo Ministero conferma quindi tanto a V. E. che a S. E. il Conte Manzoni le precitate istruzioni per la ripresa, a miglior tempo ed immediatamente prima della riconvocazione della Conferenza di Parigi, di una più serrata azione presso i rispettivi Governi, augurandosi che, specialmente il Governo Britannico, mediante ogni opera persuasiva spiegata da V. E., vorrà indursi a prendere nella dovuta considerazione il nostro punto di vista.

(l) -Allude al progetto proposto dalla Francia, per il quale cfr. p. 306, nota l. (2) -Il documento fu firmato a Londra il 2 febbraio. (3) -T. 153/36, che non si pubblica.
351

APPUNTO DEL MINISTRO A VIENNA, AURITI

[Roma] (1), 5 febbmio 1930.

Il Cancelliere Schober ha manifestato a S. E. il Capo del Governo l'intendimento di disarmare tanto lo • Schutzbund • che le • Heimwehren • affermando che quest'ultime avrebbero già aderito a tale proposta.

Di questa adesione le • Heimwehren , non mi han fatto finora parola; sono invece venute a dirmi che notano da parte del Cancelliere il proposito di evitare contatti con loro e mi hanno pregato di far sapere a S. E. Mussolini che Gli sarebbero assai grate qualora volesse raccomandare al Cancelliere di riprendere la lotta contro i socialisti appoggiandosi ad esse.

Il progetto di disarmo di entrambi i contendenti corrisponde ai vivi desideri dei socialisti e potrebbe esser messo in relazione colla speranza di Schober di contare sulle simpatie socialiste, specie in previsione di una possibile scissione della sua maggioranza.

Il concetto di Schober -che si può anche spiegare colla sua mentalità di vecchio funzionario tutore della legalità e dell'integra autorità statale -è giusto in sè, ma non in relazione alle attuali vicende della politica interna, in quanto potrebbe essere ammissibile solo dopo che le ulteriori r.ivendicazioni della maggioranza borghese fossero state attuate.

Il disarmo generale -per il quale Schober si è manifestato favorevole subito dopo la riforma costituzionale, e che non può escludersi sia stato da lui promesso ai socialisti in cambio della loro arrendevolezza nel corso delle trattative per la riforma stessa -andrebbe a tutto vantaggio della social-democrazia. Mentre infatti lo • Schutzbund » è l'immediata emanazione di un unico partito organizzato politicamente il quale potrebbe sempre esprimere elementi combattivi in caso di conflagrazioni, le • Heimwehren • sono composte di elementi di vari partiti tenuti insieme soltanto dal carattere militare dell'organizzazione e quindi, spezzato col disarmo tale legame, cesserebbero praticamente di esistere.

Se, da un canto, le • Heimwehren • non danno molto a sperare circa la possibilità di azioni decise e risolutive contro la social-democrazia, esse esercitano, dall'altro, una non trascurabile influenza sulla vita politica austriaca e l'hanno finora orientata sensibilmente a destra, sì da facilitare un cambiamento di atteggiamento nei nostri riguardi in una considerevole parte dell'opinione pubblica austriaca. Nessun giornale tirolese si sarebbe azzardato un anno fa a pubblicare gli articoli comparsi recentemente sulle Innsbrucker Nachrichten e dovuti al dott. Steidle, nei quali si sosteneva la creazione di una • internazionale dei nazionalismi • (l) e l'opportunità di superare la questione alto-atesina per stabilire buoni rapporti coll'Italia.

In considerazione dell'azione che le • Heimwehren • hanno già svolta, e, più ancora, di quella che potrebbero svolgere in avvenire a nostro vantaggio, sembrerebbe utile poter almeno dichiarare ai capi di questo movimento che i loro desideri sono stati accolti dal Capo del Governo il quale, nei limiti delle sue possibilità, si è adoperato a loro vantaggio presso il Cancelliere austriaco.

È infine da tener presente che tale assicurazione riuscirebbe anche di vantaggio alle nostre relazioni con Mons. Seipel qualora questi dovesse tornare al potere. Seipel ha sempre sostenuto, ed in gran parte diretto, il movimento delle

• Heimwehren •, tanto che non è da escludersi che Schober disarmandole e quindi praticamente sopprimendole, miri anche a togliere una base al suo possibile successore.

(l) Auriti aveva seguito a Roma il cancelliere Schober.

352

IL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (2)

N. R. 28. Roma, 6 febbraio 1930.

Risulterebbe alla Finanza che l'opera svolta in Albania dai funzionari civili e militari italiani ivi distaccati sebbene inspirata ad altissime finalità di ordine politico e sociale, si concreta in iniziative dalle quali scaturiscono oneri che, per mancanza di .coordinazione e di un efficace controllo finanziario, turbano maggiormente le già precarie condizioni nelle quali si svolge l'amministrazione albanese.

Infatti se il programma tracciato e, in parte, già tradotto in provvedimenti legislativi, dovesse avere la sua integrale esecuzione, non sarebbe lontano il tempo in cui -per il notevole squilibrio fra entrate e spese che esso reca lo Stato Albanese non potrebbe far fronte ai pagamenti.

Ciò deriva anche dal fatto che il Ministro delle Finanze albanese non è investito della facoltà di opporsi a nuove spese, anche quando le entrate non presentino il margine corrispondente. Di guisa che i provvedimenti che importano oneri non sono comunicati alla Finanza per il preventivo esame, ritenendosi che il parere collegiale del Consiglio dei Ministri esoneri senz'altro il Ministro predetto da ogni responsabilità.

Tale stato di cose minaccia di coinvolgere in responsabilità l'amministrazione italiana, la quale non può certamente considerarsi estranea all'opera dei suoi funzionari. Né d'altra parte l'amministrazione stessa può assistere impassibile

allo sfacelo delle finanze albanesi che può condurre alla necessità di un aiuto che solo potrebbe evitarsi esplicando da parte nostra un'azione moderatrice seria e assistita da concreti intenti.

Ora a prevenire in tempo utile l'una e l'altra possibilità, sottopongo all'esame dell'E. V. se non sia il caso di impartire precise istruzioni alla R. Legazione d'Italia a Tirana, affinchè venga da essa spiegata opera diretta a coordinare le varie iniziative che si vanno assumendo in Albania al fine di adeguarle alle possibilità finanziarie rigorosamente accertate, per modo che le iniziative stesse trovino nei mezzi forniti dal Paese il margine necessario per la loro attuazione (l).

(l) -Cfr. n. 337. (2) -Il documento venne inviato, per conoscenza, a Grandi.
353

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. 400/58/39. Londra, 7 febbraio 1930, ore 20 (per. ore 23).

Secondo notizie di stamane un certo accordo fra delegazione inglese ed americana sarebbe raggiunto o per raggiungersi.

Realizzazione accordo anglo-americano determina evidente spostamento situazione. Caratteristica giornata di oggi, malumore stampa francese contro delegazione americana (2). Interessante anche intervista concessa Paul Boncour al giornale Aurore, diramata Havas dove Boncour rilevando differenza sostanziale fra progetto francese originario e progetto quale risulta dopo discussione scorsa giornata ed emendamenti apportati in seguito proposte altre delegazioni ne rinnega paternità. Domani spedisco rapporto (3).

« Ove poi, da parte albanese, sorgano iniziative, di colore progressista, ma pericolose

per le conseguenze in un oaese tanto impreparato, è cura del R. Ministero scrivente di

cercare subito di contenerle, di dirigerle, di renderle meno pericolose. Cito a mo' d'esempio

il progetto di riforma agraria, inspirato, invero, dal bisogno di risollevare la misera situa

zione dell'agricoltura, ma affrontato colla leggerezza di chi ignora a quali guai o quali

complicazioni ci si espone toccando l'ordine sociale esistente in base a principii dottrinarii

e demagogici. II R. ministero ha testè provveduto ad inviare un tecnico, il Prof. Lorenzoni,

il quale ha lottato e lotta per inquadrare il progetto, per dargli forma più adattata alla

economia locale, per suscitare sani dubbi e timori sul facile ed immediato conseguimento

di ciò che non può che essere frutto di anni di paziente ricostruzione. Analogamente ha

lavorato il Comm. Balducci per le pensioni....

Rimarrebbe da dire qualche cosa della "Difesa Nazionale 11 ossia dell'equivalente del

Dicastero Militare. Su questo punto, debbo confessare che il Generale Pariani è, per sua

natura. il nemico nato del Comm. Merlino [funzionario del ministero delle Finanze distaccato

in Albania]; perchè le spese per l'esercito, che si sta formando di sana pianta, sorpassano

senza alcun dubbio, pur coll'ingente collaborazione finanziaria italiana, le proporzioni che

si confarrebbero al bilancio di un9. piccola nazione. Ma V. E. ben sa che si tratta, nei riguardi

nostri, di creare un organismo che capovolga la situazione strategica dell'Adriatico; il che

non è poco; e, nei riguardi albanesi, si tratta addirittura di una necessità vitale.

Senza lo sforzo che l'Albania sta compiendo, essa potrebbe cessare da un momento all'altro

di esistere, anzi, probabilmente, già si sarebbero verificati avvenimenti apportatori delle più

gravi conseguenze....

Concludo ripetendo in ogni modo l'assicurazione che questo ministero segue con occhi vigili l'andamento delle finanze in Albania, e che tutti gli organi che ne dipendono sono perfettamente consci delle necessità che esse impongono. Faccio però notare, ad ogni buon fine, che l'Albania non è una nostra provincia ed i governanti albanesi non sono nostri funzionari, e che non ci è dato garantire per gli errori ch'essi possono compiere, ad onta dei nostri consigli. Posso però assicurare l'E. V. che. in ogni evenienza, l'Italia potrà presentarsi come una creditrice, e non come una responsabile della situazione: e se i nostri sacrifici non riuscissero, come invece è lecito sperare, e rendere vitale lo Stato, essi costituiranno, non già un demerito, ma un insieme di titoli che sarà cura del R. Governo di far valere :econdo le circostanze •.

(l) Grandi rispose con telespr. 2131181799 del 18 aprile 1930, giustificando l'azione dell'Italia in Albania. Di questo documento si pubblicano qui solo i brani seguenti:

(2) -Nella minuta la frase così proseguiva « e attacchi stampa laburista contro delegazione francese •. (3) -Cfr. n. 355.
354

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) PER CORRIERE S. 1415. Roma, 7 febbraio 1930, ore 24.

Suo telegramma per corriere n. 396/180 (1).

S. E. il ministro della guerra ha testualmente dichiarato, anche perchè la dichiarazione possa eventualmente essere inserita nella comunicazione che V. S. -secondo il testo da lei proposto -farà a codesto ministero degli esteri per la sostituzione del colonnello Visconti col colonnello Amari, quanto segue:

• Il Visconti è dal 1927 sul quadro di rotazione per il comando di un reggimento quale ufficiale di Stato Maggiore che non ha ancora avuto un simile comando. Non sarebbe possibile procrastinare ancora, oltre il prossimo scadere del Gessennio in qualità di addetto militare, la sua assunzione al comando, senza che ne seguisse pregiudizio per il seguito della sua carriera.

La partenza del colonnello Visconti da Belgrado coincide, quindi, con una imprescindibile esigenza della sua carriera e colla necessità di avvalersi della sua speciale competenza militare in un posto di comando ed in più diretto contatto col nostro Stato Maggiore. Se disposizioni regolamentari vigenti non consentono di disporre aitrimenti in favore del colonnello Visconti, egli gode, nei nostri ambienti militari, di così esatta valutazione dei suoi meriti, che sarà fatto per lui quanto sarà concesso perchè egli abbia quelle possibili soddisfazioni che può desiderare •.

Ma, per quanto concerne la questione, cui la S. V. accenna nel suo telegramma, del prestigio col quale è desiderabile che il colonnello Visconti lasci Belgrado, debbo farle rilevare che qualunque provvedimento intervenisse unicamente da parte nostra, tale questione non ne risulterebbe risolta nei riguardi che più interessano, e cioè quelli degli ambienti di Belgrado. È costà, infatti, che si deve ottenere che il colonnello Visconti parta nelle condizioni e colle dimostrazioni anche onorifiche che sono d'uso normale in caso di partenza di qualsiasi addetto militare estero. Qualora ciò non avvenisse, nessun nostro provvedimento a favore del Visconti varrebbe più a sanare la situazione, e ne rimarrebbe ineseguito da parte jugoslava il punto essenziale del compromesso dalla S. V. raggiunto con Jeftic, in base al quale abbiamo acconsentito a transigere circa il richiamo del nostro addetto militare. Ed il punto consiste in questo: che nulla, nè nella stampa, nè in sede giudiziaria, nè altrove, deve, comunque, mettere in giuoco il nome del colonnello Visconti, la cui partenza deve apparire come un normale avvenimento del suo servizio, senza connessione alcuna coi fatti inizialmente postigli a carico da Jeftic, e che appaiono, del resto, sempre più evanescenti se non insussistenti.

Dal rapporto del colonnello Visconti, che V. S. mi ha trasmesso col suo telegramma-posta n. 354/159 del 23 gennaio scorso (2), risulterebbe, invece che Jeftic avrebbe abusato delle nostre concilianti disposizioni ed avrebbe già vio

lato l'accordo raggiunto, propalando, perfino in codesti circoli diplomatici, delle sue opinioni sul richiamo del Visconti (1).

È bene quindi, che da parte della S. V. si cerchi, ora, di provvedere a consolidare con Jeftic, in modo da non offrire possibilità di futuri equivoci, i risultati essenziali delle intese verbalmente prese a Roma (2), prima che da parte nostra si proceda formalmente all'esecuzione di quanto ci riguarda. Sarebbe sommamente desiderabile, ad ogni buon fine, che ciò venisse fatto e riassunto in un cenno scritto, anche in forma di una semplice lettera personale e confidenziale da parte di Jeftic. Il punto che interessa venga assodato è l'assicurazione che il nome del Visconti non sarà posto in giuoco in alcun caso in relazione alle note faccende di spionaggio e che egli partirà da Belgrado del tutto normalmente

colle dimostrazioni onorifiche d'uso.

Aggiungo, per norma personale e riservata d'azione della S. V., che ministro della Guerra ha fatto presente la speciale utilità che nella trattazione della questione si faccia il possibile per guadagnar tempo. II che tornerebbe di grande vantaggio perchè il nuovo addetto militare possa completare qui lo studio delle questioni alle quali dovrà costà dedicarsi e possa quindi trovare ancora il colonnello Visconti a Belgrado in modo da riassumere dalle sue stesse mani le fila dell'importante servizio.

Tutto considerato, sembra che il necessario chiarimento della situazione del Visconti con Jeftic e la situazione da questi determinata in seguito al contegno da lui tenuto costà di ritorno da Roma per la questione, debba offrire occasione per tale guadagno di tempo.

Ad ogni modo, mi riferisca in proposito appena possibile.

(l) -Cfr. n. 330. (2) -Cfr. n. 322.
355

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. [Londm], 8 febbraio 1930.

Come Tu hai già ampiamente visto attraverso i resoconti stampa, da venerdì la Conferenza ha improvvisamente mutato faccia.

MacDonald ha dato corda a Tardieu fino a che non è stato sicuro che gli Americani accettassero le sue proposte. Non appena il Presidente Hoover ha detto di sì, vincendo così le ultime riluttanze degli ambienti navali americani,

« S. E. Gazzera ha, peraltro, obiettato che dal rapporto ricevuto da Visconti appare come il compromesso Galli-Jeftic non sia stato affatto lealmente osservato a Belgrado, almeno per quanto concerne il silenzio che avrebbe dovuto essere mantenuto sulla questione Visconti, in quanto risulta che il Governo jugoslavo, mentre Jeftic era ancora a Roma, si è affrettato a far sapere a tutti, Corpo Diplomatico compreso, che il Visconti avrebbe dovuto lasciare Belgrado perchè sorpreso in flagranza di spionaggio....

Il nostro Ministro a Belgrado, che ha trattato tutta la questione oralmente (rapporto riservato del Colonnello Visconti al Ministero della Guerra) dovrebbe ottenere, sia pure in forma di lettera riservata e personale, un'assicurazione scritta che, secondo il compromessoraggiunto con Jeftic, il nome del Visconti non verrà fatto in connessione con materie di spionaggio. Il Colonnello Visconti teme -e secondo il sottoscritto giustamente -che, lui partito, si farà grande scalpore a Belgrado, intorno al suo nome inscenando processi e repressioni antispionistiche ».

MacDonaìd ha tirato dal cassetto il nuovo memorandum britannico (1), lasciando la Delegazione francese con tanto di naso. Nello stesso tempo Stimson ha fatto le inattese dichiarazioni (Gibson me le aveva confidenzialmente comunicate a nome di Stimson fin da giovedì mattina), ribattendo il principio della parità.

L'accordo di massima anglo-americano ha avuto come conseguenza immediata l'oscuramento della progettata complicata procedura francese dei metodi, e rimesso ad un tratto in prima Linea sul tappeto della Conferenza la questione deEe proporzioni e dei tonnellaggi massim-i, cioè le questioni poste dall'Italia. È sul p1·incipio delle proporzioni e dei tonnellaggi massimi che adesso si batte il Giappone contro l'Ame1·ica e l'Inghilterra.

La cronaca di questa fine-settimana registra dunque uno scacco della Francia. I Francesi si sono illusi, durante le due prime settimane, di potere rimanere i leaders della Conferenza, e si sono illusi a tal punto fino a credere che, attraverso le loro proposte, sarebbe stato perfino loro evitato di essere messi di fronte alla necessità di formulare le cifre del loro programma, e di potere rimandare anche questo ad un'altra Conferenza.

Tardìeu, preoccupato di prendere l'Italia nella rete abilmente tesa del progetto Boncour (già diventato durante la strada progetto anglo-franco-americano), non si è accorto della tagliuola che gli anglo-sassoni gli preparavano sotto le gambe, e nel bel mezzo della quale egli è caduto.

Occorreva anche questa particolare fase della Conferenza per dimostrare che la linea da noi adottata (proposte e riserva) è stata la più ferma, la più prudente, e la più antiveggente nello stesso tempo?

Giovedì sera Tardieu mi ha fatto telefonare per dirmi che voleva venire a vedermi prima di partire per Parigi. Io non mi sono fatto trovare, a bella posta. Tardieu ha fatto pubblicare venerdì dalla stampa di Parigi che si era incontrato anche con me. Il che non è esatto, ma è sintomatico.

Adesso, se Iddio vuole, l' • isolata • è la Francia. Potesse questo servire a farla rinsavire: vorrei sperarlo, ma non ci credo. La burbanzosa presunzione dei francesi è più forte del loro sentimento utilitario, che pure è forte. La Francia si ostina a non capire, che mediante un piccolo sacrificio, quello della parità (che non le costa praticamente nulla) determinerebbe un blocco italo-francese qui alla Conferenza.

Ma non c'è da farsi illusioni. Martedì avremo sul palcoscenico della Conferenza la commedia dei sottomarini. Come le proposte Craigie-Massigli sono state il paravento dietro il quale si è maturato l'accordo anglo-americano, così la discussione dei sottomarini è destinata a smascherare la discussione delle cifre proporzionali del Giappone.

Questa che si apre sarà la settimana nipponica. La prima è stata la settimana italo-francese, la seconda la settimana anglo-americana, la terza la settimana anglo-americano-nipponica, la quarta presumibilmente la settimana anglo-americano-francese, la quinta, ancora presumibilmente, tornerà ad essere la settimana italo-francese.

Salvo imprevisti, naturalmente, e precipitati chimici improvvisi, possibili, anzi probabili, nel palcoscenico a scena girevole di questa Conferenza.

(l) La questione Visconti Prasca era stata tratt:::ta, per conto del ministero degli Esteri, da Indelli in un colloquio con il generale Gazzera. Indelli fece un appunto del quale si pubblicano i brani seguenti:

(2) Cfr. n. 298.

(l) Testo in DB, Serie II, vol. I, n. 142, pp. 205-209.

356

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DELL'INTERNO (1), MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. RR. 265. Roma, 8 febbraio 1930.

Risposta al n. 77 del 27 gennaio u.s. (2).

Sembra a questo Ministero che Sua Eminenza il Cardinale Segretario di Stato di Sua Santità, nella risposta data alla R. Ambasciata d'Italia presso il Vaticano, anzichè fondare le proprie asserzioni su elementi concreti, si sia richiamato a fatti generici e non circostanziati. Così quando si è riferito • alle numerose e minuziose inchieste • che si farebbero • in molte provincie d'Italia • sulle Associazioni Cattoliche e sui loro dirigenti; quando ha asserito che c in parecchi luoghi • sarebbe stata disposta l'incompatibilità fra l'appartenenza ad associazioni cattoliche ed associazioni nazionali; quando ha accennato al cqntrollo continuo ed ingiustificato • di ogni manifestazione cattolica ed anche di riunioni private • ovvero alla interpretazione c eccessiva ed arbitraria di leggi vigenti •.

Pertanto, nell'assenza di specifici elementi, questo Ministero, non può, a sua volta, che richiamarsi alle disposizioni generali contenute in atti legislativi e regolamenti o in circolari, dalla cui inosservanza, da parte di associazioni cattoliche o della stampa, potrebbero derivare gli inconvenienti e gli abusi lamentati, ma non dimostrati da Sua Eminenza Gasparri nella lettera precitata.

Si risponde, quindi, ai singoli rilievi: a) Numerose e minuziose inchieste che ?'ipetutamente si sono fatte o si fanno in molte provincie d'Italia sulle associazioni cattoliche e loro di?·igenti.

Le associazioni, enti od istituti in genere, costituiti ed operanti nel Regno, sono soggetti alla vigilanza degli organi dello Stato, come è stabilito dalle disposizioni del vigente T.U. delle leggi di P.S. 6 novembre 1926, n. 1848 (art. 124 e seg.) e del relativo regolamento 21 gennaio 1929, n. 62.

Il Governo non potrebbe rinunciare all'esercizio di un diritto che trova il suo fondamento in una disposizione legislativa, nè creare a favore di talune associazioni un privilegio di diritto singolare.

Non è vero che gli iscritti alle Associazioni cattoliche siano, pel solo fatto di tale iscrizione, • messi in cattiva luce quasi fossero contrari alle vigenti istituzioni •. Ciò è tanto poco vero che, non pochi iscritti a dette associazioni non solo fanno parte dei fasci, ma persino dei Direttori dei Fasci stessi, e alcuni rivestono la carica di Podestà (esempio, Campolongo sul Brenta, prov. Vicenza), o di Segretario del Fascio (esempio, S. Nazario, prov. Vicenza).

Tanto meno è vero che gli iscritti alle ripetute associazioni incorrano, pel solo fatto di tale loro appartenenza, nelle c diffidenze e vessazioni dell'Autorità, fino a perdere quegli impieghi, che assicurano la sussistenza alle loro famiglie •. Questo Ministero non conosce nessun caso, in cui ciò sia avvenuto, ritiene anzi di poterlo senz'altro escludere.

Non può, invece, negarsi che molti dirigenti e iscritti alle Associazioni cattoliche danno fondato motivo a sospetto non per la loro appartenenza alle dette associazioni, ma perchè provenienti da partiti politici, già accaniti avversari del

Regime, per la loro condotta politica, contrastante con le direttive del Governo.

Non può [non] essere noto alla Santa Sede che, in alcune provincie, specie del

l'Italia settentrionale, numerosi sacerdoti, già attivi organizzatori e seguaci del

Partito Popolare e le molte Associazioni che da essi traggono ispirazione, hanno

mantenuto e mantengono un atteggiamento, sia pure celatamente ed abilmente,

ma sostanzialmente ostile al Regime fascista, e specialmente ostile -anche in

modo pubblico -alle fondamentali organizzazioni del Regime. Verso costoro

sembra pertanto pienamente giustificata, da parte delle Autorità, una certa diffi

denza, la quale, però, non ha finora mai portato nessuna delle conseguenze d'or

dine materiale, affermate dalla Eminentissima Segreteria di Stato.

Va anche notato l'atteggiamento aggressivo, assunto da alcuni gruppi cattolici; sintomatici, al proposito, gli incidenti avvenuti il 18 luglio 1929 a Saronno, dove, dopo che un lieve incidente avvenuto il giorno 16 avrebbe dovuto consigliare speciale prudenza, un sacerdote condusse, a scopo evidente provocatorio, alcuni giovani cattolici dinanzi a un caffè frequentato da fascisti, e prese l'iniziativa dì vie di fatto contro i fascisti! Il linguaggio, poi, degli indefiniti giornaletti locali, cosidetti cattolici, è stato specie dopo il Concordato, quasi sempre eccessivo e spesso apertamente battagliero: più volte riconosciuto inopportuno dalle stesse Autorità ecclesiastiche locali.

b) Incompatibilità fra L'appartenenza ad associazioni cattoLiche e appartenenza ad associazioni nazionaLi.

Come sì è detto sopra, tale incompatibilità non esiste, tanto che persone iscritte alle associazioni cattoliche sono anche iscritte ai Fasci, occupando anche cariche direttive. Nè esiste detta incompatibiLità con L'Opera NazionaLe BaLma; e, infatti in moltissime provincie, gli appartenenti a quest'ultima fanno anche parte dì gruppi giovanili cattolici.

S'è presentato, invece, più volte il caso inverso: e, cioè, di dirigenti di associazioni cattoliche, i quali si siano rifiutati di accogliere nelle medesime gli iscritti alle organizzazioni giovanili fasciste. Così, ad esempio, a Oltressenda Bassa (Bergamo) i sacerdoti Don Giacomo e Don Pietro Forsenigo nei riguardi degli avanguardisti di quel paese; così il Signor Battista Epis, Segretario della Federazione Giovanile Cattolica di Bergamo, nei riguardi degli Avanguardisti di Ambivere (Bergamo); e vari altri.

Infine, è permesso rilevare che, in alcuni casi, una certa incompatibilità dì fatto fra l'appartenenza alle organizzazioni del Regime con quella alle associazioni cattoliche, quantunque non sancita da nessuna disposizione, non ha potuto [non] sorgere automaticamente; come avrebbero potuto, infatti, i dirigenti fascisti accogliere nelle loro organizzaioni gli appartenenti ad altre, i cui capi non facevano mistero della loro opposizione ad alcune fondamentali direttive del Regime? Pertanto, se, in limitato numero di casi, tale incompatibilità di fatto è sorta, ciò non può imputarsi nè al Governo, nè al Partito Fascista.

c) Continuo controLlo di ogni manifestazione di azione cattolica e anche di riunioni private.

Non si comprende, nella formulazione generica della obbiezione, a quali manifestazioni si intenda alludere, e quale portata concreta si intenda dare alla parola • controllo •.

Può affermarsi, peraltro, che le manifestazioni cattoliche hanno sempre trovato libero svolgimento.

Così ha potuto aver luogo in Roma, nel Novembre 1928, il Congresso Nazionale della Gioventù Cattolica Italiana, così furono autorizzati nel settembre 1928 a Milano e nel settembre 1929 a Roma i Congressi della 15" e 16• Sessione della settimana sociale dei cattolici italiani, a Genova e Roma negli stessi periodi di tempo il 16° e 17° Congresso della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, così ancora ha avuto luogo in Roma, nel giugno 1929, il Convegno dei giornalisti cattolici. Questo per accennare soltanto alle più importanti manifestazioni.

Quanto, poi, alle riunioni, più o meno private, dei componenti l'Azione Cattolica, nessun controllo viene esercitato sulle medesime. Ciò, naturalmente, non esclude che qualche notizia, più o meno esatta sul loro scopo e sui loro argomenti, possa, per diverse vie, giungere agli organi del Governo o del Partito. Ma di ciò, non sembra che possa muoversi lamento, come non ha lamentato il Governo che, talvolta, la stampa cattolica -e lo stesso Osservatore Romano -abbia riferito cose inesatte su ciò che sarebbe stato trattato nelle riunioni dei più alti organi del Regime.

L'assenza di tale speciale controllo-che, ripetesi, non esiste-non significa, però, che il Governo non possa, e non debba, talvolta, intervenire, di fronte alle molteplici iniziative, che si propongono le Associazioni cattoliche.

Il Governo ritiene che dette associazioni possano soltanto avere finalità d'istruzione e di assistenza religiosa, concretantisi nell'insegnamento della dottrina cattolica, nella preparazione spirituale ai Sacramenti, nell'esercizio di pratiche di culto e, cioè, in tutto quello che riguarda la religione. Invece, in realtà, le Organizzazioni cattoliche nelle loro numerosissime forme, hanno in molti luoghi, creduto di assumere le più diverse iniziative; e così hanno istituito, filodrammatiche, cinematografi, palestre ginnastiche e persino campeggi e colonie estive. È evidente che, tali iniziative esulano completamente dai fini propri dell'Azione Cattolica. Comunque, se Io Stato può usare qualche tolleranza per le filodrammatiche e altri mezzi di ricreazione, non può però permettere che le associazioni cattoliche svolgano iniziative, riguardanti direttamente ed esclusivamente l'educazione fisica, quali le palestre ginnastiche e i campeggi, che devono essere riservate soltanto agli organi del Regime. Lo Stato Fascista non può prescindere dai suoi principi, per i quali l'educazione fisica e morale delle nuove generazioni spetta allo Stato. In ciò trova applicazione il R. Decreto Legge 9 gennaio 19·27, n. 5, a ciò tendono le circolari esplicative ed illustrative emanate dal Ministero. Ove e finchè le norme vigenti sono osservate, non esiste nessuna limitazione alla libertà dell'Azione Cattolica, ed essa non è sottoposta a nessun controllo, salvo la vigilanza generica, che lo Stato, per la sua stessa natura, deve esercitare su qualsiasi attività svolta nel territorio nazionale.

d) Interpretazione eccessiva e talvolta arbitraria di leggi vigenti come è spesso accaduto ad es. per sequestri di bandiere, proibizioni di riunioni, ecc.

Per ciò che riguarda le riunioni non può questo Ministero che richiamarsi a quanto in precedenza esposto; per ciò che, infine, concerne l'uso della bandiera, devesi rilevare che il sequestro, in rarissimi casi, delle bandiere pontificie, alle quali evidentemente si allude, o di insegne e stendardi con i colori della stessa bandiera, trova il suo presupposto nella inosservanza delle norme vigenti in materia e contenute nelle leggi 24 dicembre 1905, n. 2264 e 24 giugno 1929,

n. 1085.

Quanto alla stampa, è noto che tutti i sequestri praticati di giornali cattolici sono stati pienamente giustificati dalla inopportunità e dall'eccessività delle loro pubblicazioni.

Per ultimo, questo Ministero non può [non] confermare che molti dirigenti dell'Azione Cattolica sono avversari del Regime, ed esplicano azione contraria alle direttìve del Governo. Questo Ministero è pronto a fornirne l'elenco documentato, che non potrà non essere lungo e voluminoso. Del resto, i Prefetti, secondo disposizioni ricevute, non hanno mai mancato di segnalarli agli Ordinari diocesani, specialmente quando si è trattato di sacerdoti. Non può dirsi che tali segnalazioni, pur corredate di • buone prove » abbiano finora avuto risultati concreti.

Ciò stante, le autorità non possono mancare al loro dovere di vigilare affinchè l'azione di dette persone non riesca di nocumento allo Stato. Tale vigilanza, del resto, per un riguardo all'Azione Cattolica, è stata sempre contenuta nella forma più cauta e mai vessatoria o molesta.

Se la S. Sede vorrà presentare dati più concreti e precisi, questo Ministero non mancherà di fornire le più esaurienti e documentate risposte.

(l) -Il documento fu firmato da Mussolini nella sua qualità di ministro dell'Interno. (2) -Non si pubblica. Ma cfr. n. 284.
357

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 422/302. BeLgrado, 8 febbraio 1930 (per. iL 10).

Sono stato ricevuto ieri in udienza da Re Alessandro al quale avevo avuto ordine di presentare personalmente i ringraziamenti delle Loro Altezze Reali il Principe e la Principessa di Piemonte per il dono inviato per le Auguste Nozze.

Il Re ha mostrato di gradire tale missione, e dopo qualche discorso di carattere generale ha espresso ogni sua maggiore soddisfazione per l'incontro avvenuto costà fra V. E. e S. E. Jeftic (1). I risultati di tale colloquio lo avevano molto confortato, ed egli sperava ne derivasse un periodo di tranquillità fra i due Paesi. Riconosceva che l'Italia aveva una propria politica conforme ai suoi interessi di grande Potenza che era difficile mutare, ma teneva ad assicurarmi che la Jugoslavia era una vicina leale che non aspirava se non ad essere in accordo con l'Italia. Era felice che una conversazione schietta avesse potuto aver luogo fra

V. E. e S. E. Jeftic e se in avvenire altre occasioni avessero permesso nuove conversazioni egli le avrebbe secondate nel miglior modo.

Avendomi domandato se avevo avuto recente occasione di vedere Kumanudi, gli ho risposto che sì, ma che avrei dovuto vederlo ancora perchè la stampa continuava in un atteggiamento che non era davvero conforme a quanto Jeftic aveva promesso a V. E. Il Re se ne è mostrato sorpreso.

La intonazione del colloquio è stata improntata da parte del Re a molta cordialità personale. La insistenza però con la quale egli ha più volte accennato alla • linea dell'Italia conforme ai suoi interessi di grande potenza • quasi escludendo che in questa linea potesse oggi e nelle condizioni presenti trovare posto un accordo con la Jugoslavia mi ha fatto l'impressione si richiamasse so

29 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

pratutto a quanto qui si teme di più in più e cioè che lo sviluppo completo e rettilineo dei nostri rapporti con l'Austria possa condurre ad un'intesa Roma Vienna Budapest, qui assai paventata. È questo timore che dà luogo a queste continue manifestazioni di nervosismo nella stampa che segnalo a parte a V. E. (1).

(l) Cfr. n. 302.

358

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

N. 205000/120. Londra, l O febbmio 1930 (2).

Il suo telespresso in data 2 Febbraio corrente mi ha particolarmente interessato (3).

Se per quanto concerne l'idea di una conferenza del Prof. A. Labriola al Comitato del Centro Europeo della Fondazione Carnegie, la risposta di V. E. non può che essere sfavorevole, resta peraltro il fatto di una dimostrazione di buona volontà da parte del signor Babcock e delle annunciate intenzioni del Signor Butler. È indubbio che sarebbe per noi utile stabilire con la Fondazione Carnegie

V. -E. e fino a che a V. E. non piaccia modificarle. Debbo aggiungere che nel momento presente non ho su chi far presa. Marinkovic (del quale si continua a ripetere il prossimoallontanamento) è a Davos, Jeftic da quindici giorni a Parigi per la regolazione dei debiti prebellici, Fotic direttore generale affari politici e la cui autorità è quotidianamente in aumento, pure a Parigi per la conferenza riparazioni orientali. Di quelli che sono quiKumanudi che ha palesi sentimenti a noi ostili è di scarsa sensibilità di poca comprensione, non ha preparazione alcuna; Bakotic, le cui intenzioni sono le migliori possibili, non ha alcun potere. Resterebbero Zivkovich e Re Alessandro. Non è poi escluso che qualche imprevedutacircostanza possa permettermi di agire nelle direttive indicatemi da V. E. Ma la situazione è in questo momento quella qui riassunta. Ritenevo utile V. E. la conoscesse nel suo insieme oltre che dalle informazioni di dettaglio •.

Sulla politica estera jugoslava si pubblica qui un passo del t. posta 699/387 di Auriti, Vienna 21 febbraio 1930: c La notizia data al R. Ministro in Belgrado, e da questo

riferita con ogni riserva, secondo cui si vorrebbe conseguire un accordo austro-germanico

jugoslavo non ha alcun fondamento circa la possibilità di qualsiasi intervento in esso da parte dell'Austria. Basterebbe, ad escluderne l'eventualità, la semplice conoscenza della situazione austriaca. E per di più il cancelliere mi ha oggi dato una recisa smentita al riguardo •. Auriti si riferiva a notizie trasmesse da Galli con t. 347/27 e 380/254 del 3 e 4 febbraio. Successivamente (t. per corriere 425/306 dell'8 febbraio) Galli comunicò che l'inquietudinedei dirigenti jugoslavi c aumenta quanto più, a torto o ragione, si delinea la possibilitàche anche l'Austria possa entrare decisamente nell'orbita della politica italiana, e sviluppandogli attuali fortunati inizi e dirimendo i profondi contrasti fra essa e l'Ungheria, venga a costituire una aggruppamento che segnerebbe davvero un rafforzamento della pace dell'Europacentrale insieme ad un solido impedimento a maggiori velleità jugoslave •·

Sempre sulla politica estera jugoslava si pubblica un passo del t. per corriere 869/697di Galli, Belgrado 4 aprile 1930 :

« La normalizzazione dei rapporti con la Grecia, come la volontà di chiarimento della situazione bulgara, nel pensiero di questi circoli di governo e di Corte, vengono quindicollocate nel quadro di una asserita unità balcanica. Tale idea ripetutamente agitata, se anche sia per ora ben lontana da qualsiasi pratica realizzazione, per le correnti internazionaliste da cui è sostenuta, e per l'appoggio che può trovare qui nel governo e nella Corte è entrata a far parte del bagaglio di aspirazioni e di tendenze delle quali si nutre l'idealismo politico jugoslavo, e merita perciò ogni attenzione».

c V. E. ricorda che nel 1928 io già feci capire al Signor Babcock che finchè il Conte Sforza o altri che assumessero atteggiamento analogo al suo, permanesse per l'Italia nel Comitato della Dotazione, non v'era possibilità di buone relazioni nostre colla Fondazione stessa. Si direbbe ora che il Signor Butler non escluderebbe qualche novità in materia •.

Cfr. anche il R. rr. 360/111. Washington 20 gennaio 1930, col quale De Martino riferiva su un tentativo fatto presso il dr. Murray Butler, presidente della Fondazione Carnegie, per allontanare il Conte Sforza dal Centro Europeo della Fondazione stessa.

buone relazioni, ed in tal senso V. E. potrà adoperarsi, col Suo consueto tatto, valendosi dell'occasione che Le è offerta.

V. E. potrà, presentandosene l'opportunità, fare intendere al Signor Babcock che l'Italia segue con interesse l'attività della Fondazione e l'opera svolta dal Signor Butler e dai suoi collaboratori, e che se venisse compresa l'inopportunità (e la sconvenienza) della permanenza nel Comitato redazionale del conte Sforza

o di altri antifascisti la Fondazione avrebbe la certezza di trovare l'appoggio dell'Italia e di avvalersi della collaborazione di eminenti personalità italiane.

(l) -Sull'atteggiamento delle autorità jugoslave nei confronti della legazione di Italia a Belgrado cfr. il t. per corriere 345/232 del 31 gennaio di Galli. Egli riteneva che quell'atteggiamento indicasse « uno spirito di decisa ostilità da parte delle autorità dirigenti, spiritoche non accenna a deflettere dalla sua linea programmatica. Nei miei ultimi colloqui ho tenuto linguaggio fermo e preciso, e se anche una volta vivace non mai disgiunto da cortesia, sempre auspicante tempi migliori quali il colloquio di V. E. con Jeftic lascia ancora sperare. Ciò al fine di non rendere brusca la situazione, ed in armonia con le istruzioni ed il pensiero (2) -Il documento reca questa data ma il numero di protocollo è quello del ministero. (3) -Allude evidentemente &l t. posta 685/379 col quale Manzoni riferiva su un colloquio avuto col dr. Earle B. Babcock, direttore aggiunto del Comitato del Centro Europeo della Fondazione Carnegie. Manzoni scriveva. fra l'altro:
359

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, CAPASSO TORRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 628/47. Monaco di Baviera, 10 febbraio 1930. Le ripercussioni della visita del Cancelliere austriaco a Roma non si sono fatte attendere in Baviera, com'era naturale, perchè -ho già avuto occasione di ricordarlo alla E. V. -questa opinione pubblica mostra di esser sempre sensibilissima alle variazioni della temperatura politica tra Roma e Vienna. Le ragioni storiche e tradizionali di questa • simpatia • tra Monaco e Vienna sono note e non occorre insistervi: altrettanto note sono le ragioni attuali e contingenti di essa, tra le quali l'unica che riguarda il nostro Paese è il comune atteggiamento di fronte ai fatti compiuti oltre il Brennero. Il mutato spirito della politica austriaca verso l'Italia -di cui le manifestazioni di Roma hanno dato la prova evidente -viene quindi diligentemente osservato e fortemente sottolineato a Monaco: esso conforta e incoraggia coloro che ammirano l'ordine fascista e sostengono una politica d'intesa con l'Italia, e -se irrita, da una parte, certo irredentismo sudtirolese grettamente nazionalista che magari ha qualche simpatia platonica per il Fascismo e, dall'altra parte, certo noto antifascismo costituzionale a fondo ebraico e socialdemocratico che non spasima davvero per i tedeschi della provincia di Bolzano e mostra magari le solite debolezze sentimentali e letterarie per il nostro Paese -va persuadendo tutti della necessità di aprire gli occhi su quelli che sono chiamati i successi della politica italiana a Vienna e sulla conseguente opportunità di rivedere e rettificare qualche posizione. Ho segnalato a V. E. l'articolo delle Munchener Neueste Nachrichten (mio telegramma n. 611/9 dell'8 corr.). Questo giornale che è allo stesso tempo il più diffuso e il più serio ed equilibrato della Baviera, mostra, meglio ancora degli altri, di aver compresa tutta l'importanza del riavvicinamento italo-austriaco agli effetti dell'orientamento della politica estera germanica. Esso sottolinea la frase del brindisi di Schober dove si parla della comune compenetrazione e fecondazione nei secoli dello spirito italiano e germanico e mette in luce il successo riportato dal Cancelliere austriaco alla conferenza dell'Aja, grazie alla generosità dell'Italia in contrapposizione all'intransigenza della Piccola Intesa, facendo notare che questo successo austriaco precede immediatamente il viaggio a Roma e la conclusione del trattato di amicizia firmato a Palazzo Venezia. È chiaro quello

che si sottintende: l'Austria è perduta definitivamente per le combinazioni danubiane di Benes, e, come l'Ungheria, già da tempo orientata verso Roma forma barr.iera tra gli slavi del nord e quelli del sud dell'ex impero absburgico. È uno scacco per la Piccola Intesa e per la sua grande patrona d'occidente: la Francia. A questo punto, il giornale si domanda : che fa la Germania? • La Germania -scrivono le Munchener Neueste Nachrichten-la cui politica estera, appunto di fronte all'Austria e agli altri paesi confinanti succeduti alla Monarchia degli Absburgo serba una stupefacente passività, non ha che da rallegrarsi dei successi dell'Austria, ma a Berlino si dovrà pure riflettere sulle possibilità future derivanti da questo accordo dell'Italia con uno Stato puramente tedesco. L'imminente visita del Cancelliere austriaco a Berlino offre un'occasione per nuove mete di cui purtroppo sinora non abbiamo scorto alcuna traccia nella nostra politica estera •·

Parole significative che mostrano un avvicinamento del pensiero dell'opinione pubblica media bavarese che ragiona politicamente al pensiero delle minoranze di destra e socialnazionaliste già decisamente orientate verso l'Italia, contro le deviazioni dottrinarie dell'antifascismo social-democratico e cattolico-popolare e le angustie mentali dell'irredentismo sudtirolese. Naturalmente l'organo di Hitler procede più spedito, e, dopo aver detto che i rapporti fra Roma, Vienna e Budapest accennano a una nuova costellazione europea, dice, senz'altro, che anche Berlino dovrà cercare la via di Roma perchè la Germania non ha che un solo alleato naturale come punto di partenza per la sua rinascita e questo alleato è l'Italia.

È certo che, se si vuole lavorare a dissipare i malintesi itala-germanici e

riannodare le molte fila spezzate dalla guerra, ma sopratutto se si vuole che

vengano sempre più messi in evidenza presso questa pubblica opinione i perma

nenti interessi dei due Paesi all'equilibrio presente e futuro dell'Europa e sempre

meno valorizzate le polemiche dei fuorusciti alto-atesini -vi è ancora e sempre

molto cammino da fare. Ma una buona parte della nostra azione dev'essere svolta

in Baviera.

Ora, a parte l'influenza che io posso esercitare personalmente a Monaco, vi

è, a mio giudizio, la necessità -e richiamo su ciò la particolare attenzione di

V. E. --di contrastare o modificare altre influenze straniere. La Legazione di Francia (la Repubblica ha qui una rappresentanza diplomatica) insieme con i Consolati Generali satelliti di Jugoslavia e di Cecoslovacchia e sino a ieri col Consolato Generale d'Austria (il signor Gtinther, promosso Ministro ad Atene, è partito in questi giorni) dirige qui un blocco compatto di forze che ha lavorato e lavora a scavare il solco tra il nostro Paese e il mondo tedesco. Tra il Ministro francese Conte d'Ormesson, che in vari anni si è conquistata a Monaco una notevole posizione politica e mondana, e il Consolato Generale d'Austria vi sono sempre stati in questi ultimi anni rapporti strettissimi ed io sono convinto che le due rappresentanze hanno qualcosa da vedere nelle campagne continuate di questi giornali pro • Sudtirol •. Uno scopo da raggiungere in questo momento sarebbe quello di evitare che il Governo di Vienna mandi in Baviera un duplicato del signor Gunther, mentre invece dovremmo augurarci un diplomatico che tenga conto della mutata situazione tra il suo e il nostro Paese e sappia sottrarsi fin da principio all'influenza della Legazione francese (1).

La Nunziatura, d'altra parte, non esercita sulla stampa cattolica quell'azione correttrice e moderatrice nei nostri confronti che essa potrebbe esercitare purchè volesse. Il Nunzio, Mons. Vassallo di Torregrossa sulla persona del quale richiamo

V. E. al rapporto riservatissimo del mio predecessore Comm. Summonte (1), è un popolare della più bell'acqua. Un discorso pieno di riserve da lui tenutomi sulle difficoltà dell'applicazione del Concordato tra l'Italia e la Santa Sede mi ha illuminato a sufficienza sul suo conto, e certi suoi accenni al dibattuto problema dell'educazione della gioventù italiana ricordano troppo da vicino gli insistenti ritorni del Bayerischer Kurier sull'argomento. Non sarebbe inopportuno che oggi, a conciliazione avvenuta tra l'Italia e la Santa Sede, la Segreteria di Stato facesse giungere al suo rappresentante in Baviera qualche necessaria istruzione.

Questo per l'azione diplomatica diretta e indiretta da esercitare. Accanto ad essa potrebbe portare buoni frutti una successione moderata, distanziata, ma sopratutto bene organizzata (non si dimentichi che Monaco è un centro di alta coltura) di conferenze su argomenti politici, economici, letterari ed artistici e qualche viaggio di pochi e particolarmente scelti giornalisti. Una riattivazione del commercio culturale tra Italia e Baviera, mentre sarebbe cosa gradita in questo Paese sempre avido di conoscenza, potrebbe avere buoni effetti politici. La recentissima conferenza di S. E. De Stefa:ni sui fondamenti e le realizzazioni dello Stato Fascista ce ne ha offerto una prima prova. L'ex Ministro delle Finanze, sebbene non abbia risparmiato acerbe critiche al liberalismo e al socialismo, ha parlato ascoltatissimo dinanzi a un folto pubblico in maggioranza dissidente, ma rispettoso, fra cui si contavano molti giovani studenti. Credo di poter dire che le sue parole hanno lasciato una certa traccia e credo di poter aggiungere che si dovrebbe continuare. Il Ministro di Francia che ho avuto il piacere di invitare a colazione all'indomani della firma del trattato itala-austriaco, mi ha chiesto in quell'occasione, difatti, con evidente interesse, se vi erano alle viste altre conferenze d'Italiani, scusandosi di non essere intervenuto intanto a quella di S. E. De Stefani (2).

(l) Grandi intervenne presso il Governo di Vienna e ottenne l'assicurazione che il nuovo console austriaco a Monaco di Baviera avrebbe tenuto un contegno in armonia con il riavvicinamento italo-austriaco.

360

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) RR. 1588. Roma, 12 febbraio 1930.

Per personale conoscenza dell'E. V. Le comunico il seguente telegramma circolare diretto in data 7 corrente alle RR. Prefetture dall'Ufficio Stampa di S. E. il Capo del Governo:

• Pregasi disporre perchè stampa moderi linguaggio confronti Jugoslavia specialmente col sospendere ogni polemica nei riguardi dei cittadini jugoslavi impiegati in Aziende del Regno •.

(l) -Questo rapporto, dell'll febbraio 1928, non è stato pubblicato. Palazzo Chigi aveva richiamato l'attenzione della Santa Sede sul contegno del nunzio a Monaco. (2) -Con precedente R. 97/9 dell'8 gennaio Capasso Torre aveva riferito che la stampabavarese • negli ultimi tempi, forse a contrappeso del più moderato linguaggio della stampa austriaca dopo l'avvento a Vienna del nuovo Governo di Schober, mostra una più acuita sensibilità in tutto quanto concerne o si riferisce agli allogeni dell'Alto Adige •·
361

L'ADDETTO AL GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, JACOMONI, ALL'ONOREVOLE DELCROIX

N. 471. Roma, 12 febbraio 1930.

Ho il pregio di trasmetterLe qui accluso in copia un telegramma a Lei diretto da S. E. il Ministro, testè pervenuto da Londra.

ALLEGATO.

GRANDI A DELCROIX

Ho letto sul Corriere della Sera tuo magnifico articolo (1). Tu hai visto chiaro e giusto non solamente intricata situazione generale Conferenza ma hai bensì interpretato esattamente nostra necessità. Ti abbraccio affettuosameute.

362

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. [Londra], 13 febbraio 1930 (2).

Da sabato ad oggi, la situazione è rimasta immutata. Martedì, come Ti annunciai nella mia di sabato u. s. (3), ha avuto luogo la

• commedia • dei sottomarini. Questa commedia non avrà seguito, se non per la limitatissima parte, sulla quale tutti sono più o meno d'accordo. È cioè l'antica proposta Root, opportunamente modificata, e cioè ridotta a proporzioni ancora più modeste e innocue di quella approvata a Washington, che si fa oggi rivivere solo per !imitarne ancora la portata.

D'accordo con Sirianni, e colla collaborazione dell'Ammiraglio Acton e del Capo di S. M. Burzagli (4), abbiamo preparato e fatto martedì, sul problema dei sottomarini, le dichiarazioni (5) che Tu hai veduto, e che, spero, non Ti saranno dispiaciute.

Domenica scorsa Stimson mi aveva pregato di parlare per primo sull'argomento dei sottomarini, in senso naturalmente favorevole alla loro completa abolizione. Io ho cortesemente rifiutato, facendo presente che anche su questo particolare argomento l'Italia aveva una tesi sua propria, che non coincide nè colla tesi anglo-americana nè con quella franco-giapponese. Stimson non ha gradito la mia risposta, ma pur riconoscendo le simpatie generiche che la Delegazione americana ha manifestato sino ad oggi verso la nostra Delegazione, io non sono affatto disposto a fare il compare degli Americani. ·

La nostra tesi sui sottomarini è conseguenziale alle nostre premesse sul problema generale del disarmo navale. Afferma l'utilità dell'arma sottomarina per

l'Italia, ne riconosce il carattere d'arma difensiva contro le grandi marine, non si sottrae alla discussione sull'abolizione di questa arma, ma pone due precise condizioni: l) la generalità dell'accordo; 2) la contemporanea abolizione del grosso naviglio e la contemporanea riduzione del naviglio leggero di superficie.

L'Italia fascista ha cosi profittato ancora di questa occasione per indicare alla Conferenza la sua strada e mettere la sincerità degli altri alla prova. Naturalmente tutti hanno arricciato il naso, perchè tutti sono stati più o meno toccati. L'abolizione del grosso naviglio non piace agli Americani (i quali, come hai visto, pensano addirittura ad un nuovo tipo di grossa corazzata destinata a capovolgere l'equilibrio dei tipi attuali). La riduzione del naviglio leggero non piace ai Francesi. Gli Inglesi, da parte loro, sono stati delusi perchè speravano di avere noi con loro al 100 %.

Mi pare, quindi, che anche stavolta le cose siano andate bene. È altro materiale immagazzinato per il momento difficile che dovremo presumibilmente affrontare, verso la fine della Conferenza.

La settimana si è aperta colle seguenti caratteristiche. Irrigidimento del Giappone di fronte all'America. Irrigidimento della Francia di fronte all'Inghilterra. Questi particolari atteggiamenti giapponese e francese vengono ad aggiungersi al nostro precedente, e cioè l'irrigidimento dell'Italia di fronte alla Francia.

Previsioni? È difficile farne. Si prevede oggi o domani (se all'ultimo momento non mutano avviso) un memorandum giapponese ed un altro francese (1). La Conferenza attende anche un memorandum della Delegazione italiana. Questa attesa andrà, per ora, delusa (2).

A noi conviene tacere ed aspettare. MacDonald, l'altro giorno, ha nuovamente insistito con me perchè la Delegazione italiana indichi le • sue • cifre, salvo poi mutarle, rettificarle, ecc. tanto per avere una base qualsiasi di discussione. Gli ho risposto il solito ritornello • L'Italia non fa cifre. Attende quelLe francesi. Le cifre italiane sono quelle che saranno avanzate daLla Francia •.

La Delegazione francese dopo aver constatato il fallimento della sua tattica iniziale, sui risultati della quale si era un po' troppo illusa, ha preso una linea decisa. Marianna, visto che ormai non gliela faceva più a nascondersi, si è decisa a gettare la maschera del suo finto pacifismo massonico e briandista, ed ha accettato la battaglia. Questo è già un risultato per noi, l'essere riusciti a smascherare Marianna.

Naturalmente, accettando la battaglia, ha dovuto porre all'Inghilterra il problema negli stessi termini indicati dall'Italia alla Francia, proporzione, cifre, liveni massimi. Non aveva altra strada.

Cosa succederà? I casi sono due, come sempre. Se la Conferenza si spezza sull'intransigenza francese, o giapponese, tanto di guadagnato per noi. Ma io ho forti dubbi per pensare il contrario.

MacDonald ed il Governo laburista ondeggiano fra l'America e la Francia. Chamberlain ed i conservatori avevano legato troppo le sorti della politica inglese al carro di Parigi, e questa è una delle ragioni non ultime della loro caduta.

L'Inghilterra è, nel fondo, contro la Francia. La reazione laburista ha portate. all'accordo coll'America, ed al rallentamento dell'entente franco-inglese. Ma l'accordo coll'America è stato un'altra grossa umiliazione per la Gran Bretagna, che non ha gradito affatto di vedere il suo Premier col cappello in mano alla Casa Bianca.

Realizzato l'accordo coll'America sulla più o meno parità navale, MacDonald si volgerà nuovamente alla Francia. Il problema continentale non è per la Gran Bretagna meno importante o meno urgente del problema imperiale.

La Francia è il Paese più ricco, più armato, più temibile che vi sia oggi in Europa. Lo Statuto navale francese non è meno temibile per la tranquillità inglese di quello che non lo sia l'effettiva paura d'un'America più potente sul mare.

La Francia attende MacDonald al varco. Ha messo in linea tutte le sue navi, anche quelle da museo, anche quelle attualmente sugli scogli, ha messo parimenti in linea tutte le nuove navi che si prepara a costruire.

Fra le navi vecchie da buttar via e le navi tuttora sulla carta. la Francia ha zavorra da buttare, per soddisfare, ad un certo punto e le sue necessità e le esigenze della sicurezza britannica. Senza la Francia, un accordo generale sul disarmo non rappresenta per la Gran Bretagna la risoluzione del suo problema.

La Francia lo sa. MacDonald tornerà a Tardieu, così io credo. Ora, la prima cosa che la Francia domanderà all'Inghilterra come corrispettivo di qualche sacrificio, è che le sia risparmiata l'umiliazione (!?) della parità coll'Italia. L'Inghilterra prima, I'America e il Giappone dopo, troveranno che il vantaggio di portare dentro la Francia vale bene il relativo svantaggio di mettere fuori l'Italia. Ecco perchè, Presidente, ad un certo momento, e precisamente verso la fine, noi avremo presumibilmente (ammesso che la Conferenza riesca nel frattempo a qualche risultato concreto) contro di noi tutti quanti. Mi spaventa questo? No.

Ma è precisamente per tale eventualità che io preparo il terreno della battaglia. Per difenderci dall'accusa di siluramento della Conferenza, noi dovremo a nostra volta accusare, ed accusare tutti. La nostra fedeltà al principio della • riduzione •, dimostrata durante la Conferenza, sarà la nostra arma per dimostrare la mala fede degli altri.

Io sono convinto (e credo di interpretare il Tuo ordine) che anche a costo di affrontare un passeggero momento di disagio internazionale (che, di fatto, non vi sarei) noi dobbiamo rifiutarci a qualsiasi accordo che ponga l'Italia in una condizione di diminuito prestigio di fronte alla Francia, e la nostra Marina in una condizione di inferiorità non solo numerica, ma altresì di potenzialità bellica rispetto a quella francese.

Dopodichè Tu, nostro Duce, tirerai le conseguenze, all'indomani della fine della Conferenza. La logica di tutte le Conferenze pel disarmo è una sola per i popoli che non intendono accettare le supremazie degli altri: armarsi. Tu hai detto una volta che,

soprattutto in tempo di pace, la gerarchia fra le Nazioni è indicata dalla potenza delle Marine. In qualsiasi caso la Conferenza di Londra avrà per noi questi tre risultati: l) l'aver smascherato la Francia; 2) l'aver fatto della buona propaganda per il Fascismo all'Estero;

3) aver dato alla Nazione italiana, il senso, oserei dire • plastico • ed immediato della necessità di nuovi sacrijìzi per completare i nostri armamenti navali, terrestri, aerei.

Perdona, Presidente, questa specie di monologo. Palazzo Venezia è troppo lontano di qui. E mi pare, in questo modo, di abbreviare questa distanza, che è l'unica preoccupazione del mio spirito.

(l) -Cfr. «Un punto fermo», art. di fondo del 29 gennaio. (2) -Il documento reca la data, evidentemente erronea, • giovedì 14 febbraio ». (3) -Cfr. n. 355. (4) -L'ammiraglio Burzagli a Londra redasse 7 relazioni sulla situazione dei lavori della conferenza, in data 10, 18, 20 febbraio, 4, 18 marzo, 3, 12 aprile 1930. Queste relazioni furono fatte per informazione del Sotto-Capo di Stato Maggiore della Marina, E. Valli, del Sottosegretario alla Marina e di Badoglio (USM, cart. 3177/3; altra copia ibid., cart. 3174/19-25). (5) -Testo delle dichiarazioni, fatte 1'11 febbraio in D. GRANDI, op. cit., pp. 139-143. (l) -Testo del documento giapponese in Documents of the London Navat Conference, 1930, cit., pp. 533-534; testo del documento francese, ibid., pp. 515-522. (2) -Lo stesso giorno 13 febbraio ebbe luogo una conversazione tra Craigie e Massigli nel corso della quale fu anche affrontato il problema dell'atteggiamento italiano (cfr. DB, Serie IL vol. I, n. 144, pp. 209-211).
363

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL PRIMO MINISTRO FRANCESE, TARDIEU

Londra, 13 febbraio 1930.

Tardieu comincia col dirmi che gli era dispiaciuto non avermi potuto vedere venerdì scorso, prima della sua ultima partenza per Parigi. È venuto per portarmi personalmente il memomndum francese, già consegnato all'Inghilterra (1). Dichiara che egli desidera tuttavia aggiungere, con sincerità e franchezza, alcune considerazioni relative alla particolare situazione italo-francese nella conferenza.

Gli ho risposto che lo ascolterò con attenzione. TARDIEU -Mussolini è troppo realista e troppo intelligente per non comprendere che la questione della parità itala-francese è uno scoglio insuperabile per noi francesi. Mussolini sa benissimo che i nostri bisogni sono maggiori dei vostri. Noi abbiamo il Mare del Nord da difendere. Il vostro è esclusivamente un problema mediterraneo. Ebbene noi vi diamo la parità neL Mediterraneo. Il coefficiente di maggiore potenza della flotta francese rispetto alla flotta italiana sarà rappresentato dai nostri bisogni nel Mare del Nord. GRANDI -Constato che voi, Signor Tardieu, pur essendo indubbiamente un uomo simpatico e intelligente, non avete evidentemente molta immaginazione. È il solito • disco ' di venti giorni fa. Anche il mio • disco • non è cambiato. Vorrei che il mio Paese avesse oltre il Mediterraneo, anche il Mare del Nord da difendere. Due mari significano la libertà. Molto meglio per un Paese avere due mari da difendere che l'essere prigionieri in un mare solo. Ma voglio ammettere per un momento che il problema del Mare del Nord rappresenti per la Francia un problema che l'Italia non ha. Dovete ammettere conseguentemente che il problema Mediterraneo costituisce per l'Italia un problema di proporzioni almeno doppie del problema mediterraneo francese. Ebbene noi vi concediamo un coefficiente di maggiorazione pel Mare del Nord, e voi ci date un pari coefficiente di maggiorazione per i nostri bisogni mediterranei. La somma è ancora la paTità. Ma perchè insistere sulla discussioni dei bisogni? La conferenza è politica, e nulla più. A Londra si decide la gerarchia delle Nazioni. Come potete, voi Francesi, pretendere di toglierei un rango che la Conferenza di Washington ci ha riconosciuto, che voì stessi avete accettato, otto anni fa? TARDIEU-Ma perchè dobbiamo fare, Francesi e Italiani, colle nostre discussioni, il vantaggio degli anglo-sassoni?

GRANDI-È quello che domando a voi. È quello che Mussolini vi ha domandato sostanzialmente nella sua nota di metà dicembre (1). Noi, offrendovi la parità sulle cifre da voi fissate, abbiamo inteso di offrirvi una transazione a voi vantaggiosa, perchè vi attribuisce, indipendentemente da noi, il diritto di indicare le cifre che voi giudicate necessarie ai vostri bisogni. Perchè non avete accettato la nostra proposta che copriva tutte le vostre necessità? Perchè non l'accettate ora?

TARDIEU-Disgraziatamente questa cosa l'hanno trattata degli Ambasciatori. Quando trattano gli Ambasciatori i Governi non s'intendono mai...

GRANDI -In questo momento parlate come parla Briand...

TARDlEU -Riflettete ancora sulla mia proposta di parit3. mediterranea. Datemi una risposta mercoledì prossimo, al mio ritorno.

GRANDI -Ve la dò subito. Non possumus. Andiamo viceversa al pratico. Cosa farete voi quando la Delegazione italiana indicherà, in piena conferenza plenaria, le vostre stesse cifre? Cosa direte voi, signor Tardieu?

TARDIEU -Non dobbiamo arrivare a questo punto... GRANDI -Cosa direte voi quando io vi domanderò di indicare quale differenza passa fra la situazione del 1922 e la situazione del 1930?

E vi domanderò altresì se per avventura l'unica differenza non sia il Trattato di Locarno con cui la Francia ha risolto il problema della sua sicurezza, e per cui l'Italia ha impegnato, senza corrispettivo di sorta, il proprio onore per difendere sul Reno, contro un'eventuale aggressione germanica, la sicurezza francese?

TARDIEU -Ebbene, ecco La mia risposta, che però non posso dire alla Confe1·enza, ma che dico però a voi. La differenza fra H 1922 ed oggi è questa. Che adesso in Francia c'è Tardieu.

GRANDI -Permettetemi di dirvi una cosa non cortese, ma vera. Fra la Francia di Briand del 1922 e la Francia di Tardieu del 1930 c'è quaLche cosa di diverso. Fra l'Italia di Sforza e di Schanzer del 1922 e l'Italia di Mussolini del 1930 c'è l'abisso. La differenza è ancora a nostro vantaggio.

TARDIEU -Ma allora non c'è via d'uscita...

GRANDI -Sentite. Quando sono partito per Londra io non mi proponevo che un unico risultato da raggiungere, al di sopra di tutte le conferenze navali del mondo. Il mio Capo desidera sinceramente, e voi lo sapete bene, un'entente italo-francese. Io mi sono illuso che voi, Tardieu, potevate essere l'uomo nuovo

che potevate dare questo alla Francia. Venti giorni fa, quando mi avete detto che la Massoneria non vi fa paura, io vi ho risposto sorridendo • Badate di non sbagliarvi •.

TARDIEU -Lasciate stare la massoneria. Però è vero che per un'entente itala-francese la situazione non è ancora matura. È ancora troppo presto. Se io vi dò a Londra la • parità » non faccio neppure in tempo ad arrivare a Parigi, che la Camera mi butta giù. Questa è la situazione.

GRANDI-La massoneria.

TARDIEU -Allora, arrivederci mercoledì.

GRANDI -Arrivederci mercoledì.

(l) Cfr. p. 411, nota l

(l) Cfr. n. 261.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 14 febbraio 1930.

Ieri sera Tardieu ha domandato di vedermi, ed è venuto a portarmi personalmente il memorandum confidenziale francese. Nel pomeriggio era giunto il memorandum giapponese.

Ti accludo il testo dell'uno e dell'altro memorandum insieme ai precedenti inglese ed americano (1). Nella serata stessa la Delegazione francese ha fatto per la stampa un riassunto del memorandum confidenziale. In questo riassunto vi sono delle aggiunte e delle modificazioni apportate al testo ufficiale e confidenziale. Questa circostanza dovrà essere chiarita.

Ti unisco il promemoria sul mio colloquio di ieri sera con Tardieu (2). Ritengo opportuno riassumere, nell'occasione, il succo delle varie conversazioni avute dall'inizio della Conferenza sia con Tardieu sia con Briand.

I miei rapporti con Tardieu sono stati molto cordiali nella prima decina di giorni, e cioè fino al 27 gennaio (giorno del nostro primo scontro a Downing Street alla riunione a cinque).

In questo primo periodo Tardieu marcava una gentilezza, forse anche eccessiva, nei miei riguardi personali.

Dopo ..... lo scontro iniziale, i nostri rapporti si sono mantenuti cortesi, corretti.

Fino a ieri Tardieu è stato sempre il più generico possibile nelle sue conversazioni, non distanziandosi in ciò di molto dalla tattica seguita da Briand. Nel colloquio di ieri Tardieu è stato più preciso.

La lettura dei memorandum francese e giapponese mi fa pensare che forse sarà utile, nella prossima settimana, precisare noi pure il nostro atteggiamento. E cioè, confermare con poche righe le nostre dichiarazioni precedenti, aggiungendo presso a poco così : « ••• poichè la potenza continentale più armata che partecipa in questo momento alla Conferenza di Londra ha indicato la cifra globale di 724.000 tonnellate, l'Italia indica come cifre del proprio tonnellaggio globale 724.000 tonn. •.

E niente più.

(l) -Per il testo del memorandum inglese cfr. DB, Serie II, vol. I, n. 142, pp. 205-209, per quello americano, del 4 febbraio, cfr. FRUS, 1930, vol. I, pp. 13-17. (2) -Cfr. n. 363.
365

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P. R.) 1655/32. Belgrado, 14 febbraio 1930, ore 21 (per. ore 23,50).

Telegramma per corriere n. 1415 (p. r.) (1). Parlato con Jeftic che mi ha rinnovato assicurazioni volute. Ma epoca in oggetto non può essere rinviata senza mancare impegni e correre rischio che indico con telespresso che prego ricercare in corriere che giungerà costà lunedl (2).

366

APPUNTO DEL SEGRETARIO GENERALE DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO, GIANNINI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 14 febbraio 1930.

Ho comunicato oggi al Prof. Buonaiuti che, in omaggio all'art. 29 lettera i del concordato, deve smettere da domani l'abito talare. Gli ho fatto presente che trattandosi di una legge dello Stato, non gli restava che ubbidire, senza appigliarsi a questioni di procedura, come egli accennava a fare, adducendo che non aveva mai avuto comunicazioni della decisione presa a suo carico che risale al 1928 e doveva esser rinnovata, ecc. Ha dichiarato che ubbidirà. Mi ha chiesto se poteva tenere domenica prossima una conferenza in abito talare. Gli ho risposto che la comunicazione doveva considerarsi come fatta con effetto immediato, e quindi non passibile di differimenti.

Mi ha chiesto se c'erano anche novità circa il suo insegnamento e se il Governo crede restituirlo all'insegnamento. Gli ho risposto che non avevo alcuna informazione nè istruzione in proposito, e ne avrei riferito a V. E.

Il Prof. Buonaiuti ha ringraziato per il modo col quale gli si è fatta la

comunicazione (3).

367

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, CAPASSO TORRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 705/59. Monaco, 14 febbraio 1930.

Ho ritenuto opportuno avvicinare il Signor Adolfo Hitler ed avere con lui un colloquio. L'incontro organizzato con la massima discrezione si è svolto nella maniera più riservata, presenti il R. Vice Console Cav. Guerrini Maraldi e il Dr. Hess, segretario particolare di Hitler.

Il capo dei Social-nazionalisti ha mostrato di gradire in modo particolare, che il rappresentante d'Italia in Baviera gli abbia offerto occasione d'incontrarlo ed ho avuto impressione che egli abbia voluto profittarne per aprire completamente l'animo suo ed esprimere in tutta sincerità il suo pensiero sia per quanto riguarda la politica interna tedesca, sia per quanto riguarda il noto suo punto di vista per un'intesa amichevole (freundschaftliche Zusammenkunft) tra l'Italia e la Germania.

Riassumo l'interessante conversazione che ha toccato vari argomenti e problemi di attualità politica.

Il Capo delle « camicie brune », prendendo le mosse dai recenti movimenti comunisti nelle varie città della Germania asserisce che scopo precipuo del partito comunista è quello di fiaccare, creando malcontento nella Polizia e nella Reichswehr troppo spesso esposti nelle piazze, il Governo attuale. A lungo andare l'impiego continuo della Polizia e dell'Esercito a tale scopo non può che compromettere il Governo stesso di fronte alle masse le quali finiscono con lo stancarsi del bastone poliziesco e delle misure coercitive. • Se io fossi al potere, dice Hitler, non vorrei difendermi con la Polizia o con l'Esercito, ma solamente a mezzo dell'organizzazione del mio partito, allo stesso modo che il Fascismo si difende colla sua milizia. Questo stato di inquietudine che domina tuttora le masse in Germania, è per noi nazionalsocialisti terreno fertilissimo per un sempre maggiore sviluppo del nostro partito, il quale, per essere troppo giovane, ha ancora bisogno di anni per raggiungere le sue mete, e cioè riuscir a procurare pane e terra a 62 milioni di uomini e per ricuperare la libertà politica da troppo tempo perduta. Terra noi potremo trovarla ai nostri confini orientali, dove esistono tuttora estesi terreni scarsamente popolati e adatti come colonie di popolamento; il pane potremo procurarcelo solo rintuzzando con ogni mezzo la sempre crescente egemonia francese in Europa. Se avessi avuto nel 1920 soltanto 20 mila uomini organizzati, mi sarebbe stato facilissimo andare al potere. Ma allora il mio partito contava soltanto 64 aderenti. Fui dal 1914 al 1918 sotto le armi e la mia attività di partito cominciò appena nel 1919, allorchè Mussolini alla testa del movimento Fascista aveva potuto già coprire gran parte della strada da percorrere (sic!). E mentre in Italia il caos politico favoriva il movimento fascista, in Germania invece i partiti rivoluzionari del '18 si andavano consolidando prendendo possesso delle più alte cariche statali e di tutti gli uffici. Di conseguenza il mio partito si trova oggi esattamente allo stesso punto in cui trovavasi il Fascismo nel 1919 e 1920. Verrà il giorno, dice Hitler, in tono energico e risoluto, che il nazionalsocialismo vincerà, anche se questo giorno potrà farsi aspettare ancora per vari anni •.

Ad una domanda riflettente l'impressione mia personale che il popolo tedesco in fatto di politica estera, anzichè avere un punto unico di veduta, tende a perseguire varie politiche estere locali a seconda dei vari principali Stati che formano la federazione del Reich, Hitler dice che in ciò vi è del vero, per le note ragioni dell'autonomismo tradizionale dei Lander, ma che il suo partito non riconosceva 1 confini degli Stati germanici e che la sua politica estera è essenzialmente unitaria dal Baltico alle Alpi bavaresi e dal Reno alla Prussia Orientale. A prova di questa sua affermazione dichiara di aver suddiviso l'organizzazione del suo partito in 25 distretti (Gau) prescindendo da qualsiasi limitazione tra Stato e Stato. I suoi fedeli sono ormai convinti non essere possibile che in Baviera, per esempio, si persegua una politica differente da quella della Prussia o del Baden. Nella Turingia, roccaforte del nazionalsocialismo che vi ha conquistato il potere, è stata tassativamente vietata ogni forma di campanilismo, a vantaggio di un'unica grande politica tedesca.

Meta della sua politica estera è quella di raggiungere un'intesa amichevole coll'Inghilterra, intesa che, ragionando a fil di logica, deve condurre -egli dice -anche ad un accordo politico coll'Italia la quale travasi in una posizione analoga a quella della Germania.

Hitler, a questo punto, allo scopo di spiegare le ragioni della sua simpatia per l'Italia, simpatia che asserisce non avere moventi sentimentali ma bensì basi politiche ben fondate, premette che fin dalla sua prima gioventù egli è stato nazionalista. Nato suddito austriaco, egli ha sempre combattuto la monarchia absburgica da lui sempre ritenuta un anacronismo storico. Fin da allora egli ha lavorato per la disgregazione della duplice Monarchia coll'intendimento di far trionfare il principio nazionale ed ottenere l'annessione dell'Austria tedesca alla Germania ed -aggiunge -delle provincie italiane all'Italia. Conseguentemente egli entrò nell'esercito tedesco, poichè non intendeva combattere nell'esercito dell'Impero austro-ungarico, per colpa del quale la Germania è stata travolta in guerra. Egli fin dal 1920 ha sempre sostenuto che l'Italia e la Germania hanno interessi comuni. Allora l'Italia era guidata da Governi democratici e liberali che col loro parlamentarismo costituivano l'antitesi assoluta di oglni principio di autorità gerarchica e di responsabilità personale. L'avvento al potere del Fascismo nel 1922 è stato da lui salutato con giubilo, poichè Fascismo e Nazionalsocialismo riposano sugli stessi principi e hanno gli stessi punti di contatto ed ambedue respingono il liberalismo e le forze democratiche occidentali che non servono ad altro che a trasformare le nazioni d'Europa, guidate dalla egemonia francese, in un guazzabuglio paneuropeo di popoli sul quale dovrebbe regnare sovrano il capitalismo massonico. Sebbene abbia riconosciuto fino dal 1920 questa comunanza di interessi tra Italia e Germania, egli è stato tacciato, dopo l'avvento del Fascismo, di avere assunto questa posizione a favore dell'Italia unicamente per simpatie politiche di partito. Oltre che per quanto precede le sue simpatie si orier..tano verso l'Italia per la profonda stima che egli nutre a favore della cultura italiana. Egli contesta la pretesa odierna della Francia di voler essere la nazione da cui si irradia la moderna civiltà. La cultura francese di un tempo non è più oggi al livello della moderna civiltà perchè intaccata in maniera troppo palese da influenze malsane e dai contatti delle sue colonie africane (!). L'Italia invece ha mantenuto intatta la sua posizione culturale che oggi è indubbiamente superiore a quella francese. La propaganda, che in certi circoli politici in prevalenza di carattere socialdemocratico, viene svolta contro l'Italia soprattutto nei riguardi del Slidtirol, è tendenziosa e disonesta, poichè si sa benissimo che una annessione del Slidtirol alla Germania è assolutamente impossibile. Tale inconsulta propaganda a nulla serve se non a risvegliare false idee di nazionalità che dovrebbero invece essere in prima linea dirette contro la Francia, contro la Polona e contro il piano Young. Tale propaganda è una solenne menzogna cui non corrispondono i veri interessi del popolo tedesco.

Per quanto concerne l'attuale situazione politica tedesco-italiana Hitler ravvisa molti punti di contatto nella necessità di liberarsi dalla politica di accerchiamento tentata dalla Francia nell'est e nel sudest dell'Europa per danneggiare così la Germania come l'Italia. La sfera d'azione degli interessi tedeschi risiede nelle terre dell'Est germanico, quella dell'Italia invece, unicamente nel Mediterraneo, onde non è possibile intravedere futuri attriti tra i nostri due Paesi. Secondo il suo punto di vista, l'Italia avrebbe commesso nel 1919 un errore opponendosi all'Anschluss dell'Austria alla Germania. Se ciò fosse allora avvenuto la questione del Sudtirol sarebbe stata di minimo interesse per l'Austria la quale invece avrebbe dovuto insieme colla Germania portare tutta la sua attenzione ad altre questioni ben più importanti per il popolo tedesco, come ad esempio quella delle minoranze tedesche che soffrono sotto il giogo della Polonia, della Francia e della Cecoslovacchia. La piccola Austria di oggi, invece, è travagliata da una sola questione di politica estera: quella del Sudtirol, sulla quale i soliti politicanti di corte vedute hanno saputo attrarre l'attenzione anche della Germania. Io stesso, egli dice, sono stato accusato di tradimento dai miei connazionali e portato in tribunale sotto l'accusa di aver accettato denaro per tacitare la questione del Stidtirol, abbandonando i miei confratelli al duro giogo straniero. Ho sempre ritenuto invece e ritengo tuttora, più convinto di prima, che la questione dell'Alto Adige non è per noi nè una premessa nè una condizione per un riavvicinamento tra Italia e la Germania. La questione altoatesina è puramente e semplicemente una questione interna italiana. Se si addivenisse ad una intesa tra di noi essa verrebbe a perdere ogni sua importanza e cederebbe il suo posto nell'opinione del nostro popolo a ben più importanti problemi che non sia quello di avere o non avere sulla piazza di Bolzano il monumento a Walter von Vogelweide o a qualche altro illustre personaggio. Solo allora, nell'ambito di un'ami

chevole intesa, potrebbe il Governo di Roma addivenire ad un regime più mite in

quelle provincie. Pur non nascondendo, come nazionalista tedesco, il mio dolore

per il fatto che i miei confratelli nel Stidtirol siano dal Fascismo duramente pro

vati, devo però dire che se fossi stato al posto di Mussolini avrei fatto esattamente

lo stesso dopo gli attacchi sferrati contro di lui dalla stampa tedesca.

È mia convinzione ed anche mio fervido desiderio che nel caso di un ami

chevole ri:lvvicinamento dei due Paesi, il Stidtirol non potrebbe essere che il

pont~ che congiunge l'Italia e la Germania. Se dovessi dare oggi un consiglio

agli ~ltoatesini direi: • Fate il possibile per diventare i migliori cittadini dello

Stato Italiano al fine di prepararvi al futuro compito della vostra patria •. Tale

mia convinzione, ripeto, non deriva da idee romantiche e sentimentali, ma dal

_t;rofondo convincimento di una necessità politica, basata su vitali interessi dei

due Paesi. Pochi anni fa la questione di un'eventuale intesa coll'Italia non era

tema da potersi discutere in pubblico, mentre oggi per il mio partito è diventata

cosa naturale (Selbstverstandlichkeit) che tutti riconoscono con convinzione e

senza discutere. Non solo, ma tale punto di vista è oggi anche condiviso dal Par

tito Tedesco Nazionale e dallo Stahlhelm. Anche nelle Heimwehren austriache tale

orientamento politico nei rispetti dell'Italia comincia a farsi strada. In un non

lontano avvenire r;ono pure convinto che una stretta unione tra l'Italia e la Ger

mania attirerebbe l'Inghilterra, la quale sarà disposta ad avvicinarsi solo ad un

potente e compatto gruppo di forze. L'Inghilterra, che per la sua posizione insulare

è costretta ad una politica di equilibrio, potrebbe in tal caso unirsi all'Italia ed alla Germania ed abbandonare la Francia con la quale essa ha troppi interessi in contrasto e la cui egemonia europea è altrettanto • indesiderabile • a lei come ai nostri Pctesi.

Alla flne del colloquio, avendo io detto al signor Hitler di aver notato con compiacimento un suo articolo a favore dell'Italia apparso nel ViHkischer Beobachter concernente le richieste italiane nei confronti della Francia alla Conferenza navale di Londra egli mi ha dichiarato: il principio della parità navale richiesto dall'Italia alla Francia è profondamente condiviso dal partito nazionalsocialista. Tale principio riposa sulle necessità vitali dell'Italia stessa, che per la sua speciale posizione geografica avrebbe avuto il diritto di chiedere una flotta anche superiore a quella francese. • Per l'Italia, concluse Hitler, una potente flotta costituisce una necessità di vita; per la Francia invece una flotta preponderante nel Mediterraneo è il mezzo di assicurarsi le vie marittime per trasportare in Europa, in caso di guerra, dai suoi serbatoi coloniali il materiale umano necessario, che la Francia stessa, in via di continuo spopolamento, non riuscirebbe a trovare a sufficienza nel suo territorio. La Francia è la nemica naturale dell'Italia alla quale essa non consentirà mai di acquistare una posizione indipendente e di pari rango. Alla stessa guisa con cui la Francia ha combattuto la posizione di grande potenza della Germania, essa intende oggi di combattere quella dell'Italia • (1).

(l) -Cfr. n. 354. (2) -Cfr. n. 368. (3) -Annotazione marginale: • Comunicarlo al Nunzio •.
368

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 764/354. Belgrado, 14-15 febbraio 1930.

A telegramma per corriere n. 1415 del 7 corrente (2).

Ho visto stamane Jeftic. Premesso che in massima il richiamo Visconti era deciso come dettogli a suo tempo ed era anche designato suo successore, ho aggiunto che prima fare comunicazione ufficiale in proposito mi occorreva conoscere quali assicurazioni formali e precise poteva rinnovarmi circa la nessuna pubblicità scandalistica che sarebbe potuta venire intorno a tale caso. Ciò perchè il caso determinato dagli arresti di russi sospetti di relazioni con la Legazione aveva vivamente impressionato.

Gli ho anche fatto cauto cenno della possibilità di una sua assicurazione scritta.

Jeftic mi ha ripetuto che niente era da temersi. Il processo contro i russi sarebbe tenuto a porte chiuse, ogni propalazione sarebbe evitata, ogni tentativo di pubblicità troncato. Ciò egli poteva assicurarmi, perchè non voleva che tale questione turbasse i rapporti dei due Paesi. Suggeritogli che forse il processo potrebbe essere rinviato di alcuni mesi sicchè quando fosse tenuto nessuno ricor

derebbe più i fatti, mi ha risposto che non poteva dirmi nulla di preciso subito,

ma vedrebbe oggi stesso il Presidente del Tribunale per la difesa dello Stato, mi

darebbe una risposta domani. Sulla assicurazione scritta si è schivato, lamentan

dosi che a Rakic, venuto al Ministero, sarebbe stato tenuto parola della question{)

Visconti. Rakic all'oscuro di tutto aveva telegrafato qui ed egli era ora imbaraz

zato sulla risposta da dare. Mi ha perciò chiarito nuovamente che il passo che

egli aveva fatto nel Dicembre con me (l) era strettamente personale e confiden

ziale. Nessuno al Ministero lo conosceva all'infuori del Ministro stesso (e ciò è

:nuova prova che è il Re stesso che lo ha provocato). Con ciò Jeftic aveva voluto

che nessun incartamento del Ministero degli Esteri si riferisse al Colonnello Vi

sconti, che la sua persona e il suo nome non fossero nemmeno fatti, per dare alla

cosa ogni carattere amichevole, e p{)rchè apparisse che il richiamo di Visconti era

piuttosto una nostra decisione che non una richiesta Jugoslava. Ad una richiesta

di richiamo ufficiale egli sarebbe stato forzato solo se avessimo rifiutato di acce

dere alla sua domanda confidenziale. Ma fin che le cose restavano nel carattere

che aveva voluto dargli non si trattava di un incidente fra i due governi e la

posizione morale del Colonnello Visconti non era toccata. Egli era, sono parole

di Jeftic, distinto ufficiale, che forse era stato tratto in inganno, che aveva com

messo involontariamente un errore. Con la sua partenza tutto sarebbe stato

liquidato.

Naturalmente ho negato ogni possibile errore e compromissione del Colon

nello, ma ho ripetuto che siccome V. E. desiderava che la persona dell'Addetto

Militare fosse persona gradita, e si dava la fortunata coincidenza del termine del

sessennio, limite massimo di permanenza degli Addetti Militari, era stata fatta

la nota proposta transazionale che lo aveva soddisfatto. E non ho insistito per

una assicurazione scritta. Tornerò domani da Jeftic per sapere quale risposta

sia stata data sulla possibilità di rinviare di vari mesi il processo dei russi arre

stati per spionaggio (Jeftic mi ha assicurato che nessuno è stato finora rilasciato

come invece era stato prima riferito ed al Colonnello Visconti e a me).

Ora V. E. voglia permettermi di esaminare con ogni franchezza il telegramma per corriere cui mi riferisco ed i punti nuovi che {)SSO contiene in confronto di quello del 21 Dicembre u. s. (2) e delle assicurazioni che ero stato autorizzato a dare a Jeftic e che non possono da parte nostra, fermamente ritengo, essere menomamente mutate per alcun motivo.

Quando, avute istruzioni di chiedere il gradimento per il nuovo Addetto Militare mi permisi di ritardare la richiesta per esprimere l'avviso che contemporaneamente si dovesse comunicare anche la nuova destinazione o funzione del Colonnello Visconti, ero guidato dal pensiero che dovevasi da parte nostra mostrare palesemente con una destinazione • premio • che non credevasi menomamente alle accuse (altrimenti avremmo, in stretto diritto, dovuto prendere anche noi delle sanzioni contro di lui), anzi stimando egli si fosse condotto nel modo migliore e con pieno merito gli veniva data una funzione od una destinazione migliore rispetto alla precedente che era costretto ad abbandonare. E ciò in conformità di analoghi precedenti.

30 -Documenti diptomatici -Serie VII -Vol. VIII

A parte gl'innumerevoli casi di Addetti Militari cui sono capitate disavventure analoghe ricorderò fra l'altro, nelle nostre file, quello del R. Console a Gerusalemme Carletti richiamato in seguito a reclamo francese e premiato con la nomina a Ministro etc. etc.

Ora il Ministero della Guerra afferma non potere per motivi regolamentari ciò fare. Non vi è quindi da insistere, ma a parte che esso richiede la • eventuale » inserzione delle giustificazioni di tale sua impossibilità nella nota verbale da indirizzare a questo Governo per la richiesta di gradimento del Colonnello Amari (e sulla opportunità di tale inserzione dirò in appresso), le richieste che si domandano ora, e che sono divergenti da quanto V. E. mi aveva dato istruzione di fare con telecorriere del 21 dicembre, per essere tardive non sono a mio giudizio ora più attuabili. Si tratta principalmente di ottenere una assicurazione scritta da parte di Jeftic e di tentare un prolungamento dell'epoca di partenza del Colonnello Visconti.

A ciò giustificare sta il presupposto che le prove a carico del Colonnello siano sempre più evanescenti se non insussistenti, e che Jeftic avrebbe mancato al suo impegno propalando le sue opinioni sul caso Visconti nei circoli diplomatici.

I

È possibile che le prove in possesso del Governo Jugoslavo siano giudiziariamente contestabili forse anche inconsistenti (per quanto debbasi rilevare che una testimonianza, sia pure estorta con torture e violenze, quando confermata ripetutamente finisce con l'acquistare un valore che non potrebbe essere distrutto che da un inammissibile contraddittorio). Ma qui siamo nel campo diplomatico, non nel giudiziario. E quanto oggi ci si dice è sufficiente per comprendere che un sostegno del Colonnello Visconti non sia possibile, come già del resto V. E. ammise fino dal principio. Ma è chiaro anche che il Governo Jugoslavo non ha dalla sua questo solo elemento. A parte gli infiniti episodi della attività del Colonnello Visconti e che tornano tutti a suo onore, V. E. rammenterà che Jeftic nel suo primo colloquio dell'll Dicembre (l) mi disse che l'attività del Colonnello Visconti era • come se fossimo alla vigilia della guerra • mi accennò ai viaggi in Dalmazia durante i quali (dettaglio che obliai di riferire ma che il Colonnello Visconti mi disse allo.ra esatto) era stato osservato che egli prendeva innumerevoli fotografie appunti rilievi e profili del terreno. Così probabilmente fu osservato in Macedonia, in Slovenia, e specie in Croazia quando dovette per ordine dello Stato Maggiore, rilevare una serie di itinerari sulla direttiva Sussak-Fiume -Novo Mesto. Ed in riguardo alla Dalmazia mi domando se le balorde fantastiche voci di preparativi di sbarco italiano in Dalmazia (2) che ancora oggi si ripetono (Vedi teleposta da Ragusa N. 339/26 del 3 corrente) e che a mio avviso non meritano neanche l'onore di una smentita, non traggono origine oltrechè dalla agitazione della • Pro Dalmazia • anche da questi ripetuti viaggi del Colonnello Visconti durante ì quali si sono potuti notare così precisi dettagli sulle sue osservazioni.

II

A mio subordinato avviso sembrami che ove io ottenessi anche soltanto la lettera privata di Jeftic (cosa che stamani ho subito sentito non agevole) sarebbe avere nei nostri atti una precisa accusa scritta della colpabilità del Colonnello Visconti, alla quale non replicheremmo. In materia così delicata, poichè la trattazione è stata tutta orale, parmi non si debba mutare metodo, per il pericolo che qualsiasi documento di qualsiasi genere e natura può celare. Il solo documento utile sarebbe una dichiarazione del Governo Jugoslavo o di Jeftic personalmente che riconoscesse perfetta la condotta del Colonnello Visconti. Ma allora non ci sarebbe nemmeno necessità della di lui partenza.

Del resto Jeftic ha stamane come già detto eluso la mia domanda, e col dolersi dei colloqui avuti costà con Rakic, mi ha implicitamente ma chiaramente detto le ragioni che lo hanno determinato a non trattare per iscritto questa questione, finchè essa resti nel campo confidenziale. Certo egli può domani mancare alla parola datami, ma se la convenienza e l'interesse jugoslavo lo inducesse a farlo, non sarebbe certo trattenuto dalla esistenza di una sua lettera confidenziale. Se un pubblico scandalo si facesse, noi non potremmo pubblicamente utilizzarla, e nei rapporti fra lui e me essa resterebbe sempre lettera privata, non impegno di Governo.

III Il Ministero della Guerra chiede mi si dia assicurazione che il Colonnello Visconti partirà con i consueti onori d'uso. Prego V. E. volere far precisare cosa si intenda. Qui gli Addetti Militari, col protocollo oggi in uso, quando prendono possesso del loro posto non sono neanche presentati subito al Sovrano, ma solo quando venga l'occasione di qualche ballo o ricevimento ufficiale. Ancor meno chiedono udienza di congedo al termine della missione. La settimana scorsa è partito per fine missione di Addetto Navale il Comandante Cattaneo. Si è limitato a lasciare la sua carta da visita alle varie autorità con le formule consuete. Non ha neanche pensato di chiedere udienza di commiato del Sovrano. Non mi ha neppure fatto cenno di desiderare nuove decorazioni, anzi ha manifestato il proposito di restituire quelle che già possiede, cosa che gli ho recisamente sconsigliato dicendogli che in ogni caso egli avrebbe dovuto prima chiederne autorizzazione ai suoi superiori. Il Colonnello Visconti è già insignito della Commenda

• Aquila Bianca •. Ignoro, in questo momento, se gli spetti, d'uso, altra maggiore decorazione ma a prima vista credo poterlo escludere. In ogni modo esprimo la personale opinione che non vedo qual piacere, sia pure nel caso eccezionale del Colonnello Visconti, si possa avere ad ottenere decorazione jugoslava. Ma se gli spettasse, i miei sentimenti personali non conterebbero, e ne chiederei la concessione, ove V. E. me lo prescrivesse.

IV È esatto, e V. E. lo sa, che durante la mia assenza da Roma (l) ed anche di Jeftic vi furono qui molti arresti di russi sol perchè sospetti di essere in relazione con questa Legazione, che questi arresti hanno creato un vero panico in tutta la

colonia russa, con le conseguenze che V. E. conosce anche nei miei riguardi personali. Ciò potrebbe in certo modo costituire una specie di violazione dell'impegno preso da Jeftic. Ma la verità è che le prime voci sulle relazioni fra il Colonnello Visconti e gli arrestati del primo gruppo di russi (ing. Zviet etc.) sono venute proprio dall'ambiente russo, ed a me furono riferite per prime da un russo, non vennero dall'ambiente diplomatico. Ed ivi non mi consta che Jeftic abbia sparso le sue opinioni in argomento. Sono troppo a contatto con le Legazioni e vi ho troppe buone confidenze perchè ciò possa sfuggirmi.

Ma se anche violazione vi fosse stata, la conseguenza di ritardare la partenza del Colonnello Visconti ha solo connessione apparente. Un rinvio potrebbe far scoppiare apertamente lo scandalo, tornare quindi a nostro danno, perchè costringerebbe Visconti a lasciare la Jugoslavia proprio nel massimo suo sviluppo, a meno di non volere rendere insostenibile la vita a me ed a questa rappresentanza, ed arrivare alle estreme conseguenze le quali non sono nè facili nè semplici. La situazione generale non sembra lo consigli e V. E. non credo lo desideri.

Ma vi è una circostanza anche più delicata sulla quale mi preme attirare l'attenzione di V. E. e che aumenta quotidianamente la mia inquietudine. Il Colonnello Visconti non ha mai cessato dal servizio informazioni. Dopo il colloquio Jeftic delli 11 Dicembre consigliai al Colonnello di attenuare il suo servizio, di prepararsi alla cessazione. Ma in questo campo io posso solo dare consigli, non ordini. Se tale attività non cessa al più presto io declino esplicitamente ogni responsabilità per i nuovi incidenti che potessero nascere, e che il Governo Jugoslavo forzerebbe se vi fossero ritardi alla partenza. Intanto debbo notare che la ripercussione dell'arresto del secondo gruppo di russi si va attenuando. So di positivo che il Commissario di Polizia che arrestò ingiustificatamente una signorina russa di distintissima famiglia, già dattilografa in questa Legazione, è stato in questi ultimi giorni punito. Uno dei fornitori della Legazione che erasi rifiutato di venire per timore di sanzioni poliziesche, ha fatto sapere di essere pronto ad eseguire quei nuovi lavori che gli venissero affidati. I gendarmi di fazione alla Legazione sono stati quasi tutti cambiati e da qualche giorno manifestano segni esteriori di rispetto verso di me e tutto il personale che da 19 mesi da che son qui non avevo ancora notato. Un piccolo risultato si è dunque avuto, un po' con la pazienza ed il tempo che molte cose attenuano, un po' coll'ira, l'ironia, la tenacia ed insistenza dei miei colloqui. Se altro incidente accadesse non so come si potrebbe rimediare.

v

V. E. mi dice in calce del suo telegramma per corriere che il R. Ministero della Guerra desidererebbe guadagnare tempo. Mi sia acconsentito di dire le ragioni che da qui mi sembrano contrastare con tale desiderio:

A) V. E. mi ha autorizzato a prendere un impegno: il Colonnello Visconti partirebbe alla fine del corrente mese, al più tardi il 6 Marzo.

Non parmi che a tale impegno noi si possa mancare anche se Jeftic avesse mancato al suo impegno, il che contesto sia provato. Lo scandalo per l'arresto del secondo gruppo di russi è balcanicamente inafferrabile. E noi appariremmo alla ricerca di pretesti per non tener fede alla assicurazione già data, con ben dubbia utilità e convenienza.

B) Se il Colonnello Amari abbia bisogno di !Jlaggior tempo per mettersi al corrente della situazione potrà tardare la sua venuta, e dopo il 6 Marzo il Colonnello Visconti a Roma potrà indirizzarlo ancora meglio. Nel frattempo l'ufficio sarà retto dal Maggiore San Giorgio che già lo ha retto durante le assenze, talvolta prolungate, del Colonnello Visconti, con cura, assiduità e diligenza. Anzi ciò varrà a dare l'impressione della vera smobilitazione che il Colonnello Visconti avrebbe dovuto iniziare subito dopo la prima richiesta Jeftic.

In conclusione credo che la linea già decisa da V. E. con telegramma per corriere N. 15441 del 21/12/1929 non debba più essere modificata. Perciò ove

V. E. riconosca giuste le mie osservazioni prego telegrafarmi aL più presto possibiLe con riferimento al presente telespresso con la parola • Autorizzo •. Rimetterò a questo Ministero degli Affari Esteri una nota verbale che nei riguardi del Colonnello Visconti conterrà le frasi seguenti:

• Il Colonnello di Stato Maggiore Conte Visconti Prasca R. Addetto Militare presso la Corte Jugoslava compiendo il 6 Marzo p. v. il sessennio di permanenza nelle di lui funzioni, termine massimo consentito dalle disposizioni vigenti, e dovendo per imprescindibili esigenze della sua carriera militare assumere un adeguato posto di comando cesserà dalle sue funzioni al termine predetto.

... segue la richiesta di gradimento per il Colonnello Amari •.

Non mi parrebbe assolutamente il caso di dire di più in un documento che per sua natura non può contenere siffatte lunghe spiegazioni e giustificazioni e che nessun documento anteriore, a cui eventualmente riferirsi, richiede. Ogni parola in più apparirebbe excusatio non petita, si presterebbe, ritengo, a quelle maliziose interpretazioni che si vogliono invece evitare.

È ovvio che avuto il gradimento per il Colonnello Amari il Colonnello Visconti dovrà partire alla data suindicata, ed il Ministero della Guerra deciderà quando far partire per Belgrado il nuovo Addetto Militare in relazione al grado della di lui preparazione per questa nuova missione.

15 febbraio 1930.

P. S. -Ho rivisto Jeftic. Si è nuovamente lamentato si sia costà tenuta parola a Rakic della questione Visconti. Con ciò egli ha detto, molti del Ministero che non sapevano quanto correva fra lui e me, ora hanno appreso il richiamo Visconti. Lo stesso Kumanudi, sono sue parole, ignorava fino a ieri questa richiesta che era nota solo al Re, a Marinkovich e forse al Ministro della Guerra.

Mi ha poi assicurato formalmente che, sentito il Presidente del tribunale, il processo contro i russi non si terrebbe prima del mese di giugno. La stampa non ne parlerà assolutamente, il processo si terrà a porte chiuse. Se fosse possibile, mi ha detto, estrarremmo dagli incartamenti tutto quanto porta il nome del Colonnello, ma ciò è impossibile perchè tanto varrebbe non fare il processo che si impernia sui rapporti Visconti-Zviet. Ma poichè la procedura è segreta, non vi è pubblico dibattimento etc., nessuno dovrà saperne nulla. Non vogliamo, ha concluso, che questa questione sia un nuovo difficile incidente fra i due paesi.

Il fatto del rinvio del processo al mese di giugno parmi la migliore garanzia che non vi sarà campagna scandalistica nella stampa, che neanche correranno

voci m pubblico su tale questione, poichè a quel momento tutto sarà dimenticato e gran parte di Belgrado (legazioni comprese) va in campagna.

Credo quindi con ancora maggiore ragione di ieri di poter chiedere a V. E. di essere autorizzato senz'altro a domandare il gradimento per il nuovo addetto militare, la data di partenza del Colonnello Visconti non subendo alterazioni da quanto è stato assicurato costà ai primi del mese di gennaio.

Ho poi nuovamente richiesto che il Colonnello Visconti non mancasse di

alcuno dei riguardi che gli sono dovuti.

(l) -Annotazione marginale di Grandi: • Al Capo del Governo •. (2) -Cfr. n. 354. (l) -Cfr. n. 244. (2) -Cfr. n. 270. (l) -Cfr. n. 244. (2) -Cfr. p. 331, nota.

(l) Sic, per Belgrado.

369

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 629/433. Bucarest, 16 febbraio 1930 (per. H 24).

Mio telegramma per corriere n. 373 (1).

Benchè il Ministro Madgearu abbia continuato a mantenersi assai riservato sull'attività che intende svolgere in Roma nell'imminente sua visita, pure ho motivo di credere che egli si propone sovratutto di mostrare all'E. V. la migliore disposizione a favorire le nostre industrie e le intraprese italiane in Romania.

A tale riguardo mi è stato riferito che il Signor Madgearu penserebbe ad offrirei delle • concessioni •, come per esempio quella per la costruzione di idrovolanti, o per la costruzione di strade strategiche nella Bessarabia, ecc.; ma su

• Ho... motivo di ritenere che il Signor Madgearu farà di tutto per conseguire crediti da parte della Banca Commerciale Italiana... Ho inoltre raccolto voci secondo cui il Signor Madgearu cercherà di ottenere dal Governo Italiano una cointeressenza al credito agricolo romeno, sotto forma di acquisto di un importante lotto di azioni.

Come V. E. l'osserverà, è dunque assai probabile che il Ministro delle Finanze romeno faccia nuovamente appello al Governo Italiano per importanti aiuti finanziari....

V. E. non ignora come, a ben due riprese l'Italia sia venuta in soccorso della Romania, evitando il tracollo del lei e dandole il modo di uscire fuori da inestricabili situazioni.

Difatti, V. E. consenti nell'agosto 1928 che la Banca Commerciale Italiana concedesse alla Romania, a breve scadenza, un prestito di 12 milioni di dollari; e V. E. autorizzò del pari la stessa Banca Commerciale, nell'aprile scorso, a partecipare al grande prestito internazionale di stabilizzazione romeno, assumendo un'aliquota di 8 milioni di dollari.

In entrambe le occasioni, e pur sempre cercando con successo di mettere il nostro concorso finanziario a servizio della soluzione di nostre annesse questioni, io non tralasciai di vivamente raccomandare che i delegati italiani ottenessero precisi impegni in prò dell'industria italiana. E difatti il Signor Toeplitz partecipò al R. Governo di aver ottenuto dai Ministri romeni convenuti a Parigi, all'occasione del prestito internazionale, che all'industria italiana sarebbero state riservate forniture proporzionate all'aliquota di prestito data dall'Italia. D'altra parte, V. E. e S. E. Mosconi, alla prima Conferenza dell'Aja, ottenevano dal Signor Mironescu e dall'ex Ministro delle Finanze Signor Popovici formali assicurazioni che all'Italia sarebbero state almeno riservate le costruzioni navali, l'allestimento della base navale, nonché forniture ferroviarie -specie locomotive; e da parte mia ottenevo assicurazioni del genere sia da parte del Ministro degli Esteri che del defunto Reggente Buzdugan. Senonchè tutti questi impegni, a malgrado resti viva e forse sincera la riconoscenza del Governo nazionale zaranista per le prove d'amicizia date dall'Italia alla Romania in materia finanziaria, aspettano tuttora

un principio di adempienza »,

Preziosi riteneva che certamente Madgearu avrebbe ricordato " quanto il Governo zaranista è andato facendo in favore dell'Italia (soluzione questione Feltrinelli; indennizzo accordato al Principe Ruspoli; appoggio concesso alla Società C.I.B.E. per lo sfruttamento idroelettrico della Transilvania; concessione di nuovi perimetri petroliferi; concessioni forestali alla Banca çommerciale Italiana ecc.). A tale riguardo ho sempre risposto al Signor Madgearu che la so~uzwne delle predette questioni nulla ha da vedere con gli impegni per così dire industriali pres1 dal Governo romeno all'atto della conclusione dei suoi prestiti con l'Italia, aggiungendoche se l'Italia è disposta ad accordare il suo appoggio alla Romania, essa non intende affatto vedersi preferiti altri Stati per quanto specialmente riguarda le forniture navali, la base navale,

le locomotive».

questo punto può notarsi che sarebbe fuori di proposito intavolare discussioni per concessioni di così difficile ed aleatoria natura, mentre la nota richiesta italiana per una concessione idro-elettrica in Transilvania (mio telegramma n. 13) (1), a malgrado l'indubitabile buon volere del Signor Madgearu, non riesce a giungeTe in porto, dopo più che un anno di studi, di promesse e di assicurazioni!

Inoltre, io non esito a manifestare a V. E. il mio dubbio che il Governo romeno, nel proporci • concessioni • anzichè • forniture •, voglia piuttosto calmare le nostre apprensioni ed evitare le nostre proteste per esser la Romania venuta meno ai suoi impegni di rivolgersi alle nostre industrie navali e ferroviarie, che offrirei un reale e pratico campo di attività economica in Romania.

So bene che il Signor Madgearu insisterà sul punto che mentre le forniture sono un fatto accidentale e passeggero, le concessioni hanno invece una natura permanente e sono le meglio atte a produrre durature intese economiche fra i due Paesi; ma io resto del parere che questa sua teoria cade di fronte alla considerazione che mentre le concessioni comportano un espatrio di danaro e di energie italiane, e gravissimi rischi in un Paese come la Romania, le forniture invece, oltre al non presentare così pericolosi rischi, assicurano diretto lavoro e profitto alle nostre industrie.

Insomma, a mio remissivo parere, il Signor Madgearu dovrebbe ancora una volta convincersi che noi restiamo ben fermi nelle nostre antiche imprescindibili richieste intese ad ottenere:

l) la costruzione delle nuove navi romene e della base navale;

2) la fornitura di un congruo numero di locomotive;

3) un'equa partecipazione nelle forniture militari, circa le quali il Ministero della Guerra sta proprio di questi giorni redigendo un completo progetto del fabbisogno; 4) concessione idro-elettrica suaccennata.

Il Signor Madgearu, come ho già accennato a V. E., richiederà poi certamente il concorso del R. Governo o di Banche italiane (specie la Commerciale) per prestiti autonomi, od almeno per una compartecipazione nel finanziamento per l'istituendo Credito Agrario.

A tale proposito mi pare superfluo attirare l'alta attenzione di V. E. sulla grave crisi finanziaria prevalente in Romania, nonchè sulle difficoltà economiche che ritardano od impediscono qui ogni ripresa. D'altra parte, giova tener presente che la Romania ha fatto finora di tutto per sottrarsi agli impegni presi verso noi, in relazione a prestiti ricevuti negli ultimi anni. E per ultimo occorre considerare che il Governo romeno, avendo già messo i Monopoli di Stato al servizio dell'ultimo prestito, ha esaurito ormai ogni fonte di possibile garanzia in favore di nuovi prestiti.

In ogni caso, come ho già avuto occasione di far presente a V. E. col mio succitato telegramma, ogni eventuale prestazione finanziaria, sia del R. Governo che di nostre banche, dovrebbe questa volta essere accompagnata da impegni scritti, che precisamente indicassero i _corrispettivi ottenuti dal R. Governo per la sua prestazione o per la sua autorizzazione a speciali prestiti da parte di nostre banche.

(l) T. per corriere 481/373 del 7 febbraio, col quale Preziosi annunciava la venuta a Roma di Madgearu per il 24 febbraio. Di questo telegramma si pubblicano i passi seguenti:

(l) T. 139/13 del 13 gennaio, che non si pubblica.

370

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) PER CORRIERE S. 1775. Roma, 17 febbraio 1930, ore 19.

Suo telespresso n. 764/354 del 14 corrente (1).

Le direttive impartite col telegramma per corriere n. 1415 del 7 corrente (2), se esattamente interpretate, non divergono menomamente da quanto era stato precedentemente concordato per la soluzione della questione Visconti. Esse hanno lo scopo di precisarne nei particolari pratici la definizione, allo scopo di assicurarci contro ogni possibilità di situazioni dubbie e di equivoci posteriori.

l) V. S. è infatti pienamente autorizzato a rimettere subito al Governo jugoslavo la nota verbale di comunicazione della sostituzione del colonnello Visconti col colonnello Amari. Tale nota verbale potrà essere quella il cui testo la S. V. propone, e che nella sostanza riproduce la dichiarazione di S. E. il ministro della Guerra circa lo stato di servizio del Visconti comunicata col telegramma 1415 per esatta informazione della S. V. sull'argomento. Occorre tuttavia sopprimere le parole • cesserà dalle sue funzioni al termine predetto • facendo seguire la richiesta di gradimento per il colonnello Amari immediatamente dopo le parole

• adeguato posto di comando •. E ciò per la ragione che le spiegherò più avanti.

2) Siccome, d'altra parte, non consta che ella abbia avuto finora solide ragioni di garanzia che all'esecuzione effettiva, ufficiale, da parte nostra dell'impegno assunto, seguirà in ogni caso da parte jugoslava una leale osservanza di quelli reciprocamente presi verso di noi, e siccome, inoltre, la S. V. stessa ha, in questi ultimi tempi, ripetutamente ed insistentemente segnalato casi di persecuzioni palesi, scandalistiche, alle quali sono stati sottoposti, in connessione cogli avvenimenti che hanno occasionato gli appunti mossi al Visconti, gli ambienti in cui vivono i nostri addetti militare e navale, si è ritenuto opportuno, ad ogni utile e prudenziale fine, anche in forma di lettera privata e confidenziale, un qualche cenno scritto ed adeguato allo scopo a firma di Jeftic. È naturale che un simile scritto non dovrebbe affatto entrare nel merito della questione Visconti. Sarebbe sufficiente, ed apparirebbe cosa assai comprensibile, se, nel presentare a Jeftic la comunicazione ufficiale circa il richiamo del Visconti, Jeftic le facesse avere poche parole, in via personale, per esprimerle un generico rincrescimento della partenza di un ufficiale che egli stesso le ha detto di stimare al suo giusto valore. Tale documento, la cui pretesa non sembra davvero eccessiva, e che può costituire d'altra parte una qualche garanzia contro futuri atteggiamenti non desiderabili che potessero verificarsi costà dopo la partenza del Visconti, è di tanto più opportuno se effettivamente alla S. V. consti che nessuna particolare manifestazione onorifica debba attendersi il colonnello Visconti nel lasciare Belgrado.

3) Per quanto concerne questo particolare argomento, è inteso che non intendiamo avanzare pretesa di nulla che non sia normalmente dovuto. Si desidera soltanto che il Visconti parta nelle condizioni, nè più nè meno, di qualsiasi altro addetto militare che lasci Belgrado.

4) La possibilità di • guadagnar tempo • è un desiderio dell'amministrazione militare motivato da ragioni di pratica utilità che le è stato comunicato per personale sua norma di azione. Non è, quindi, argomento che costituisca, ove assolutamente impossibile od inopportuno, una richiesta assoluta. È, però, da osservare che, appunto perchè il colonnello Visconti deve essere trattato come un addetto militare che lascia normalmente il suo posto, non può nè deve essere indispensabile si indichi nella nostra nota la data perentoria del 6 marzo prossimo come quella della sua partenza bastando a questo proposito che la S. V. dica verbalmente a Jeftic che il R. addetto militare partirà entro un ragionevole termine nel corrente del mese di marzo dopo aver sistemato gli interessi suoi personali e quelli dell'ufficio. Per sua norma è infatti indispensabile che il colonnello Visconti attenda l'arrivo del nuovo addetto militare, il quale però è stato sollecitato a partire al più presto per accordi intervenuti fra questo ministero e quello della Guerra.

Ritengo quindi che la S. V. abbia ormai istruzioni sufficienti e ampie per poter procedere alla definizione soddisfacente della questione Visconti.

Aggiungo per sua norma personale che Jeftic non può seriamente pretendere che Rakic sia stato informato della questione da questo ministero. Rakic era perfettamente al corrente della cosa, ed è del resto ben naturale che Jeftic durante la sua permanenza a Roma non abbia fatto misteri con questa legazione di Jugoslavia molto più che questa ha in corso una domanda di gradimento per il suo nuovo addetto militare e che, in quell'epoca, faceva vivissime insistenze per una sollecita e favorevole risposta.

Per sua norma l'avverto che il colonnello Amari partirà dall'Italia fra il lo e il 6 marzo.

(l) -Cfr. n. 368. (2) -Cfr. n. 354.
371

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD, E IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, STIMSON (l)

Londra, 18 febbraio 1930, ore 15,30.

MacDonald ha rammaricato l'assenza di Tardieu dovuta alla crisi ministeriale e che impediva di trattare più a fondo le questioni. Riteneva però utile uno scambio di idee tra lui e Grandi presente Stimson.

Teneva moltissimo al successo della Conferenza, ma la dichiarazione delle cifre franc.esi e l'insistenza italiana per avere la parità degli armamenti con la Francia, lo ponevano in una situazione oltremodo difficile. Grandi giustamente si preoccupava dell'opinione pubblica italiana, ma anche lui MacDonald doveva tener conto dell'opinione pubblica inglese, e perciò qualsiasi accordo per essere raggiungibile dovrebbe essere comprensibile e accettabile all'opinione pubblica inglese.

A questo punto Stimson è intervenuto insistendo perchè MacDonald spiegasse francamente a Grandi che cosa desiderava da lui. MacDonald è apparso

un momento esitante, ma poi ha detto che avrebbe dato un esempio di ciò che intendeva per situazione intollerabile per gli inglesi.

Se la Francia, egli ha detto, costruiva 12 incrociatori da 10 mila tonnellate e l'Italia insisteva per averne altrettanti, vi sarebbero state 24 di queste potenti e velocissime unità nel Mediterraneo. Il Mediterraneo è la gran via di comunicazione tra l'Inghilterra, l'India, i possedimenti inglesi nell'Oceano indiano ed i domini dell'emisfero australe. L'Inghilterra possedeva, è vero, i punti strategici agli sbocchi del Mediterraneo, ma era molto dubbio il valore di Gibilterra al giorno d'oggi in vista dei progressi della tecnica e delle caratteristiche delle unità componenti le flotte moderne.

Ora l'Inghilterra in base all'accordo provvisorio con l'America, limiterebbe a 15 i grandi incrociatori da 10 mila tonnellate. Di questi probabilmente 2 dovranno stare in Australasia, 5 in Estremo Oriente e nell'Oceano Pacifico; 4 in Atlantico. Ne restano così 4 pel Mediterraneo, contro i 24 che verrebbero a possedere le due Potenze latine. Una simile situazione era assolutamente intollerabile per gli inglesi. MacDonald non voleva esser lui a far proposte, ma chiedeva a Grandi di aiutarlo a vincere questa difficoltà.

Grandi ha risposto che con questo gli si chiedeva di rinunciare al principio della parità. Ciò che era da escludere nel modo più assoluto. Non avrebbe ripetuto le ragioni ben note ai suoi interlocutori. La politica navale dell'Italia favoriva una riduzione degli armamenti, ma fissava al • one power standard • le necessità minime di difesa, tenuto conto della svantaggiosissima situazione geografica, e della vulnerabilità delle nostre linee di traffico e della nostra marina mercantile fuori del Mediterraneo. Del resto il principio della parità era stato riconosciuto a Washington e confermato da Briand col noto telegramma (1). Questo telegramma era stato parafrasato nella nota dell'Italia alla Francia prima della Conferenza, con la quale il R. Governo aveva proposto al Governo della Repubblica di fissare esso stesso le cifre, nell'intesa che l'Italia avrebbe avanzato richieste analoghe (2). Era stata una sorpresa la risposta con la quale la Francia aveva tacciato di • inéquitable • un metodo di limitazione degli armamenti basato sul principio della parità (3): tanto più che anche l'Ambasciatore francese aveva fatto capire che non vi sarebbe stata difficoltà ad un riconoscimento della parità in alto al livello corrispondente ai bisogni francesi. Inoltre era interessante l'evoluzione verificatasi nel tono dei giornali francesi dal momento dello scambio di note in poi. I giornali ispirati dal Quai d'Orsay avevano lasciato intendere da principio che la Francia non avrebbe fatto difficoltà ad una parità in alto. Poi, a poco a poco l'attitudine francese verso l'Italia era diventata rigida e intransigente. Negli anni passati i rappresentanti francesi a Ginevra avevano sempre predicato il disarmo. A Parigi Governo e Parlamento avevano adottato contemporaneamente bilanci militari sempre maggiori.

Cosa era avvenuto di nuovo dall'epoca del Trattato di Washington? Vi era stato tra l'altro il Trattato di Locarno al quale l'Italia aveva volontariamente partecipato, senza corrispettivo di sorta, per garantire la Francia, e vi era stato poi il Patto Kellogg-Briand. Lo • Statut Naval • francese era anteriore all'uno

e all'altro. Eppure la Francia non aveva diminuito di una tonnellata le richieste per la sua Marina. Anzi mentre lo • Statut Naval • doveva essere completato nel 1943 essa proponeva ora di accelerare le costruzioni per raggiungerlo nel '36.

Domani la Delegazione italiana avrebbe presentato un Memorandum (l) per esporre il punto di vista italiano corrispondentemente allo stato attuale dei negoziati. A questo Memorandum va annessa una tabella colla situazione delle 3 Potenze europee partecipanti alla Conferenza (Italia, Gran Bretagna, Francia) relativamente al naviglio non limitato a Washington.

Grandi consegna copia di questa tabella a MacDonald e a Stimson e richiama la loro attenzione sul fatto che in essa sono contenute le cifre corrispondenti all'effettiva situazione delle flotte, tolte le navi semplicemente autorizzate, ossia ancora sulla carta e quelie aventi oltrepassato i limiti di età convenuti. Risulta da questa tabella che in fatto di naviglio leggero di superficie, la Francia possiede 95 unità con un totale di 231.300 tonnellate, e l'Italia un totale di 110 unità con 227.800 tonnellate (2). Vi è cioè una differenza di appena 3.500 tonnellate, ossia dell'l e mezzo per cento. Pei sommergibili in servizio la Francia ne ha 44 con 31.900 tonnellate e l'Italia 43 con 27.200 tonnellate (2). Esiste cioè una differenza di 4.700 tonnellate dovute al dislocamento generalmente più piccolo delle unità italiane. Una grande differenza esiste invece pei sommergibili in costruzione. La Francia ha al momento attuale sullo scalo l'ammontare imponente di 47 unità con 49.700 (2) tonnellate vale a dire il 110 % circa del tonnellaggio complessivo dei sommergibili che ha in servizio l'Impero Britannico!

MacDonald ha successivamente chiesto a Grandi cosa pensasse di un patto mediterraneo al quale la Francia teneva (3).

Grandi ha risposto che non era contrario in principio se ciò poteva servire ai fini della Conferenza, ma che riteneva più logico di procedere, come aveva suggerito il Governo italiano, a regolare prima le questioni pendenti fra i due Paesi. Inoltre si sarebbe dovuta consultare la Spagna. Al che MacDonald ha osservato che anche lui era impegnato a consultare la Spagna. Non riteneva però la Conferenza Navale sede appropriata per trattare di tali accordi. Ad ogni modo l'Inghilterra era ben decisa di non accedere ad una Locarno mediterranea, che avrebbe implicato maggiori impegni per la sua flotta. Condivideva l'osservazione fatta da Grandi precedentemente che nuovi patti avrebbero svalorizzato quelli solenni esistenti (Patto della S.d.N., Patto Kellogg-Briand) ma voleva esaminare tutte le possibilità per vedere di indurre la Francia a ridurre le sue cifre e così assicurare il successo della Conferenza.

Ha quindi chiesto a Grandi se l'Italia aveva qualche particolare richiesta

-o qualche punto di vista da far valere nel caso di un Patto mediterraneo, e Grandi ha risposto negativamente. L'Italia ne faceva benissimo a meno, malgrado la situazione della Jugoslavia alleata militarìnente con la Francia e in n. -151. Il progetto era stato avanzato in un memorandum del 26 dicembre 1929 e, secondo notizie pervenute al ministero della Marina italiano, sarebbe stato definitivamente abbandonato nella conversazione del 9 marzo fra Briand e MacDonald (cfr. il doc. in data 28 marzo 1930 conse!"vato in USM, cart. 3177/7). Queste notizie peraltro non risultano esplicitamente confermate dal testo del colloquio Briand-MacDonald-Henderson ed in DB, Serie II, vol. I, n. 152.

possesso di un primo nucleo di sommergibili e di basi navali inespugnabili costituite dai due porti naturali di Sebenico e Cattaro situati soltanto ad una settantina di miglia dalla costa italiana.

Nel corso della conversazione, dando alla propria osservazione carattere generale, Stimson rivolgendosi a MacDonald ha osservato di non voler gettar sassi nelle piccionaie altrui, ma che gli appariva indispensabile se si voleva venire ad un accordo spogliarsi dalla • damned war mentality • che faceva esaminare tutto dal punto di vista della possibilità di un conflitto invece che da quello delle semplici necessità della polizia dei mari e della pace!

Mac Donald ha a sua volta osservato che sarebbe stata cosa oltremodo seria se la Conferenza dovesse fallire, perchè allora in vista dell'aumento degli armamenti, i popoli per fare economia sarebbero ricorsi ad alleanze difensive del tipo di ante-guerra, ciò che ci avrebbe inevitabilmente, forse tra una trentina d'anni, condotti ad un'altra conflagrazione.

MacDonald ha pure osservato incidentalmente che la questione della limit&zione degli armamenti navali era ancora complicata dal fatto che le piccole marine potevano specializzarsi .in qualche tipo di navi, per esempio i sommergibili, che presi isolatamente non rappresentavano una forza ragguardevole, mentre potevano essere un ragguardevole apporto se uniti alla forza navale di una delle maggiori Potenze, come la Francia o l'Italia.

Ha finito col dire che al ritorno a Londra dei francesi si sarebbe dovuto spingere alacremente i lavori della Conferenza per portarla ad una favorevole conclusione.

(l) Al colloquio era presente anche Ruspoli.

(l) -Cfr. Serie VII, vol. VII, p. 68 e nota l. (2) -Cfr. n. 261. (3) -Cfr. n. 293. (l) -Cfr. n. 376. (2) -Questi dati differiscono leggermente da quelli contenuti nel memorandum italiano (cfr. più avanti, p. 4.38). (3) -Per il testo francese del progetto di patto mediterraneo cfr. DB, Serie II, vol. I,
372

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI, A LONDRA

L. P. Roma, 18 febbraio 1930.

Grazie della sua lettera del 16 corrente.

Per quanto riguarda la questione Visconti, stamane S. E. Fani ha informato di tutto S. E. il Capo del Governo, il quale ha pienamente approvato la lettera al Ministro della Guerra di cui le trasmisi il progetto (1). Anzi il Capo si era accinto a firmare la lettera stessa, ma poichè questa era su carta del • Ministro degli Affari Esteri • l'ha siglata e così è stata consegnata stamani stesso (sempre per ordine del Capo) a S. E. Gazzera dallo stesso Fani.

Nello stesso tempo, poichè era giunto l'accluso rapporto di Galli (Ali. l) (2) dal quale trasparisce evidentemente che egli continua a non essere nel tono, ed era stata preparata la qui pure acclusa risposta (Ali. 2) (3), S. E. Fani ha mostrato i due documenti al Capo che ha pienamente approvato la nostra risposta, la quale, quindi, parte col corriere di stasera per Belgrado. Di ciò è stato informato subito S. E. Gazzera.

Speriamo ora che Galli si persuada ed agisca come si deve.

(l) -Cfr. n. 373. (2) -Cfr. n. 368. (3) -Cfr. n. 370.
373

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA

{l)

Mentre ti facevo comunicare le istruzioni da me impartite al R. Ministro a

Belgrado (2), istruzioni che corrispondono alle intese stabilite fra i nostri Mini

steri (3) ed alle proposte contenute nel tuo dispaccio del 3 febbraio corrente n. 42

R.R., mi è giunto il successivo tuo dispaccio del 7, n. 45 R.R. con l'accluso

rapporto riservato del Colonnello Visconti (4).

Ti ringrazio vivamente per avermi voluto dare comunicazione di tale documento, il quale se rispecchia tutte le alte doti di patriottismo di quel distinto ufficiale (da me sempre apprezzate al pari delle sue qualità militari) rivela anche uno stato d'animo sia pure perfettamente comprensibile ma che può far temere egli non abbia una completa valutazione della situazione.

Il Colonnello Visconti richiede fra l'altro che si esigano per iscritto dal Governo jugoslavo le prove delle accuse mossegli.

È evidente invece che tutto lo scopo cui mira la difficile trattativa col Governo di Belgrado è stato appunto quello di togliere il Visconti dal vespaio nel quale per circostanze indipendenti egli era purtroppo venuto a trovarsi.

Noi non possiamo nè dobbiamo nemmeno ammettere che il Governo jugoslavo ci precisi per iscritto delle accuse di spionaggio contro un nostro ufficiale, accuse che noi sosteniamo insussistenti, ed appunto per evitare questa discussione (sempre per noi offensiva) abbiamo cercato di concordare un modus procedendi da cui il Colonnello Visconti dovrebbe uscire come • inattaccabile • e troncare così quindi quella possibilità di ulteriori polemiche che il Visconti stesso si preoccupa di evitare.

A dimostrare poi il punto di vista inesatto da cui parte il Visconti basta leggere la sua ricapitolazione (nota n. 4) (5) dell'azione jugoslava contro la rappresentanza militare italiana. Egli non cita che misure prese contro terze persone in contatto col Maggiore Sangiorgio, col Comandante Cattaneo e con lui stesso, e ricorda il disgraziato incidente Cassone, precedente che sarebbe invece il caso di non ricordare.

È evidente l'impossibilità di impostare un'azione qualsiasi verso il Governo jugoslavo sulla base ài proteste contro persecuzioni a danno di terzi per i contatti avuti con i nostri rappresentanti militari.

In questa condizione di cose mi sembra che il Colonnello Visconti debba rendersi conto che il R. Governo (e per esso il R. Ministro a Belgrado il quale ne esegue le istruzioni con la necessaria e completa visione di tutta una non facile situazione, il cui apprezzamento sfugge al R. Addetto militare) ha fatto il necessario per compiere quel • dovere patriottico » di cui egli giustamente si

preoccupa.

Persuaso che condividerai queste mie considerazioni ti sarò grato se vorrai considerare l'opportunità di far pervenire al Colonnello Visconti quelle parole che valgano a confortarlo e ad indurlo a rimettersi completamente e fiduciosamente all'azione del R. Governo.

(l) -Annotazione marginale: « La presente lettera, siglata dal Capo del Governo, è stata personalmente rimessa a S. E. Gazzera da S. E. Fani, oggi 18 febbraio 1930 • (cfr. n. 372). (2) -Cfr. n. 354. (3) -Cfr. p. 400, nota l. (4) -Cfr. n. 341. (5) -Cfr. p. 384, nota.
374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. (P. R.) PRECEDENZA ASSOLUTA 1775/84/59. Londra, 19 febbraio 1930, ore 19,55 (per. ore 21,55).

Conferenza sospesi lavori e aggiornata sino a risoluzione crisi francese. Lavori verranno presumibilmente ripresi mercoledì 26 corrente. In vista di ciò parto domattina Roma per essere ritorno metà settimana prossima.

375

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. 520/79/54. Londm, 19 febbraio 1930, ore 19,40 (pe1·. ore 23,05).

Ieri MacDonald e Stimson hanno domandato conferire con sottoscritto a scopo scambio d'idee sopra momento difficile che attraversa Conferenza. MacDonald ha confermato che Gran Bretagna non intende rinunciare principio

• two Powers standard •, da parte mia gli ho confermato che l'Italia non intende che principio parità potenza continentale più armata (one Power standard) sia neppure messo in discussione.

Ho profittato occasione per commentare opportunamente nostro memorandum (l) che uscirà stasera e che consta di tre punti essenziali:

l) conferma nostro principio pregiudiziale;

2) riassunto delle proposte fatte sino ad ora dall'Italia a Washington, Ginevra e Londra per raggiungere generale riduzione degli armamenti;

3) tabella esplicativa cifre che dimostra effettiva parità fra la flotta italiana e la flotta francese nell'attuale momento.

Nostro documento non contiene quindi nulla di nuovo. Riferisco con rapporto dettagli del colloquio con MacDonald e Stimson (2) che confermano mie previsioni di cui penultima lettera inviata in data 14 corrente (3).

(l) -Cfr. n. 376. (2) -Cfr. n. 371. (3) -Cfr. n. 364. Lo stesso giorno 19 Rosso ebbe un colloquio con Craigie (DB, Serie II, vol. l, n. 149).
376

MEMORANDUM DELLA DELEGAZIONE ITALIANA ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA

(Ed. in MINISTERO AFFARI ESTERI, Documenti relativi alla politica navale dell'Italia, cit., pp. 43-46) (1).

Londra, 19 febbraio 1930.

I. -La Delegazione italiana si riferisce alle sue precedenti dichiarazioni. Essa crede che gli armamenti debbano avere soltanto scopo difensivo e ridursi quindi al più basso livello possibile. Se la Conferenza non si accordasse per fissare il rapporto degli armamenti dei vari Stati e per abbassarne conseguentemente il livello, essa fallirebbe al suo scopo e andrebbero deluse le speranze che in essa hanno riposto i popoli.

Il Trattato di Washington ha per base il livello e la proporzionalità degli armamenti. Livello e proporzionalità hanno formato oggetto dei negoziati che hanno preceduto e preparato la presente Conferenza; ed è su queste questioni che la Delegazione italiana ha richiamato l'attenzione delle altre Delegazioni fin dall'inizio dei presenti lavori. Oltre ad essere essenziali ai fini della Conferenza, esse appaiono intimamente connesse con la determinazione dei metodi di limitazione, che formano pure oggetto della Conferenza stessa. La Delegazione italiana è lieta di constatare che la Conferenza sta ora procedendo al loro esame.

In relazione a queste due questioni, e per quanto la riguarda, la Delegazione conferma che l'Italia è disposta ad assumere come limite dei suoi armamenti cifre qualsiasi, anche le più basse, purchè non sorpassate da alcun'altra Potenza continentale europea.

L'Italia non ha, per la sua situazione geografica, il vantaggio di una frontiera marittima sull'oceano. Essa dipende per la sua esistenza dai rifornimenti che le giungono per tre quarti da oltremare percorrendo linee di traffico vulnerabilissime, controllate a breve distanza da basi navali di varie Potenze. L'Italia non possiede basi navali fuori del Mediterraneo, ciò che rende particolarmente arduo il compito della protezione della propria marina mercantile sugli oceani. Per l'Italia si tratta della sua stessa esistenza e non soltanto della salvaguardia di territori lontani che si trovino sotto la sua sovranità od influenza.

L'Italia è inoltre firmataria del trattato di Locarno ed ha contratto con tale patto, insieme con la Gran Bretagna, speciali impegni internazionali relativi alla garanzia deìla pace europea continentale.

Nonostante queste maggiori e sue particolari necessità di difesa l'Italia ha dichiarato che è disposta ad assumere come criterio di autolimitazione degli armamenti navali la cifra che sarà fissata per la Potenza continentale europea più armata. Essa insiste in una politica di riduzione degli armamenti navali: perchè, partecipe della Società delle Nazioni e firmatària del Patto KelloggBriand, l'Italia ritiene che la riduzione degli armamenti debba essere conse

guenza naturale dei trattati e che soltanto con la effettiva riduzione degli armamenti i paesi possano dimostrare l'efficacia di detti trattati e la fedeltà agli impegni assunti; perchè esula dal pensiero dell'Italia l'idea di un conflitto armato con una qualsiasi Potenza, sia con quelle rappresentate alla Conferenza di Londra, sia con quelle non rappresentate alla Conferenza di Londra.

II. -La Delegazione italiana indica di seguito l'applicazione che allo stato attuale dei negoziati essa fa dei criteri generali suesposti. Tali indicazioni riguardano, in una prima parte, il naviglio oggetto del trattato di Washington, successivamente quello rimanente. Esse sono subordinate alla conclusione di un accordo generale.

A) NAVIGLIO LIMITATO DAL TRATTATO DI WASHINGTON. Navi di linea. II trattato di Washington fissa per le navi di linea i rapporti ed i tonnellaggi seguenti:

America Gran Bretagna Giappone Francia Italia

Rapporto 5 5 3 1,67 1,67 Tonnellaggio 525.000 525.000 315.000 175.000 175.000

L'Italia poteva conservare secondo tale trattato le 10 navi di linea che essa possedeva nel 1922. Essa ne ha invece radiate volontariamente 6, senza sostituirle, restando così con 4 navi di linea. Inoltre, fin dall'ottobre del 1928, ha proposto che le cinque Potenze firmatarie rinviassero a dopo il 1936 la costruzione delle navi di linea che il trattato consentiva di impostare durante il periodo 1931-1936 (1). Il Governo italiano naturalmente senza alcun pregiudizio delle stipulazioni di Washington --mantiene questa proposta, che comporterebbe per l'Italia la non utilizzazione per un periodo di tempo da convenirsi di 105 mila tonnellate delle 175 mila assegnatele. Quanto precede beninteso a condizione che tutti gli altri Stati firmatari del trattato di Washington assumano l'impegno conseguente per ognuno di essi alla proposta stessa. In più l'Italia, ove le altre Potenze siano d'accordo, è pronta ad esaminare favorevolmente anche la soppressione totale delle navi di linea.

Navi porta-aerei.

America Gran Bretagna Giapt:'one Francia Italia Rapporto 5 5 3 2,22 2,22 Tonnellaggio 135.000 135.000 81.000 60.000 60.000

Secondo il trattato di Washington l'Italia ha facoltà di usare senz'altro le 60 mila tonnellate di cui sopra. La Delegazione italiana è pronta a non oltrepassare il tonnellaggio di navi porta-aerei posseduto di fatto in ogni momento dalla Potenza continentale più armata.

B) NAVIGLIO NON LIMITATO DAL TRATTATO DI WASHINGTON.

L'Italia è disposta a non oltrepassare il tonnellaggio globale del naviglio combattente non limitato dal trattato di Washington posseduto di fatto in ogni momento dalla Potenza continentale europea più armata. Essa è pronta altresi

a non oltrepassare in alcun momento il tonnellaggio globale dei sottomarini posseduti di fatto da tale Potenza. Tali impegni escludono in modo assoluto la possibilità che l'Italia abbia in alcun momento a superare gli armamenti della Potenza continentale più armata. Essi rappresentano inoltre le migliori garanzie che l'Italia non sarà mai di ostacolo alla riduzione degli armamenti ma anzi strumento di tale riduzione. La Delegazione italiana non esclude di poter aderire anche a metodi di limitazione più restrittivi ove il livello degli armamenti sia effettivamente abbassato e in relazione agli accordi sulla proporzionalità delle forze. Essa conferma intanto la dichiarazione fatta a Ginevra nell'aprile 1927 secondo cui l'Italia è disposta a notificare caso per caso, e sei mesi prima dell'impostazione sullo scalo, le caratteristiche dello scafo e quelle dell'armamento principale di ogni nave da guerra che intenda mettere in costruzione, sempre che le altre Potenze si dichiarino disposte ad assumere uguale impegno.

Per quanto riguarda in particolare i sottomarini, la Delegazione italiana rinnova la dichiarazione già fatta e cioè che l'Italia non è contraria in massima alla loro abolizione ove si giunga ad una riduzione radicale di tutti gli armamenti navali e all'abolizione delle grandi navi da battaglia. La Delegazione italiana confida che in ogni caso il tonnellaggio dei sottomarini possa venire limitato.

Nella tabella seguente essa indica la situazione attuale delle Potenze europee per quanto concerne il naviglio non limitato dal trattato di Washington. In tale tabella sono considerate le navi in costruzione e quelle attualmente in servizio che non hanno oltrepassato i limiti di età convenuti: 20 anni per gli incrociatori, 16 per i caccia-torpediniere, 13 per i sommergibili.

Incrociatori armati con cannoni da 203 m-m.

Gran Bretagna N. tonn. N. Francia tonn. N. Italia tonn. In servizio 11 110.000 3 30.000 2 20.000 In costruzione 4 36.800 3 30.000 4 40.000

ToTALE 15 146.800 6 60.000 6 60.000

Altri incrociatori armati con cannoni di calibro superiore a 155 m-m. Gran Bretagna Francia Italia

N. tonn. N. tonn. N. tonn. In servizio 4 39.426 l 13.830 2 20.940

Incrociatori armati con cannoni di calibro uguale o inferiore a 155 m-m. Gran Bretagna Francia Italia

N. tonn. N. tonn. N. tonn.

In servizio 39 177.685 7 41.870 7 28.900 In costruzione

6 29.604 ToTALE 39 177.685 7 41.870 13 58.504

31-Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Conduttori di flottiglia e cacciatorpediniere.

Gran Bretagna Francia Italia

N. tonn. N. tonn. N. t o nn.

In servizio 150 157.585 60 70.738 78 73.814 In costruzione 20 26.786 21 44.867 11 14.588

TOTALE 170 184.371 81 115.605 89 88.402

TOTALE GENERALE DEL NAVIGLIO LEGGERO DI SUPERFICIE.

Gran Bretagna Francia Italia

N. t o nn. N. tonn. N. tonn.

In servizio e in costruzione 228 548.282 95 231.305 110 227.846

SoMMERGIBILI.

Gran Bretagna Francia Italia

N. t o nn. N. tonn. N. tonn.

In servizio 53 45.534 44 31.984 43 27.263 In costruzione 10 14.750 47 49.783 14 9.825

ToTALE 63 60.284 91 81.767 57 37.088

(l) E prima ed. in Documents of the London Naval Conference, 1930, pp. 527 sgg. e, con data errata 9 febbraio, in D. GRANDI, op. cit., pp. 144-150.

(l) Cfr. Serie VII, vol. VII, n. 22, p. 21.

377

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 509/372. Berlino, 19 febbraio 1930.

Mi onoro di trasmettere a V. E. copia di un rapporto, direttomi dall'Addetto Stampa Marchese Antinori, circa una conversazione da lui avuta con il deputato hitleriano, signor Goering.

ALLEGATO.

ANTINORI AD ORSINI BARONI

18 febbraio 1930.

Ho l'onore di riferire che ieri si è recato da me, dopo essersi annunziato telefonicamente, il Deputato nazionalsocialista (Hitleriano) Goering, ex-capitano aviatore e successore di Richthofen nel comando della celebre squadriglia da combattimento.

Lo scopo principale della sua visita era quello di parlarmi del noto processo per diffamazione intentato davanti al Tribunale di Monaco da Hitler contro l'ex deputato • voelkische • von Graefe e C. che lo avevano accusato durante la campagna elettorale di avere avuto denari dal Governo italiano in cambio di una • rinunzia • dei nazionalsocialisti all'Alto Adige. Il processo fu vinto in prima istanza da Hitler ed è ora in sede di appello; sarebbe senz'altro finito come la prima volta, senonchè all'ultimo momento si è presentato come teste a difesa un certo Abel, più volte condannato per truffe, spaccio di biglietti falsi etc., il quale ha affermato di essere stato presente ad una riunione dei nazionalsocialisti alla vigilia del putsch del Novembre 1923, alla quale era presente anche il Capitano Migliorati deH'Ambasciata d'Italia, il quale in tale occasione avrebbe consegnato ad Hitler la somma di

60.000 lire-oro, contro la firma di una dichiarazione colla quale i nazionalsocialisti si sarebbero impegnati a rinunziare a qualsiasi attività in favore dell'Alto Adige. Inoltre negli anni successivi, durante i quali il Goering era in Italia, lo stesso Migliorati gli avrebbe fornito altri importanti sussidii di fonte italiana contro la stessa dichiarazione di rinunzia (1).

Le dichiarazioni dell'Abel hanno provocato l'interruzione. del processo che è stato aggiornato e sarà ripreso fra qualche settimana.

Il Goering esclude nel modo più assoluto che le dichiarazioni dell'Abel corrispondano alla verità e fra l'altro nega di avere mai visto o conosciuto in Germania od in Italia un Migliorati, che risulta sconosciuto anche fra gli altri maggiorenti nazionalsocialisti. Questi smentiscono nei loro giornali e nei loro discorsi le affermazioni dell'Abel, che però sono sfruttate dagli avversari i quali interpretano il silenzio delle Autorità italiane come una conferma della deposizione Abel e come un tacito riconoscimento di avere realmente finanziato il movimento hitleriano. Il Goering mi faceva pertanto presente l'opportunità che la R. Ambasciata si fosse espressa per lo meno nel senso di dire che il Migliorati non fa parte di essa, tanto più che il difensore dei Graefe e C. ha detto che il Migliorati non può essere citato essendo protetto dall'immunità diplomatica (?).

Il Goering mi ha poi parlato degli straordinari progressi che va facendo il movimento nazionalsocialista in tutta la Germania e specialmente nei paesi agricoli del nord-est, dove gradatamente va accaparrandosi tutte le masse che prima formavano un feudo dei tedesco-nazionali. Tuttavia anche nei paesi industriali dell'ovest il movimento è floridissimo e a danno dei socialdemocratici e del centro.

Ad una mia analoga domanda ha risposto che i nazionalsocialisti non pensano affatto a formare delle organizzazioni sindacali proprie da contrapporre a quelle socialiste e che sarebbero condannate ad un sicuro insuccesso, dato che gli Uffici del Lavoro e tutto l'apparato amministrativo sono nelle mani dei socialdemocratici. Tutto il lavoro è, invece diretto attualmente alla penetrazione nelle organizzazioni già esistenti effettuata colla formazione di cellule, sul tipo di quelle comuniste. Questo lavoro dà buoni frutti e già in alcuni Consigli di Fabbrica, per es. alla Siemens, i nazionalsocialisti hanno la maggioranza.

Anche la situazione parlamentare si svolge a favore dei nazionalsocialisti i quali come hanno dimostrato le ultime elezioni parziali, avrebbero tutto da guadagnare da uno scioglimento del Reichstag, il quale secondo Goering sarebbe inevitabile a breve scadenza anche se, come è più che certo, H'indenburg sanzionerà il Patto Young. Il Goering ritiene infatti che i socialdemocratici dopo l'approvazione di questo, faranno di tutto per uscire dal Governo e sottrarsi così alla responsabilità ed alle conseguenze del Piano ineseguibile. Qualora vi riescano la crisi non sarebbe risolvibile che collo scioglimento del Reichstag, dato che la Destra è troppo impegnata dalla campagna fatta contro il Piano Young per poter più collaborare coi partiti che lo hanno appoggiato. Dalle elezioni generali i nazionalsocialisti si ripromettono almeno 40 mandati, e probabilmente dai 50 ai 60

(in luogo di 12 che hanno ora). Ciò li metterebbe probabilmente in grado e finchè vige il sistema proporzionale, di imporre le loro condizioni, come già sono riusciti a fare in Turingia e come sperano che riesca loro quanto prima in Sassonia, dove è imminente lo scioglimento della Dieta.

(l) Sull'episodio cfr., A. CAsSELS, MussoUni's Early Diplomacy, cit., pp. 170-172.

378

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 20 febbraio 1930.

La Direzione Generale Europa Levante ed Africa ha l'onore di trasmettere all'E. V. un rapporto del R. Console Generale a Monaco di Baviera sul patto d'amicizia itala-austriaco e le sue ripercussioni in Baviera (1).

Un passaggio dell'interessante rapporto (pag. 3) merita la particolare attenzione di V. E. ed è quello relativo al Nunzio Apostolico a Monaco di Baviera Monsignor Vassallo di Torregrossa, delle cui attività antitalìane ebbe già ad occuparsi il predecessore del Conte Capasso.

La Direzione Generale Europa Levante ed Africa si onora di sottomettere all'alto apprezzamento di V. E. la convenienza di mettere al corrente S. E. il

R. Ambasciatore Conte de Vecchi dì Val Cismon della delicata questione della Nunziatura di Monaco, affidata ora ad un prelato della più bell'acqua sturziana e antifascista, ed in genere del problema più vasto dell'attività antitaliana del clero altoatesino, tirolese e bavarese (2).

379

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 696/384. Vienna, 20 febbmio 1930.

Il conte Klebelsberg, che è venuto a visitare il suo collega austriaco ed ha avuto accoglienze straordinariamente cordiali da queste autorità, ha tenuto ieri una conferenza alla quale ho voluto intervenire benchè il Corpo Diplomatico non fosse stato invitato e nessuno quindi dei miei colleghi fosse presente. Il ministro ungherese me ne s'è mostrato assai grato ed è venuto oggi in Legazione a ringraziarmi.

Mi ha detto credeva potessero interessarmi le sue impressioni tratte dai

colloqui che egli aveva qui finora avuti. È convinto che Schober, il quale gli ha

parlato con entusiasmo del suo viaggio in Italia, ed il ministro della guerra

Vaugoin, ci siano davvero amici e si propongano fare una politica d'intesa col

l'Italia e coll'Ungheria; mentre il segretario generale Peter gli è parso deside

roso di evitare che il suo Paese si allontani da alcuni Stati e si avvicini ad altri,

e di ottenere che esso abbia gli stessi amichevoli rapporti con tutti.

Gli ho detto che concordavo colla sua opinione così circa Schober come

circa Vaugoin. Conoscevo da molti anni l'attuale Cancelliere e le sue idee, e

potevo confermargli che le sue simpatie si volgevano tanto all'Italia quanto all'Ungheria. Lo stesso potevo ripetergli circa Vaugoin, il quale già nel mio primo colloquio politico con lui, nel maggio scorso, mi aveva recisamente affermato che l'Austria doveva nella sua politica appoggiarsi ai nostri due Paesi. Mi proponevo ora lavorare affinchè il nostro avvicinamento si accrescesse e si fortificasse, ed intendevo valermi in special modo appunto di quei due uomini politici. La necessità di nostri intimi rapporti col ministero austriaco dell'esercito e con il suo capo mi appariva anche da un altro punto di vista. Io non prestavo fede alle voci di prossima caduta di Schober. Ma, pur non desiderandola affatto, non osavo escluderne in modo assoluto la possibilità prima delle nuove elezioni. Seipel non ha straordinarie simpatie per Schober e non ne desidera la lunga permanenza al potere. Soprattutto non credo desideri sia ancora a capo del ministero quando avverranno tali elezioni, le quali, se non in autunno, come sembra più probabile, devono al più tardi, secondo la costituzione, aver luogo nella primavera del prossimo anno. Schober è funzionario, senza un proprio partito in Parlamento, e poco gli importerebbe che le nuove elezioni, purchè non diminuissero la maggioranza borghese, avvantaggiassero gli agrari a danno dei cristiano-sociali ai quali quelli cercano togliere i voti dei contadini. Ma Seipel, capo dei cristiano-sociali, vede la cosa altrimenti, e non potrebbe lasciare con indifferenza diminuire il proprio partito a vantaggio dell'altro concorrente; i pangermanisti sono il gruppo meno numeroso della maggioranza, e si suppone usciranno ancor più diminuiti dalle nuove elezioni. Ora, in previsione di una più o meno lontana crisi, dalla quale non potrebbe derivare che un ministero con a capo Seipel, o qualcuno dei suoi partigiani più noti, è utile all'Italia, come anche all'Ungheria, mantenere intime relazioni con Vaugoin. Questi è da molti anni ministro dell'esercito, che egli ha nettato dai socialisti e dal quale è assai apprezzato ed amato. Cristiano-sociale, è stato collaboratore di Seipel nei vari ministeri presieduti da questo o da qualcuno dei suoi partigiani. In un nuovo ministero Seipel egli rimarrebbe nel posto che occupa ora e ci servirebbe quindi a confermarci una garanzia di continuazione della politica italofila iniziata da Schober e della quale Vaugoin è convinto assertore. Del resto un possibile nuovo ministero Seipel, che pure io non desideravo, non mi spaventava. Seipel vorrebbe :fare una politica anche più di destra, e non potrebbe quindi appoggiarsi che a noi ed all'Ungheria (mio rapporto n. 44) (1).

Quanto a Peter, vecchio console e studioso di diritto internazionale, ammettevo anche io che guardasse la situazione piuttosto colla freddezza del giurista che colla passione del politico. Per di più, ormai già innanzi negli anni e minacciato di essere mandato in pensione, preferiva, per naturale amore del quieto vivere e per timore di possibili reazioni a sue troppo decise simpatie, non impegnarsi in politiche troppo accentuate. Ma, oltre alla certezza della più

o meno vicina fine della sua carriera, non lo consideravo nostro nemico nè lo credevo troppo temibile.

Klebelsberg mi ha poi parlato del prossimo viaggio di Schober a Berlmo ed ha osservato che il momento non era opportuno: il gabinetto tedesco è ancora troppo impregnato dello spirito di Stresemann e per di più le sue tendenze

socialiste si sono accentuate in questi ultimi tempi, cosicchè non è da credere che il Cancelliere austriaco possa trovarvi incoraggiamenti nella sua politica verso due Paesi cogli ordinamenti politici dell'Italia e dell'Ungheria. Gli ho risposto che anche in questo consentivo con lui. Ma non credevo che, rimandando di qualche mese il suo viaggio a Berlino, Schober vi avrebbe trovato una situazione diversa dalla attuale; nè d'altra parte poteva farne a meno. Il viaggio del Cancelliere ha uno scopo più che di politica estera di politica interna, quello cioè di soddisfare gli Austriaci germanofili e di avere fatto ottenere il loro consenso al viaggio a Roma, che, senza il conseguente viaggio a Berlino, avrebbe suscitato opposizioni le quali, benchè non decisive, ne avrebbero diminuito il significato. D'altra parte Schober non è annessionista, e quello che in Berlino gli fosse detto non potrebbe avere decisivo influsso sulla sua futura politica estera.

Dopodichè ho intrattenuto il conte Klebelsberg sulla situazione interna austriaca, specie in rapporto agli avvenimenti svoltisi qui dal luglio ad oggi, ed egli si è mostrato interessato e riconoscente per quanto gli avevo esposto.

(l) -Cfr. n. 359. (2) -Annotazione marginale di Grandi: « A S. E. il Capo del Governo ». Il documento ha inoltre un'altra annotazione marginale, fatta da Guariglia il 7 marzo 1930 dopo che il documento era stato visto da Mussolini: «Atti per ora ». Ma in pari data Fani, d'ordine di Mussolini, incaricò della questione De Vecchi, che ne parlò a Gasparri.

(l) Cfr. n. 300.

380

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

TELESPR. RR. 205602/28. Roma, 21 febbraio 1930.

Accludo a V. E. copia di un interessante ed importante rapporto testè pervenuto dal R. Consolato Generale a Zagabria (l) a seguito di precedenti già comunicati all'E. V. e l'ultimo con telespresso di questo Ministero n. 204319/23 dell'l 1 corrente circa l'acuto dissidio che permane fra il Clero cattolico jugoslavo, in ispecial modo croato, ed il Governo di Belgrado.

È evidente che la posizione assunta, in questa circostanza, dall'Arcivescovo di Zagabria, Monsignor Bauer, sia seguita con ansia in Jugoslavia, particolarmente dai cattolici della Croazia, che, dopo aver visto ridurre all'impotenza per

«L'Arcivescovo è stato chiamato a Belgrado in udienza dal Ministro del culto, dott. Srskié, il quale pretese che egli facesse una pubblica ed ampia dichiarazione di lealtà alla Dinastia Karagiorgevié e di adesione al regime di Belgrado, facendo specialmente risaltare, che Egli non sta assolutamente sotto l'influenza di nessuna Potenza estera.

L'Arcivescovo rifiutò recisamente e con sdegno la richiesta, il cui adempimento -egli disse -lo renderebbe fedifrago verso il Pontefice.

Tornato a Zagabria, Mons. Bauer ha fatto segretamente sapere ad uno dei capi dell'opposizione croata, che il Clero lo segue compatto, ad eccezione di Mons. Aksamovié, Vescovo di Giacovo, successore di Strossmayer in quel seggio vescovile, il quale però -per ora almeno si mantiene riservato....

Il contegno su riferito dell'Episcopato cattolico è di grandissimo interesse.

In questo momento, in cui i dirigenti dell'opposizione croata si trovano all'estero o in carcere, la recente questione religiosa mette il clero ed il partito cattolico nella prima linea dell'opposizione.

L'atteggiamento quindi che la Santa Sede assumerà in tale questione, avrà conseguenze importantissime di carattere politico nei riguardi dell'opposizione croata, la quale sarà rinvigorita dal vivo malcontento dei cattolici per lo scioglimento delle associazioni cattoliche e per la legge sull'istruzione elementare che permette anche ai laici l'insegnamento della religione cattolica, ciò che è contrario al principio della "missio canonica ", ,secondo il quale solo i preti possono impartire l'insegnamento religioso"·

Sul contrasto fra il clero cattolico e il Governo di Belgrado cfr. anche il successivo

R. rr. 917 di Rochira del 13 marzo 1930, che non si pubblica.

opera del Regime attuale di Belgrado, i loro capi politici, uccisi o imprigionati

o fuggiaschi, accentrano le loro speranze di difesa, contro un violento assorbi

mento da parte dei serbi ortodossi, nell'azione dei loro Capi religiosi. L'E. V. comprenderà, ciò stante, come la questione sia seguita anche dal

R. Governo con specialissimo interesse e come potrebbe tornare utile che l'E. V. trovasse modo, colla necessaria prudenza che esige la particolarissima delicatezza dell'argomento, di indagare riservatamente quale sia il pensiero della Segreteria di Stato sopra una situazione così importante per la futura azione della Santa Sede in Jugoslavia e sulla quale una manifestazione nel presente momento può avere conseguenze, per vari riguardi, di molto rilievo.

Questo Ministero gradirà essere informato, a suo tempo, di quanto l'E. V. avesse potuto fare in proposito.

(l) Si tratta del t. posta rr. 41 dell'l! febbraio 1930, relativo all'atteggiamento dell'arcivescovo di Zagabria, del quale si pubblicano i passi seguenti:

381

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 681/375. Vienna, 21 febbraio 1930.

Mio teleposta n. 328 del 14 febbraio u.s.

Nel suo viaggio di ritorno a Vienna il corrispondente del Popolo d'Italia Morreale è stato ricevuto dal Capitano provinciale del Tirolo dott. Stumpf, il quale, dimenticando le manifestazioni italofobe finora fatte in pubblico, ha avuto parole di soddisfazione per l'avvicinamento austro-italiano ed ha anche sostenuto l'opportunità di seguire una politica più realistica, la quale abbandonando le vecchie posizioni del tradizionalismo pangermanista cerchi appoggi validi ed amichevoli tra quei popoli che hanno con quello tedesco comunanza di interessi e quindi anche l'Italia. Data l'alta carica che lo Stumpf ricopre in Tirolo, il Morreale ha creduto opportuno trasformare la conversazione che, a quanto si era prestabilito, avrebbe dovuto avere carattere privato, in una intervista (1), allo scopo di legare a nostro vantaggio, per quanto sia possibile, la futura azione del primo magistrato del Tirolo, ed il testo di essa gli è stato restituito con una lettera di consenso scritta in termini molto cordiali, tale da far capire che lo Stumpf ci tiene a non avere in Italia una cattiva stampa.

382

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 702/389. Vienna, 21 febbraio 1930.

Ho dato istruzioni a questo R. Addetto Militare, che ha le simpatie di tutti i Generali del Ministero Austriaco dell'Esercito, e dello stesso Vaugoin, di dichiarare che, secondo le direttive di S. E. il Capo del Governo, qualunque loro richiesta sarà esaminata con la maggiore benevolenza e con il vivo desiderio di

soddisfarla, subordinatamente alle condizioni di tempo e modo da convenirsi di comune accordo dai tecnici dei due Stati (1).

Ho spiegato al Colonnello Fabbri come occorra in maniera speciale, indipendentemente dalle esecuzioni, destare fin da ora in quel Ministero l'intimo convincimento che sarà da noi fatto tutto quanto è possibile per provvedere ai suoi bisogni. Conviene attrarre il Ministero dell'Esercito con la speranza dell'utilità, oltre che con il senso della gratitudine, e vincolarlo a noi in modo da rendergli difficile svincolarsi in seguito per qualsiasi, benchè improbabile eventualità.

L'Addetto Militare mi ha comunicato che i risultati della visita di Schober sono stati accolti in quel Dicastero con la più grande letizia, della quale i vari Generali e lo stesso Vaugoin, gli hanno dato chiara e viva testimonianza.

(l) Pubblicata sul Popolo d'Italia del 21 febbraio.

383

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A ADDIS ABEBA, CORA

TELESPR. S. 205689/14. Roma, 22 febbraio 1930.

Mi riferisco al Suo telegramma n. 10 del 23 gennaio u.s. relativamente al convegno dei tecnici per risolvere la questione dei lavori dello sbarramento del Lago Tsana, e col quale la S. V. ha risposto al mio telegramma di istruzioni n. 8 17 gennaio scorso (2).

In merito alle considerazioni svolte dalla S. V. per dimostrare l'inutilità e l'inopportunità di una nostra partecipazione a tale convegno, e che l'hanno indotta a non conformarsi alle istruzioni all'uopo ricevute, osservo:

l) l'obiezione che V. S. ritiene a priori che codesto Ministro d'Inghilterra avrebbe sollevata, di non poter cioè autorizzare la presenza della S. V. al convegno senza precise istruzioni del suo Governo, poteva anche verificarsi, ma dalla risposta del Suo collega d'Inghilterra questo Ministero avrebbe giudicato della convenienza o meno di un nostro passo presso il Foreign Office;

2) questo Ministero non dubitava che la S. V. -come per il passato -sarebbe stata in grado di seguire da presso anche questa nuova fase, che può essere risolutiva, dell'importante questione, informandone tempestivamente ed in modo preciso il R. Governo. Ma non trattavasi, nella specie, di assicurarci un servizio di informazioni più complete, bensì di cercare di effettuare il nostro diritto di controllare l'applicazione di un accordo esistente fra l'Italia e la Gran Bretagna e particolarmente di garantire l'esecuzione dell'accordo stesso. Che se il Governo britannico non avesse accolta la nostra domanda, avremmo potuto eventualmente acquistare una maggiore libertà d'azione nei riguardi del mantenimento dei nostri impegni con l'Inghilterra;

3) non condivido poi il pensiero della S. V., che una nostra richiesta al Governo Etiopico, di partecipare ai lavori, ci avrebbe di colpo ricondotti alla situazione del 1925-26, ridestando i sospetti del Negus circa la portata dello scambio di note 14-20 dicembre 1925. Col mio telegramma del 17 gennaio Le facevo presente che tale richiesta doveva andar fatta • in relazione all'impegno assunto nello scambio di note itala-inglese (ultima parte) che "il progetto dei lavori di sbarramento debba essere concretato ed eseguito in modo tale da dare un adeguato so d disfacimento ai bisogni economici delle popolazioni locali " •. Inspirata a tali motivi, la nostra richiesta avanzata con la dovuta prudenza presso il Negus, non mi sembra avrebbe potuto dargli adito a nuovi sospetti circa le nostre intenzioni, che anzi essa doveva apparire (quale era) rispondente ad un interesse etiopico nella questione: interesse di cui, col nostro intervento nelle trattative, noi venivamo a costituirci in certo modo garanti.

Ad ogni modo anche un eventuale rifiuto del Negus avrebbe potuto presentare per noi qualche utilità di manovra nella successiva nostra azione diplomatica.

Queste sono le ragioni su cui si basavano le istruzioni contenute nel mio telegramma del 17 gennaio scorso. Data la loro delicatezza non ho potuto indicarie per telegramma a V. E. in risposta al suo del 23 stesso mese, tanto più che la mia risposta, anche telegrafica, rischiava di giungerle troppo tardi.

Non posso però non esprimerle il mio rincrescimento per il fatto che la mancata esecuzione delle istruzioni impartite a V. S. ci abbia tolto la possibilità di esercitare quell'eventuale azione diplomatica che questo Ministero avrebbe potuto ritenere utile in base a considerazioni ed elementi che è nella sua esclusiva competenza di valutare.

(l) -Cfr. n. 347. Analoga comunicazione Auriti fece a Schober (t. rr. 698/386, pari data). (2) -Col t. rr. 77/8 il Ministero aveva dato istruzione a Cora che l'Italia partecipasse ad un convegno di tecnici da tenersi in Addis Abeba in relazione ai progettati lavori di sbarramento del lago Tana. Col t. rr. 253/10 Cora rispose di aver ritenuto opportuno non eseguire tali istruzioni, fra l'altro perchè « una nostra richiesta al Governo etiopico partecipare trattative comprometterebbe sicuramente risultati raggiunti nell'ultimo anno e ci ricondurrebbe di colpo alla situazione del 1925-26 »,
384

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, [22 febbraio 1930].

Il R. Ministero degli Affari Esteri (Dir. Gen. E.L.) si onora di compiegare a V. E. un telegramma ed un rapporto del R. Ambasciatore in Berlino (l) nonchè un rapporto del R. Console Generale in Monaco di Baviera, relativi ad una accusa mossa in pubblico processo contro il noto organizzatore nazionalista tedesco Hitler, di aver accettato nel 1923 degli aiuti pecuniari ingenti dal Governo italiano, per il tramite di tal Capitano Migliorati, contro una dichiarazione di disinteressamento di Hitler e del partito Hitleriano alla questione alto-atesina. Il R. Ambasciatore in Berlino, anche ad istanza di un membro influente del partito Hitleriano solleciterebbe una categorica smentita da parte del R. Governo.

Nulla risulta al R. Ministero degli Affari Esteri circa l'intesa cui accennasi,

e tanto meno circa la personalità e la presunta attività del Capitano Migliorati,

che però escludesi abbia mai fatto parte a un qualsiasi titolo delle nostre Rap

presentanze Diplomatiche o Consolari in Germania (come si afferma dai detrattori di Hitler).

Subordinatamente all'accertamento di tali elementi di fatto, che il R. Ministero degli Affari Esteri non è in grado di chiarire, il R. Ministero predetto esprime tuttavia parere contrario a una smentita, che verrebbe senza dubbio a sottolineare in modo singolare la gravità dell'accusa mossa contro Hitler.

Il R. Ministero degli Affari Esteri rimane peraltro in attesa degli ordini che S. E. il Capo del Governo vorrà fargli tenere al riguardo (1).

(l) Cfr. n. 377.

385

IL MINISTRO A ADDIS ABEBA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 284/19. Addis Abeba, 23 febbraio 1930.

Telespresso di V. E. n. 200690/3 E.L.A. 4, del 10 gennaio u.s. Ringrazio per l'interessante comunicazione in merito alla quale mi permetto le seguenti osservazioni, in via strettamente riservata.

È vero purtroppo ciò che si dice al punto 3 del notiziario politico del commissario dell'altipiano eritreo. Una delle principali cause di tale disaffezione è certamente da ricercarsi nei sistemi di istruzione e nella propaganda nefasta a noi ed alle nazioni europee colonizzatrici in genere delle varie missioni svedesi. È una delle cause più importanti, ma non la sola.

In questi ultimi anni ritengo -e ciò ebbi già a segnalare a voce a codesto Ministero nell'ottobre del 1928 -che vi abbia anche molto contribuito il timore diffusosi in Colonia ed oltre confine di una riforma terriera che avrebbe tolto le terre dell'altipiano ai loro attuali possessori (nella quasi totalità indigeni) per darle a coloni italiani. È noto come l'indigeno sia disperatamente attaccato alla sua terra: posso assicurare che l'allarme è stato vasto e profondo. In Tigrai si diceva: • Perchè guardare verso l'Italia per farci poi togliere le terre? ». A ciò si aggiunga l'altra voce sparsasi di una maggiore severità di trattamento da usarsi in Eritrea verso l'elemento indigeno e si comprenderà come la fantasia indigena abbia potuto spargere le voci più assurde ma pericolose (si è parlato perfino di conflitti), giunte fino in Addis Abeba, dove vi è un notevole nucleo di fuorusciti eritrei, in gran parte appunto provenienti dalle missioni svedesi.

Negli ambienti dei fuorusciti ha fatto recentemente ottima impressione l'amnistia concessa dal Governatore dell'Eritrea in occasione del matrimonio di S. A. R. il Principe Ereditario, agli sconfinati non colpiti da condanne per reati comuni. Il commento al riguardo da parte di molti di loro che giornalmente convengono al nostro Ufficio telegrafico dove sono affissi i comunicati,

Già con precedente t. (p.r.) 1148 del 31 gennaio Fani aveva comunicato .a Monaco di Baviera l'inopportunità di una smentita. « È evidente infatti che codesto Ufficio ove interpellatosulla questione non potrebbe mai rilasciare che una dichiarazione in senso negativo, anche se degli aiuti fossero stati dati (il che effettivamente non è)».

pur esprimendo la loro soddisfazione, era il seguente come conclusione: « sì, ma qui ed a Gibuti possiamo andare al cinema coi bianchi ed in Eritrea no •. Grandi ragazzi sempre, questi indigeni.

I giovani etiopici e tigrini (questi in genere assai più intelligenti) che hanno ricevuto la loro istruzione alle missioni svedesi o evangeliche, sia in Eritrea che in Etiopia, riescono quasi tutti dei tipici semi-civilizzati, presuntuosi, antipatici, nazionalisti e xenofobi. Il che non è un bene nemmeno per l'Etiopia: gli al:>issini, con tutti i loro difetti e pur amando la loro patria, non hanno mai avuto sentimenti ostili per i bianchi ed anzi un gran rispetto per gli stranieri. Ciò ha indubbiamente servito loro, mentre i sentimenti di questi giovani etiopici non potranno che recar danno -e grave danno --al loro paese e nuocere alle buone relazioni coi Governi esteri, quando costoro si troveranno ad occupare posti di responsabilità politica. Nessuno tollererà la loro presuntuosa insufficienza.

Citerò al riguardo un caso personale, l'unico che mi sia capitato in tanti anni d'Etiopia. Una mattina dello scorso anno, mentre mi trovavo in scuderia, fui. aggredito da un giovane abissino vestito all'europea al quale non avevo fatto attenzione, scambiandolo per uno dei giovani che a quell'epoca venivano spesso in Legazione dovendosi recare a scuola in Italia. Costui si lanciava verso di me gridando: • Allez vous en! Vous étes ici pour voler mon pays et notre liberté! • e frasi del genere, immediatamente interrotte, perchè atterrato, percosso e legato dai miei ascari presenti.

Non detti importanza alla cosa trattandosi forse di un mattoide esaltato. Infatti quando il ff. di Ministro degli Esteri mi presentò le scuse del Governo mi disse che quel giovane era fuggito dall'ospedale americano dove era in osservazione perchè esaltato. Comunque una esaltazione nazionalista.

Venni così a conoscere che il giovane era per l'appunto il fratello di quel Chidanemariam, Reggente del Consolato Etiopico di Asmara, di cui al precitato notiziario del Commissario dell'Altipiano e, come lui, allievo delle Missioni evangeliche. Anzi, in quella occasione, il Chidanemariam venne nel mio ufficio a prosternarsi umilmente secondo l'uso abissino per chiedermi il perdono del fratello. Anche il Chidanemariam (che parla perfettamente l'italiano) è un ragazzaccio e va trattato come tale, senza dare alcuna importanza a ciò che dice. Purtroppo, in Asmara, essendo rimasto varie volte reggente per le malattie o le assenze del titolare, ora sostituito, si è montato la testa.

In conclusione la mia personale e subordinata opinione è che sarebbe un grande errore ed un pericolo abbandonare quella « politica indigena • che ha dato fino a questi ultimi anni in Eritrea ottimi frutti, assicurandoci la fedeltà di quelle popolazioni e la simpatia di quelle oltre confine che hanno versato e versano copiosamente il loro sangue per la grandezza d'Italia.

Soprattutto insisto sul pericolo di toccare la terra e sugli inconvenienti che derivano dall'invio in Eritrea di giovanissimi funzionari o del loro continuo cambìamento che rende perplessa od indifferente la popolazione.

Mi sia permesso infine di esprimere l'augurio che si trovi modo di espellere dall'Eritrea tutte le missioni evangeliste, come fu fatto in passato per quelle lazzariste, e porre così fine alla loro subdola e nefasta azione.

Circa la questione terriera eritrea mi consenta l'E. V. di ricordare questo aneddoto fra Menelik e S. E. Martini, all'epoca del suo viaggio in Addis Abeba nel 1906. In una delle loro numerose conversazioni, Menelik tenne a Martini presso a poco questo discorso: • ora siamo in pace e speriamo che sempre sia così: ma la gente che ora è passata sotto di voi, fino a poco tempo fa era mia e quindi voi dovete perdonare se io m'interesso ancora di questi miei figli e se ve li raccomando. Scusatemi quindi se mi permetto di consigliarvi di non togliere loro la terra perchè è l'offesa più grande, incancellabile che loro si possa fare. È terra povera, misera che se fa vivere questa gente non può far vivere dei bianchi: non vale la spesa, vi è sproporzione tra il male che si reca ed il beneficio che si vuol fare ». E Martini disse poi ad uno dei suoi: • Da un Sovrano selvaggio debbo sentirmi dire certe verità! ». E così è anche oggi e sarebbe grave imprudenza il dimenticarlo (1).

30 giugno 1930, del quale si pubblicano i passi seguenti:«Risulta dunque, che negli anni dal 1921 al 1928 (1° semestre) sono sconfinati dall'Eritrea

N. 100 individui (che saranno probabilmente di più; ma del di più faccio grazia ai miei illustri predecessori in questo Governo!). Ciò significa che, in quel periodo, gli sconfinamenti si verificavano a una media di 13,3 per anno.

Nell'ultimo biennio (dal 1° luglio 1928 a tutt'oggi) sono sconfinati dall'Eritrea n. 11 individui (indicati nominativamente nella seconda tabella) ciò significa che, in questi ultimi tempi, gli sconfinamenti si sono verificati a una media di 5,5 per anno....

« Mi limiterò a constatare che, se la maggiore o minore eccellenza di una politica indigena debba, secondo la teoria del Comm. Cora, essere giudicata alla stregua del minore o maggior numero di "fuorusciti" la politica da me adottata si addimostrerebbe migliore di quella che il Comm. Cora definisce: " che ha dato fino a questi ultimi anni in Eritrea ottimi frutti, assicurandoci la fedeltà di quelle popolazioni e la simpatia di quelle oltre confine che hanno versato e versano copiosamente il loro sangue per la grandezza d'Italia"....

« Anche quella del cinematografo, è una boutad.e di un certo effetto ma ha un piccolo inconveniente dL. .. non rispondere a verità. Infatti, io non ho trovato alcunchè da mutare nel regime deL... cinematografi che preesisteva in questa colonia. E le cose stanno così: che gliindigeni possono sempre e liberamente frequentare il cinema-teatro (che sarebbe il cinematografo dei bianchi) precisamente come ad Addis Abeba e come a Gibuti; ma soltanto debbono prendere un palco separato, oppure salire alla seconda galleria. Nulla ho creduto di mutare a questa disposizione, che ho trovato logicissima, dal punto di vista dell'igiene e anche da quello.... dell'olfatto.

Ma le differenze sostanziali che, attraverso la prosa togata del R. Ministro, credo di aver compreso che egli abbia creduto rilevare tra l'" attuale" e la"precedente" politica indigena

dell'Eritrea, sarebbero due: la minaccia di una "riforma terriera" nella colonia; la minaccia

di una "maggiore severità di trattamento " da usarsi in Eritrea verso gli indigeni.

Quanto alla prima, della quale il Comm. Cora afferma che " il timore se ne è diffuso in colonia ed oltre confine" -e di questo poi non si capisce proprio il perchè. visto che la vagheggiata "riforma terriera" non avrebbe mai minacciato le terre del Tigrai, nè tanto meno quelle del Goggiam o dello Scioa!... -, quanto a questa "riforma terriera ", la E. V. ben sa che anche in questa materia, come non di rado ci accade, noi non abbiamo fatto che della "Accademia"; e sa altresì che di farla abbiamo avuto l'idea quasi contemporanea il superioreDicastero (telegramma circolare ministeriale n. 208 del 12 gennaio 1929) ed io (mio decreto

n. 4656 del 4 gennaio 1929).

Ma disgraziatamente, come dicevo, quell'idea è rimasta, per la tradizionale mancanza di mezzi, allo stato... speculativo ed augurale! e sta di fatto che, in quest'ultimo biennio, non un pollice quadrato di terra eritrea, nè indigeno nè demaniale, ha potuto essere concesso ad alcun nostro connazionale....

V. E. sa ancora che il modestissimo piano di colonizzazione di poche centinaia di ettari del mediopiano orientale eritreo -da me presentato al Superiore Dicastero da un anno ed arenatosi, suppongo, nelle insidiose secche della Finanza! -premetteva "il rispetto più assoluto alla proprietà terriera indigena " e concerneva una zona di bonifica " esclusivamente demaniale". Cosi posso assicurare la E. V. -ed Ella potrà, se creda, raccoglierne prove e conferme quante ne desideri -che le modeste parole e tutto il lavoro della famosa commissione agraria,da me nominata, non hanno destato in colonia alcun " panico " e non hanno avuto alcuna ripercussione.... se non forse nel timorato animo di qualche egregio antico funzionario di questo Governo, erede, forse inconsapevole, dei "sacri principi" della politica, cara al R. Ministro in Addis Abeba....

Sta di fatto che gli indigeni, anche i Capi dell'Eritrea non sono più stati ammessi a sedere come accadeva precedentemente, alla mensa governatoriale; che tutti i capi e notabili indigeni,nelle cerimonie ufficiali, nei ricevimenti, ecc., hanno sempre preso posto, contrariamente a quanto accadeva prima, dopo tutte le autorità e le rappresentanze della popolazione metropolitana. Queste disposizioni -a parte le considerazioni dell'igiene e dell'olfatto, valide persino per i ... cinematografi -sono state da me adottate e sempre seguite, senza dar luogo al minimo inconveniente, nell'intento di ricondurre le popolazioni indigene a quel "giusto senso del loro posto naturale", che esse potevano avere smarrito in conseguenza delle preesistenti diverse consuetudini ».

(l) Annotazione marginale: « Guariglia. Ambasciatore dica che il Governo Italiano non ha mai avuto rapporti con Hitler».

(l) Con riferimento a questo documento di Cora, Zoli inviò a De Bono il R. 272, Asmara

386

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ZOLI

L. P. Roma, 24 febbraio 1930.

Grazie della Sua lettera del 9 febbraio (1). Rispondo, come al solito, punto per punto.

l) Yemen -Congratulazioni per i pagamenti fatti dall'Imam. I talleri falsi sono il simbolo dell'inevitabile tara che occorre sopportare, passandola al conio perdite, negli affari economici ed anche politici cogli arabi. Ella lo sa megìio di me. Occorre però ora riprendere, per quanto possibile, l'attività delle ordinazioni e cercare di provocarne anche, se necessario, per materiali bellici. Avevo anch'io avuta una pessima impressione dei rapporti Ganora, e ne avevo parlato personalmente al Ministro De Bono. Sono lieto che Ella lo abbia fatto partire. Purtroppo è vero che questa dei nostri rappresentanti (sanitari e pseudo-industriali e commercianti) nello Yemen è una vera tragedia. In fondo su di essi grava la maggiore responsabilità anche delle nostre relazioni politiche con quell'ameno Paese. Se vi fosse stata della gente capace, specialmente in tempi passati, avremmo, come si suol dire, fatta la penetrazione in modo serio e du

raturo. E le cose non andranno bene finchè non troveremo le persone adatte sia per le speciali qualità che occorre possedere e sia soprattutto per la passione che bisogna portare in un'opera così difficile e paziente. Se Ganora, ad esempio, ha perduto la clientela yemenita, è tutta colpa sua, giacchè non ha saputo inspirare nè simpatia nè fiducia. Il peggio è che, in mancanza di altri rappresentanti autorizzati, ogni nostra azione politica si deve esplicare attraverso questa gente inetta anche ad esercitare la propria professione medica. Comprendo perfettamente le Sue preoccupazioni, poichè in realtà su di Lei grava la responsabilità della nostra politica yemenita, mentre Ella non trova gli agenti necessari ed indispensabili ad eseguirla. Io cerco di spingere sempre le Colonie ad inviarLe delle persone in gamba, ma la carestia di queste ultime è assai grande. Tutti chiacchierano, tutti bluffano, pochissimi lavorano con serietà, con abnegazione, con entusiasmo. Del resto non si può pretendere troppo dagli uomini, poichè Schiller diceva che chi possiede queste belle qualità è « figlio del Cielo». Ma credo opportuno approfittare di queste malinconiche constatazioni per attirare la Sua attenzione sulla convenienza di rimettere allo studio la possibilità di inviare nello Yemen un vero e proprio agente di collegamento politico fra l'Imam ed il Governo dell'Eritrea.

Lungi da me, caro Zoli, il desiderio di risollevare questioni passate, come lungi pure da me l'illusione di poter trovare anche in questo campo persona adatta e di poter vincere facilmente le resistenze dell'Imam. Non ho parlato nè parlerò di ciò col MinistTo delle Colonie, prima di essere d'accordo con Lei, poichè Ella deve essere l'unico a far proposte in tale argomento essendo l'unico a poter giudicare dei migliori mezzi di esecuzione di una politica di cui Le spetta

la direzione. Scopo soltanto di questa mia osservazione è di ricordarLe che se Ella vedesse al momento buono la possibilità pratica di risolvere in qualche modo la questione, io sarei pronto ad aiutarLa del mio meglio.

E il Suo viaggio a Sanaa? Questo mi sembra che converrebbe farlo fra non molto, specie se, come Ella giustamente prevede, i negoziati anglo-yemeniti non sorpasseranno certi limiti.

So bene che cosa sia la politica inglese in Oriente, che è in fondo politica da gran signori: bastonate e danari. Ma noi siamo dei parvenus in politica coloniale, dove per forza di cose le nostre patenti di nobiltà (?) sono di fresca data.

Dobbiamo quindi sopportare il peso dei nostri difetti, cercando di liberarcene a poco a poco.

Ma perchè questa specie di prevenzione che credo di vedere costì contro una discreta collaborazione coi russi? L'unica ragione per cui, malgrado la divergenza assoluta delle teorie sociali e politiche italiane e russe, noi cerchiamo di mantenere buoni rapporti con i Soviet, è appunto la possibilità di trarre profitto da quei punti di contatto (che un giorno .potranno essere assai importanti) dei nostri rispettivi interessi politici. In fondo i russi fanno nello Yemen del commercio e soltanto del commercio, per ora, giacchè non possono fare altro. Ed allora io credo che una collaborazione commerciale con loro ci sarebbe vantaggiosa nè nuocerebbe ai nostri scopi politici sia allo Yemen che altrove. Consideli, la prego, questa possibilità che presenta un grande interesse.

2) Ibn Saud -Completamente d'accordo sulla necessità di affrettare il riconoscimento. Ne ho riscritto proprio oggi alle Colonie. Ma non bisogna insistere troppo sui dettagli del Trattato di Commercio, come se si negoziasse con UJ?.O Stato Europeo. Lo faccia comprendere anche Lei alle Colonie dove mi sembra non si rendano abbastanza conto dell'interesse politico, specie per gli avvenimenti che si possono preparare dopo l'incontestabile rafforzamento del Re.

3) Basso Mar Rosso -Gli inglesi si sono svegliati, proprio giorni or sono, e richiamandosi alle conversazioni di Roma del 1927, ci hanno inviato una Nota per chiederci di dichiarare che il R. Governo considera West-Haycock e il resto del gruppo delle Hanisc come « covered • dalle suddette conversazioni, cioè che la questione della sovranità su dette isole rimane riservata. In particolare gli inglesi chiedono che la costruzione da parte nostra del faro a West-Haycock non possa costituire per noi una base di pretesa alla sovranità sull'isola.

Naturalmente non si potrà che rispondere affermativamente, ma gli inglesi tendono a fare una cosa sola del gruppo Hanisc e del West-Haycock ciò che anche geograficamente si può contestare. Cercherò quindi di inserire nella risposta qualche opportuna dichiarazione per dimostrare fin d'ora che avremmo delle ragioni di pretendere alla sovranità di West-Haycock, pur consentendo che la questione rimanga riservata, ciò che non danneggia, poichè se è riservata per noi lo è pure per gli inglesi. E il vero e proprio gruppo delle Hanisc su cui la stessa questione rimane in eguali condizioni è certo più importante di WestHaycock. Ad ogni modo alle isole ci stiamo ed il provvisorio nel Mar Rosso si prolunga più che altrove.

4) Etiopia -Concordo circa la statica attuale della situazione, come concordo pure pienamente su quanto Ella dice nei riguardi del Ras Hailù e del Suo e nostro Richelieu: Franchetti (l). Ella riceverà circa quest'ultimo istruzioni riservate dal Ministero delle Colonie, ma non posso esimermi dall'informarLa in via altrettanto riservata ed assolutamente personale che io sono stato recisamente contrario a questa avventura. Del resto glielo potrà dire lo stesso Gasparini al suo prossimo arrivo, poichè egli era del mio stesso parere ed ambedue avemmo un colloquio abbastanza concitato col Franchetti per ridurlo alla ragione. Ma invano, chè il Ministero delle Colonie già gli aveva dato appoggi e promesse. Ugualmente invano ripetetti le mie opinioni al Ministro De Bono. Mi si rispose che si doveva dare un colpo al cerchio ed uno alla botte. Purchè con questo genere di colpi non si sfascino tutte e due! Declino quindi per conto mio ogni responsabilità in questa faccenda, ma aggiungo che ho cercato di rimediarvi nel solo modo che mi era possibile, e cioè esigendo che il Franchetti debba considerarsi in siffatta occasione come agli ordini assoluti del Governo di Roma e quindi del Governatore dell'Asmara e che egli debba conformarsi immediatamente a quello « stop » che gli potrà essere intimato da Asmara o da Roma quando le circostanze lo rendessero necessario. Egli mi ha assicurato... che obbedirà. Cora non è stato avvertito. Ed è bene in tutti i casi che non ne sappia nulla, poichè all'occorrenza potrà sconfessare il Franchetti presso il Governo etiopico con tutta sincerità e buona fede ed anche perchè non possa fin d'ora ricominciare polemiche premature. Ad ogni modo Ella si regoli, come sempre, secondo coscienza.

5) Missione Gasparini -Io invece sono scettico sui risultati pratici, ma era l'unica via di uscita da una situazione che ad Addis Abeba aveva finito per ritorcersi contro di noi, dando modo tanto al Negus quanto ai suoi oppositori di credere che la Camionabile (2) fosse più necessaria a noi che agli abissini, il che per il momento non è. Nè in ogni caso è utile che tale concetto si affermi se si vogliono fare delle buone trattative. Oltre di ciò, sta poi il fatto che noi non abbiamo, nè possiamo sperare di avere chissà per quanto altro tempo ancora neanche un soldo per l'effettiva costruzione della strada. Inviando i famosi tecnici ad Addis Abeba avremmo dunque speso qualche altro centinaio di migliaia di lire per mettere nella polvere dei nostri archivi un bel progetto su carta lucida. E nulla più. La Missione Gasparini, dunque, se avrà dei risultati pratici, tanto meglio. Se non ne avrà, raggiungerà tuttavia due scopi a noi utili: e cioè prendere tempo, e dimostrare agli etiopici che la mancanza di buona volontà sta da parte loro e non da parte nostra.

E con ciò rimandiamo le nostre conversazioni epistolari al prossimo numero. Continuiamole però assiduamente perchè esse sono utilissime, a parer

mio, non soltanto in se stesse, ma anche perchè rappresentano un gradevole sfogo alle rispettive amarezze del nostro mestiere, il quale, almeno a me, non offre altro.

Sono lieto di sapere che le Sue preoccupazioni per la salute di Sua moglie cominciano a diminuire. Le faccio di vero cuore affettuosi auguri (1).

(1) Di questa lettera si pubblica solo un passo relativo a Franchetti a p. 451, nota l.

(l) -Zoli aveva scritto nella sua l. p. cit. del 9 febbraio: • Mi è arrivato qui, tra capo e collo, Franchetti, affermandomi che egli è stato incaricato dal R. Governo (pare, dai suoi discorsi un po' confusi, come sempre, piuttosto dal Ministero delle Colonie che da quello degli Esteri) di una importantissima missione politica presso Ras Hailù: si tratterebbe di decidere il Ras a marciare su Gondar e sul Beghemeder (badi che l'onesto Franchetti ignorava persino che nel Beghemeder fosse ritornato il Ras ed è naturalmente caduto dalle nuvole quando gliel'ho comunicato!...) per riconquistare il paese dei suoi avi e ribellarsi cosi apertamente al Negus; di recare al Ras Hailù cinquecento mila cartucce •. (2) -Allude alla camionabile Assab-Dessié.
387

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 752-753. Roma, 24 febbraio 1930.

Telespresso di V. E. 205145173 del 17 corrente.

Ho presa visione del rapporto del Marchese Paulucci sulla questione della registrazione alla Società delle Nazioni dei Patti Lateranensi da parte della Santa Sede (2).

Ho l'onore di confermare, in risposta alla nuova domanda che la E. V. mi muove, quanto ho già avuto occasione altra volta di riferire e che cioè la Santa Sede non ha alcuna intenzione di procedere alla registrazione degli accordi Lateranensi presso la Società delle Nazioni. La Santa Sede stessa nega di avere mai avuto questo proposito, tuttavia le conversazioni svoltesi con Sir Eric Drummond tia parte del Papa e del Cardinale Segretario di Stato e la successiva azione sviluppata direttamente dalla E. V. con Monsignor Borgoncini Duca e da me col Santo Padre e col Cardinale Gasparri hanno avuto certamente l'effetto di allontanare questo proposito, e credo per sempre, se mai sia esistito.

« L'atteggiamento verso i russi -non locale soltanto, caro Guariglia, ma nettamente e ripetutamente inspirato dal Ministero delle Colonie!-bisogna riconoscere che, in fondo era umano: in quanto che sono stati precisamente i russi che, col loro commercio (chiamiamolo purcosì!) strampalato ci hanno soffiato bellamente la po,sizione di relativo predominio della qualegodevamo a Sanaa, in essenza, bene inteso, degli inglesi!... Ora, una "collaborazione commerciale" coi russi non sarebbe praticamente possibile perché è chiaro che nessuno può collaborare con chi vende a cinque quel che costa dieci!... E nemmeno è possibile tentar di arrivare ad una qualsiasi amichevole intesa; perchè qui dei russi -dopo la prima ed unica visita di Onisenko di quattordici o quindici mesi fa -non si son visti che le signore e i bambini, che vengono a passar l'estate all'Asmara; ma degli uomini nessuno, mai!...

Tra me e lei, che siamo due galantuomini e non siamo neppure f .... , vogliamo dircela una volta sola, e una volta per sempre la verità?.... E diciamocela! Tafari aveva bisogno, per poter pensare ai casi suoi che, come si vede, sono piuttosto imbrogliati -di assicurarsi una pace almeno decennale ai confini dell'agognato impero degli avi.... non suoi! Questa assicurazione decennale gli sembrava tanto più urgente e preziosa in quanto coll'Italia Fascista, "giovinezza", la Milizia, i "cinque minuti di fuoco", i De Vecchi, gli avanguardisti. i balilla. le tanks e gli aeroplani.... non si sa mai! Questa assicurazione egli se l'è procurata col Patto italaetiopico. Il patto è registrato Hlla Società delle Nazioni. E il buon Tafari se l'è messo in tasca, tirando certamente il più grande e più profondo respiro di tutta la sua travagliata esistenza, e dicendo (in amarico, bene inteso): "qui dentro non ci piove 11 !. ... C'era il codicillo dell'AssabDessiè e la semi-turlupinatura della zona franca nel più desolato, scalcinato ed inospiteapprodo del Mar Rosso... è vero! Ma questa era una faccenda, della quale si sarebbe parlato.... poi! Che diamine! C'è tempo per tutto! » ....

Non si pubblica una successiva l. p. di Zoli a Guariglia del 9 aprile 1930.

(l) A questa lettera Zoli rispose con l. p. dell'H marzo, della quale si pubblicano qui di seguito due passi, uno relativo alla presenza dei russi nel Mar Rosso e un altro relativo all'Etiopia :

(2) Cfr. n. 203.

388

IL CONSOLE A KLAGENFURT, DELICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 304/50. Klagenfurt, 24 febbraio 1930.

In merito al contenuto del Telespresso n. 203583/C di codesto R. Ministero,

;:;l ha l'onore di far osservare che l'informatore del Comando della 45a Legione

della M.V.S.N. (Bolzano) va troppo oltre nelle sue previsioni circa l'atteggiamento

delle Heimwehren carinziane e stiriane (1).

Innanzitutto non bisogna dimenticare che le Heimwehren hanno una dire

zione federale politica e una militare, le quali assieme segnano le direttive per

tutte le organizzazioni esistenti nelle provincie dell'Austria. Certo differenze di

opinioni esistono fra i dirigenti delle Heimwehren nelle varie provincie. Ma è

eccessiva l'illazione che le Heimwehren carinziane e stiriane abbiano deciso di

• rinunciare in modo definitivo ed inequivocabile ad ogni propaganda e ad ogni attività per la rivendicazione dell'Alto Adige, considerando che esse dovevano ritenersi ancora mobilitate solo per la lotta interna •.

La verità è che i capi politici e militari delle Heimwehren, nell'intento di ottenere la riforma (già realizzata} della Costituzione e di assecondare la politica di collaborazione con l'Italia inaugurata dal cancelliere federale Schober, hanno deciso di astenersi da agitazioni per l'Alto Adige. Vale a dire i capi politici e militari delle Heimwehren hanno creduto prudente e consulto di togliere, dirò così, dall'ordine del giorno del loro programma la questione dell'Alto Adige per concentrare la loro attività nel campo della politica interna. Ma si peccherebbe di ingenuità se si credesse che le Heimwehren abbiano definitivamente rinunciato alla rivendicazione dell'Alto Adige.

È da tener presente infine che l'Austria ha da concludere ancora il prestito estero. Solo dopo la conclusione del prestito, si potrà vedere se le Heimwehren persisteranno nell'attuale loro linea di condotta o se non si lasceranno nuovamente mfluenzare dalle correnti nazionaliste italofobe, rappresentate, come è noto, dai sodalizi dell'Andreas Hofer e dal Comitato dei fuorusciti tedeschi dell'Alto Adige.

389

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

TELESPR. 206045/145. Roma, 25 febbraio 1930.

Suo foglio n. 536/296 del 28 gennaio 1930 (2).

Si ringrazia l'E. V. delle notizie comunicate nel foglio surriferito.

Questo Ministero ha preso nota con interesse di quanto fa presente l'E. V.

ctrca l'atteggiamento della Francia nei riguardi della questione del lavoro forzato nelle Colonie.

32 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Il R. Governo, non esistendo lavoro forzato nelle nostre Colonie, si era disinteressato della questione e non pensava dar seguito al questionario. Poichè tuttavia altre potenze coloniali risponderanno, è in preparazione la nostra risposta che sarà comunicata alla E. V. per conoscenza appena possibile.

Ritengo preferibile lasciar cadere la proposta del Conte di St. Quentin per uno scambio di idee in materia, tanto più che non si prevede che le conversazioni circa la questione della importazione di armi in Etiopia possano essere riprese per il momento, nè sembra che ci convenga -dati i nostri interessi divergenti prendere accordi coi francesi per la risposta al questionario.

(l) -Cfr. una informazione, proveniente dalla legione di Bolzano della M. V. S. N., secondo la quale nella seconda quindicina di dicembre era stato emesso un voto «dalle formazioni armate dei nazionalisti austriaci della Carinzia e della Stiria. Con esso le suddette milizie deliberarono di "rinunciare in modo definitivo ed inequivocabile, ad ogni propaganda e ad ogni attività per la rivendicazione dell'Alto Adige, considerando che esse dovevano ritenersi ancòra mobilitate solo per la lotta interna" •. (2) -Cfr. n. 333.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 615/329. Berlino, 26 febbmio 1930.

La visita che Schober, accompagnato dai Direttori Generali Peter e Schtiller, ha fatto alla capitale dei Reich si è svolta secondo il programma stabilito in precedenza e che non ha avuto sensibili modificazioni. Tale programma non comprendeva manifestazioni di carattere popolare in cui fosse data possibilità alle masse di venire in contatto cogli ospiti cosicchè necessariamente non ha potuto uscire dai limiti della freddezza ufficiale e per così dire burocratica se si eccettua il breve discorso che Schober ha tenuto alla Radio la sera di Domenica 23 corrente rivolgendosi • ai tedeschi di tutto il Mondo •, e che del resto non si è molto allontanato da quanto Schober aveva già accennato in alcune interviste già comunicate nei loro punti principali.

Oltre la colazione che il Presidente Hindenburg ha offerto agli ospiti austriaci il giorno stesso del loro arrivo, le manifestazioni più salienti di questa visita sono state il pranzo del Cancelliere offerto sabato 22 nel quale sono stati scambiati i brindisi di cui trasmetto la traduzione fra gli allegati e le dichiarazioni alla stampa tedesca ed estera fatte da Schober immediatamente prima della sua partenza lunedì 25. Tali dichiarazioni sono state riprodotte più o meno estesamente dalla stampa di Germania e di fuori e ne trasmetto il testo .integrale.

Personalmente ho avvicinato Schober la sera di Domenica ad un ricevimento che questo Ministro d'Austria, Dr. Frank, ha offerto alla Legazione dopo lo spettacolo di Gala all'Opera.

Secondo mie impressioni personali ed anche da voci raccolte in giro, l'insieme della visita può definirsi riuscito perchè la parola d'ordine del Governo tedesco era che dovesse riuscire bene ma, come ho già detto disopra, non vi è stata neppure l'ombra di entusiasmo popolare. A tale mancanza hanno indubbiamente contribuito anche le preoccupazioni economiche e l'incertezza generale di tutta la situazione pubblica. Certamente può dirsi che il momento della visita fosse scelto poco opportunamente, in quanto coincideva colla discussione tutt'altro che chiarita sul Piano Young ed inoltre coi preparativi per il varo del Bilancio che ancora procura non pochi grattacapi al Ministro delle Finanze ed ai rappresentanti dei Partiti di Governo che negoziano con lui per strappargli delle spese o per resistere a delle nuove imposte. Comunque da parti non interessate è stato ripetuto più volte che certamente il ricevimento e le accoglienze che Schober ha ricevuto a Berlino debbono essergli apparse ben poca cosa in confronto di quelle che appena poche settimane fa aveva avuto a Roma.

La • modestia » si è fatta specialmente sentire al ricevimento dei giornalisti che ha avuto luogo nelle sale dell'Ufficio-Stampa del Governo tedesco, ma per invito personale del Cancelliere austriaco. I funzionari del Governo tedesco hanno avuto così buon giuoco per tirarsi completamente in disparte per tutto ciò che riguardava l'organizzazione del ricevimento, le presentazioni etc. mentre gli austriaci avevano evidentemente l'impressione di non essere in casa propria. Ne è risultato un completo disordine e l'impossibilità assoluta per i giornalisti di intrattenersi personalmente con Schober, come si credeva da principio. Tale impossibilità è stata anche aumentata dal fatto che Schober è arrivato in ritardo e dovendo partire subito dopo il ricevimento dopo lette le sue dichiarazioni abbastanza lunghe e preso il thè con i suoi accompagnatori e pochi altri ha dovuto ritirarsi frettolosamente. Tale messa in scena difettosa è stata tanto più grave in quanto al ricevimento erano presenti tutti i rappresentanti dei giornali esteri più importanti e molti direttori e redattori Capi della stampa di Berlino e di Provincia. Parecchi di essi hanno espresso abbastanza apertamente il loro malcontento e mentre uno diceva che la Repubblica deve ancora sottoporsi ad un corso di • buone maniere » un altro diceva di non avere mai assistito a nulla di • così poco cerimonioso •.

Per ora le indiscrezioni ed i commenti sono abbastanza scarsi. Mi viene riferito che Schi.iller avrebbe consigliato i più vivaci propagandisti della campagna per l'Alto Adige a frenare il loro zelo per non intralciare l'opera del Governo austriaco stesso il quale per un anno almeno desidera che nè in Austria nè in Germania si agiti quella questione, per dar modo al Governo italiano di mostrare le sue vere intenzioni, cioè per non dargli il pretesto per prendere delle misure che potrebbe giustificare in seguito all'agitazione che si fa all'estero attorno ad una questione puramente italiana (1).

Un mio dipendente ha avuto una conversazione con un membro di questa Legazione d'Ungheria e ritiene che le idee manifestategli siano quelle del Ministro Sig. Von Kanya del quale il suo interlocutore è persona di fiducia. Secondo tali idee Schober nelle conversazioni avute in questi giorni cogli uomini politici tedeschi non avrebbe fatto loro mistero di quella che ormai è una verità palese, ossia che la posizione dell'Italia nell'Europa sudorientale è ormai così forte, che l'Austria non può più assolutamente prescinderne; che pertanto essa sarebbe prontissima a collaborare colla Germania qualora questa faccia una politica di collaborazione con quella italiana, mentre mai potrebbe farlo se la politica della Germania fosse rivolta contro di questa: in altre parole e contrariamente alla formula che la via fra Roma e Berlino passa per Vienna, Schober avrebbe fatto comprendere che la via fra Berli.no e Vienna passa per Roma.

attualità •.

Nell'insieme, secondo anche qmmto può desumersi dalla stampa e dalle conversazioni private, gli ambJenti nazionalistici a noi favorevoli insistono nello sperare che l'Austria, liberata ddll'incubo mar:x.ista per opera del Governo d1 Schober e più ancora del movimento delle Heimwehren, possa servire da • ponte • fra l'Italia fascista ed una Germania rinnovantesi, mentre negli ambienti contrari non È' certamente del tutto compreso il timore ed il sospetto che l'Austria si sia resa troppo indipendente e pertanto non si presti più al giuoco tedesco essenzialmente basato sullo sventoìamento a tempo debito della bandiera della GrandeGermélnia, ossia dell'Anschluss.

Tanto perchè la visita. poi, mostrasse un risultato tangibile, nello stesso pomeriggio di ieri è stato pubblicato un comunicato sui negoziati commerciali austro-tedeschi, il quale dice come le trattative politiche fra il Cancelliere austriaco ed il Governo del Reich siano state condotte a termine nella mattinata di lunedì, dopo essere state precedute da negoziati economici nella giornata di Domenica. In base a1 risu~iati. di questi poteva essere raggiunta un'intesa sulle più importanti questioni nncora insolute riguardanti il Trattato di Commercio fra l'Austria e la Germania, cosicchè si può sperare fondatamente che il Trattato di Commercio sarà condotto d termine quanto prima e le questioni singole ancora insolute saranno esaurite dalle rtue delegazioni non appena terminata la Conferenza doganale di GiEevrél.

A titolo di cronaca, vanno citati i commenti più che malevoli fatti dalla stampa comunista e comunisteggiante, secondo la quale Schober, • l'uomo delle stragi del 15 luglio • sarebhe ;·enuto a Berlino con proposte concrete per la • fascistizzazione della Germania • ed oltre essere il • becchino dell'Anschluss • il definitivo • rinunziatario al Siidtirol • non sarebbe nè più nè meno che il

• portalettere di Mussolini • (1).

(l) Kopke .aveva dichiarato a Orsini Baroni (t. 531/159 del 20 febbraio) c che problema Alto Adige è ormai per Berlino un problema di sviluppo storico culturale che il Governo non può compromettere nelle attuali condizioni per l'avvenire ma che considera non di

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 27 febbmio 1930.

La nuova crisi france.:.e, di cui abbiamo avuto notizia scendendo alla Victoria Station, ha di nuovv interrotto, o quanto meno rallentato, i lavori della Conferenza. È un vero peccato che Chautemps non ce l'abbia fatta. Una delegazione francese a Londra, >capitanata da Briand e da Sarraut (i due protagonisti di Washington), e rapr;re!'entante di tlll governo cartellista o semi-cartellista, appoggiato dai socialisti, era indubbiamente quanto di meglio potessimo sperare, ai

nostri fini, per la C0::1terenza di Londra. Un Governo di sinistra, appoggiato da Leone Blum, il quale ancura nel Populaire di martedì attaccava Tardieu per il programma navale imperialista presentato a Londra, avrebbe più difficilmente potuto superare l'intima contradizione fra l'apparente maschera pacifista e la effettiva politica m·:lit:Jrisb. Aggiungasi che un Governo di sinistra avrebbe notevolmente contribuite, attraveno i progetti demagogici annunciati nel discorso Chautemps, ~d alleggerire le casse dello Stato, il che avrebbe rappresentato tante corazzate ed incrociatori di meno del suo programma navale.

Mercoledì (l) MacDonald ci ha riuniti d'urgenza. Egli ha cominciato col dichiarare che ormai allo stato presente dei lavori della Conferenza si può ben dire che la Conferenza si divide in due gruppi: high sea Powers: Giappone, America, Impero Britannico ed european Powers: Gran Bretagna, Francia, Italia. I due gruppi procedono all'esame di due accordi distinti. Questi due accordi distinti dato che possano essere raggiunti, dovranno in un secondo tempo, essere integrati da un accordo generale a cinque. Constatazione tutt'altro che peregrina, in verità, ma che è affermata, nei suoi termini crudi, per la prima volta, nel corso dei lavori della Conferenza. Tutti abbiamo l'impressione che, nonostante la proclamata intransigenza giapponese, qualcosa stia per raggiungersi tra le Potenze oceaniche. Gli Americani mostrano una preoccupazione, che è irritazione talvolta, sintomatica.

Nella riunione a cinque di mercoledì Stimson ha dichiarato, per la prima volta, rispondendo a MacDonald, che l'America non è interessata che indirettamente ai problemi navali europei. Sta a vedere fino a che punto la Gran Bretagna potrebbe impegnarsi ad un accordo esclusivamente oceanico, anche provvisorio.

Mac Donald ha domandato ai quattro capi di delegazione di proporre qualche questione che possa formare oggetto di convocazione di una Conferenza plenaria. Tutti si sono guardati imbarazzati. Io ho proposto che sl discuta la questione della libertà dei mari. Protesta generale. Come se li avessi scottati. L'idea di convocazione di una seduta plenaria è stata deposta. MacDonald ha domandato se non fosse il caso di procedere all'esame di questioni concrete nell'attesa del ritorno della Delegazione francese. Ho dichiarato che non ritenevo nè opportuno nè possibile discutere in assenza dei francesi. So benissimo che • discutere in assenza dei francesi » vuol dire per MacDonald battere sugli Italiani.

Quando si è proceduto alla redazione del breve comunicato stampa, l'Ambasciatore francese ha domandato che non si facesse cenno della divisione dei due gruppi di potenze, secondo la dichiarazione MacDonald. La Francia non vuole essere considerata nel gruppo delle potenze europee.

Stamattina MacDonald mi ha fatto pregare d'andare da lui per uno scambio di idee. Ho portato con me anche il Ministro Rosso ed il comandante Ruspoli. Ti allego il pro-memoria (2) riassuntivo redatto dal Ministro Rosso circa i punti essenziali della conversazione.

Come Tu vedi il • massaggio » continua. Stimson e MacDonald si danno il cambio nella loro insistente opera di persuasione circa i vantaggi che l'Italia avrebbe ad enunciare un programma.

Essi in sostanza vogliono provare la solidità della nostra resistenza. Almeno questa è la mia convinzione. La Conferenza è ancora lunga. Essi sperano che l'Italia possa ad un determinato momento modificare la sua posizione di rigida intransigenza. Occorre dunque persuaderli del contrario.

I francesi torneranno, e la situazione, oggi consolidata dalla pubblicazione dei cinque memorandum, potrà nuovamente mutare.

(l) A proposito della visita di Schober a Berlino cfr. anche quanto aveva comunicato lo stesso Orsini Baroni con t. 563/173 del 24 febbraio: « Dal punto di vista generale visita Schober ha servito a calmare risentimento pangermanista ma non a eliminarlo completamente.Ospiti austriaci partono con convinzione aver trovato a Roma maggiore comprensione amichevole delle necessità politiche economicl)e. Capo di Gabinetto poi mi diceva che pubblicazione amnistia altoate,sini era venuta propriO al momento opportuno e che aveva grandemente facilitato azione del Signor Schober il quale è rimasto gratissimo per ciò al Capo del Governo».

(l) -Cioè il 26 febbraio. (2) -Cfr. n. seguente.
392

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ED IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD (l)

[Londra], 27 febbraio 1930, oTe 10,30.

MAcDoNALD desidera che la conversazione abbia carattere assolutamente privato ed • informai», più che altro a scopo di reciproca informazione. Fa un quadro della situazione. Egli non è ancora pessimista ed è convinto che si possa ancora giungere ad un accordo. In ogni caso, bisogna spingere i lavori verso una conclusione. Se questa risultasse negativa, tutti i paesi ne avrebbero danno.

Esamina la posizione presa rispettivamente dall'Italia e dalla Francia. Se ciascuna di queste rimane ferma sulla sua posizione, non si vede come uscirne. Forse l'Italia potrebbe facilitare l'accordo se si decidesse ad abbandonare la sua attitudine puramente negativa ed indicare in cifre le sue intenzioni. Senza esprimere un giudizio in merito, egli si rende conto della tesi italiana. Anche l'Inghilterra ha accettato il principio della parità con gli Stati Uniti, ma questa parità -accettata in principio -non deve necessariamente esplicarsi in una perfetta identità delle due flotte, tonnellata per tonnellata; se l'Italia indicasse un programma, pur subordinandolo all'accettazione di un programma uguale da parte della Francia, ciò potrebbe facilitare i negoziati con la Delegazione francese c permettere alla Delegazione inglese di agire per convincere la Francia ad abbassare le cifre indicate nel suo memoranclurn.

GRANDI osserva in primo luogo che l'Italia non ha avuto finora e non può indicare nessun programma. Le sue costruzioni vengono decise in relazione a quanto costruisce la Francia. L'Italia è per la riduzione e non per una convenzione di armamenti. Crede che il memorandum italiano (2) ha portato il maggior contributo che l'Italia poteva dare alla Conferenza nel senso della riduzione. Non vede poi a che cosa servirebbe -dato che l'Italia potesse farlo -l'indicazione di un programma di costruzioni. A parte che ciò sarebbe contrario al principio sempre sostenuto dalla Delegazione Italiana della relatività dei bisogni, si può anche prevedere che da parte francese si interpreterebbero le cifre italiane come la misura della capacità finanziaria dell'Italia e come la misura dei suoi bisogni reali e che ciò potrebbe incoraggiare la Francia a negare il principio della parità. Il programma italiano va da zero a 720. Il programma italiano non può essere determinato da quello francese. E interesse anche dell'Inghilterra di abbassare le

cifre francesi. Perchè il signor MacDonald non segue l'esempio di Hugues a Washington, quando questi, come Presidente della Conferenza dopo avere riconosciuto il principio della parità tra Francia ed Italia, ha proposto le cifre del tonnellaggio da attribuire a tutte e due le Potenze?

MAcDoNALD. Questo potrebbe essere fatto anche da lui come « ultima ratio » ma si rende conto che ciò equivarrebbe a provocare il fallimento della Conferenza. Egli non chiedeva oggi a Grandi di pronunziarsi o di impegnarsi in modo definitivo. Lo pregava soltanto di meditare alla cosa e di vedere se vi era il modo per l'Italia di facilitare un progresso nelle discussioni con la Francia. Anche l'Inghilterra è favorevole alla riduzione. Egli è già molto criticato nel suo Paese per avere troppo ceduto per favorire l'accordo. Bisogna che ciascuno faccia la sua parte.

Suggerisce che Craigie continui la conversazione con Rosso e Ruspoli.

(l) -Al colloquio erano presenti anche Craigie, Rosso e Ruspoli. (2) -Cfr. n. 376.
393

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA I DELEGATI ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO E RUSPOLI, E IL DELEGATO INGLESE, CRAIGIE

[Londm], 27 febbraio 1930, ore 11,30. Lunga conversazione che è impossibile di riferire in modo particolareggiato. Da parte italiana si sono ribattuti i soliti argomenti circa la impossibilità per l'Italia di indicare un programma -si è contestato l'argomento dei bisogni coloniali che Craigie metteva innanzi per giustificare in una certa misura il rifiuto francese di accettare il principio della parità -si è messo in evidenza tutto quello che il memorandum italiano (l) contiene in favore della riduzione degli armamenti, dimostrando che con essa l'Italia dava la prova migliore di non intendere in nessun caso di fare del competitive buiLding mentre si limitava a salvaguardare un diritto che oggi essa già possiede, e che è quello della parità, ecc. Si omettono le diverse considerazioni sviluppate dall'una e dall'altra parte. Si cercherà invece di riassumere quello che è apparso essere il pensiero, espresso

o non espresso, di Craigie. In sostanza questi ha detto: « Capisco la vostra tesi della parità ed ammetto che vogliate sostenerla fino all'ultimo. Esaminiamo però il problema dal punto di vista pratico.

I francesi credono di poter contestare la vostra domanda della parità con l'argomento dei bisogni speciali che derivano dai loro possedimenti coloniali. A questi voi opponete l'argomento della vostra sicurezza e della difesa dei vostri rifornimenti. Potete discutere delle ore per sostenere ciascuno la vostra tesi, senza fare nessun passo avanti. Perchè continuare a discutere la questione di principio? Non sarebbe meglio di vedere se non esista una via per raggiungere il risultato della parità senza bisogno di farvelo riconoscere formalmente (ciò che i francesi difficilmente potrebbero fare?).

Voi avete voluto mostrare colle vostre tabelle ~he gli armamenti italiani e quelli francesi sono oggi quasi sulla base della parità. Si tratta di fare un accordo

per arrivare fino al 1936 fissando dei programmi che fissino un limite massimo degli armamenti. L'Italia potrebbe salvaguardare il suo principio considerando lo statu quo come implicante già la parità e proporre un programma di costruzioni comune alla Francia ed all'Italia da oggi fino al 1936. Fissate questo programma il più basso possibile e noi vi appoggeremo.

Noi abbiamo interesse, come voi, ad abbassare le cifre francesi. Non vogliamo affatto abbassarle a danno vostro. Noi non possiamo accettare le cifre dello Statut Naval francese, e non potremmo accettarle neppure se voi vi accontentaste di una quota molto bassa tale cioè che risponda alla nostra richiesta del two Powers standard. Bisognerebbe che voi prendeste l'iniziativa di indicare cifre che ci diano occasione di far pressione sulla Francia. Non è detto che essa voglia mantenersi rigidamente ferma sulle cifre indicate. Abbiamo anzi buon motivo di pensare che la vecchia Delegazione fosse pronta a negoziare e ad abbassare le sue pretese. Conviene a voi, altrettanto che a noi, di facilitare questa tendenza. Ciò potrebbe attenersi se voi consentite a scendere sul terreno delle discussioni pratiche. Non sarebbe possibile per voi di ammettere che un certo numero di navi che hanno oltrepassato i limiti di età vengano conservate dalla Francia in più della parità con la dichiarazione che esse sono destinate al servizio delle colonie? Naturalmente queste vecchie navi non sarebbero suscettibili di rimpiazzo cosicchè per le navi veramente efficienti esisterebbe di fatto, nel 1936 la parità vostra con la Francia •.

Si. omettono le contro-osservazioni fatte da Ruspoli e da Rosso. L'idea di Craigie, sembra potersi formulare praticamente in questi termini: Italia e Francia decidono di non tener conto, nel calcolo comparativo delle rispettive forze, delle vecchie navi. Si tiene conto unicamente delle navi efficienti, per le quali esiste già la quasi parità e l'Italia propone un programma per gli anni l 930-1936 più basso di quello francese.

L'Inghilterra avrà interesse a sostenere il programma basso italiano.

(l) Cfr. n. 376.

394

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 255. Roma, 27 febbraio 1930.

Suoi telegrammi n. 373 e 433 (1). La visita del ministro Madgearu a Roma si è svolta in un'atmosfera di cordialità, che è da sperarsi possa avere favorevoli ripercussioni sui rapporti itala-romeni.

Il R. Governo a questo scopo ha cercato di dare alle manifestazioni avvenute in tale occasione un tono anche superiore a quello adottato generalmente per la firma di un trattato di commercio. In via eccezionale è stato anche conferito al signor Madgearu il Gran Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro.

Nelle conversazioni di carattere generale che questi ha avuto con S. E. il Capo del Governo, gli è stato parlato ìn termini amichevoli della Romania,

esprimendo la convinzione che essa possa al più presto risollevarsi dall'attuale crisi finanziaria mercè una sana politica quale quella che si propone di attuare il ministro delle Finanze romeno. Risulta che egli è stato assai bene impressionato da questi discorsi improntati a cordiale fiducia da parte nostra nell'avvenire del suo paese.

Oltre ai contatti che il signor Madgearu ha avuto con gli ambienti industriali e commerciali attraverso il ministero delle Corporazioni, si è creduto utile invitarlo ad un colloquio di carattere più specifico presso il ministero delle Finanze, colloquio al quale hanno preso parte anche i rappresentanti di questo ministero.

In tale conversazione il signor Madgearu non ha fatto alcun accenno a richieste di carattere finanziario, come sembrava essere prima sua intenzione anche da accenni fatti alla nostra delegazione a Ginevra. Egli anzi ha fatto comprendere, senza voler dare precise spiegazioni, che in questo momento sta negoziando una operazione finanziaria di circa un miliardo e mezzo di lei, dalla quale spera trarre molto vantaggio per il risanamento della situazione economica del suo paese.

Data quindi la mancanza di richieste a noi di nuovi aiuti in questo campo, abbiamo dovuto !imitarci a ricordare i vecchi impegni assunti, in materia di forniture ferroviarie, navali e militari ed il signor Madgearu ha confermato in modo esplicito la sua intenzione di mantenerli nel modo migliore quando sarà emessa la seconda tranche del prestito romeno, poichè le passività del bilancio non gli permettono assolutamente di procedere nell'attuale momento a qualsiasi ordinativo. Si è preso atto di tali sue dichiarazioni, non senza alludere discretamente alla necessità di evitare di cedere ad eventuali premure inglesi.

Il signor Madgearu ha però affermato di volere, malgrado ciò, completare le installazioni indispensabili per l'allestimento completo delle navi in corso di costruzione in Italia, ed ha detto che si metterà a tale scopo subito in contatto con la casa Ansaldo.

Egli ha poi affermato il suo desiderio di procedere anche subito all'esecuzione del programma stradale, e specialmente di quello per la Bessarabia, dichiarando a nostra domanda di potere affrontare in questo campo il relativo onere finanziario e di desiderare prendere di nuovo contatto con la casa Puricelli che a suo tempo aveva presentato delle offerte. Il R. ministero delle Corporazioni provvederà a sollecitare questa ditta a rimettersi direttamente in comunicazione col signor Madgearu. Uguali disposizioni favorevoli questi ha dimostrato per la questione delle costruzioni portuali, cui potrebbero concorrere utilmente ditte italiane.

Quanto alle questioni idro-elettriche, il ministro delle Finanze romeno ha avuto una lunga conversazione col conte Volpi, che è rimasto soddisfatto delle dichiarazioni fattegli dal signor Madgearu, cui del resto non si è mancato di far rilevare anche nel colloquio al R. ministero delle Finanze, tutto l'interesse che il

R. Governo annette ad una efficace collaborazione in questo campo.

Il ministro Madgearu ha infine promesso di inviare subito in Italia un suo delegato tecnico per trattare la questione della coniazione delle monete romene da parte della R. Zecca.

Senza riprendere in modo esplicito la questione, si è creduto utile avere uno scambio di idee sulla clausola da noi proposta e non accettata dai romeni avente per iscopo di stabilire delle previe intese italo-romene in caso si progettassero

accordi fra la Romania e paesi balcanici o dell'Europa Centrale in materia di E-sportazioni agricole.

Il signor Madgearu ha ripetuto la sua contrarietà di prendere impegni generici in questo senso nell'attuale stato dell'economia agricola romena, volendo fondare la sua azione soltanto su casi specifici ed elementi concreti.

Egli si è tuttavia dichiarato dispostissimo a studiare i mezzi di una più attiva collaborazione italo-romena nel campo agricolo, e sopratutto alla creazione di organismi che potessero funzionare come stanze di compensazione per le rispettive esportazioni. La questione sarà rimessa poi dettagliatamente allo studio presso il nostro Istituto delle esportazioni, con la collaborazione del delegato commerciale romeno, il quale ha ricevuto in questo senso istruzioni del signor Madgearu.

In complesso le dichiarazioni di quest'ultimo ci hanno fatto l'impressione di essere ispirate ad una soddisfacente franchezza di propositi, pur non avendo dato notevoli risultati pratici, che non era possibile del resto subordinare a concessioni eventuali di aiuti finanziari da parte nostra, che il ministro romeno non ha chiesto ed ai quali si sarebbe evitato in ogni caso di acconsentire, anche in base alle considerazioni esposte da V. S. (1).

395.

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

TELESPR. 206459/66. Roma, 28 febbraio 1930.

Telespresso di V. S. n. 681/375 del 21 corr. (2).

La ringrazio delle informazioni inviatemi. Dalle segnalazioni del R. Console Generale a Innsbruck risulta che all'ora attuale la propaganda antitaliana invece di segnare una diminuzione, o per lo meno un movimento di arresto, è stata i:!:ltensificata specialmente per opera dell'« Andreas Hofer Bund •.

È sperabile intanto che le interessanti dichiarazioni fatte dal Dr. Stumpf a Morreale non si limitino alle sole parole ma siano seguite da fatti concreti. La prego intanto di comunicarmi con cortese urgenza l'intervista concessa dallo Stumpf e copia della sua lettera di consenso all'intervista stessa.

« Io mi sforzo di cogliere ogni possibile occasione per far qui presente l'aspettativa italiana di vedersi aggiudicati i lavori delle costruzioni reclamate dall'Ammiragliato romeno; ma temo che tutti questi miei sforzi possano infrangersi contro un'intesa romeno-britannica concernente comuni apprestamenti navali antisovietici nel Mar Nero, e contro le minacce e le ingiunzioni dell'industria francese, che si fa forte dei noti consiglieri francesi preposti alla Banca romena ed ai quali spetta di fatto l'ultima parola per l'approvazione del credito straordinario occorrente per le costruzioni di cui è innanzi parola •.

(l) Cfr. n. 369 e nota allo stesso.

(l) Cfr. anche il t. posta 850/246, Bucarest 3 aprile 1930, del quale si pubblica il passo seguente:

(2) Cfr. n. 381.

396

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 774. Roma, 28 febbraio 1930.

Telespresso di V. E. n. 205602/28 del 21 corrente (1).

Ho presa visione del rapporto unito al telespresso cui rispondo. Ho assunte le necessarie informazioni circa l'atteggiamento della Santa Sede davanti alla posizione assunta recentemente da Mons. Bauer Arcivescovo di Zagabria verso il Governo di Belgrado. Tanto nella questione della • Società delle Aquile » disciolta e passata in quella dei • Crociati» "quanto e specialmente nella questione della Legge sulla istruzione elementare la Santa Sede ha dato pieno appoggio a Mons. Bauer il quale ha agito da questo punto di vista con le spalle al sicuro. Come la E. V. comprende dalla suprema delicatezza dell'argomento nei nostri rapporti in via ufficiosa la Santa Sede non risponderebbe ai quesiti proposti, oppure si limiterebbe a dirci nella più benevola delle ipotesi, che in Jugoslavia essa appoggia i cattolici in contrasto con gli ortodossi. Sono in grado tuttavia di pienamente confermare le informazioni che ho sopra riferite; ma debbo aggiungere che il Governo Jugoslavo che si vedrebbe costretto a cedere sta venendo a patti ed ha fatto recentemente degli approcci per giungere ad un concordato con la Santa Sede. Il Cardinale Segretario di Stato ha risposto chiedendo delle garanzie ed il Ministro Jugoslavo ha riferito questa risposta al suo Governo. Intanto Mons. Bauer tiene duro nella sua tesi centrale. A questo punto sono ora i rapporti fra la Santa Sede e la Jugoslavia (2).

397

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 813/448. Vienna, 28 febbraio 1930.

Riferendomi al commento di cui al mio teleposta odierno n. 439 e ad impressioni personali qui raccolte, mi permetto far presente a codesto on. Ministero l'opportunità che la stampa italiana non insista troppo sulle possibilità che offre l'amicizia austro-italiana per future combinazioni di carattere politico od economico. Esse non solo turbano coloro che vorrebbero mantenere la politica estera austriaca sul piede di casa, ma danno ad altri l'impressione che l'Italia voglia tr<trre dal patto di 2micizia chissà quali vantaggi. Ciò, anche se possibile, non mi sembra opportuno sia detto troppo.

(l) -Cfr. n. 380. (2) -Annotazione marginale di Guariglia: « Inutile per ora comunicare a Belgrado •.
398

IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHOBER, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Traduzione)

L. P. Vienna, 28 febbraio 1930.

Sono scorse precisamente tre settimane, da quando ho lasciato Roma, nella gradita convinzione di aver guadagnato la Sua amicizia.

Proprio due settimane dopo la mia partenza da Roma sono arrivato a Berlino, ho ricevuto là la notizia che l'E. V. ha realizzato la magnanima decisione -relativa alla causa del Dr. Kiener e Compagni-· che l'E. V. già mi prospettò a Roma (1).

Oggi mi rallegro di poterle comunicare, che il Consiglio Nazionale austriaco, nella sua seduta del 25 febbraio, all'unanimità ha approvato il • trattato d'amicizia e arbitrato • con l'Italia, all'unanimità, cioè, anche con i voti del Partito socialdemocratico. Il Dr. Ellenbogen con gli argomenti già conosciuti circa il suo partito si è ribellato contro la • cattiva interpretazione » del suo voto, ciò non cambia niente sul fatto che anche il partito socialdemocratico ha approvato il Trattato.

Credo, Eccellenza, che ambedue possiamo essere contenti.

Con lo stesso corriere, mi sono permesso di mandare alla E. V. la mia fotografia come ricordo delle belle giornate indimenticabili passate insieme a Roma. Accetti, l'E. V. questo ritratto con gli stessi sentimenti, che mi hanno guidato nello scrivere la dedica.

399

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

T. 269. Roma, l marzo 1930, ore 24.

Comunicale seguenti istruzioni di S. E. il Capo del Governo:

« I giornali annunciano che prossimamente avrà luogo ad Angora la firma di un patto di amicizia fra la Grecia e la Turchia (2). Sarebbe opportuno -non per me -ma per l'Italia che all'atto della firma i signori Rouschdy bey e Venizelos si ricordassero delle trattative di Milano e delle direttive ivi stabilite.

Faccia presente, con tutta la discrezione necessaria, l'opportunità dell'invio di un telegramma in tal senso a Roma. Mussolini •.

(l) -Il 21 febbraio Mussolini dispose la liberazione dal confino del dott. Giuseppe Kiener, medico di Valle Aurina, e il proscioglimento dal vincolo di ammonizione di altri otto altoatesini. (2) -L'accordo era stato voluto da Venizelos, mentre Michalacopoulos non vi era intimamente stato favorevole (telespr. 1278/178 di Bastianini, Atene, 7 marzo 1930).
400

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. RR. U. 206673/136. Roma, 3 marzo 1930.

Questo Ministero ha preso nel più attento esame il telespresso documentato

n. 40128 del 3 corrente, col quale cotesto Ministero ha fatto conoscere che il Belkin, Capo della missione commerciale russa nello Yemen, intenderebbe di fare di Massaua la base per il commercio russo di importazione e di esportazione con lo Yemen, usufruendo anche localmente dell'opera del Prof. Bolognesi, già direttore della Scitar (1). Secondo le dichiarazioni del Belkin, questi proporrebbesi pure di provvedere all'importazione in Eritrea di quelle merci che già la colonia importa dall'estero; ed il danaro ricavato da tali vendite verrebbe girato su Milano, per esservi impiegato all'acquisto di prodotti nazionali che sarebbero importati nella U.R.S.S.

Questo Ministero concorda nel parere espresso dal Direttore degli Affari economici e finanziari del Governo di Asmara; che cioè, dal punto di vista economico, il programma di traffici enunciato dal Belkin meriti di non essere scartato, anzi si presenti vantaggioso per lo sviluppo dei traffici eritrei, e anche per l'eventuale incremento dell'esportazione dei prodotti nazionali nella Confederazione sovietica.

In merito ai dubbi di natura politica, espressi dalla suddetta Direzione, circa l'opportunità di favorire un tale commercio sovietico, questo Ministero osserva che bisogna partire dal dato di fatto che i russi svolgono di già un lavoro commerciale ed una influenza politica nello Yemen; che, se sarebbe stato in principio nostro interesse di evitare colà la loro installazione, non è ora in nostro potere di impedirne la attività; che se questa, dal punto di vista della nostra influenza già esclusiva nello Yemen, ci ha evidentemente danneggiato, non bisogna dimenticare che l'obbiettivo della politica sovietica è prevalentemente antinglese; e che quindi la presenza dei russi a Sanaa contribuisce a sostenere -più di quanto per ragioni di politica generale potrebbe esser fatto da noi -l'atteggiamento intransigente dell'Imam verso gli inglesi nella questione dei distretti di frontiera col protettorato di Aden; mantenendo viva una ragione di contrasto che è nostro interesse permanga, per evidenti ragioni di equilibrio di influenze nel Mar Rosso.

Ciò posto questo Ministero è d'avviso che non sarebbe opportuno lasciare cadere le profferte sovietiche, pur senza far mostra di attribuire loro un eccessivo interesse; che si possa procedere col Belkin allo studio del suo programma di traffici, facente capo a Massaua, e che non venga inibito al Prof. Bolognesi di assumere a Massaua stessa la rappresentanza degli interessi commerciali sovietici, ciò che sembra tanto più conveniente onde evitare l'installarsi in colonia di qualche agente commerciale sovietico.

Resta da esaminare il dubbio se l'attività della rappresentanza commerciale suddetta possa domani venire in concorrenza e quindi nuocere a quella azione di penetrazione, ed al complesso dei traffici nello Yemen che noi ci proponiamo

di riprendere, con un nuovo organismo da costituirsi, giusta le intese corse con codesto Ministero; ma occorre considerare che tale nostra ripresa di attività nello Yemen manca per ora di pratica concretizzazione; e che sarà possibile di esaminare quando essa sarà in sviluppo, la convenienza, se non di eliminare di impacciare per quanto sta in noi, l'attività commerciale sovietica nel Mar Rosso; ciò che ci sarà eventualmente più agevole di compiere se i traffici sovietici avranno come base Massaua, e se alcune fila di essi saranno in mani italiane. Inoltre un controllo dei traffici sovietici con lo Yemen potrà esserci utile sia per sorvegliare la qualità dei traffici stessi sia per regolarci nella ripresa dei nostri.

In relazione all'osservazione circa il possibile contrasto, dal punto di vista della politica generale fra gli interessi nostri ed i sovietici, questo Ministero rileva non solo che esistono importanti punti di contatto fra i detti interessi nella politica estera, ma che in ogni caso non è da escludersi l'utilità di un'eventuale e parziale collaborazione in determinate zone e per situazioni particolari, quale potrebbe essere quella che può presentarsi nello Yemen.

(l) La proposta di favorire a MaRsaua il commercio russo nel Mar Rosso era stata avanzata da Boris Onisenko il 29 ottobre 1929.

401

RELAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 4 marzo 1930.

Con promemoria in data del 29 Ottobre u.s. l'Ufficio Personale ritenne opportuno richiamare l'attenzione di V. E. sul numero alquanto elevato del personale addetto all'Ambasciata dell'URSS ed uffici dipendenti, esprimendo il dubbio che parte di tale numeroso personale, piuttosto che addetto ad affari consolari o commerciali, esplicasse attività di altra natura.

Le informazioni che, in conformità delle istruzioni di V. E., sono state raccolte presso il R. Ministero dell'Interno (Dir. Gen. della P.S.) e presso il R. Ministero della Guerra (Servizio Informazioni militari) permettono ora alla Direzione Generale E.L.A. di confermare che, nonostante la rigorosa sorveglianza già da molti anni a cura delle competenti autorità esercitata nei riguardi dell'Ambasciata dell'URSS e del personale impiegatovi, non si è mai potuto rilevare a carico di esso nessun caso concreto di tentativo di spionaggio o di propaganda comunista, e nemmeno raccogliere elementi tali da confermare il sospetto di illecita attività.

Tenuto conto dello speciale sistema del monopolio del commercio estero esistente nell'URSS, e della necessità per l'URSS di avere nei propri uffici all'estero dei tecnici, degli specialisti, ed anche dei funzionari subalterni specialmente addetti a funzioni di carattere commerciale, la Direzione Generale E.L.A. non può pertanto condividere l'avviso dell'Ufficio Personale circa la convenienza di un accordo con l'URSS per la limitazione del personale addetto agli uffici sovietici in Italia; una simile richiesta non sembra invero opportuna, sia dal punto di vista politico, dopo dieci anni oramai di corrette relazioni diplomatiche fra i due Paesi, e quando nessun elemento si è potuto mai raccogliere a carico

del personale sovietico, sia avuto riguardo ai nostri interessi commerciali, potendosi in avvenire facilmente da parte dell'URSS invocare un'eventuale obbligatoria riduzione di personale, come ragione di minore interessamento al mercato italiano e impossibilità pratica di interessarvisi (1).

402

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA

Roma, 4 marzo 1930.

Riferendomi a quanto ebbi ad accennarLe durante il Suo recente viaggio a Roma circa le occupazioni francesi nel Tibesti, mi affretto a trasmetterLe copia di una lettera personale da me diretta al R. Ambasciatore a Parigi.

Naturalmente non mancherò di comunicarLe la risposta del Conte Manzoni e sottoporLe quindi al più presto possibile le istruzioni da inviare alla R. Ambasciata mettendomi anche d'accordo con il Ministero delle Colonie.

ALLEGATO.

GUARIGLIA A MANZONI

L. P. Roma, 4 marzo 1930.

Nell'ultimo telespresso inviatoLe circa la nostra avanzata verso Tummo ed i conseguenti passi che sarebbe opportuno fare presso il Governo francese si fa riserva di istruzioni nei riguardi delle recenti occupazioni del Tibesti fatte dai francesi con la spedizione del Maggiore Aubert, partita da El Faya (Borcu) e destinata, a quanto sembra, ad occupare i tre centri del Tibesti, Bardai, Wour e Sherda.

Poichè S. E. Grandi, col quale parlai della cosa durante il suo recente viaggio a Roma mi ha autorizzato, a mia richiesta, a mettermi d'accordo direttamente con Lei prima di inviarLe un dispaccio ufficiale di istruzione, mi permetto di scriverLe a questo scopo in via personale per conoscere il suo parere circa la miglior linea di condotta da seguire nel momento presente.

Comincerò col dirLe che il Ministero delle Colonie ci ha scritto a questo proposito quanto segue:

• Il Tibesti rappresenta una regione la cui appartenenza alla Francia deve essere da noi nettamente contestata, essendo interamente ,compresa in quella parte del retroterra libico per il quale non è ancora intervenuta alcuna delimitazione di frontiera. Devo ricordare che Bardai e Wour furono sede di stabili presidi ottomani e che tutta la regione fu amministrativamente organizzata dai turchi nel Caimacanato dei Tebu Reshadah, con sede appunto a Bardai. Una richiesta di spiegazioni al Governo francese sembra su questo punto indispensabile, anche per neutralizzare in certo qual modo, con una pronta reazione diplomatica, gli effetti dannosi che l'occupazione definitiva del Tibesti non mancherà di esercitare sull'andamento dei negoziati in corso.

Cfr. un appunto di Guariglia per Ghigi del 15 gennaio 1930: « il dumping russo presenta qualche notevole vantaggio per noi, date le merci su cui si esercita •. cioè principalmente su legname, petrolio, carbone e anche grano.

Ritengo non inutile a questo proposito ricordare che anche durante le trattative di Versailles la Francia offerse all'Italia il Tibesti settentrionale, offerta che, per quanto si ha ragione di ritenere non venne espressamente rifiutata ma fu semplicemente fatta cadere •.

Ora io ho già fatto personalmente osservare a S. E. De Bono le inesattezze esistenti in tali affermazioni. E cioè:

l) Che qualunque sia lo stato della controversia fra noi e i francesi circa l'interpretazione data dalla Convenzione anglo-francese del 1919 a quella anglofrancese del 1899, sta di fatto che la linea più favorevole da noi reclamata non ci attribuisce sempre che una piccola parte del nord-est del Tibesti, e precisamente una linea che passa da Bir-Birkis per Emi-Hessu e va a finire a nord di Guro (linea verde nella carta delle Colonie n. 67411926 che V. E. certo possiede). Questa linea, nel caso che i francesi la accettassero, noi siamo sempre impegnati a riconoscerla in base all'accordo Prinetti-Barrère del 1902. Perciò non è il caso di dire che • il Tibesti rappresenta una regione la cui appartenenza alla Francia deve essere da noi nettamente contestata, essendo interamente compresa in quella parte del retroterra libico pel quale non è ancora intervenuta alcuna delimitazione di frontiera •;

2) Ugualmente non è il caso di ricorrere ai ricordi storici dei presidii ottomani stabiliti nel Tibesti, poichè queste argomentazioni ci sono precluse dallo stesso scambio di note Prinetti-Barrère; o meglio dal modo con cui le Colonie lo hanno interpretato nelle note che ci hanno fatto scrivere alla Francia nel dicembre 1921 e nel marzo 1924.

Tutto quello che possiamo contestare è soltanto -ripeto -quella piccola parte del Tibesti nord-est su cui verte l'interpretazione della Convenzione anglo-francese del 1899;

3) Tanto meno è il caso di rievocare l'offerta che si asserisce fattaci dalla Francia del Tibesti settentrionale durante le trattative di Versailles, non costituendo essa alcuna base di discussioni diplomatiche;

4) È perciò che noi abbiamo impostato gli ultimi negoziati itala-francesi unicamente sulla base del Patto di Londra ed in sede di impegni di compensi territoriali finora non soddisfacentemente risolti.

Il Ministro delle Colonie ha avuto l'aria di essere convinto di tali obiezioni, e non dubito che V. E. anche ne convenga.

Resta però da esaminare l'opportunità e l'eventuale forma di un nostro passo verso la Francia destinato a non lasciar pregiudicare col nostro silenzio anche la vertenza circa l'interpretazione della Convenzione del 1899 per il caso che l'occupazione francese si spingesse appunto nella zona contestata.

E resta anche da esaminare come eventualmente collegare in modo utile questo passo agli attuali negoziati itala-francesi per la modifica del confine libico secondo le ultime nostre richieste e cioè fino al 18° parallelo.

In realtà io credo che anche avendo impostato le discussioni ultime sul Patto di Londra ciò non abbia nè chiusa nè pregiudicata l'altra discussione protrattasi senza risultato fino alla nota del Quai d'Orsay del 21 giugno 1924 circa la Convenzione anglo-francese del 1919.

Credo pure che le due discussioni potrebbero proseguire di pari passo senza danno, anzi con vantaggio del negoziato in corso.

E perciò mi sembrerebbe utile che, ricollegandoci alle citate ultime note del Quai d'Orsay noi riesumassimo la questione, prendendo occasione dai recenti movimenti militari francesi, per ricordare alla Francia la nostra interpretazione della Convenzione anglo-francese del 1899 ed avvertirla che noi non potremmo riconoscere delle occupazioni che avessero a verificarsi nelle zone contestate.

A questa nostra dichiarazione si potrebbe forse aggiungere una frase di richiamo alle più ampie richieste da noi fatte in base al Patto di Londra per far comprendere ai francesi che, se pure noi non possiamo avere delle pretese di diritti sul Tibesti, le nostre • speranze • non si fondano unicamente sulla maggiore o minore liberalità da parte della Francia, ma su quegli interessi all'ampliamento del retroterra libico che la Francia dovrebbe riconoscerei m base ad una definizione del retroterra stesso più equa di quella che per contingenti ragioni ci fu giocoforza accettare con l'accordo Prinetti-Barrère del 1902.

Mi rendo conto che questa argomentazione è abbastanza stiracchiata e non ha valore giuridico; ma forse non sarebbe difficile darle una forma più adatta soprattutto perchè anche in tema di compensi derivanti dal Patto di Londra siamo sempre nel campo dell'equità.

Ad ogni modo, Le sarò grato se vorrà farmi conoscere il Suo pensiero sull'argomento, allo scopo di sottoporre al nostro Ministero ed a quello delle Colonie il testo preciso delle istruzioni da inviare a codesta Ambasciata (1).

(l) Annotazione di Grandi: • Sono d'accordo col lVl[inistro] Guariglia. Sarebbe per lo meno intempestivo •·

403

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. 645. Belgrado, 4 marzo 1930 (per. il 6).

Principe Paolo si è espresso meco ierisera in termini soddisfattissimi relativamente al colloquio avvenuto fra S. E. il Capo del Governo e S. E. Rakic il 25 febbraio u. s. (2). Il tenore di detto colloquio e le speranze che se ne possono avere per un successivo sviluppo corrispondevano a sentimenti fortemente nutriti dal Principe.

Jeftic, in forma misurata, si è espresso identicamente stamani. Ha detto che tale colloquio era complementare di quello da lui avuto con V. E. (3) e lo confermava autorevolmente. E poichè S. E. il Capo del Governo avrebbe detto a Rakic di [ri]prendere tali colloqui quando V. E. fosse tornato da Londra, Jeftic ne desumeva la possibilità si potesse arrivare ad una reale intesa con l'Italia.

Intanto egli ed il Governo jugoslavo si adopererebbero perchè tutte le questioni quotidiane fossero regolate nel modo più soddisfacente e più rapido.

Egli era preoccupato però della possibilità che di tali colloqui si avesse notizia e che interessi contrastanti ed oppositori si ponessero di traverso per impedire una efficace conclusione. Egli attribuiva a malevolenze ed interessi contrari ad un buon accordo fra Italia ed Jugoslavia la responsabilità maggiore della situazione creatasi così difficile. Era perciò necessario mantenere il più assoluto segreto. Ed a tale scopo aveva dato istruzioni a Rakic di non più riferire alcunchè per iscritto, ma quante volte avesse avuto colloqui importanti con V. E. venire a Belgrado per informare il Governo temendo egli anche le indiscrezioni dei segretari.

Ha insistito perchè di tale suo colloquio con me io non facessi alcun uso.

nuova~.

33 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

(l) Cfr. anche una I. p. di Guariglia a Ghigi, s. d. ma databile fra il 14 e il 25 febbraio 1930: Noi non abbiamo mai pensato a ripudiare o sminuire gli accordi itala-francesi del 1900 e del 1902 di disinteressamento reciproco per il Marocco e per la Libia. • nemmeno durante le discussioni della questione di Tangeri, quando i francesi non comprendevano che appunto perchè noi volevamo escludere dai suddetti accordi la zona di Tangeri, ne veniva per conseguenza che confermavamo la validità degli accordi stessi ..... Abbiamo a più riprese chiaramente stabilito che tutte le nostre richieste si basano sul Patto di Londra e che non vogliamo discutere sulle cose passate giacchè la guerra e il detto patto hanno creato una situazione

(2) -Non si è trovata documentazione sul colloquio. (3) -Cfr. n. 302.
404

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA UU. S. 1165/488. BeLgrado, 4 marzo 1930.

Telespresso di V. E. n. 1775 del 17 Febbraio u.s. (1).

Sulla base delle istruzioni di V. E. contenute nel telespresso cui mi riferisco ho consegnato il 21 scorso mese ad Jeftic la nota verbale con la quale comunicai le ragioni che impongono a noi il richiamo del Colonnello Visconti.

Jeftic mi ha rinnovato ogni possibile assicurazione che nulla sarebbe trapelato nella stampa di tale questione.. che non sarebbe mai stata argomento di pubblico scandalo, e mi ha confermato che il processo contro l'Ing. Zviet e gli altri russi arrestati, processo a porte chiuse ecc. ecc., non avrebbe luogo prima del giugno. Successivamente lo ho pregato a titolo personale di considerare se gli fosse stato possibile dirigermi una lettera strettamente confidenziale per esprimermi il suo rincrescimento per la partenza del nostro addetto militare del quale riconosceva le qualità esimie. Jeftic non mi dette alcuna risposta negativa pregandomi soltanto di !asciarlo riflettere su tale possibilità.

Ho poi ricordato a Jeftic la promessa fattami, ed in ultimo ieri sera dopo un pranzo in casa mia al quale egli partecipava con S.A.R. il Principe Paolo altri membri del Governo e del Corpo Diplomatico. Egli mi fece intendere che si trovava in qualche difficoltà e mi pregò di passare da lui stamani.

Debbo a tal punto premettere che il 22 mese scorso doveva aver luogo un secondo ballo alla Corte. V. E. rammenterà che quando si trattò del primo ballo,

S. E. Jeftic (ne informai V. E.) mi disse che il Colonnello avrebbe ricevuto l'invito, ma sarebbe stato preferibile trovasse una scusa per non recarvisi e ciò per non esporsi a qualsiasi possibile espressione non gradevole da parte di Re Ales~andro. E così fu. L'invito pervenne ed il Colonnello Visconti non si recò al ballo. Quando giunsero alla Legazione gl'inviti per il secondo ballo fu subito notato

che non era giunto quello per il Colonnello Visconti.

Ne tenni perciò parola a Jeftic, in un giorno che non sono in grado di pre

cisare ma che era intorno al 10 febbraio. Jeftic mostrò sorpresa per tale omissione

dicendomi che egli non aveva dato alcun ordine in tal senso al Maresciallo di

Corte. Jeftic promise di informarmi perchè l'invito non era stato inviato.

Il 21, quando rimisi a Jeftic la nota relativa al richiamo del Colonnello

Visconti, ripetei che l'invito per il ballo del giorno successivo non era arrivato

al Visconti. E Jeftic mi fece intendere che era stato lo stesso Re a dare tale di

sposizione e gli era impossibile rimediare.

Tornato dunque stamani da Jeftic egli mi ha detto che si trovava in difficoltà per rilasciarmi tale lettera dato che il Colonnello Visconti in data 23 febbraio u. s. aveva diretto al Maresciallo di Corte Dimitrievich una (insolente) lettera che, solo per suo intervento, il Maresciallo non aveva mostrato a Re Alessandro. In tale lettera, secondo quanto affermava Jeftic si entrava anche assai inopportunamente nel merito della questione mentre egli aveva con ogni mezzo cercato di

evitare vi fosse alcunchè di scritto che facesse il nome del Colonnello e delle

ragioni che determinavano la sua partenza. Egli mi avrebbe senz'altro scritto

come richiestogli se non vi fosse stata questa lettera del Visconti.

Ho risposto a Jeftic che io ignoravo tale lettera e che appena possibile me la sarei fatta mostrare. Infatti tornato in Legazione ho richiesto al Colonnello il testo della lettera e gli ho mosso rimprovero vivo per averla inviata a mia insaputa. Il testo V. E. lo troverà qui unito. Insisterò con ogni argomento possibile con Jeftic domani affinchè egli mi scriva come V. E. ne ha espresso il desiderio. Ma V. E. comprende che l'inopinato intervento del Colonnello Visconti ha reso assai più difficile da parte mia l'ottenere tale risultato.

P. S. -La fretta di rimettere al corriere odierno la presente comunicazione aveva fatto omettere che avevo suggerito ad Jeftic (avendogli dimostrato che col non mandare l'invito al Colonnello si contravveniva agli affidamenti datimi) che la lettera desiderata avrebbe dovuto prendere lo spunto dal mancato invito attribuendolo a svista od equivoco. Deplorato una tale omissione Jeftic avrebbe aggiunto qualche cortese parola di rammarico per la partenza del Colonnello Visconti.

ALLEGATO.

VISCONTI PRASCA A DIMITRIEVIé (l)

L. P. Belgrade, le 23 février 1930.

J'ai l'honneur de Vous communiquer que je n'ai pas reçu d'invitation pour le Bal de Cour du 22 février, comme de coutume, en tant que Représentant de l'Armée Royale Italienne, de membre de la Maison Militaire de Sa Majesté le Roi d'Italie et du Corps Diplomatique.

C'était un simple égard formel, dans l'esprit des promesses officielles que Votre Gouvernement a cru faire -que nous n'avions pas demandées et qui ainsi n'ont pas été maintenues.

Cela aurait été aussi un geste chevaleresque, à vide, digne d'une tradition.

Vous auriez pu étre sur, d'ailleurs, Monsieur le Maréchal, que méme en recevant l'invitation, et tout en Vous remerciant pour l'aimable formalité, je n'aurais pas pris part à ce Bal -comme je n'ai pas pris part au précédent. Cette absence a été, et aurait été, due, à ma seule volonté, car je n'ai besoin d'aucune suggestion lorsqu'il s'agit de ma dignité.

Ma présence à ce Bal aurait été en contraste avec la grave offense qui m'a été faite en tant que Représentant officiel de l'Armée Italienne et comme Hòte diplomatique de Votre Pays sous la forme d'une basse accusation policière aussi dépourvue de fondements sérieux que dénuée de preuves valables. Lorsqu'on lance une accusation de ce genre, on a le devoir de loyauté de l'accompagner de preuves documentées. Sans quoi, selon les codes juridiques et moraux de tous les Pays une accusation n'est pas admissible et le déshonneur en retombe sur ceux qui l'ont fai te.

«Non sembra dubbio che il documento costituisca, malgrado ogni sforzo fatto da questo Ministero e dal nostro Ministro a Belgrado a sostegno della posizione del R. Addetto Militare, perchè il nome di questi non venisse fatto in connessione alle note faccende di spionaggio, una dichiarazione precisa di tale connessione, emanata dallo stesso Visconti e consegnata in mani jugoslave.

In questo stato di cose ciò che sembra essere a mio avviso, più opportuno è una partenza sollecita da Belgrado del Visconti anche se il gradimento del suo successore dovesse tardare ancora qualche giorno e ciò perchè, dall'episodio della lettera al Maresciallo, debbo presumere che il Visconti sia in uno stato d'animo -del resto comprensibile -tale da consigliare un suo pronto distacco da quegli ambienti ove egli non può più trovarsi a suo agio •.

Monsieur le Maréchal, cette circonstance de l'invitation manquée étant une forme d'accusation, indirecte, mais publique et personnelle j'ai été forcé d'exprimer ma pensée d'une façon catégorique en sortant de la réserve et du silence que je m'étais imposés. Et cela d'abord parce que connaissant mieux que personne, la qualité et la portée de mes actes pendant mon séjour dans Votre Pays je dédaigne de me justifier et ensuite parce que mes sentiments au point de vue de cette ignoble affaire et de ses conséquences ne sont inspirés qu'au plus hautain des mépris.

(l) Cfr. n. 370.

(l) Il documento fu inviato da Grandi a Gazzera allegato a una lettera di cui si pubblica il passo seguente:

405

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 827/454. Vienna, 4 marzo 1930.

Ho chiesto un colloquio al Cancelliere per avere da lui informazioni sul suo recente viaggio a Berlino.

Mi ha detto di avere già scritto in proposito a S. E. il Capo del Governo (1). Voleva tuttavia darmi le notizie che gli domandavo. Esse potevano così riassumersi:

1° I telegrammi di stampa sulla grazia accordata agli agitatori alto-atesini, pubblicati a Berlino il giorno del suo arrivo, avevano fatto colà ottimo effetto. Egli aveva l'impressione che una corrente di simpatia partisse da Berlino e passando da Vienna si dirigesse da una parte verso l'Italia e dall'altra verso l'Ungheria. Hindenburg gli ha chiesto se veramente le cose andavano in Italia così bene come si dice ed ha mostrato accogliere con soddisfazione le affermative assicurazioni dategli da Schober.

2° Si sono proseguite le discussioni, durate già troppo a lungo, per la stipulazione di un nuovo trattato di commercio. Si è potuto ottenere qualche, sia pure non grande, concessione dalla Germania, specie in materia di legname e bestiame, e si è deciso che una settimana dopo la fine dell'attuale conferenza di Ginevra sarà concluso il nuovo trattato, per dare così modo a Schiiller, che ora si trova di nuovo in Svizzera, di tornare in Germania.

3° Sono state domandate a Schober notizie sui rapporti dell'Austria con i vari Stati specie con la Cecoslovacchia, ma si è dimostrato specialmente interesse di conoscere la sua opinione sulla situazione in Jugoslavia. Egli ha manifestato gravi dubbi sulla sua solidità. I Croati e i Serbi sono popoli di cultura assai diversa: gli uni occidentali, gli altri, pur sotto una vernice di francesismo, orientali. Se subito dopo la guerra la propaganda serba ed altre cause transitorie fecero da legame fra gli uni e gli altri, oggi la situazione è mutata, nè è da credere possa migliorare. I Croati guardano con fiducia all'Austria, alla quale sarebbero adesso felici di riunirsi, e all'Italia. Ma la piccola Austria attuale non può loro dare che la propria simpatia, mentre la grande Italia può fare per loro assai di più. Sembra che queste considerazioni di Schober abbiano, da quanto egli ha poi inteso, fatto particolare impressione sugli alti funzionari del Ministero degli Esteri tedesco.

Di null'altro di importante si è parlato a Berlino. Il soggiorno è stato breve, e le visite e i banchetti hanno preso molta parte del non molto tempo disponibile.

Ho chiesto al Cancelliere notizie sulle sue prossime altre visite annunziate dai giornali. Mi ha risposto che il suo viaggio all'Aia era stata una necessità, quello a Roma un dovere di gratitudine, e quello a Berlino la continuazione di una costante tradizione. Ora per un paio di mesi non si sarebbe mosso più, sia per i doveri parlamentari sia per porre una pausa tra i viaggi già compiuti e quelli da compiere e mostrare la differenza di importanza che egli attribuiva agli uni e agli altri, ciò che sarebbe certamente riuscito gradito tanto a Roma quanto a Berlino. Egli era stato invitato così a Parigi come a Londra, e, pur rispondendo che avrebbe in seguito visitato tanto l'uno quanto l'altro Governo, aveva lasciato che, per evitare malumori, fosse da entrambi deciso di comune accordo quale dei due egli avrebbe dovuto visitare per primo, e se la visita avesse dovuto farsi con un solo viaggio o con due separati viaggi. Quanto ad un suo viaggio a Praga, per il quale aveva già ricevuto un invito da Benes, aveva dato risposta evasiva, secondo mi aveva già detto. Ne vedeva tanto meno l'opportunità, in quanto andare a Parigi era già un modo indiretto di andare a Praga, e in quanto una sua visita a Benes credeva non avrebbe adesso fatto buona impressione né a Roma né a Berlino.

Occorre ora riprendere i lavori parlamentari nei quali le leggi antisocialiste in preparazione troveranno negli austro-marxisti una sicura opposizione che egli però non crede invincibile. Il momento importante giungerà solo in maggio, quando si dovrà prendere una decisione sulla data delle nuove elezioni, e stabilire se indirle per l'ottobre del '30 o attendere la primavera del '31 (1).

(l) Cfr. n. 398.

406

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Parigi, 4 marzo 1930.

Le mando la copia della memoria lasciata jeri al signor Berthelot sui nostri ulteriori movimenti militari nel sud tripolino.

Tutto ciò, gli ho detto, dovrebbe fare affrettare la delimitazione tra i nostri possedimenti. Ed allora dalle sue risposte è venuto fuori il duplice errato concetto francese: l o che pel compenso coloniale noi si abbia a dare un • compenso •!! 2o che la questione della nazionalità degli Italiani in Tunisia debba esser regolata, nel senso cioè della limitazione.

Così indicò Berthelot. Io gli risposi che questo equivaleva a stracciar il Patto di Londra ed a far altrettanto della Nota Barrère del 1918.

La conclusione è che a trattar di ciò con gli Uffici, non solo non si guadagnerebbe nulla, ma si darà altre occasioni per imbrogliare, senza rossori, la matassa.

Bisogna trattare con Ministri politici che possano far tacere e far obbedire gli Uffici del Quai d'Orsay.

ALLEGATO.

MEMORANDUM

Paris, le 3 mars 1930.

Le 24 janvier dernier les troupes Italiennes ont réoccupé Mourzouk en Libye et le 24 février l'oasis de Ghat: elles vont maintenant entrer de nouveau dans la région de Toummo.

Le Gouvernement Royal tient à en prévenir le Gouvernement de la République attendu que l'avancée des troupes Italiennes pourrait occasionner des contacts avec les troupes Françaises dans des territoires où la ligne frontière entre les possessions Italiennes et les possessions Françaises est seulement sommairement indiquée et pas encore tracée par voie de vérification sur les lieux, tel qu'à l'ouest de Toummo, (échange de Notes Bonin-Pichon du 12 septembre 1919) ou encore sans aucune indication bilatérale.

A cette occasion l'Ambassade Royale attire l'attention du Ministère des Affaires Etrangères sur le compte-rendu publié dans l'Illustration du 12 octobre 1929 d'un voyage accompli partiellement en territoire Libyen, sans aucune information préventive aux Autorités Italiennes, par Mr. Conrad Kilian, sous le drapeau Français. Les prises de possessions et dénominations de localités faites par lui en territoire Libyen, reconnu tel par les Notes Bonin-Pichon du 12 septembre 1919 demeurent naturellement sans effet.

(l) Annotazione marginale di Grandi: • Al Capo del Governo"·

407

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA

Roma, 5 marzo 1930.

Le segnalo l'unita nota 19 febbraio scorso, con la quale il Ministero delle Colonie, riferendosi ad una comunicazione dei liquidatori della SCITAR, che a fine corrente marzo terminano il loro compito con il conseguente abbandono di tutte le posizioni raggiunte dalla Società nello Yemen, comunica che il comm. Fagiuoli, Presidente della « Kosseir • ha fatto conoscere di non esser più in grado di intervenire per la ricostituzione della SCITAR, di modo che viene così a mancare la base della decisione concordata dai due Ministeri, nei riguardi di una tale ricostituzione, che doveva segnare l'inizio della ripresa della nostra azione di penetrazione nello Yemen.

S. E. De Bono, col quale ho avuto un colloquio in proposito, ha riaffermato quanto esposto alla fine dell'unita nota, e cioè che se dalla Finanza non venga concessa un'annua assegnazione per la politica nello Yemen, non si vede come sia più possibile di svolgervi un'azione di penetrazione. (In ciò sono perfettamente d'accordo).

S. E. il Ministro delle Colonie ritiene che la miglior via da seguire per ottenere dalla Finanza tale assegnazione sia quella di richiedere l'intervento diretto di S. E. il Capo del Governo presso il Ministro delle Finanze, a mezzo di apposita relazione, a firma di V. E. e Sua, la quale richiamasse l'attenzione del Primo Ministro sulle gravi conseguenze cui si andrebbe incontro, ove si persistesse nella nostra inazione nello Yemen per mancanza di fondi.

Ritenendo anch'io utile seguire una tale via, ho preparato un progetto di relazione, che mi onoro di trasmettere a V. E., e con la quale si espone a S. E. il Capo del Governo la preoccupante attuale situazione.

Se l'E. V. concorda in tale modo di vedere e nei termini della relazione, Le sarò grato se vorrà farmi ritornare l'unito progetto che sottoporrei -ove approvato e firmato da V. E. -a S. E. il Ministro delle Colonie.

Mi permetto di richiamare l'attenzione di V. E. sulla parte conclusiva del progetto stesso, e propriamente sul punto ove si accenna aU'attuale disponibilità, sui fondi del Gabinetto Esteri, dei due milioni già concessi dalla Finanza negli esercizi 1927-28 e 28-29, per le spese politiche nello Yemen, e mai' utilizzati, a tale scopo.

Sembra, invece, -a quanto mi vien detto -che detti due milioni, all'atto del passaggio di gestione al Gabinetto di V. E., siano stati conglobati insieme con tutti gli altri fondi segreti, e forse anche già assorbiti, in tutto od in parte, da altre spese, dimodoché si rende necessario assodare se la loro disponibilità si possa o meno affermare nella relazione diretta a S. E. il Capo del Governo.

Nel caso essi fossero stati totalmente o parzialmente utilizzati per altri fini, occorrerebbe in conseguenza modificare detto punto della relazione, in quel senso che l'E. V. vorrà compiacersi farmi conoscere (1).

ALLEGATO.

PROGETTO DI RELAZIONE PER MUSSOLINI

Roma... marzo 1930.

È nostro dovere non nascondere a V. E. la preoccupante situazione che si è venuta a creare -e dovuta sopratutto a ragioni finanziarie -nei riguardi della azione di penetrazione economica italiana nello Yemen.

Negli anni decorsi, una tale penetrazione ha già dato, e non solo nel campo economico ma anche in quello politico, dei risultati tangibili, e tanto più apprezzabili, quando si consideri il non rilevante ammontare delle spese incontrate. Oggi, per mancanza di fondi, tali risultati rischiano non solo di essere compromessi ma del tutto annullati: ciò che può provocare un arresto nello sviluppo della nostra azione politica nella Penisola Arabica.

La questione merita ogni più attenta considerazione, data l'importanza che ha,

nella politica generale del nostro Paese, l'affermazione italiana nello Yemen, la

quale costituisce un fattore di portata trascendente anche la pura politica islamica.

Non è possibile fare opera di penetrazione politica e commerciale in Paesi nelle

condizioni in cui trovasi lo Yemen, senza dover affrontare, all'inizio, delle spese

anche in pura perdita. Né si può, in politica estera, procrastinare attività, senza

correre il rischio che altri Paesi abbiano ad occupare le posizioni abbandonate

o mal difese: ciò che per lo Yemen -è d'uopo riconoscerlo -sta attualmente verificandosi nei nostri riguardi.

Concordemente noi riteniamo che ogni opera debba essere data per difendere le nostre posizioni, con tanto sforzo conquistate in quel Paese, e ciò mediante una azione economica positiva e non già cercando (come pure si è stati talvolta costretti, in questi ultimi tempi, a fare, per opporci all'intensificata concorrenza straniera, sovietica in ispecie) di premere ed influire sull'Imam di Sanaa perché impedisca ad altri ciò che noi non siamo in grado di fare. Una tale politica negativa non può evidentemente avere risultato alcuno, anzi alla fine non potrebbe che riuscire dannosa anche nel campo politico.

È stato sempre avviso dei due Ministeri da noi diretti che la nostra azione economica nel Mar Rosso potrebbe più agevolmente e più proficuamente esplicarsi,

ci sono •.

ove essa venisse assunta da una Società privata, nella quale lo Stato fosse in parte interessato, ed alla quale dovrebbero far capo anche, e specialmente, tutte le richieste di materiale bellico che l'Imam Jahia ora rivolge direttamente al Governatore dell'Eritrea: ché anzi tali forniture di armi, debitamente controllate dal

R. Governo, dovrebbero appunto costituire per la Società la ragione per domandare agevolazioni e concessioni nel campo economico.

V. E. è a conoscenza dei tanti tentativi fatti dal Ministero degli Esteri, sempre strettamente coadiuvato da quello delle Colonie, per dare vita e sviluppo ad un grosso organismo commerciale che si occupasse in particolar modo non solo dello Yemen ma di tutti i Paesi bagnati dal Mar Rosso ed anche dell'Etiopia, e degli sforzi fatti per cercare di coordinare e riunire le sparute attività italiane esistenti in tali regioni. Tali tentativi e tali sforzi non hanno mai avuto alcun risultato, specialmente perché è stato impossibile ottenere un diretto od anche indiretto concorso della Finanza senza il quale non è possibile trovare in Italia capitali che si sobbarchino ad imprese così lontane, e comportanti, almeno per i primi anni, perdite sicure.

Dal 1926 -anno di inizio di una nostra più intensa affermazione nel Mar Rosso e nella Penisola Arabica -al 1929, parallelamente all'azione diretta di penetrazione economica condotta dal Governatore dell'Eritrea, si è svolta, nello Yemen, quella della Società Commerciale Italo-Araba. Quest'unica azienda italiana, che in quel triennio ha lavorato con utile azione fiancheggiatrice, è stata però recentemente costretta a porsi in liquidazione.

Costituita nel 1926 allo scopo di sviluppare i rapporti economici fra l'Italia e lo Yemen, la Società Commerciale Italo-Araba (SCITAR), pose in un primo tempo come principale obbiettivo della sua attività l'esercizio del monopolio di vendita del petrolio, in base ad apposita concessione ottenuta dall'Imam Jahia: contemporaneamente creava in Italia l'organizzazione commerciale per la vendita dei prodotti esportabili dallo Yemen (particolarmente pelli e caffé). La Società istituì suoi rappresentanti in varie località dello Yemen e nelle più importanti città d'Italia, iniziando sotto favorevoli auspici la sua attività.

Nel novembre 1927, il Governo dello Yemen non volle rinnovare alla SCITAR

la concessione del monopolio dì vendita del petrolio, nonostante le pressioni del

Governo dell'Eritrea e gli affidamenti personali dell'Imam. La gestione del mono

polio causò alla Società una perdita di circa 300 mila lire, senza possibilità di

poterla riparare nell'esercizio successivo, come sarebbe stato possibile, se il

monopolio fosse stato mantenuto; giacché il ritorno alla libera concorrenza diminuì

automaticamente le vendite, per l'ingresso sul mercato yemenita del petrolio della

Standard Oil Co. e dell'Asiatic Petroleum Co. La rivalutazione della lira cagionò

altresì una cospicua perdita alla Società perché svalutò in misura sensibile la

notevole scorta sia di caffé che di petrolio, deprezzando contemporaneamente il

valore in lire dei talleri posseduti e dei crediti verso clienti dello Yemen, pure

espressi in talleri.

Senza entrare in altri particolari, basterà ricordare come le perdite della

Società siano ammontate, nel 1926-27 a Lit. 869 mila, e nel 1927-28 a Lit. 8 milioni

circa.

Gli scarsi risultati dei predetti due anni di attività della SCITAR -pur in

gran parte dovuti alla revoca della concessione del monopolio di vendita del petro

lio -erano da considerarsi quasi inevitabili. Tutte le aziende che hanno per

oggetto l'attività in Paesi coloniali incontrano nei primi anni forti sacrifici, i quali

possono nell'avvenire essere compensati solo se l'azione dell'azienda viene prose

guita con tenacia, avvalendosi degli insegnamenti che l'esperienza avrà dettato.

Per una tale considerazione, ed anche perché la Società Commerciale !taioAraba, malgrado i risultati ottenuti, aveva dato prova di essere un'azienda fondamentalmente vitale e capace, ove aiutata, di prosperare; ed avendo sempre presente la riconosciuta convenienza di affidare ad un valido organismo l'attuazione di un programma di penetrazione nello Yemen e negli altri Paesi della Penisola Arabica, in una riunione tenutasi alla Consulta il 22 ottobre u.s., e nella quale si

procedette ad un riesame generale di tutte le questioni di carattere politico-interna

zionale riguardanti la Colonia Eritrea, furono da noi prese -tra l'altre -le

seguenti decisioni:

a) • Istituire, in relazione alla riconosciuta necessità della nostra azione nella Penisola Arabica, un servizio di navigazione regolare nel Basso Mar Rosso, adeguato alle esigenze dei traffici, affidandolo ad una Società -la SCITAR ricostituita con nuovi capitali -, la quale dovrebbe disimpegnarlo con due piccoli piroscafi che eserciterebbero la navigazione di cabotaggio: alla Società -che dovrebbe almeno in parte essere finanziata dalla Società " Miniere di Kosseir " sarebbe concessa una sovvenzione sul fondo già concesso dalla Finanza per l'azione politica nello Yemen;

b) affidare all'anzidetta Società la fornitura delle armi allo Yemen sotto il controllo, naturalmente, del Governatore dell'Eritrea e secondo i criterì concordati, di volta in volta, col Ministero degli Esteri •.

Tali decisioni, e particolarmente quella riguardante la ricostituzione della Società Commerciale Italo-Araba, furono prese in seguito a dichiarazioni che il Comm. Fagiuoli, Presidente della • Kosseir •, ebbe a fare in apposite riunioni interministeriali tenute con la sua presenza, e nelle quali egli prospettò la possibilità di un intervento, in favore della SCITAR, da parte della • Società Miniere di Kosseir • e delle altre aziende da lui amministrate.

Senonché è ora venuta a mancare la base su cui si fondavano le decisioni adottate. Avendo, recentemente, i liquidatori della SCITAR annunziato che, al massimo a fine corrente marzo, sarà terminato il loro compito, con l'abbandono totale quindi di tutte le posizioni raggiunte dalla Società nello Yemen, il Comm. Fagiuoli, alla richiesta fattagli dal Ministero delle Colonie, di concretare gli affidamenti già dati, ha verbalmente fatto conoscere di non ritenere più possibile un suo interessamento per la ricostituzione della Società Commerciale Italo-Araba.

Il problema è molto preoccupante: per le considerazioni più innanzi esposte a V. E., noi riteniamo che la sua soluzione non possa ulteriormente protrarsi.

Per la intensificata concorrenza straniera nello Yemen, e più ancora per la nostra inazione, noi andiamo, sia pur lentamente, incontro al pericolo di veder crollato l'edificio così faticosamente costruito in quel Paese, crollo che deve evitarsi, e che sarebbe di grave discapito al nostro prestigio, e non soltanto nel Mar Rosso.

Non potendo, per l'attuale deficienza di mezzi, risolutamente contrastare l'intensa azione economica dei Sovieti nello Yemen, che attualmente è la preponderante, si sta cercando, almeno per controllarla, di dare attuazione, entro certi limiti e con le dovute garanzie, ad una richiesta rivolta al Governo dell'Eritrea dagli agenti soviettici in Mar Rosso, di costituire in Massaua una specie di centrodeposito del commercio russo in Arabia, affidandone la direzione ad un nostro connazionale, l'ex rappresentante della SCITAR nello Yemen.

Ma intanto è necessario che si provveda al più presto alla ripresa di una nostra azione di penetrazione diretta, la quale si trascina oggi stentatamente. E, d'altra parte, è urgente ed indispensabile, ai fini di una tale penetrazione, affrontare e risolvere il problema del servizio di navigazione nel Basso Mar Rosso.

Sui fondi di Gabinetto del Ministero degli Esteri sono disponibili 2 milioni di lire, concessi dalla Finanza negli esercizì 1927-28 e 1928-29 per le spese politiche nello Yemen. Essi potranno servire di base per l'inizio di una ripresa della nostra azione di penetrazione. Ma perché questa possa svolgersi con ritmo costante e produrre risultati proficui, occorre che sia assicurato dalla Finanza un determinato stanziamento annuo per un certo numero di anni.

Tenuto conto delle esigenze della nostra politica in Mar Rosso e nella Penisola Arabica e la doverosa necessità di ridurre al minimo il sacrificio che si è costretti a domandare alla Finanza, riteniamo che il gravissimo problema potrebbe avviarsi ad una favorevole soluzione, se la Finanza stessa acco_nsentisse a mantenere, sul bilancio del Ministero degli Esteri, l'annuo fondo di un milione di lire, prima concesso.

Siamo quindi a pregare V. E. di voler impartire gli opportuni ordini e S. E. il Ministro delle Finanze.

È nostro dovere prospettare all'E. V. che, nel caso perdurasse la nostra inazione per mancanza di fondi, la politica italiana nello Yemen non potrebbe che avviarsi, a più o meno breve scadenza, all'inevitabile fallimento.

(l) Annotazione marginale di Grandi: • Mio ritorno •. Cfr. il seguente biglietto riservato di Ghigi per Guariglia: • S. E. il Ministro desidera di parlarne al suo ritorno. I 2 milioni

408

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, CAPASSO TORRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 928/77. Monaco, 5 marzo 1930.

Il viaggio del Cancelliere Schober a Berlino, che ha seguito quasi immediatamente la firma del patto itala-austriaco in Roma, ha qui richiamato l'attenzione generale. Ho segnalato nei miei quotidiani rapporti stampa i giudizi e le induzioni di questi giornali, alcuni apertamente favorevoli, seppure un po' incerti e disorientati (ad eccezione dell'organo hitleriano) a un indirizzo politico che miri a stringere nuovi rapporti d'intesa politica con l'Italia; altri dubbiosi, cautelasi, timidi, corrivi a sottolineare anzi gli scopi economici del convegno berlinese che le mire politiche di esso; altri, infine, chiaramente diffidenti ed ostili a una politica di • avventure • col capo fitto nelle loro idiosincrasie alto-atesine, anche questi però con linguaggio quanto mai diverso dal passato recente nel parlare e giudicare delle cose del nostro paese. Tutti, insomma, hanno detto la loro, in conformità, naturalmente dei principi e delle ideologie dei rispettivi scrittori e ispiratori, ma tutti, senza eccezione, hanno fatto comprendere ai lettori che il viaggio di Berlino seguiva troppo da vicino quello di Roma per non esservi tra loro un evidente collegamento.

Linguaggio di giornali a parte, il senso che vi sia o sia per esservi • qualcosa di nuovo nell'aria • è qui diffusissimo: dirò, anzi, che i giornali di ogni tendenza sono stati questa volta piuttosto sobri nei loro commenti e non si può dire che, nel complesso, essi ci abbiano dato l'esatta misura dell'impressione che tra il pubblico di questo paese che pensa politicamente hanno prodotto il capovolgimento delle relazioni italo-austriache, il viaggio di Berlino e le varie dichiarazioni di Schober. Bisogna per rendersene miglior conto raccogliere i discorsi che circolano, ascoltare e interrogare uomini politici, uomini di affari e giornalisti in privato. Si sente allora echeggiare come da un passato che sembra lontanissimo ed è vicino una parola non dimenticata: • Dreibund • come si volesse fare intendere che vi sono situazioni geografiche e politiche che, di buona o di mala voglia, bisogna accettare con le loro inesorabili necessità. Persone che accettavano e forse inneggiavano alla politica di Stresemann e che sembravano succubi dell'influenza francese, si danno l'aria di accorgersi ora, se vogliam ricordare il titolo di un famigerato libro di guerra, che non si profila • Nulla di nuovo ad occidente • nonostante le anticipazioni troppo ottimistiche dei circoli dell'alta banca e dell'alta industria germanica abbacinati dalla ricchezza francese, e che, per converso, il destino della Germania è quello di tornare sulla via di Roma. Le parole di Miiller e di Schober a Berlino sono apparse significative perchè il

primo ha dichiarato d1 considerare anche un successo tedesco il successo dell'Austria all'Aja e il secondo ha offerto alla Germania il suo appoggio • in questi giorni in cui essa deve prendere delle decisioni d'importanza capitale per il suo avvenire •.

È facile anche notare un mal celato risentimento --che si volge sopratutto verso il governo di Berlino --per la iniziativa dell'Austria, quasi dolesse di esser tratti a rimorchio da Vienna. Qualcuno si domanda che cosa mai vuoi dire

• politica austriaca • se non vuoi dire • politica tedesca • e se le ragioni che hanno condotto al convegno Schober-Mussolini e che vengono sintetizzate nella necessità di difendersi dalle forze dissolutrici e antistatali all'interno e dall'invadente slavismo all'estero, non toccano anche la Germania. E qualche altro ricorda con rassegnata amarezza le parole dello storico ungherese Csoka: • Nel passato millennio il germanesimo ebbe la storica missione di arrestare gli Slavi nella loro invasione dell'Europa. Ora invece sembra che la Divina Provvidenza abbia passato questa missione in mano agli Italiani •.

Naturalmente, preso l'abbrivio, si fa qui manifesta la tendenza così caratteristica di questo popolo a ricondurre tutto a principi generali e a teorizzare l'arte politica, nonostante le irritate lezioni che in proposito somministrava ai suoi tempi Bismarck ai deputati del Reichstag.

Per concludere con un'opinione più autorevole e che rispecchia un pensiero più sobrio, segnalo a V. E. quanto ha avuto occasione di dirmi ieri il barone von Stengel, direttore generale di questo Ministero degli Affari Esteri: • Le visite di Schober a Roma ed a Berlino hanno grande importanza. Ho visto che a Parigi sono un po' nervosi, ma sembra sia destino dei francesi, o vincano o perdano le guerre, di essere nervosi. Io credo e spero che questo significhi un passo verso un'intesa più larga e cordiale fra la Germania e l'Italia. Il Siidtirol non è e non può essere un ostacolo che conti, di fronte a tanti e così vasti interessi comuni •.

409

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA, E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. POSTA 1413/776. Parigi 6 ma1·.zc .1930,

Mio telespresso n. 1334/734 del 4 corrente.

Il Quai d'Orsay ha risposto in data di ieri e con marcata sollecitudine al mio memorandum del 3 corrente (1).

Accludo due copie. Prego comunicarne una al R. Ministero delle Colonie, e fornirmi istruzioni per eventuali ulteriori conversazioni al Quai d'Orsay in merito a ciò che esso chiama « la nécessité de régler au mieux dans l'intérét commun les multiples problèmes de politique indigène que posent le contròle des tribus et la présence en territoire Français de nombreux réfugiés Libyens •

ALLEGATO.

BERTHELOT A MANZONI

Paris, le 5 mars 1930.

En faisant connaitre au Ministère des Affaires Etrangères, par note du 3 de ce mois, que les troupes italiennes, après avoir occupé Mourzouk et Ghat, se dirigeaient vers Toummo, l'Ambassade d'Italie a bien voulu prévoir la possibilité de contacts entre ces forces et les troupes françaises dans des régions où la frontière franco-italienne a été fixée conventionellement, mais non délimitée, ce qui est le cas à l'ouest de Toummo, ou n'auraient encore, de l'avis du Gouvernement Royal, fait l'objet d'aucune indication bilatérale.

Le Ministère, qui a été heureux d'apprendre le succès des armes italiennes, ne doute pas que les forces des deux pays continuent les rapports de courtoisie et amicale camaraderie qu'elles ont noués depuis le début des opérations. Il estime qu'une collaboration confiante entre autorités françaises et italiennes répond non seulement aux relations générales des deux pays mais encore à la nécessité de régler au mieux, dans l'intéret commun, les multiples problèmes de politique indigène que posent le contròle des tribus et la présence en territoire français de nombreux réfugiés libyens.

Le Ministère croit d'ailleurs devoir rappeler à l'Ambassade que, dans l'opinion du Gouvernement Français la ligne qui, à l'est de Toummo, marque la limite des possessions françaises est la ligne définie par l'accord franco-britannique du 9 Septembre 1919 portant interprétation de la déclaration franco-britannique du 21 mars 1899, reconnue par l'Italie en vertu de l'accord franco-italien du 1er Novembre 1902.

D'autre part, l'Ambassade a bien voulu attirer l'attention du Ministère sur le compte-rendu publié dans l'Illustration du 12 octobre dernier par M. Com·ad Kilian. Elle a déclaré à ce sujet que les prises de possession et dénominations de localité faites par ce dernier en territoire libyen reconnu tel par l'accord du 12 septembre 1919, demeuraient naturellement sans effet. Le Ministère a l'honneur de faire remarquer que le voyage d'exploration scientifique entrepris par M. Kilian n'avait aucun caractère officiel. Si ce jeune savant a été amené à se recommander de son drapeau meme en territoire libyen, c'est qu'il ne pouvait encore y compter sur la protection des autorités italiennes. Il n'a d'ailleurs pu ni voulu effectuer aucune prise de possession qui préjuge la délimitation définitive puisqu'en attendant cette opération la souveraineté territoriale ne saurait ètre qu'indécise entre la France et l'Italie mais non vacante. Quant aux dénominations géographiques dont M. Kilian est l'auteur, il y a procédé dans son indépendance d'explorateur et sous sa responsabilité personnelle.

(l) Cfr. n. 406, allegato,

410

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA

L. P. Parigi, 6 marzo 1930.

Ecco le mie vedute in merito a quanto Ella mi scrive nella sua del 4 corrente (1).

Bisogna attenerci agli atti del 1902 ed all'art. 13 del Patto di Londra, agli uni ed all'altro dando l'applicazione la più favorevole alle nostre tesi perchè furono stipulati con questo spirito.

Sconsiglio uscire da queste nostre indiscutibili basi giuridiche. Quindi non possiamo impostare coi Francesi questioni di sovranità territoriale al sud della linea per noi più favorevole derivante dalla posizione diplomatica da noi presa in merito alla demarcazione di sfere d'influenza tra Francia e Inghilterra nella Convenzione Franco Inglese del 1899. Al Nord e Nord-Est immediati di quella linea non vi può esser questione di sovranità che tra noi e gli Inglesi non tra noi e Francesi. Ma per prevenire ogni eventualità credo potrebbe essere utile che consegnassimo una memoria al Quai d'Orsay presso a poco in questi sensi:

• Secondo notizie di stampa una missione militare Francese è partita qualche mese fa alla rioccupazione militare di alcuni centri del Tibesti. Per istruzione del suo Governo la R. Ambasciata d'Italia ricorda che (e qui preciserei la nostra posizione diplomatica derivante dalle riserve del 1899 e dagli accordi del 1902: non ho qui gli elementi per farlo sicuramente) e che perciò esso considera i territori a nord di detta linea come facenti parte della Tripolitania e Cirenaica sotto la sua sovranità •.

Dal confine tracciato nelle note Bonin-Pichon del 1919 e dalla linea rivendicata cogli atti del 1899 e del 1902 partono le domande di compensi territoriali dalla Francia che in base all'art. 13 del Patto di Londra noi possiamo fare, ed abbiamo fatte, al sud ed all'ovest di queste demarcazioni territoriali.

Voler agire diversamente, voler contestare la sovranità Francese al sud della nostra linea del 1899 sarebbe a mio avviso agire senza base giuridica ed in contrasto con gli stessi nostri precedenti atti. Ci metteremmo in contrasto colle stesse nostre note del 29 giugno (l) e 7 ottobre 1929 (2) all'Ambasciata di Francia le quali comprendono il Tibesti in sovranità francese.

Il nuovo memorandum che qui sopra ho proposto lo collegherei con quello mio del 3 corrente. Le accludo copia della risposta che con molta sollecitudine vi ha dato il Quai d'Orsay {3). È di penna del signor Berthelot. Apre adito a molte opportune conversazioni sui problemi della politica indigena e della presenza in territorio Francese di numerosi rifugiati libici.

(l) Cfr. n. 402, allegato.

411

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. 651/106/76. Londra, 7 marzo 1930, ore 15 (per. ore 19,04).

Stamane riunione capi delle delegazioni presenti delegati francesi Briand Dumesnil. Due ore e mezza discussioni senza alcun risultato hanno dimostrato ripresa lavori conferenza posizioni delle cinque delegazioni non hanno mutato da quel che erano un mese e mezzo fa. Anche preannunziato accordo condizionato (4) fra America, Giappone, Gran Bretagna tuttora oggetto discussione. Lunedì prossimo capi delegazione si riuniranno nuovamente.

(l) -Cfr. serie VII, vol. VII, n. 515. (2) -Cfr. n. 49. (3) -Cfr. n. 409, allegato. (4) -Cosi la copia nel fondo • Segreteria Generale •· Nel registro dei telegrammi in arrivo si legge invece c negoziato •.
412

PROMEMORIA DEL DELEGATO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO, SUL COLLOQUIO CON IL DELEGATO INGLESE, CRAIGIE (l)

Londra, 8 marzo 1930.

Craigie mi ha telefonato stamattina (sabato 8 marzo) per chiedermi se avevo l'occasione di recarmi nei pressi di Downing Street, nel quale caso avrebbe avuto piacere di vedermi. Non aveva nulla di nuovo nè di particolarmente importante da dirmi ma pensava sarebbe stato utile di scambiare delle idee prima delle conversazioni che. avranno luogo domani fra MacDonald e Briand (2).

Mi sono recato a Downing Street con Buti ed abbiamo avuto con Craigie una conversazione durata più di un'ora.

Craigie ripetè i soliti argomenti, insistendo specialmente sul concetto che l'attitudine assunta dalla Delegazione italiana con la sua formula ( • l'Italia è pronta ad accettare qualsiasi cifra, anche la più bassa, purchè non superata ecc. ecc. • ), pur essendo perfettamente logica e naturale, non portava alcun elemento positivo nelle presenti trattative, ma riusciva anzi di ostacolo ad una attivazione dei negoziati, in quanto che la persìstenza italiana a non volere indicare il proprio programma di costruzioni per i prossimi sei anni offriva il pretesto ai Francesi di insistere sulle cifre alte indicate dal memorandum di Tardieu. L'Inghilterra aveva interesse a far abbassare queste cifre e Craigie riteneva che da parte francese vi fosse qualche buona disposizione a negoziare tale abbassamento. Occorreva fornire l'occasione di tali negoziati, e tale occasione potrebbe essere offerta dalla Delegazione italiana se questa si fosse decisa ad indicare con delle cifre il tonnellaggio che l'Italia sarebbe disposta ad accettare per il 1936, subordinatamente sempre alla parità colla Francia. Craigie prevedeva che i francesi non avrebbero accettato la cifra italiana, ma la nostra iniziativa avrebbe fornito all'Inghilterra l'opportunità di intervenire, mentre la Delegazione italiana non correva alcun rischio di compromettere la propria tesi, giacchè essa sarebbe sempre stata giustificata a reclamare la stessa cifra francese. La Delegazione italiana si sarebbe d'altra parte acquistato il merito, di fronte all'opinione pubblica, di avere mostrato la propria buona volontà e ciò sarebbe certamente apprezzato dalla Delegazione inglese.

Ripetei a mia volta a Craigie le ragioni per le quali la Delegazione italiana non poteva, senza mettersi in contraddizione con la tesi finora sostenuta, prendere l'iniziativa di fare delle cifre. L'Italia parte dal principio dei bisogni relativi, la Francia da quello dei bisogni assoluti: la Delegazione italiana non poteva quindi dire di più di quello che ha detto col suo memorandum del 19 febbraio (3). Non vedevo del resto quale pratica utilità avrebbe avuto l'indicazione da parte nostra di cifre che verosimilmente la Francia avrebbe dichiarato insufficienti ai propri bisogni, mentre sarebbero forse state interpretate come l'indicazione dei • bisogni assoluti • dell'Italia. Avanzai invece l'idea che fosse il Presidente della Conferenza a fare delle cifre per la Francia e l'Italia.

Craigie disse che MacDonald non aveva desiderio di prendere una iniziativa del genere che avrebbe irritato i francesi, i quali vedrebbero in essa una pressione. Egli però, per conto suo personale, aveva pensato alla cosa ed aveva buttato giù -tentatively -qualche cifra. Dopo nostre insistenze e dichiarando sempre che agiva a titolo assolutamente personale, Craigie ci indicò le seguenti cifre che, a suo avviso, potrebbero essere suggerite per le marine fran

cese ed italiana alla fine del 1936: Navi di linea Navi porta-aerei Incrociatori (caliIncrociatori (da torpediniere Sottomarini . . bro sup152 e eriore ameno) i 1e 52 mm.) Ca più ccia- T onn. 86.523 23.330 22.164 60.000 172.000 50.000 (nuove costruzioni)

Senza discutere queste cifre, esprimemmo i nostri dubbi sulla possibilità che la Francia accettasse tali cifre ed allora Craigie ritornò sull'idea già manifestata in un precedente colloquio, e che cioè l'Italia acconsentisse a che la Francia mantenesse, in più del tonnellaggio di cui sopra, un certo numero di navi vecchie. Accennò in proposito a circa 20.000 tonnellate di grandi incrociatori ed a 24.000 tonnellate di piccoli incrociatori e cacciatorpediniere.

Chiedemmo a Craigie se nel suo pensiero queste navi vecchie avrebbero dovuto considerarsi come « non rimpiazzabili » quando fossero state ritirate dal servizio, osservando che, qualora ciò non fosse, il vantaggio che egli pensava di dare alla Francia a titolo temporaneo si sarebbe risolto in una condizione di superiorità contraria al principio della parità. Craigie disse che da parte inglese si sarebbe certamente insistito perchè la Francia dichiarasse che tali navi non sarebbero state rimpiazzate: ammise però che, con tutta probabilità, la Francia si sarebbe mostrata aliena dall'assumere un tale impegno. In questo caso -· osservammo noi -non si poteva più parlare di parità.

Osservammo poi non essere verosimile che la Francia fosse disposta a ridurre la propria cifra di sottomarini a 50.000 tonnellate ciò che avrebbe implicato per essa la necessità di demolire una parte dei sottomarini attualmente in costruzione. Craigie riconobbe l'esistenza dì tale difficoltà, ed osservò che l'Italia avrebbe naturalmente avuto il diritto di chiedere la stessa cifra alla quale si sarebbe potuto abbassare la cifra francese dei sottomarini.

Dichiarammo a Craigie che, pur essendo desiderosa di facilitare la ricerca di una base soddisfacente di accordo, non ritenevamo che la Delegazione italiana avrebbe potuto accettare una soluzione sulle basi indicate. Ricordammo a Craigie che col nostro memorandum del 19 febbraio avevamo già dato prova della maggiore buona volontà e che, con la nostra dichiarazione relativa alle navi di linea, avevamo già ammesso che si potesse lasciare alla Francia -in via temporanea -il vantaggio della superiorità di fatto che essa oggi possiede per le navi di linea. N o n credevamo che la nostra Delegazione potesse andare più avanti nelle concessioni. Ci riservavamo tuttavia di sottoporre ai nostri Capi le idee da-lui manifestateci e di ritornare a suo tempo sull'argomento.

Craigie disse, nel corso della conversazione, che non credeva sarebbe stato possibile per l'Inghilterra di dare alla Francia tutto quello che essa chiedeva in materia di assicurazioni di carattere politico e che quindi la sola probabilità di giungere ad un accordo risiedeva in un negoziato sulle cifre, diretto a ridurre le richieste francesi. Ripetè che per intavolare le trattative appariva indispensabile che la Delegazione italiana manifestasse le sue intenzioni chiedendo la parità sulla base di un suo programma.

(l) -Al colloquio era presente anche Buti. (2) -Sulle quali cfr. DB, Serie II, vol. I, n. 152. (3) -Cfr. n. 376.
413

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA S. 1210/504. Belgrado, 8 marzo 1930.

Mio telespresso n. 1165/ 488 del 4 marzo u.s. (1).

Ho rivisto Jeftich il 5 corrente. Gli ho detto che avevo preso VISione della lettera indirizzata dal Colonnello Visconti al Maresciallo di Corte il 23 febbraio (2), che la lettera si spiegava in quanto proveniente da persona sdegnata per l'offesa che gli era stata recata, che diceva in forma un po' brutale quanto in sostanza gli avevo detto io pure allorchè avevo insistito perchè l'invito al ballo a Corte fosse inviato al nostro Addetto Militare. Anzi era appunto per questo che avevo chiesto egli mi scrivesse per iiustificare in qualche modo il mancato invito, aggiungendovi qualche parola cortese verso il Colonnello Visconti che stava per lasciare il suo posto. Ho aggiunto poi ogni altra possibile argomentazione sia di carattere generale che di. dettaglio e personale. Ho attirato anche la sua attenzione sulla circostanza che al Generale Cristich che pure era stato richiamato dall'Italia per provata attività illecita, non era mancato alcun riguardo da parte nostra quando accompagnò il Principe Paolo alle Auguste Nozze del nostro Principe Ereditario. La conclusione alla quale giunse Jeftich il 5 corrente fu che se il Colonnello Visconti non si fosse espresso così come aveva fatto nella lettera del 23 febbraio egli non avrebbe avuto alcuna difficoltà a mandarmi la lettera che gli chiedevo. Adesso mi pregava di !asciargli rileggere ancora una volta la lettera del Colonnello Visconti dopo di che mi avrebbe fatto sapere qualche cosa in proposito.

Fino a questo momento in cui parte il corriere, Jeftich non mi ha fatto avere alcuna notizia. Lo vedrò credo domani o domani l'altro e gli chiederò quello che avrà deciso.

Ma V. E. non potrà non riconoscere come l'inopportuno intervento del Colonnello Visconti che con scarso senso di disciplina verso di me ha scritto a mia insaputa, come V. E. ha potuto rilevare, al Maresciallo Dimitrievich, proprio mentre io potevo trarre argomento dalla lamentata mancanza per ottenere meno difficilmente quanto V. E. desiderava, ha compromesso seriamente lo svolgersi delle mie pratiche presso Jeftich offrendogli un pretesto di resistenza.

Debbo aggiungere che mi risulta che il Colonnello Visconti si è espresso giorni addietro nel senso che prima di lasciare Belgrado scriverebbe in modo anche più insolente. Lo richiamerò quindi ad una più esatta comprensione del suo dovere e della sua posizione.

Il gradimento per il Colonnello Amari non mi è ancora stato comunicato. Ciò permette quindi il prolungarsi del soggiorno del Colonnello Visconti affinchè il Colonnello Amari possa meglio completare la sua preparazione. Il che è nei desideri del Ministero della Guerra.

Sono però costretto a rinnovare ogni mia riserva per il caso che dal prolungarsi del soggiorno del Colonnello Visconti possano venirne eventuali nuove complicazioni, sia perchè la sua attività informativa non mi risulta cessata, sia per altre imprevedute ragioni.

414.

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 941/525. Vienna, 8 ma1'zo 1930.

Sono stato oggi a visitare il capo-sezione Schiiller, tornato ieri da Ginevra.

Mi ha dichiarato che, contrariamente a quanto mi aveva comunicato la settimana scorsa il Cancelliere (mio rapporto n. 454) (l) egli non andrà a Berlino per finire i negoziati austro-tedeschi del nuovo trattato di commercio. È assai stanco di questo suo continuo viaggiare, e non crede d'altra parte necessaria adesso la sua presenza a Berlino, ove potrà recarsi in sua vece qualcun altro dei funzionari della sezione commerciale di questo Dipartimento Esteri. Vorrebbe per ora rimanere a Vienna, riservandosi però di venire a Roma, secondo gli accordi costì presi, nel corso del mese di aprile, ove ciò fosse possibile. Gli ho detto che, da una lettera privata direttami dal comm. Brocchi, questi sperava venire qui entro questo mese. Il signor Schiiller se ne è assai rallegrato, osservando che un nuovo scambio di idee con il comm. Brocchi sarebbe la migliore preparazione al suo viaggio a Roma.

Ho fatto presente al signor Schiiller l'opportunità di dare un contenuto anche economico al riavvicinamento tra i nostri due Paesi. ed egli ne ha convenuto. Ha detto però credere preferibile non fare fin da ora alcun progetto e riservarsi la presentazione e discussione di qualche sua proposta in occasione del suo nuovo viaggio costà. Alcuni anni fa aveva immaginato un accordo con i nostri industriali per l'acquisto in Austria di una parte del ferro di cui essi hanno bisogno ma l'accoglienza, riservata benchè gentile, da questi fattagli nei colloqui ch'egli ebbe con loro a Milano lo persuase della loro contrarietà e lo dissuade dal tornare sull'argomento adesso, malgrado la mutata situazione nei nostri rapporti. Non desidererebbe che il R. Governo intervenisse per far loro mutare propositi, poichè ciò in ogni caso non muterebbe il loro animo, ed egli considera necessaria per la riuscita di simili progetti la loro spontanea accettazione da parte degli interessati.

34 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Altre idee egli aveva avute per il conseguimento dello stesso scopo di avvantaggiare l'economia austriaca e ne aveva accennato nella recente riunione di Ginevra. Ma l'accoglienza ad esse fatta non è stata favorevole, ed egli, senza scoraggiarsene, si riserva formulare in seguito qualche nuova proposta. Progetti ne ha avuti e ne ha, ma si tratta di trovare quelli che possono essere accettati.

Non posso addentrarmi in discussioni tecniche che non sono di mia competenza. Ma è di mia competenza rammentare a codesto R. Ministero le difficoltà che ad una solida ricostituzione economica austriaca sono opposte dalla mancanza di sbocchi per l'industria di questo Stato e la necessità, ove si voglia da parte nostra consolidare l'avvenuto riavvicinamento di fare quanto ci sia possibile per aiutare l'Austria a sormontare tali difficoltà (1).

(l) -Cfr. n. 404. (2) -Cfr. n. 404, allegato.

(l) Cfr. n. 405.

415

IL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA, FERRETTI, AI PREFETTI

T. (P. R.) 2371. Roma, 9 marzo 1930, ore 20.

Richiamando attenzione V. E. su mio telegramma in data del 7 febbraio

u. s. (2) prego invitare nuovamente stampa perchè moderi linguaggio nei riguardi Jugoslavia non solo per quanto concerne cittadini jugoslavi impiegati in Itali<:, ma anche per quanto si riferisce in generale rapporti fra due paesi.

416

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 41188. Roma, 9 marzo 1930.

Ricevo dal R. Governatore dell'Eritrea, e trasmetto allegata al presente telespresso, copia di un carteggio relativo all'atteggiamento del Principe Seif el Islam Mohammed (3).

Il Governatore Zoli chiede il mio parere, ed io a mia volta chiedo quello di V. E., non senza rilevare come la lettera da lui diretta al Capitano Veneroni sia per lo meno esagerata. Il Yemen è uno stato indipendente, da noi come tale riconosciuto, e non una nostra colonia. Tutelare con serena dignità il nostro prestigio, sta bene: mettersi su di una via di ripicchi e di punture di spillo (e su questa via ci siamo messi da qualche tempo) non serve a tutelare il nostro prestigio e danneggia la nostra posizione politica nello Yemen, che già adesso non può definirsi brillante.

È giunto, io credo, il momento di dire su questo argomento una chiara parola.

Ricordiamo. I nostri rapporti con Iahia Hamid ed Din hanno avuto inizio nel 1923 con la fornitura di armi e soprattutto di munizioni. Lo stato yemenita si era costituito di fatto dopo la caduta dell'impero ottomano, ed aveva la assoIuta necessità di giungere al Mar Rosso, conquistando la Tihama, che non è nè iemenita nè zeidita. Aveva poi incertissimi i suoi rapporti col Protettorato di Aden, perchè occupava (ereditati dalle operazioni militari compiute durante la grande guerra dalle truppe ottomane) territori che per il precedente trattato turco-inglese appartenevano a quel Protettorato. Aveva quindi due ragioni gravi ed urgenti per armarsi. Il nostro intervento fu perciò graditissimo.

Il Trattato, stipulato in seguito da S. E. Gasparini, aggiungeva a questo un altro elemento di grande importanza: quello del nostro riconoscimento ufficiale. Ma, ottenuto questo riconoscimento, l'Imam se n'è valso per ottenerlo anche da altri; quindi da questo punto di vista egli non ha più bisogno di noi. È chiaro che se noi abbiamo tenuto a battesimo questo nuovo Stato, non possiamo più distruggere l'efficacia di tale nostro atto.

Il Trattato contiene anche clausole dirò così di penetrazione commerciale; ma la riluttanza con cui esse sono state negoziate dimostra -se ve ne fosse bisogno -che l'Imam le ha considerate come una concessione fatta a noi, non come un vantaggio per lui.

È invece probabile ch'egli vedesse nel trattato una possibilità-sia pur vaga -di un nostro appoggio nella sua vertenza con l'Inghilterra. I fatti lo hanno rapidamente disingannato: ed era inevitabile che ciò fosse. E V. E. ricorda che la stampa araba, commentando i successivi accordi fra il Yemen e i Soviet, ha qualche volta detto che l'Imam -visto che in realtà Italia e Inghilterra erano unite ai suoi danni -aveva dovuto rivolgersi altrove.

Non so quanto questo sia vero. In ogni modo anche nei riguardi dei Soviet egli deve essersi disingannato; e la condotta indubbiamente abile di Sir Stewart Symes unita a quella maggiore arrendevolezza in fatto di politica orientale che caratterizza il governo laburista, lo porterà probabilmente ad un modus vivendi con l'Inghilterra.

A noi quindi non rimane in sostanza che l'attività economica, non certo importante in se stessa, ma importantissima in quanto è l'unico strumento di azione politica che possiamo usare verso il Yemen, unito alla fornitura di materiale bellico.

Anche su questo punto però non bisogna esagerare. In primo luogo l'arma

mento del Yemen non è ora (principalmente per nostro merito) così deficiente

come era quattro o cinque anni fa; in secondo luogo l'Imam adesso può ricevere

armi anche da altri; in terzo luogo egli, se si accorderà con l'Inghilterra, avrà

assai meno bisogno di armi, anche nei riguardi del pericolo di eventuali disegni

aggressivi di Ibn el Saud. Anche se questi disegni sussistono (e tutto ciò è molto

vago) un accordo con l'Inghilterra costituirà per l'Imam una buona garanzia.

Sistemate le cose con il Yemen, Londra non può avere alcun interesse ad un

maggiore accrescimento della potenza del Wahabita, il quale del resto si dimo

stra ogni giorno di più calmo ed equilibrato, e sembra che da qualche tempo

miri piuttosto ad un'intesa tra i vari potentati arabi. Programma non nuovo,

caldeggiato appena dopo la fine della guerra dalla Colonia araba dell'America

del Nord, la quale ha riflessi non trascurabili sull'orientamento politico della penisola. Si aggiunga da ultimo che le armi, le munizioni, il materiale bellico costano cari, e che le finanze iemenite non sono così floride da permettersi il lusso di armamenti non indispensabili e non urgenti.

Della necessità di rafforzare la nostra attività economica nel Yemen si occupa appunto V. E. nel telespresso N. 205834/116 del 24 febbraio ultimo, riferendosi alla riunione interministeriale del 22 ottobre 1929 e particolarmente alla decisione di ricostituire -con finanziamento parziale della Società Miniere di Kosseir e con sovvenzione governativa sul noto fondo Yemen -la Società commerciale Italo-Araba, affidandole anche un servizio di navigazione regolare nel basso Mar Rosso e la eventuale fornitura, debitamente controllata, di materiale bellico all'Imam.

V. E. mi chiede a che punto siano le pratiche per tale ricostituzione. Rispondo che il Comm. Fagiuoli, amministratore delegato della Società Miniere di Kosseir, più volte sollecitato ha finito con il rispondere ch'egli nulla poteva fare, se non era prima assicurata la sovvenzione governativa sul tondo Yemen, il cui stanziamento gli risultava non essere stato rinnovato. E per mio conto aggiungo che ho dovuto proprio in questi giorni disporre un accertamento sulla gestione del fondo Yemen da parte del Governo dell'Eritrea, in quanto su tale fondo -che fino a meno di due anni fa era notevolmente attivo -è stata denunciata una eccedenza passiva di quasi 2 milioni di lire, che assorbirebbe così, se non erro, due terzi della disponibilità esistente in codesto bilancio a tale scopo. Su questo argomento mi riservo ulteriori comunicazioni appena conosciuto l'esito degli accertamenti disposti.

Della questione di una linea di navigazione nel basso Mar Rosso si è attivamente occupato, per mia delega, S. E. il Sottosegretario di Stato, il quale si è trovato però di fronte a difficoltà finora non superabili.

La situazione perciò è tutt'altro che brillante e mi sembra che si imponga un completo riesame, per il quale resto a disposizione di V. E.

(l) -Annotazione marginale di Grandi: • Al Capo del Governo». (2) -Cfr. n. 360. (3) -N o n si pubblicano gli allegati.
417

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND

[Lond?·a], 11 marzo 1930.

BRIAND -Solite dichiarazioni di buona volontà per un'intesa coll'Italia.

Impossibilità per la Francia di accettare la • parità • coll'Italia. La Francia ha

bisogno di una cifra di tonnellaggio in più per la protezione delle colonie

lontane.

GRANDI -Solite argomentazioni nel senso contrario. L'Italia aspetta la riu

nione plenaria per fare le sue dichiarazioni e per esporre davanti alla pubblica

opinione di tutto il mondo la sua giusta posizione. L'Italia non domanda nulla

se non che non le venga tolto oggi un diritto che le quattro grandi Potenze

navali, Francia compresa, le hanno riconosciuto a Washington.

BRIAND -Nega che egli abbia riconosciuto a Washington la parità coll'Italia

nel naviglio leggero. Sostiene che nelle sue conversazioni con Schanzer egli ha

precisamente dichiarato il contrario.

GRANDI -Avete cattiva memoria. Ecco il testo del vostro telegramma a Sarraut (gli mostro il libro Giallo francese) (1). Sarò costretto a leggerlo in piena conferenza plenaria.

BRIANo -La situazione è cambiata da Washington a Londra.

GRANDI -Sì, è vero, la situazione è cambiata. Voi avete risolto il problema della vostra sicurezza: Locarno. L'Italia è uno dei garanti di questa vostra sicurezza. Questa è l'unica differenza.

BRIAND -Voi avete torto di credere che io non sia un sincero amico dell'Italia.

GRANDI -A modo vostro, forse. Ma la Francia ha due politiche. La vostra e quella di Berthelot. Berthelot si incarica di dire all'Ambasciatore Manzoni il giorno dopo esattamente il rovescio di tutto quello che voi, Briand, mi avete detto il giorno prima. Occorre che l'Italia sappia una volta per sempre quale è la vera politica della Francia. Dai fatti, devo pensare che la vera politica della Francia è quella di Berthelot, ossia quella di Millerand e di Clemenceau.

BRIANO -Berthelot è un funzionario e nulla più.

GRANDI -Allora vuol dire che voi pensate al Quai d'Orsay diversamente da quello che mi dite di pensare a Ginevra. Ma ritorniamo alla Conferenza Navale. Noi vi abbiamo già dato tutto quello che voi potevate richiedere a protezione dei vostri • bisogni assoluti •. Oltre un sacrificio sostanziale voi volete anche la rinunzia di un diritto acquisito.

BRIANO -La parità non è possibile. La parità è una questione di principio. La Francia è altrettanto intransigente nel negarla quanto l'Italia nel richiederla. GRANDI -Non c'è più nulla da dire.

418

PROMEMORIA SULLA RIUNIONE DEI CAPI DELLE DELEGAZIONI ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA

Londra, 11 marzo 1930, ore 17.

MAcDoNALD -La Conferenza traversa il suo momento più delicato. Il Primo Comitato ha ormai esaurito il suo lavoro. È il caso di fare una seduta plenaria per esaminarlo?

BRIANO -Volevo appunto domandare la seduta plenaria. Il Primo Comitato ha raggiunto dei risultati molto importanti, che potranno contribuire efficacemente ai lavori della Commissione Preparatoria di Ginevra. Occorre che l'opinione pubblica mondiale si renda conto dei risultati raggiunti qui a Londra per quanto riguarda la fissazione dei metodi.

GRANDI -Non mi oppongo alla seduta plenaria. Ma debbo dichiarare che in seduta plenaria la Delegazione Italiana non solo sarà costretta a confermare le sue riserve di massima, ma dimostrare altresì che nessun pratico risultato è stato raggiunto nella fissazione dei metodi. Ad es. non è stata ancora affrontata la discussione su questo punto fondamentale: che cosa devesi intendere per tonnellaggio totale al 1936? È evidente che a seconda che si consideri il ton

p. 68.

nellaggio costruito, in costruzione, approvato, o fuori età, la cifra totale presenta delle differenze sostanziali. È ammissibile che non si conosca ancora la • definizione • della parola • tonnellaggio •?

(Questa questione sollevata dal Capo della Delegazione italiana dà luogo ad un'animata discussione. La proposta di riunione della Conferenza Plenaria è aggiornata).

MAcDoNALD -Andiamo avanti. Esaminiamo le cifre di ciascuna Potenza. A questo proposito osservo che vi sono Potenze che non hanno ancora presentato cifre.

GRANDI -Non so quali siano le Potenze cui Voi vi riferite. A mio avviso tutte le cinque Potenze qui presenti hanno fatto conoscere le loro cifre. La Gran Bretagna, l'America, il Giappone hanno fatto le loro cifre. La Francia ha presentato la sua cifra: 724.000 tonnellate. L'Italia è stata la prima fra tutte ad indicare le sue cifre fin dal primo giorno della Conferenza. La cifra dell'Italia è 724 mila tonnellate. L'unica differenza esistente fra la cifra francese e la cifra .italiana è la seguente. Per la Francia trattasi di cifra assoluta. Per l'Italia di cifra relativa.

BRIAND -La Francia non può accettare il ragionamento fatto dal Capo della Delegazione italiana. Io mi domando perchè l'Italia anzichè scegliere la Francia come termine di confronto, non ha invece scelto gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o il Giappone. La Conferenza è mondiale, non è europea, o mediterranea. Occorre che l'Italia modifichi i termini del suo ragionamento.

GRANDI -(Domanda di rispondere).

MAcDoNALD -Prega il Primo Delegato italiano di accettare l'aggiornamento

della discussione fino a domani mattina (1).

(l) Allude a Documents diplomatiques. Conjérence de Washington, juiltet 1921-février 1922, Paris, 1923, n. 85, p. 78 (il tel. è del 23 dicembre 1921). Cfr. serie VII, vol. VII, n. 61,

419

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 966/545. Vienna, 11 marzo 1930.

Il Maggiore Pabst, capo militare delle • Heimwehren •, è partito da Vienna per trascorrere in Italia tre settimane di vacanze. A quanto il Pabst ha dichiarato a Morreale, la sua prima sosta sarà a Firenze da dove si recherà con sua moglie a Pozzuoli.

Non farà alcuna sosta a Roma durante il viaggio di andata, vi si tratterrà invece al ritorno. Mentre prima e dopo il viaggio del Cancelliere Schober a Roma, il Pabst aveva insistito col Morreale perchè gli fosse facilitato da parte nostra un colloquio con qualche funzionario responsabile del R. Ministero degli esteri, nell'ultimo incontro, avvenuto il 5 corrente a Vienna, non ha più insistito sull'argomento. Se ne potrebbe dedurre che il Pabst cerchi od abbia già trovato altra via per far caldeggiare a Roma il suo desiderio.

n. -153). Il giorno successivo, 12 marzo. Briand informò le delegazioni inglese e americana sul suo colloquio con Grandi del giorno 11 (ibid, n. 154, p. 248).

Dal mio ritorno da Roma nè Pabst nè Steidle hanno manifestato l'intenzione di parlare direttamente con me, nè io avevo ragione alcuna di sollecitarli ad un colloquio. Si sono invece incontrati con Morreale, il quale mi ha rimesso in proposito gli appunti che qui allego. Il Morreale, in seguito alle indicazioni che io, in ottemperanza al desiderio costà manifestatomi, gli avevo fornite non ha mai incoraggiato il Pabst nel suo proposito di incontrarsi a Roma con un funzionario del R. Ministero.

A proposito di quanto il Morreale scrive nei suoi appunti, rilevo da parte mia che, se tra i capi delle • Heimwehren • non esiste quella coesione che sarebbe necessaria per dare al movimento una maggiore vivacità, tuttavia l'entusiasmo degli aderenti non è stato smorzato dall'attuale periodo di inerzia. Non è quindi da escludersi che l'organizzazione di destra possa presto sanare le sue crisi interne e ritornare ad un'azione che, come in passato, può essere da noi considerata con simpatia. I recenti avvenimenti politici hanno notevolmente contribuito ad accrescere nelle • Heimwehren • l'ammirazione per gli esempi già dati dal Fascismo e dall'Italia per i quali continuano a manifestare sentimenti di amicizia che sono indubbiamente giovevoli al consolidamento delle relazioni tra i due paesi. Il mio parere sarebbe, dunque, che da un eventuale colloquio a Roma il Maggiore Pabst tragga l'impressione che da parte italiana si continuino a seguire attentamente e non senza simpatia il movimento ed i suoi ulteriori sviluppi (1).

ALLEGATO.

APPUNTI DI MORREALE SULLA SITUAZIONE DELLE HEIMWEHREN IN BASE

AI RECENTI COLLOQUI AVUTI CON IL MAGGIORE PABST, CON IL DOT

TOR STEIDLE E CON I CAPI VIENNESI DELL'HEIMATBUND

Nei più recenti colloqui avuti a Vienna col Magg. Pabst (18, 23 febbraio e 5 marzo) e col Dott. Steidle (7 marzo) ho avuto l'impressione che la direzione federale delle Heimwehren non sia ancora uscita dal disorientamento in cui si trova dal dicembre scorso, dalla fine cioè della lotta per la riforma costituzionale.

Tale disorientamento è dovuto:

lo ad una crisi latente della direzione

2o all'incertezza se convenga lasciare il movimento sotto la diretta influenza di Mons. Seipel o appoggiarlo a Schober, poichè senza il consenso di quest'ultimo non v'è speranza che industriali e banche ne assicurino il finanziamento 3o .alla mancanza di un contenuto pratico ed immediato che dia alle Heimwehren motivo di scendere in campo.

Io Ho potuto personalmente constatare che tra gli elementi direttivi delle Heimwehren viennesi non si accorda più troppa fiducia al dott. Steidle. Gli si imputa di non aver saputo sfruttare a vantaggio del movimento favorevoli situazioni manifestatesi nello scorso autunno. Lo stesso Pabst non si mostra eccessivamente entusiasta del suo capo, ma non vuoi dire una parola decisiva: è presumibile che egli tema di essere il primo danneggiato da un cambiamento del capo supremo. Il suo passato, e la sua condizione di prussiano naturalizzato in Austria

da poco tempo, ne indeboliscono singolarmente l'azione diretta. Per rafforzare la sua posizione egli ha accarazzato il disegno di appoggiare le Heimwehren al governo facendone uno strumento di Schober -col quale ebbe poco oltre la metà di febbraio un colloquio cui Steidle non assistette -ma in definitiva deve essersi sentito più sicuro restando, con lo Steidle, dalla parte di Mons. Seipel. Il Pabst che parlando con me ad Innsbruck aveva avuto frasi poco deferenti per Steidle, se ne è tornato a dichiarare da ultimo fedele collaboratore. Dal canto suo, nel colloquio del 7 marzo, lo Steidle mi ha affermato che, riprendendo ora la sua attività, intende dedicare i suoi primi sforzi alla sistemazione interna. Ma, in verità, di sistemazione interna si parla da un pezzo. I più ostili, come si è accennato, sono qua a Vienna, tra i dirigenti dell'Heimatbund. È questa una filiazione delle Heimwehren nella quale si raccolgono quei simpatizzanti i quali non intendono per una ragione o per l'altra jndossare la divisa delle Heimatwehren e militare direttamente nelle file di quest'ultime. Esiste soltanto a Vienna e dedica i suoi sforzi all'organizzazione a base economica degli operai, impiegati, commercianti etc. antimarxisti della capitale. Il contatto tra Heimatbund ed Heimwehren dovrebbe essere strettissimo e subordinato, il primo dipendendo dalle seconde. Ciò non pertanto l'Heimatbund sostiene che il centro della lotta antimarxista sia portato dalla provincia alla capitale per cercare di indebolire quivi la posizione della social-democrazia e sottrarle fonti di reddito e, quindi, di potere. Sostiene, ad esempio, l'Heimatbund che per combattere il socialismo in provincia basterebbe mettere il socialismo viennese nell'impossibilità di sussidiario notevolmente, come attualmente fa. Dietro questa lotta di tendenze vi è anche una lotta di predominio, poichè l'adozione della tesi dell'Heimatbund significherebbe l'abbandono di Steidle che non vuole rinunziare a starsene ad Innsbruck e perciò a dare maggiore importanza alla propaganda del movimento nei • laender •. Tanto Pabst, come i capi dell'Heimatbund (quest'ultimo conta a Vienna circa 12 mila aderenti, ove si prescinda da associazioni a carattere professionale od economico che vi hanno aderito in massa) lamentano la mancanza di... un Mussolini, ma, in attesa che un sostituto si presenti, lasciano le cose come si trovano.

2o Mons. Seipel intende il movimento delle Heimwehren come un elemento combattivo nella lotta contro la social-democrazia, a patto però che esse restino nell'orbita dei partiti della maggioranza e sopratutto del più forte di tali partiti: il suo, il cristiano sociale. Steidle, che è anche egli membro di tale partito, costituisce per Seipel la miglior garanzia per la conservazione di tale indirizzo. Seipel è ora intento alla preparazione delle elezioni parlamentari: intende farle coll'appoggio delle Heimwehren ma non vuole che quest'ultime diventino tanto forti da potergli imporre condizioni. Sopratutto non è detto che la politica elettorale di Mons. Seipel coincida colle vedute di Schober, il quale ha un'arma per colpire e le Heimwehren e Seipel: quella di vietare agli industriali di sovvenzionare il movimento militarizzato di destra. Parlando il 28 febbraio scorso coi capi dell'Heimatbund e col capo delle Heimwehren viennesi, il Magg. Fey, riuniti per una loro seduta, mi fu dichiarato esplicitamente che gli industriali hanno affermato di essere nell'impossibilità di versare un soldo per il movimento qualora Schober ne facesse loro divieto. Volgersi decisamente dalla parte di Schober le Heimwehren non ardiscono perchè comprendono che accodarsi ad un governo retto da un funzionario è troppo rischioso, specialmente se il funzionario è il capo della polizia il quale può ad un determinato momento, e quando è più sicuro di averla in pugno, trovare superflua l'organizzazione militarizzata di destra. Nella suddetta riunione il Magg. Fey mi confessava candidamente che i pretesi armamenti delle Heimwehren sono un bluff, mentre sono invece armati i militi dello Schutzbund socialista. Fu appunto l'impotenza delle Heimwehren che sconsigliò nell'autunno scorso ai capi di esse di assumere un atteggiamento decisamente combattivo.

3° Nello scorso autunno, quando il prestigio delle Heimwehren toccò il culmine, il motto di battaglia dell'organizzazione, datole da Seipel, fu quello, divenuto popolarissimo, della riforma costituzionale. Conseguita quest'ultima, ogni rivendicazione di ulteriori riforme trova l'opinione pubblica indifferente. Seipel si è sforzato di dare un contenuto nuovo al movimento bandendo la campagna per la cosidetta • camera economica • a tipo corporativo, ma anch'essa ha lasciato freddo il pubblico che di corporativismo non intende un ette. Il contenuto vero, primitivo delle Heimwehren, quello dell'antimarxismo, sussiste: esso ha però probabilità di pratiche attuazioni solo se affermato con manifestazioni di combattività e quest'ultime non vanno a genio a Schober il quale vuol conseguire il prestito internazionale e non intende che le trattative siano turbate da allarmi sparsi all'estero esagerando eventuali disordini interni.

Il Magg. Pabst mi diceva il 18 febbraio u.s. di aver tratta l'impressione, durante un suo colloquio con Schober che questi sia stato incoraggiato dall'On. Mussolini a servirsi delle Heimwehren e ad aiutarle. Il Pabst non ha mai modificato nei colloqui successivi questo parere; non so però se sia stato sincero perchè nell'accennata seduta dei dirigenti dell'Heimatbund mi sentii dire che questi avevan saputo che Schober era tornato da Roma colla convinzione che le Heimwehren dovessero servir lui, ma che lui non dovesse affatto servire le Heimwehren e che in tale convinzione era stato confortato dal parere dell'on. Mussolini. I capi dell'Heimatbund non possono aver saputo ciò se non da Pabst.

Il magg. Pabst mi ha espresso a più riprese il desiderio di avere qui a Vienna un quotidiano delle Heimwehren che dovrebbe essere finanziato in parte dall'Italia: occorrerebbe un milione di scellini: di tale somma la metà potrebbe trovarsi in Austria, ma l'altra metà dovrebbe fornirla l'Italia. Gli ho detto, in attesa di riferirne, che intanto cominci lui a trovare il primo mezzo milione e cominci a lavorare con quello: è più facile, gli ho detto, dar la spinta ad un carro in movimento che ad un carro fermo, cominci lui, intanto a farlo andare. A Pabst, che i fondi li cerca indipendentemente dal giornale, il consiglio non è sorriso troppo. Credo che questa richiesta egli la porrà nuovamente a Roma o ve la farà pervenire per via indiretta.

Denaro domandano anche quelli dell'Heimatbund i quali naturalmente sostengono che il giorno in cui avessero, coi quattrini, una maggior libertà di azione anche l'attuale crisi di comando sarebbe automaticamente risolta. Ed anche l'Heimatbund vorrebbe un giornale proprio. Poichè le richieste mi sono state fatte sempre separatamente e non le ho messe mai a confronto non so se basterebbe soddisfarne una sola. Certo si è che quelli dell'Heimatbund credono ancor oggi,

o mostrano di credere, che le simpatie dell'Italia per il loro movimento sieno state finora soltanto platoniche.

(l) -Lo stesso giorno Grandi ebbe un colloquio anche con Vansittart (DB, Serie II, vol. I.

(l) Sui rapporti Steidle-Auriti cfr. un rapporto di Auriti del 23 agosto 1931: • ... Circa lo Steidle, non l'ho più incontrato dopo il dicembre del '29, e del resto ho la convinzione che in seguito alle note sue vicissitudini relative al nostro aiuto in suo favore egli abbia preferito non procurarsi altri colloqui con me nel timore delle sgradevoli richieste che avrei potutofargli. Ma per mezzo di terze persone ho avuto con lui qualche nuovo contatto, curando evitare in lui l'impressione che gli si serbasse da noi rancore... >.

420

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. S. 770/412. Berlino, 12 marzo 1930.

Non appena assunto l'esercizio delle mie funzioni in Berlino, non mi sono mancati tentativi di avvicinarmi da parte di persone appartenenti ai partiti di destra e all'associazione degli • Elmetti d'acciaio ». Ciò è comprensibile, data la grande attrazione che su di esse esercitano la persona del Capo del Governo d'Italia e il Fascismo.

Conformemente alle istruzioni da Lei datemi, pur conducendomi, verso di loro, con la dovuta cortesia, mi sono mantenuto riservato, evitando atti o parole che potessero essere equivocamente interpretate o che potessero spiacere al Governo -contro il quale oggi quelle persone vivamente si agitano. Ho rifiutato, costantemente, inviti a riunioni o a colloqui che potessero dare luogo a sospetti.

Per una di queste riunioni però, ho creduto dovere fare eccezione, per quella cioè indetta dal Club Nazionale degli automobilisti, al Kaiserhof, nella quale il Dott. Stadtler aveva annunziato una sua conferenza sul Fascismo in Italia e sull'opera del Capo del Governo. Ma anche a questa, non sono intervenuto personalmente. Vi ho mandato, invece, in mia rappresentanza, il Cav. Scaduto. Era con lui l'Addetto per la Stampa, il Marchese Antinori.

La conferenza ha avuto luogo dinnanzi a una numerosa assistenza.

Qui entro V. E. ne troverà il testo (1).

La stampa non si è occupata della cosa -e nessuno ha trovato a ridire sulla presenza dei due membri della R. Ambasciata.

Alcuni giorni dopo, il Duca di Coburgo invitava il Marchese Antinori e il Signor Renzetti, Presidente della Camera di Commercio, ad un thè in un locale chiuso.

Sulle due riunioni il Marchese Antinori mi riferisce con il rapporto che invio qui entro in copia.

È superfluo che rilevi la importanza per noi degli argomenti ivi trattati. Io però sarei d'avviso -prego V. E. di farmi conoscere se questo è da lei diviso -di pregare il Marchese Antinori di volersi astenere, per il prossimo avvenire, dall'aver frequenti contatti, manifesti, fino a nuovo ordine, con quelle persone, e di affidare invece quel compito al solo Maggiore· Renzetti, che non facendo parte della R. Ambasciata ed essendo d'altra parte persona devota al Regime e di sicura fiducia, può opportunamente informare il R. Governo, senza compromettere la R. Ambasciata (2). Io infatti gli ho detto che, in caso di contestazioni, mi riserverei di scindere la responsabilità della R. Missione Diplomatica dalla sua.

Il movimento degli • Elmetti d'Acciaio • va progressivamente aumentando, ma è ben lungi ancora dall'avere, nel Paese, quell'importanza reale che hanno le organizzazioni socialiste similari, con i loro due milioni e più di adepti. Gli

• Elmetti d'acciaio • raggiungono oggi appena gli 800.000.

Senonchè, il movimento va oggi riorganizzandosi e va rivedendo il suo programma politico e quello d'azione. Per la riorganizzazione i consigli del Maggiore Renzetti, apprezzatissimo in quei circoli, possono essere opportuni, come opportuna può essere la sua parola nella fissazione del programma politico. Mi risulta, infatti, che il Maggiore Renzetti ha già loro dimostrato la necessità che l'organizzazione fissi anzitutto chiaramente la propria posizione nella questione della popolazione tedesca in terra italiana (3).

ALLEGATO.

ANTINORI AD ORSINI BARONI

Berlino, 11 marzo 1930.

Ho l'onore di riferire all'E. V. circa le manifestazioni di attività del National Automobil Club di Germania che, come è a conoscenza dell'E. V., mi aveva invitato ad intervenire ad un ricevimento organizzato all'Hotel Kaiserhof di Berlino il

Si pubblica qui il seguente passo del R. 769/411 di Orsini, del marzo 1930 (per. il 15): « Oggi la carta " Russia " ha perduto per la Germania, momentaneamente, molto del suo presunto valore sullo scacchiere internazionale •, mentre -prosegue Orsini -sempre più minacciosa appare l'attività del « Comintern ».

6 corrente, come pure ad un thè che il Duca Carlo Edoardo di Sassonia Coburgo Gotha offriva ad un piccolo numero di persone in casa del suo rappresentante berli

nese il 10.

Non occorre aggiungere che il National Automobil Club, presieduto dal Duca di Coburgo, costituisce una sezione dello c Stahlhelm •; si ricorda la gita automobilistica che sotto la Direzione dello stesso Duca di Coburgo il N.A.C. compiva in Italia nel Settembre scorso.

Al ricevimento al Kaiserhof erano intervenute una settantina di persone, fra cui oltre il Duca di Coburgo, il Principe Eitel Federico di Prussia figlio secondogenito dell'ex-imperatore, il Tenente Colonnello Diisterberg, Secondo Presidente dello • Stahlhelm •, vari altri membri della Direzione Centrale e della Federazione Berlino-Brandeburgo di questo ed alcuni deputati nazionalsocialisti (hitleriani) che fanno parte del National Automobil Club, come il generale von Epp, il Dr. Goebbels Capo della Federazione di Berlino Brandeburgo e l'antico asso dell'aviazione Goering. Nessuno straniero era invitato ad eccezione di V. E., rappresentata dal I Segretario della R. Ambasciata, del Maggiore Renzetti Presidente della Camera di Commercio italiana per la Germania, e del sottoscritto.

Alla riunione sono state tenute due Conferenze, l'una dallo specialista per le questioni economiche nello • Stahlhelm • Dr. Hildebrandt, sull'invasione delle automobili americane in Germania, l'altra per noi molto più interessante, su

• Preussentum und Fascismus • (Prussianesimo e Fascismo) tenuta dal Dr. Stadtler già organizzatore assai noto del Centro nella Germania sudoccidentale ed ora passato al movimento nazionalista. La conferenza, di cui allego un ampio sunto (l) fattomi pervenire dallo stesso Stadtler, a parte qualche passo di eccessiva lunghezza e non strettamente pertinente al tema, è stata interessantissima ed ha mostrato nell'autore una rara percezione della vera essenza e dello spirito del Fascismo, come pure della personalità e dell'opera del Duce.

La Conferenza è stata seguita con attenzione sempre crescente dall'uditorio che ha sottolineato colla sua approvazione vari passi, facendo alla fine una vera ovazione al conferenziere.

Il thè offerto dal Duca di Coburgo aveva principalmente lo scopo di promuovere uno scambio di idee fra alcuni rappresentanti dello • Stahlhelm •, un rappresentante delle • Heimwehren • austriache ed alcuni italiani. Erano infatti presenti, oltre il Duca di Coburgo ed il suo rappresentante a Berlino Dr. Nord, il figlio primogenito dell'ex Kronprinz, il Sig. von Rohr-organizzatore dei sindacati agricoli in Pomerania, il Maggiore Wagner Capo di Stato Maggiore dello c Stahlhelm •, il Sig. Hildebrandt specialìsta economico dello stesso, il Dr. Longert direttore della Rassegna • Nationalwirtschaft •, il Dr. Heinrich segretario generale delle

• Heimwehren • austriache, il Maggiore Renzetti ed il sottoscritto.

La conversazione si è specialmente aggirata su due punti, e cioè la necessità di un programma organico economico su basi corporative per il movimento nazionalista e gli eventuali rapporti di questo coll'Estero. Per ragioni evidenti di delicatezza e di prudenza il sottoscritto si è mantenuto riservatissimo, lasciando che parlassero gli altri e che specialmente per quello che riguarda l'Italia la conversazione fosse sostenuta dal Magg, Renzetti.

Il Dr. Heinrich ha fatto delle comunicazioni molto interessanti per quello che riguarda le • Heimwehren • che secondo lui hanno perduto l'occasione di vincere nell'Ottobre scorso quando nulla avrebbe loro potuto resistere. Oggi il socialismo austriaco è indubbiamente ridotto alla difensiva ed è nell'impossibilità di agire, ma trae abilmente vantaggio da questa situazione aspettando che si muovano gli altri e guadagnando intanto del tempo, mentre l'entusiasmo delle • Heimwehren • che soffrono anche di mancanza di denaro, in seguito all'inazione minaccia di rliminuire da un momento all'altro.

Sulla questione di un programma organico corporativo sono nello c Stahlhelm • già tutti d'accordo e sperano anche di farlo accettare ai nazionalsocialisti

che per ora su questo punto non hanno idee precise e si limitano ad una demagogia che può anche far paura al capitalismo, minacciato di cadere dalla padella marxista nella brace nazionalsocialista. Tuttavia già alcuni capi si mostrano accessibili alle idee corporative, di cui in Germania è principale propagatore il Dr. Longert colla sua rivista • Nationalwirtschaft •. Anche i partigiani di essa però sono per ora d'accordo nel ritenere che l'idea corporativa, finchè lo Stato non sia conquistato, non può avere per ora la forma autoritaria italiana, col sistema delle nomine dall'alto verso il basso, bensì, se si vuole senz'altro cominciare sino da ora un lavoro pratico non può essere che col sistema delle elezioni dal basso all'alto.

Il Magg. Renzetti ha accennato alla necessità che il movimento nazionalistico si acquisti delle simpatie all'estero dissipando un'atmosfera di diffidenze e di incertezza sul suo programma per il giorno in cui avesse nelle mani il potere. Il Dr. Nord ed il Maggiore Wagner si sono mostrati perfettamente convinti di tale necessità, che essenzialmente deve mirare ad una scelta fra gli Stati coi quali la Germania si trova ad essere in contatto. Entrambi hanno ammesso senz'altro che il nazionalismo aspira ad una rivincita specialmente nei riguardi della Polonia, dato che la situazione presente delle frontiere orientali equivale alla condanna a morte della Germania. Sono pertanto persuasi che l'Italia sia lo Stato del quale principalissimamente debbono conquistarsi le simpatie e la fiducia. I viaggi già fatti dai rappresentanti dello • Stahlhelm • in Italia hanno già mostrato che le simpatie esistono nel Governo e nel Popolo italiano e che si tratta soltanto di approfondirle ed intensificarle contribuendo al tempo stesso a dissipare ogni diffidenza mediante dichiarazioni chiare, concrete ed intensijìcabil'i secondo il suggerimento dato loro dal Magg. Renzetti.

I presenti hanno mostrato desiderio che la riunione di ieri non resti isolata e che al contrario siano mantenuti ed intensificati i contatti in altre riunioni successive che serviranno a stabilire le eventuali possibiiità di una collaborazione nel campo pratico.

Salvo istruzioni in contrario di V. E. seguiterò a mantenere i contatti anche in questa direzione, ben inteso con ogni possibile riservatezza ed evitando ogni possibilità di compromissioni per la R. Rappresentanza.

(l) -Non si pubblica. (2) -Sui rapporti con il partito nazista cfr. un promemoria del 1° aprile 1930 che Goring consegnò a Renzetti per patrocinare l'acquisto da parte dell'Italia di alcuni terreni che la ditta Mannesmann possedeva. dai primi del secolo. in Marocco. Mussolini non dimostrò interesse alla proposta. (ACS, Presidenza del Consiglio, 1928-1930, fase. 15/2-11/11313). (3) -Annotazione marginale di Grandi: «Al Capo del Governo •.

(l) Non si pubblica.

421

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD (l)

Londra, 13 marzo 1930.

MAcDoNALD -Ho desiderato avere una conversazione con voi, in questo momento, che è indubbiamente il più critico che la Conferenza abbia attraversato. Vi sarei grato se voi poteste rispondere a tre domande. Dalla vostra risposta dipende l'esito o il fallimento della Conferenza.

l. È l'Italia disposta a firmare un patto politico (amicizia, non aggressione, arbitrato ecc. ecc.) colla Francia?

2. -È disposta la Delegazione italiana a comunicarmi, nella mia qualità di Presidente della Conferenza, privatamente e confidenzialmente, le sue cifre, e cioè le cifre del programma navale che la Delegazione italiana giudica corri!'pondere negli anni 1930-36 alle necessità navali dell'Italia? 3. -In ultima ipotesi mi autorizzate voi a fare alla Delegazione francese il discorso seguente: • l'Italia è disposta ad accettare una cifra fra le 400 mila e le 600 mila tonnellate, se voi l'accettate? •.

GRANDI -Rispondo alla prima domanda. L'Italia è disposta a firmare un patto d'amicizia ecc. colla Francia. Ma perchè questa domanda? Non sapete voi Signor MacDonald, che da due anni a questa parte si sta precisamente discutendo questo patto fra Parigi e Roma? Che il progetto è già approvato dai due Governi, ma che si è procrastinata la firma per il rifiuto francese a considerare le nostre richieste relative alla rettifica della frontiera sud della Libia? Non vedo quale rapporto possa esservi fra la Conferenza Navale e il Patto d'amicizia itala-francese.

2. -Nella riunione di martedì ho già nettamente dichiarato la cifra dell'Italia: 724.000 tonnellate. Non una tonnellata di meno, non una tonnellata di più. Ora spetta alla Francia di abbassare la sua cifra. L'Italia seguirà meccanicamente le modificazioni delle cifre francesi. Le ragioni di ciò? Le sapete ormai a memoria. 3. -La vostra terza domanda è superflua. Non c'è bisogno che io vi autorizzi a dire quello che voi proponete di dire alla Francia. Questa o quella cifra, è tutt'uno per me. La formula dell'Italia come non ha limitazione in alto cosi non ha limitazione in basso. Proponete alla Francia ed all'Italia la cifra che volete, purchè sia una per tutte e due. Noi siamo, per conseguenza logica della nostra formula, obbligati ad accettarla. Naturalmente, purchè l'accetti la Francia.

Ma piuttosto, a che serve tutto ciò? Non avete ancora compreso che la Francia inventa ogni giorno un pretesto nuovo per fare fallire la Conferenza? La tattica usata dal Signor Briand in questi ultimi giorni non vi dimostra a sufficienza che questo, e non altro, è lo scopo della Francia?

Nè insistete, vi prego, sul pretesto che • La rigidità italiana è una delle cause deHe dijjìcoUà delta Conferenza •. Nessuna Delegazione ha avuto ed ha tuttora una condotta tanto elastica, duttile, conciliante. Abbiamo fatto alla Conferenza, nel nostro memorandum, una serie di proposte concrete che avrebbero potuto determinare effettivamente la generale riduzione degli armamenti. Non sono state prese in considerazione. Colpa dell'Italia se gli altri, per una ragione o per un'altra, non vogliono disarmare?

Nei riguardi della Francia abbiamo fatto due proposte pratiche, una prima dall'inizio, una seconda durante il corso della Conferenza. La prima consisteva nel lasciare alla Francia il diritto di fissare il suo tonnellaggio. Parità in alto. Questa proposta salvaguardava tutti gli asseriti bisogni assoluti della Francia. La seconda è consistita nella vacanza navale (capitai ships e portaerei), cioè nel concedere alla Francia fino al 1936 un vantaggio concreto di 105.000 tonnellate. L'Italia può fare questo sacrificio perchè protetta giuridicamente dalla parità (Conferenza di Washington). Se la Francia fosse realmente disposta ad un ragionevole accordo avrebbe trovato in questa superiorità concessa dall'Italia un'ampia soddisfazione alla sua politica di prestigio.

Oggi la Delegazione italiana fa nell'interesse del buon esito delta Conferenza, 1ma terza e quarta proposta. MacDonald, come Presidente della Conferenza, può senz'altro portare questa terza e quarta offerta alla Delegazione francese. Se la Delegazione francese rifiuta, la Delegazione italiana dichiara fin d'ora che per l'Italia la Conferenza è chiusa e non le rimane che domandare una riunione plenaria per una dichiarazione finale, e riprendere la via di Roma.

III Offerta -La Delegazione italiana propone che la Conferenza di Londra si occupi esclusivamente del naviglio bellicamente efficiente (under age) e cioè del naviglio costruito, in costruzione, in programma, cioè del naviglio considerato, secondo gli accordi internaziOnali precedenti, avente capacità e valore bellico. L'accordo da esaminarsi dovrebbe lasciare fuori tutto il naviglio vecchio (over age). Ciascun paese mantiene questo naviglio, lo distrugge, ne fa insomma quello che vuole. Fissato così un Hmite massimo di tonnellaggio uguale per la Francia e per l'Italia, resta alla Francia tutto il suo naviglio vecchio in più. L'Italia è ben lieta di !asciarglielo e per conto suo continuerà a distruggere il suo, cui non dà valore alcuno. Ma ciò può rappresentare per la Francia, dato che essa ha sempre dichiarato di dare speciale importanza a questo naviglio • over age •, una considerevole soddisfazione per il suo prestigio, dato che la Francia fa ormai della questione deìla parità coll'Italia esclusivamente una questione di prestigio.

IV Offerta -La Delegazione italiana propone che l'accordo di Londra sia limitato esclusivamente al naviglio leggero di superficie (incrociatori e cacciatorpediniere) rimandando ad altra prossima conferenza l'esame della questione dei sottomarini. La Conferenza di Washington ha raggiunto l'accordo su due tipi di nave: corazzate e portaerei. La Conferenza di Londra potrebbe limitare il suo esame ad altre due categorie di navi: incrociatori e cacciatorpediniere. E così successivamente. Poichè nelle categorie degli incrociatori e cacciatorpediniere la parità italiana colla Francia non è solo di diritto, bensì effettiva, la Francia non sacrifica nulla riconoscendo la parità all'Italia. Nello stesso tempo le rimane un'effettiva superiorità nella capacità dei sottomarini, non soggetti ad alcuna limitazione. Il totale delle cifre, sottomarini compresi, darebbe una effettiva superiorità al tonnellaggio francese, e nello stesso tempo, l'Italia vedrebbe riconfermato il suo diritto alla parità per le navi di superficie. Se la Francia non accetta questa quarta offerta, bisogna dichiarare che non è un accordo che essa rifiuta, ma qualsiasi accordo.

MAcDoNALD -Sono costretto a riconoscere che queste due nuove offerte italiane danno, ancora una volta, un'effettiva prova della buona volontà dell'Italia. Ma non so se la Francia le accetterà. Circa la IV Offerta essa non sarebbe, ad ogni modo, accettabile dalla Gran Bretagna e dall'America, che fanno della questione dei sottomarini uno dei punti principali della Conferenza di Londra. Essa è quindi da scartarsi.

Ma nella III proposta vi è un fondamento di ragionevole discussione. Occorre che io rifletta sul modo più conveniente per decidere i francesi ad accettarla.

(l) Il colloquio avvenne a Downing Street, presenti Craigie e Rosso. Cfr. ancl1e DB, Serie II, vol. I, n. 155.

422

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

[Londra], 13 marzo 1930.

Craigie telefona al Ministro Rosso per farmi sapere che MacDonald desidererebbe che non facessi parola a Briand della III e IV offerta italiana (l) essendo sua intenzione di parlarne egli direttamente a Tardieu, domenica prossima, e

ciò allo scopo di non sciupare l'ultima carta che gli rimane come Presidente della Conferenza.

Gli faccio rispondere che sta bene e che mi limiterò ad illustrare a Briand la II offerta già fatta dall'Italia nel suo memorandum relativo alla vacanza navale nelle navi di linea e portaerei (1).

(l) Cfr. n. 421.

423

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA

SEGRETO. Roma, 13 marzo 1930.

Ho l'onore di trasmetterle qui acclusi:

l) un rapporto di Galli n. 488 con allegata una copia di lettera diretta dal Colonnello Visconti al Maresciallo della Corte jugoslava (2); 2) un progetto di lettera a S. E. Gazzera per richiamare la sua attenzione su tale lettera della cui gravità Ella potrà subito rendersi conto; 3) un successivo rapporto di Galli sempre sulle escandescenze passate e future dello stesso Colonnello Visconti (3).

Stante la necessità di evitare altri guai, mi sono recato stamane da S. E. Gazzera per dargli visione di questi documenti e pregarlo di far giungere al Colonnello Visconti una parola di calma e soprattutto un richiamo alla discipLina!

S. E. Gazzera si è mostrato impressionato della gravità della lettera Visconti al Maresciallo, anche perchè egli vi si qualifica • rappresentante dell'Esercito italiano •, mentre non è altro che un funzionario militare della R. Legazione. Ha quindi subito scritto a Visconti una lettera (che ho fatto partire con corriere di stasera) per dirgli di fare una corsa a Roma, ripromettendosi di ricondurlo personalmente ad una più esatta visione delle sue funzioni e dei suoi doveri.

Poichè mi risulta d'altra parte che il sullodato Colonnello sta in un tale stato d'animo di eccitazione che parla perfino di inviare i padrini a Galli, non ho mancato di far presente a S. E. Gazzera che il Visconti, come militare, dovrebbe avere più di ogni altro il senso della disciplina, e che occorre fargli comprendere che in questi casi • non vi è un onore personale da difendere, • .

S. E. Gazzera ne ha convenuto, ma non mi ha nascosto il suo malcontento per il modo con cui Galli ha condotto tutta la faccenda. Su questo punto non ho potuto dargli completamente torto poichè Galli è passato da una prima maniera forte ad un'altra debole o per lo meno ondeggiante. Bisognava pure, tuttavia, rendersi conto che Galli non sapeva fino a qual punto il Colonnello si era esposto nel suo servizio di informazioni e credeva che si potessero raccogliere prove serie e documentate contro di lui. Il Colonnello lo escludeva, ma anche io avevo seri dubbi in proposito.

Occorreva infine anche tener presente (ma questo non l'ho detto a S. E. Gazzera) che Galli è stato addirittura terrorizzato dal binomio Petrucci-Visconti e non ha saputo più come regolarsi equilibratamente.

Aggiungo per personale conoscenza di V. E. che ieri S. E. Gazzera ha visto anche l'ex addetto navale di ritorno da Belgrado, Comandante Cattaneo, il quale gH ha fatto un quadro desolante della situazione e della perdita di prestigio italiano.

Tutti i militari: Visconti, Cattaneo ed il famigerato Cassone (che ignoro se sia stato messo o meno, come avrebbe dovuto essere, sotto Consiglio di disciplina) sono furiosi contro Galli e gridano contro i jugoslavi.

Tutti sono eccitati, Consoli, militari, funzionari etc. A Belgrado si vive alla Legazione come in una specie di fortezza guardata dai carabinieri.

Il buon Cosmelli partito in questi giorni sono sicuro porterà una parola di calma e di equilibrio. Ma la situazione è preoccupante ed occorre farla cambiare, ciò che spero avverrà con l'arrivo prossimo di nuovi rappresentanti militari.

Io ho la sensazione che si è tanto esagerato da cadere persino un po' nel ridicolo.

Ad ogni modo c'è da augurarsi che si ritorni presto alla normalità, poichè anche se i rapporti politici itala-jugoslavi dovessero peggiorare (mentre invece

S. E. il Capo del Governo desidera giustamente calmarli), le questioni personali non debbono aggravare quelle politiche, ma invece essere condotte in modo da attenuarle.

Questo è il compito (spesso ingrato e incomprensibile dal pubblico) dei diplomatici, e gli addetti militari debbono essere anzitutto dei diplomatici. Altrimenti è meglio che comandino dei reggimenti.

(l) -Cfr. n. 376, p. 436. (2) -Cfr. n. 404. (3) -Cfr. n. 413.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI (l)

T. PER CORRIERE R. 311. Roma, 13 marzo 1930, ore 18.

Suo telegramma del 18 febbraio e Suo telespresso n. 509/372 in data 19 febbraio u.s. (2).

Come V. E. ben conosce il R. Governo non ha avuto mai rapporti diretti o indiretti con Adolfo Hitler ed in genere col partito nazionalsocialista germanico. Questa degli aiuti finanziari da parte del Governo italiano è una vecchia leggenda che ritorna a galla ad ogni processo intentato a o da Hitler, in ogni polemica di stampa tra i nazionalsocialisti ed i loro numerosi avversari, e talvolta anche in riunioni e pubblici comizi a Monaco ed altrove.

Il R. Governo che non ha mai creduto di smentire ufficialmente tale accusa rivolta ai dirigenti il partito hitleriano per non dare lo spunto a nuove polemiche che avrebbero finito per nuocere allo stesso Hitler, non avrebbe in massima ragione per mutare attitudine senonchè, di fronte alla persistenza dell'accusa ed al fatto che il nostro silenzio potrebbe essere malamente interpretato, V. E. potrà, in conversazioni private, e nella maniera che giudicherà più opportuna, esclusa

bene inteso almeno per ora la via giornalistica, smentire categoricamente qualsiasi intervento del Governo italiano sotto forma di aiuto finanziario o altro nei riguardi di Hitler e del suo partito prima durante e dopo il tentativo di colpo di Stato nel 1923 a Monaco di Baviera.

(l) -Il telegramma venne inviato, per conoscenza, al consolato generale a Monaco di Baviera. (2) -Cfr. n. 377.
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PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND

Londra, 14 marzo 1930.

GRANDI -Sono venuto a restituirvi la visita. Ma non ho nulla da dirvi. BRIAND-Avete riflettuto a quello che vi ho detto? Non credete che sia dunque possibile un accordo?

GRANDI -È possibile. Solo che voi vi rendiate conto che la Francia non può strappare a Londra quello che la Francia ha riconosciuto a Washington. Al punto in cui siamo non vedo altro che una riunione plenaria dove la Delegazione italiana farà le sue dichiarazioni, voi le vostre. Il mondo giudicherà.

BRIAND -Voi siete dunque irremovibile?

GRANDI -Perchè domandarmelo? Ma, a parte i nostri diritti acquisiti, che ci impediscono di tornare indietro, i! diritto a!!a parità è ta conseguenza stessa de!!a vostra formula, e cioè la formula dei • bisogni assoluti •. Voi avete sempre dichiarato fin qui che ciascun Paese deve essere lasciato libero di fissare i propri bisogni. Ebbene i nostri bisogni sono 724.000 tonnellate. Come potete voi contestarci questo diritto, quando esso è la base medesima della vostra formula? Non potete, in verità, servirvi di una formula rispetto all'Inghilterra, e di una formula contraria rispetto all'Italia.

BRIAND -Le formule non contano. Sono le pubbliche opinioni che contano...

GRANDI -Questa non è una risposta...

BRIAND-?

GRANDI -Andiamo avanti. Nella nostra nota del novembre (l) vi abbiamo proposto la parità in alto. Prima grossa concessione da parte nostra, e primo grosso sacrificio. I vostri bisogni assoluti erano pienamente salvaguardati. Non avete accettato.

Nel nostro memorandum di un mese fa (2) vi abbiamo offerto implicitamente il sacrificio sostanziale della parità di fatto, quando abbiamo proposto la vacanza navale nel naviglio di Washington fino al 1936. Ciò consacra una vostra superiorità di fatto per un tonne!!aggio di 105.000 tonnellate, rappresentato dalla differenza fra il vostro ed il nostro naviglio regolato dal Trattato di Washington attualmente sul mare. Noi possiamo fare questa concessione nelle navi di linea e portaerei, perchè siamo coperti dalla parità di Washington. Ma la Delegazione francese ha fatto finta di non accorgersi di questa concessione dell'Italia, colla quale l'Italia sacrifica, in fatto, la parità colla Francia. La Francia non si contenta

35 -Documenti di:D!omatici -Serie VII -Vol. VIII

ancora e vuole il sacrificio della parità nel naviglio leggero. Questa parità noi l'abbiamo in diritto e l'abbiamo in fatto. Come potete contestarci tutto ciò? Lasciatemi dire piuttosto quello che penso: la Francia cerca tutti i pretesti perchè la conferenza fallisca. Il contrasto franco-italiano sulla parità è un altro buon pretesto per la Francia. Ecco tutto.

BRIAND -Spiegatemi meglio quello che avete detto nel vostro memorandum,

e che, in verità, mi è sfuggito, a proposito di queste 105.000 tonnellate.

GRANDI -(ripeto, ecc. ecc.).

BRIAND -Ma la marina francese sostiene che occorrono almeno 200.000 tonnellate in più della marina italiana per proteggere le nostre necessità. Ad ogni modo è interessante quello che voi mi dite. Ne parlerò a Tardieu e Dumesnil. Potrebbe esservi qualcosa da servire come base di discussione fra noi.

Domani arriva Tardieu, ed io gli passerò il bastone del comando!... Questa conversazione che si aggiunge alle innumerevoli può definirsi: erba tmstulla.

(l) -Cfr. n. 171, allegato. (2) -Cfr. n. 376.
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PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI INGLESE, HENDERSON

Londxra, 14 marzo 1930.

GRANDI -La Conferenza sta per finire. Prima di apprestarmi a lasciare Londra ho desiderato farvi una visita al Foreign Office, visita che avrei dovuto farvi ad ogni modo fin dall'inizio della Conferenza, indipendentemente dai nostri incontri quasi giornalieri. Ma voi sapete quale è stato il ritmo del nostro comune lavoro fin qui.

HENDERSON -Avete qualche argomento di importanza che desiderate esaminare insieme con me, e che interessi la politica della Gran Bretagna e dell'Italia?

GRANDI -Nessun argomento da esaminare. Voi conoscete perfettamente le linee della politica internazionale dell'Italia. Noi conosciamo le linee della politica della Gran Bretagna. La collaborazione italo-britannica è un dato di fatto che ha le sue basi nella storia, nella geografia. Non credo si possa dire di più.

HENDERSON -È vero. Ma è pur tuttavia interessante vedere quali saranno le eventuali ripercussioni internazionali della Conferenza di Londra. GRANDI -La Conferenza di Londra non è ancora del tutto finita. È prematuro fare delle ipotesi. HENDERSON -La Conferenza di Londra, ove fallisse il suo scopo di riduzione degli armamenti, aprirebbe un ben triste periodo nell'Europa e nel mondo.

GRANDI -È vero. Di chi la colpa? Non dell'Italia, certo.

HENDERSON -Ma voi siete proprio deciso a insistere sulla • parità •? Non sarebbe di maggior interesse pratico per voi sacrificare la parità, ed avere in compenso una riduzione effettiva nel tonnellaggio francese, che vi salvaguarderebbe da ogni sorpresa in una gara di competizioni di armamenti?

GRANDI -(La questione posta da Henderson, cosi come io mi aspettavo, mi ha procurato facilmente il modo di spiegare ancora una volta per tutte le ragioni della condotta italiana -la doppia politica della Francia dove la maschera pacifista di Briand e la paura di un'aggressione tedesca nei gruppi di sinistra sono ambedue strumento dell'imperialismo francese in Europa). Mentre Briand parla di Ginevra, di Stati Uniti d'Europa, la Francia consolida il suo sistema di alleanze politico-militari che vanno dal Mare Baltico al Mare Nero, dall'Atlantico all'Adriatico e praticamente all'Egeo, senza parlare dei punti strategici nel Mediterraneo Orientale (Siria).

La II Internazionale (punto sensibilissimo per Henderson! !) è diventata ormai lo strumento -gli ho detto precisamente -della massoneria imperialista francese. Ho parlato ad Henderson del continuo sistematico incoraggiamento che la Francia dà alla Jugoslavia nella sua politica provocatrice e di armamenti-della flotta jugoslava costruita con un criterio militare evidente e cioè, quale flotta secondaria complementare della flotta francese -delle cifre veramente impressionanti dei bilanci militari francesi. • Può veramente un paese che fa una politica di guerra consimile pretendere di figurare come il leader della pace europea e mondiale? La Gran Bretagna non deve inoltre dimenticare una circostanza evidente. La Conferenza di Londra, dopo l'accordo anglo-americano è stata fatta per la Francia. Ebbene se la Francia si trova oggi a Londra, davanti ad una specie di Tribunale, ciò lo si deve esclusivamente all'Italia. Se l'Italia avesse risposto negativamente all'invito del Governo Britannico -come era nel desiderio e nella convinzione francese -la Francia non sarebbe venuta a Londra, come non è venuta tre anni or sono. È l'Italia che ha trascinata la Francia davanti al giudizio del mondo •.

HENDERSON -Riconosce che quest'ultima circostanza è vera. Riconosce che dopo quanto io gli ho detto si sente molto perplesso. Non si può negare che l'attitudine dell'Italia è ragionevole. Ma, d'altra parte, come si fa ad uscirne?

• Avrei piacere d'avere altri colloqui con voi, Signor Grandi, prima che voi lasciate Londra. Bisogna che noi parliamo insieme. Vi sono alcune questioni generali ed alcuni problemi particolari che desidererei esaminare con voi •.

GRANDI -• Sempre disposto •. E poi ho soggiunto -come scherzando:

• Spero che Briand ve lo permetterà •. HENDERSON -Come sarebbe a dire? GRANDI -Nelle mie conversazioni con Briand, Briand mi dice sempre, per

darmi la prova della sua sincera amicizia per l'Italia, che tutte le volte che Sir Austen Chamberlain gli ha domandato se egli non vedeva nessuna particolare difficoltà a che egli si incontrasse col Signor Mussolini, durante i suoi viaggi di diporto nel Mediterraneo, Briand ha sempre risposto che egli non aveva nessuna obiezione da sollevare (!?) ...

Questa conversazione con Henderson, nel momento della Conferenza più delicato per noi, e cioè mentre i Francesi stanno facendo il supremo sforzo per spostare sull'Italia la responsabilità del fallimento della Conferenza -è stata utile.

Henderson non ama la Francia, ma odia il Fascismo. La tradizione del Foreign Office è per un accordo colla Francia, a tutti i costi. L'antifascismo di Henderson, che non capisce nulla di politica internazionale, serve agli Uffici del Foreign Office per compensare praticamente l'ostilità laburista nei riguardi della Francia.

Uno dei punti sui quali bisogna battere, onde determinare la frattura fra l'antifascismo della democrazia massonica francese, e l'antifascismo del • liberalismo laburista • (cosi io lo chiamo) inglese è di mostrare a questi inglesi che essi, anzichè essere i leaders, come ritengono, della II Internazionale, sono essi stessi attraverso la II Internazionale lo strumento nelle mani della democrazia massonica francese (1).

427

PROMEMORIA DEL DELEGATO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO, SUL COLLOQUIO CON IL DELEGATO INGLESE, CRAIGIE

[Londra], 14 marzo 1930.

Craigie mi ha telefonato stamane pregandomi di passare da lui per • scambiare delle idee • su quanto era stato detto nel colloquio di ieri fra S. E. Grandi e il Signor Mac Donald (2).

Mi sono recato a Downing Street dopo aver visto l'Ambasciatore Gibson, che misi al corrente -a titolo personale -del colloquio suddetto. Ho avuto l'impressione che alla Delegazione americana si giudichi l'idea suggerita dal Ministro Grandi come una • buona mossa • che potranno forse appoggiare.

Craigie mi disse a sua volta che il Signor Mac Donald aveva trovato molto interessanti le cose dettegli da S. E. Grandi. A sua domanda gli spiegai il concetto esposto dal Ministro: oggetto dell'accordo di limitazione dovrebbe essere il tonnellaggio rappresentato dalle navi che non hanno superato i limiti di età (under-age) e le navi in costruzione (building). Invece, le navi • over-age • dovrebbero essere considerate fuori dei limiti stabiliti dalla Convenzione, alla stessa stregua delle • navi speciali •. Qualora venga accettato da tutti la parità di livello per tale tonnellagio fra Italia e Francia, la Delegazione italiana non avrebbe difficoltà ad accettare che nel regolare la sorte del naviglio • over-age • si lasci alla Francia un certo numero di navi in più, secondo accordi da concretarsi. Spiegai a Craigie che tale concessione sarebbe stata possibile da parte nostra solo alla condizione che esistesse effettiva parità del tonnellaggio !imitabile.

Craigie ammise che l'idea era buona, che con essa noi apportavamo un contributo efficace alle trattative e che • la nostra posizione ne risultava certamente migliorata •. Dubitava però che da parte francese sarebbero state fatte difficoltà, perchè la proposta implicava formalmente l'accettazione da parte francese del principio della parità.

Confermò il suggerimento che da parte nostra non ne venisse per il momento fatta parola coi francesi.

Parlò poi delle relazioni itala-francesi, accennando in modo generico alla possibilità -ove la cosa fosse gradita -di un'azione personale di MacDonald per facilitare una chiarificazione dei nostri rapporti colla Francia.

(l) -Cfr. il t. 15 marzo con cui Henderson comunicava a Graham la sua impressione che da uno o due giorni l'atteggiamento di Grandi fosse più costruttivo e chiedeva che Graham parlasse con Mussolini della questione navale (DB, Serie II, vol. l, n. 157). Ma l'intervento di Graham non ebbe poi luogo (ibid, nn. 159, 160 e nota). (2) -Cfr. n. 421.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

TELESPR. R. 208961/126. Roma, 14 marzo 1930.

Suo telespresso n. 564/303, del 22 febbraio u. s. (1).

Ringrazio V. E. delle informazioni contenute nel telespresso cui mi riferisco ed approvo quanto Ella ha dichiarato a Koepke sia nei riguardi dell'attività della Deutsche Schulverein Siidmark che per ciò che si riferisce ai rapporti personali fra il R. Ministro a Vienna ed il conte Lerchenfeld.

Le giustificazioni del rappresentante germanico nella capitale austriaca basate sul fatto che è tradizione della Legazione del Reich di accordare ospitalità alla Deutsche Schulverein Siidmark sembrano poco convincenti perchè è appunto a tale tradizione, se essa veramente esiste, che bisogna porre termine in considerazione del mutato stato d'animo itala austriaco. Nè vale affermare che alla nota festa, nella Sede della Legazione, intervennero Ministri austriaci in carica e personalità governative; tale circostanza aumenta invece di diminuire la responsabilità del conte Lerchenfeld perchè il fatto che i festeggiamenti avvennero nella Sede della Legazione (e checchè egli ne dica sotto il suo stesso patronato cosa del resto naturale -essendo egli il padrone di casa) contribuì a dare alla festa stessa carattere ufficiale col conseguente intervento delle alte cariche dello Stato. 1 '' :~i

Quanto ai rapporti personali fra il Comm. Auriti ed il conte Lerchenfeld che secondo Koepke • non sembrano rispondere a quella intonazione che si sta dando ai rapporti fra i tre Governi di Roma, Vienna e Berlino •, osservo anzitutto che fino a questo momento la buona • intonazione • l'ha data soltanto Vienna. Da Berlino attendiamo invano un atto qualsiasi che ci dimostri una mutata mentalità a nostro riguardo; oramai sono tre mesi che il noto dramma antitaliano « Flieg roter Adler von Tirol » fa il giro dei teatri germanici, avvelenando l'opinione pubblica nei riguardi dell'Italia, e recentemente come V. E. ha segnalato, la rappresentazione è stata data anche nell'ambiente studentesco di Heidelberg vale a dire fra coloro che formeranno le future classi colte e dirigenti della Germania.

Ritornando ai rapporti fra il conte Lerchenfeld ed il R. Ministro a Vienna sono sicuro che essi sono normali ma se così non fosse non credo che il torto sia dalla parte di Auriti. Rammento che il Lerchenfeld, bavarese, noto fautore dell' • Anschluss • non è precisamente un amico del nostro Paese ed in ogni caso egli non sembra il più indicato esponente di quella nuova • intonazione • cui faceva cenno Koepke.

(l) Non si pubblica.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Belgrado, 14 marzo 1930.

Ho avuto ieri l'altro una lunga interessante conversazione con questo Ministro d'Inghilterra Signor Neville Henderson tornato da Londra il 10 corrente. Per alcuni punti ne riferisco ufficialmente. Ma una parte della nostra conversazione si è aggirata sulle relazioni itala-jugoslave a proposito delle quali il signor Henderson mi ha confidenzialissimamente messo al corrente di un suo colloquio con Re Alessandro pregandomi vivamente di non farne alcun uso ufficiale. Per tener perciò la parola data, ed in considerazione della delicatezza dell'argomento ne riferisco personalmente all'E. V.

Credo opportuno premettere che si è stabilita rapidamente fra il signor Hen

derson e me una sincera confidenza, per il fatto della comune vecchia amicizia

che ci lega al Vansittart, ora segretario permanente al Foreign Office, dal quale

l'Henderson mi fu calorosamente presentato.

Ricordo poi a V. E. che, come parmi di aver già riferito altra volta, l'Hen

derson esprime un giudizio complessivo sulla Jugoslavia non molto dissimile dal

nostro, ed ha un apprezzamento generale su questo Stato e sulla sua funzione

che potrei sottoscrivere ad occhi chiusi.

Venuta dunque la nostra conversazione sulla situazione itala-jugoslava Hen

derson mi ha detto di aver letto a Londra un telegramma col quale Graham ri

feriva della visita fatta a S. E. .il Capo del Governo da Rakic (1). Non si riferivano

dettagli del colloquio, ma si affermava che Rakic era stato ricevuto con insolita

cortesia. Si richiamava l'attenzione del Foreign Office sulla circostanza che nella

prossima Fiera di Milano non vi sarebbe più stato un padiglione • Dalmazia » ma

un padiglione • Zara •. I due fatti erano interpretati come sintomi favorevoli per

le relazioni itala-jugoslave.

Di poi Henderson mi ha detto di aver parlato di ciò con Re Alessandro pro

prio pochi momenti prima del nostro colloquio. Il Sovrano lo aveva messo al

corrente dettagliatamente degli incontri di V. E. con Jeftic (2), e di S. E. il Capo

del Governo con Rakic, gli aveva pure comunicato che detti colloqui continue

rebbero con V. E. al ritorno da Londra. Re Alessandro ha aggiunto di essere

pieno di speranza, essendo suo fermo e vecchio desiderio di arrivare ad una

completa intesa coll'Italia che andasse anche oltre i consueti patti di amicizia.

Henderson ha risposto al Re incoraggiandolo su tale via, ma ha aggiunto che finchè la Jugoslavia continuasse la sua attuale politica verso la Francia, della quale era quasi • sotto tutela •, difficile sarebbe una chiara e definitiva intesa con l'Italia. Ha poi portato il discorso sullo sviluppo della marina jugoslava, sul grande numero di allievi nelle scuole della Dalmazia ed alludendo all'impossibilità per la Francia di imbarcare senegalesi sul gran numero di navi da guerra in progetto, ha lasciato al Sovrano dedurre quanto meglio egli credesse.

Re Alessandro colpito dalla parola • tutela •, replicò immediatamente con vivacità che egli voleva fermamente che il suo Paese non fosse sotto la tutela di alcuno. La storia dimostrava quali danni aveva avuto la Serbia per le successive tutele austriaca e russa. Tale errore non doveva ripetersi. L'amicizia colla Francia non doveva essere tutela, e non doveva impedire una cordiale profonda intesa coll'Italia con la quale vi erano tanti interessi comuni. Egli intendeva fare una politica indipendente tanto più facile in quanto non perseguendo alcuna ambizione territoriale, considerava l'attuale assetto come il massimo che la Jugoslavia potesse desiderare. La situazione degli sloveni e dei croati nella Venezia Giulia gli era completamente indifferente, se l'Italia non li volesse egli era pronto a riceverli in Jugoslavia (ripeto testualmente quanto mi ha detto Henderson). Circa la marina il Re ha negato in modo reciso che si progetti la costruzione di nuovi sottomarini, specie in connessione con prestiti francesi, e fatto abilmente intendere che marinai jugoslavi non servirebbero mai su navi francesi.

Dal canto mio ho detto ad Henderson che sapevo dei colloqui dei quali gli aveva parlato Re Alessandro, ma ne ignoravo il contenuto preciso. Tuttavia dovevo ritenere che essi potessero assai giovare ad un chiarimento delle relazioni itala-jugoslave poichè e V. E. e S. E. il Capo del Governo avevano sempre desiderato che la situazione dei due Paesi migliorasse ed i molteplici rapporti fra i due Stati si potessero svolgere in atmosfera tranquilla.

Da questo punto il discorso è passato alla politica generale della Francia ed Henderson mi ha detto esser sua impressione che l'attitudine della Francia ed il suo sistema di alleanze con le potenze della Piccola Intesa e la Polonia poteva

o prima o poi condurre ad una situazione europea assai difficile. Ha concluso sorridendo che alla Legazione di Francia avrebbero finito col non poterlo più sopportare perchè egli troppo ripeteva ad ogni occasione che la Jugoslavia doveva sottrarsi dalla soggezione francese.

Tanto ho creduto doveroso ed utile riferire a V. E. anche per tutti i riflessi della condotta di questo Ministro d'Inghilterra in una situazione nuova che potesse formarsi tra l'Italia ed Jugoslavia, e che si è iniziata col colloquio di V. E. con Jeftic dell'8 gennaio scorso (1). Il pensiero del Signor Neville Henderson risulta ancora meglio chiarito da quanto egli mi ha detto sul futuro prestito jugoslavo, e sugli incidenti colla Bulgaria. È un rappresentante britannico che molto ci cambia dal gesuitico e malfido suo predecessore Kennard. Perciò stimo che entro certi limiti, e con le dovute riserve, la di lui attività qui potrà in qualche occasione collimare con la nostra ed agevolare qualche utile risultato per noi (2).

(l) -Su qu·2sto colloquio non si è trovata documentazione. (2) -Cfr. n. 302. (l) -Cfr. n. 302. (2) -Annotazione marginale di Grandi: « A S. E. il Capo del Governo con preghiera di prenderne visione ».
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 15 marzo 1930.

Questa settimana (l) ha avuto un ritmo di lavoro cosi accelerato, ed è stata così piena di situazioni mutevoli e difficoltà impreviste, da consigliarmi ad attendere qualche giorno, onde sottoporre al Tuo esame un quadro degli ultimi avvenimenti, tale da permettere un giudizio completo, su basi reali, non fittizie.

Il ritorno della Delegazione francese ha segnato, in un modo netto, l'inizio di una nuova fase, la seconda fase della Conferenza.

Come Ti ho ampiamente scritto nelle lettere precedenti ed illustrato durante la mia venuta a Roma, fino alla caduta del primo Gabinetto Tardieu (e cioè durante tutta la prima fase della Conferenza) la Delegazione francese ha cercato di spostare il centro di attività della Conferenza dalla discussione delle

• cifre • alla determinazione dei c metodi di limitazione •. La Delegazione inglese e la Delegazione americana, cui incombe la comune responsabilità della iniziativa e quindi del successo della Conferenza pur non approvando intimamente il tentativo francese, non vi si sono opposte. È apparso anzi, in taluni momenti, come se intendessero incoraggiarlo. La Delegazione giapponese, seguendo il suo costume di tenersi in margine a tutto, ha lasciato fare. Io solo, a nome dell'Italia, ho mosso le note obiezioni e fatto le note esplicite riserve, prima nella Conferenza a cinque, poi nella Conferenza plenaria. Le dichiarazioni italiane hanno avuto un valore importante: quello di scoprire, compromettendolo fin dall'inizio, il giuoco francese che tendeva ad evitare il problema delle cifre, riserbandone la discussione ad una prossima Conferenza a Ginevra.

La Conferenza ha trovato, ad ogni modo, nell'esame dei • metodi di limitazione • il pane quotidiano per il pubblico. Poichè tuttavia, ad un certo momento, il pubblico si è stancato, allora si è pensato ad una seduta plenaria che discutesse il problema dei sottomarini. Naturalmente tutti d'accordo doversi trattare di una discussione puramente accademica senza ulteriori sviluppi. In questo primo periodo è apparso a taluno (non al sottoscritto, come Tu ricordi) che la posizione dell'Italia fosse particolarmente difficile, • isolata » e fosse altresì probabile e possibile un accordo a quattro che prescindesse dall'Italia. Questo accordo è stato, in verità, accarezzato dai francesi.

Ma si è visto subito -e non poteva essere se non così -che l'Italia costituiva un anello necessario della catena a cinque, e che la soluzione del problema navale italo-francese era, come è tuttora, la condizione e la premessa del problema navale franco-inglese, e tutte e due insieme la condizione e la premessa dell'accordo anglo-americano e anglo-americano-giapponese. Senza l'Italia, dunque un accordo generale non si può fare.

Malgrado l'esame dei c metodi di limitazione • e le premature illusioni della Delegazione francese (discorso Tardieu a Calais) il problema delle cifre incom

beva. Tu ricordi come il problema sia stato brutalmente, ad un tratto scoperto dagli americani, e, subito dopo, da inglesi e giapponesi. Non più c metodi. bensì c navi • e c tonnellate •.

I francesi hanno gridato alla malafede britannica, hanno tentato di ritardare ancora la discussione. Poi, costretti, hanno accettato la battaglia. Memorandum francese: 724.000 tonnellate. Integrità dello • Statut Naval •. Il memorandum francese, buttato sul tavolo da Tardieu il giorno prima della sua caduta, è stato una vera e propria sfida della Francia alla Gran Bretagna. Il memorandum italiano (1), seguito a due giorni di distanza, ha servito a dare la plastica evidenza della sproporzionata politica di armamenti che la Francia aveva tentato di nascondere attraverso i famosi • metodi di limitazione •.

Ritornata la Delegazione francese a Londra (venerdì 7 u.s.) con a capo Briand, la tattica ha subìto un cambiamento improvviso. Il tentativo di Briand per distrarre Inghilterra e America dall'aspra polemica ingaggiata contro le cifre francesi, è stato quello di portare la discussione sul terreno politico. Non cifre, ma c sicurezza •.

Il ragionamento svolto da Briand a Stimson e MacDonald (2) (ma evitato invece accuratamente nei suoi colloqui con me) è stato presso a poco il seguente: I bisogni della Francia sono superiori a quelli dell'Italia. La Francia non può quindi accordare la parità all'Italia senza mettersi in condizioni di inferiorità. L'Italia ha bisogno della sua flotta nel Mediterraneo. Oltre che nel Mediterraneo la Francia ha bisogno di una flotta nell'Atlantico (Germania), e di una flotta nei mari coloniali. Fermo restando la necessità di una differenza coll'Italia, la Francia sarebbe tuttavia disposta a ridurre le proprie cifre se America e Inghilterra garantissero la sicurezza marittima della Francia contro tutti, ma specialmente contro il pericolo dell'Italia la cui ingiustificata domanda di parità è la dimostrazione delle sue intenzioni di bellicosità e supremazia. L'atteggiamento italiano è stato così presentato come la ragione dei maggiori armamenti della Francia. Di più Briand ha fatto chiaramente intendere che è proprio nell'attuale politica aggressiva dell'Italia la ragione della mutata condotta francese dal 1922 ad oggi. Otto anni fa la Francia non ebbe alcuna difficoltà a concedere la parità ad un'Italia tranquilla, pacifica. Oggi la situazione è cambiata. Occorre che la Francia si difenda dal pericolo italiano.

Il rifiuto opposto alla richiesta di un patto di sicurezza, mutua garanzia, ecc. da parte di Briand è stato completo. America e Gran Bretagna non hanno voluto assumere ulteriori impegni politico-militari oltre quelli già contenuti negli accordi esistenti. Richiesto del mio parere da parte americana ed inglese ho risposto che l'Italia si disinteressava di questo problema, e che stava a vedere, persuasa che non i patti, ma solo il disarmo effettivo di tutti può garantire la sicurezza di tutti. Mi sono tirato da parte e li ho lasciati fare.

Il rifiuto americano ed inglese ha però fortificato la posizione tattica di Briand, che ha trovato precisamente nel rifiuto anglo-americano l'alibi per dimostrare la necessità degli armamenti navali francesi. Siccome la riduzione delle cifre francesi è necessaria alla Gran Bretagna per la conservazione del principio-base: two Powers standard, ed è altresì l'elemento e la condizione

necessaria per l'accordo anglo-americano, così America ed Inghilterra, nello stesso momento in cui esponevano a Briand il rifiuto di risolvere il problema della sicurezza francese, aderivano, in certo qual modo, alla seconda parte della tesi Briand: • La rinuncia dell'Italia alLa parità può far raggiungere egualmente lo scopo che voi americani ed inglesi vi ripromettete di raggiungere, quello cioè di abbassare le cifre francesi». Era qui precisamente dove Briand voleva arrivare, attraverso la • finta • dei patti politici.

Questa la posizione a lunedì 10 u.s. cioè all'inizio della settimana. Dopo le conversazioni difficili Briand-Stimson-MacDonald da un lato, e le aspre polemiche anglo-francesi dall'altro, l'azione inglese e americana si è svolta esclusivamente contro di noi. Dirò meglio, si è ripreso ed intensificato, con ogni mezzo, il tentativo in verità mai cessato, per farci cedere. Questo tentativo risale agli inizi della Conferenza. Le posizioni di ciascuno si sono venute marcando e precisamente in questa ultima settimana, ma esse erano virtualmente manifeste fin dall'inizio, e ognuno si è regolato in conseguenza. Inglesi ed americani, per quanto con garbo e misura, hanno costantemente premuto su di noi, e la Delegazione italiana ha resistito, e soprattutto si è preparata ad affrontare la maggiore pressione che io ho sempre preveduto si sarebbe determinata nel momento decisivo della Conferenza. Si potrebbe pensare che questa maggiore pressione è stata esercitata precisamente in questa ultima settimana. Io credo, al contrario, che il momento difficile per noi debba ancora venire.

n primo tentativo per indebolire la nostra posizione risale alla prima settimana della Conferenza. Alla pressione per farci accettare il progetto transazionale francese risposi colle note dichiarazioni sul « livello massimo e la proporzionalità ». Inglesi ed americani tentarono di persuadermi che le riserve italiane erano superflue, che la nostra posizione sarebbe stata salvaguardata lo stesso. La discussione durò molti giorni. Tu ricordi. Fu spesso difficile, insistente. Tenni duro, e le nostre riserve furono ammesse, e inserite in tutti i documenti sin'ora pubblicati, o in compilazione, della Conferenza.

n secondo tentativo è stato quello di farci accettare la divisione per categorie, e rinunciare al principio del tonnellaggio globale. Se un accordo si fa, a questa rinuncia (che non è grave dopo che la Gran Bretagna, l'America ed il Giappone hanno accettato la limitazione del numero delle categorie e le trasferte) ci verremo. Ma la Conferenza sa che ci verremo solo quando sarà accettato il livello di tonnellaggio che noi domandiamo.

n terzo tentativo -più forte e che continua dal giorno della pubblicazione del memomndum francese, ossia da più di un mese -è stato quello di farci dichiarare le nosh·e cifre. « Qualunque cifra, purchè ecc. ecc. • è stata sempre la mia risposta. Poichè la logica di questa posizione appariva inattaccabile, MacDonald e Stimson hanno chiesto che, invece di indicare ufficialmente le " cifre , italiane, io indicassi a loro confidenzialmente, per loro norma personale di quali cifre mi sarei accontentato. « Le cifre francesi si aggirano sulle

700.000 tonnellate. Esse sono esagerate. Voi, Italiani, dichiarate di accontentarvi, supponiamo di un tonnellaggio fra le 400 e le 500 mila tonnellate noi Inglesi ed Americani avremo modo di agire con successo sui francesi perchè essi abbassino le loro cifre. Così voi avrete reso un servizio a tutti, e tutti ve ne saranno grati, e primi a guadagnare della riduzione francese sarete voi , . Lo scopo era manifesto. Si voleva con una dichiarazione ufficiale, o con una indicazione qualsiasi, che l'Italia offrisse un termine di confronto con la Francia, per poi trovare un compromesso fra le due cifre, e così annegare in un accordo di fatto il principio della parità.

La mia ostinata resistenza ha persuaso MacDonald dell'opportunità di affrontare la discussione sulle cifre italiane, in piena riunione dei Cinque Capi di Delegazione. Questo egli ha tentato di fare nella seduta di martedì scorso (1). Alla domanda precisa, MacDonald non aspettava evidentemente che io rispondessi, questa volta con una cifra: la cifra del memorandum francese 724 mila tonnellate. Ciò ha compromesso il suo piano, ha determinato una vivace replica di Briand. Io ho chiesto di rispondere, MacDonald si è spaventato di una discussione Grandi-Briand che stava cominciando e volgendo a male. La preoccupazione dell'insuccesso della Conferenza è stata più forte della sua intenzione di mettere l'Italia colle spalle al muro. Ha proposto di aggiornare al giorno dopo, mercoledì, la discussione. Anche l'idea di una Conferenza plenaria è stata scartata dopo le mie obiezioni. La Conferenza a Cinque, anzichè riunirsi mercoledì, è stata aggiornata sine die.

Mercoledì le campane suonavano a morto per la Conferenza. Giovedì MacDonald ha voluto parlarmi. Io ho sentito subito che il colloquio di giovedì con MacDonald (cui lo stesso MacDonald ha voluto dare personalmente il carattere di un incontro segreto importante e decisivo) avrebbe potuto determinare o il successo definitivo di una settimana di lavoro di Briand durante la quale Briand era riuscito abilmente a rappresentare l'Italia come l'unico ostacolo al raggiungimento di un accordo -oppure poteva determinare una nuova situazione in nostro favore, facendoci guadagnare ancora dei punti sulla Francia.

Credo dì esservi riuscito. Nel riassunto, molto schematico, del colloquio Grandi-MacDonald (2), sono indicate le mie argomentazioni principali. Perchè non sono che argomentazioni. Nulla cambia della nostra condotta. Si trattava soltanto di presentare in una forma nuova il problema che è vecchio, e mettere nuovamente la Francia nella situazione di un mese fa, al momento deLla pubblicazione del memorandum Tardieu, e riaddossarle nuovamente le responsabilità effettive della Conferenza.

È superfluo che io spieghi quello che ho definito, per uso di MacDonald e della Conferenza, la 3a proposta italiana. È, invero, troppo chiara di per sè. Se la Francia l'accettasse sarebbe la vittoria piena della tesi della parità. Se la Conferenza stabilisse di lasciare fuori dal computo dei rispettivi tonnellaggi le navi che hanno sorpassato i limiti di età (la Gran Bretagna e l'America le hanno distrutte tutte, l'Italia ne ha distrutto più della metà, il Giappone come l'Italia, la Francia sola mantiene questi cassoni galleggianti senza valore bellico efficiente) -e ciò significherebbe che queste navi non sono 1·impinzabili (qui sta tutto il punto); tutto ciò naturalmente colla premessa incontestata della parità fra Italia e Francia (nè una tonnellata in più nè una in meno) in tutto il tonnellaggio che la Conferenza di Londra sta esaminando (incrociatori cacciatorpediniere e sottomarini -soprattutto sottomarini), resterebbe alla Francia fino al 1936, una soddisfazione di circa 35.000 tonnellate in più nel naviglio leggero

(è l'attuale differenza fra il tonnellaggio delle navi francesi oltre i limiti di età, e delle navi italiane oltre i limiti di età, non ancora radiate).

Il mio camerata Sirianni potrebbe anche, nel giorno dell'accordo, allo scopo di festeggiare la lieta giornata, mandare a picco la Francesco Ferrucci e il San Marco e magari il San Giorgio già destinati alla morte, e ciò a maggiore soddisfazione dell'imperialismo navale francese.

Ma La Francia non accetterà. L'importante, per ora, è che MacDonald abbia trovato ragionevole la nostra offerta, e l'abbia considerata come un effettivo sacrificio che l'Italia fa, nell'intento di raggiungere un accordo generale.

Anche gli americani, così mi risulta, stanno studiando la cosa. Ma la Francia non accetterà. Del resto, quello che a me importava di raggiungere era un vantaggio tattico contro Briand. Non altro per ora. La settimana si è chiusa bene per noi. MacDonald offrirà la soluzione a Tardieu domani o posdomani. Tardieu, evidentemente, rifiuterà (1). Ma allora, nella settimana prossima, la voce grossa la faremo noi, ed io farò a rovescio il giuoco di Briand.

Ma, allora, fin quando e fin dove giungerà questo giuoco? Credo che siamo ormai veramente alla fine. Tutte le resistenze sono ormai consumate. Risulterebbe che Tardieu giunge con nuove proposte. Quali saranno? Vedremo.

Se a nessun pratico accordo si giungesse sul livello massimo dei tonnellaggi rispettivi, la Conferenza si chiuderà con un probabile accordo sulla vacanza navale nelle navi di linea (proposta Mussolini del 5 ottobre 1928) (2). La Francia tenterà di presentare il più o meno raggiunto accordo sui metodi come un grande passo in avanti sulla questione del disarmo. Vedremo, in tale eventualità, se è il caso di riprendere o no la questione da me sollevata nella riunione a cinque di martedì scorso (definizione di che cosa si intende per tonnellaggio globale alla data di scadenza della Convenzione) questione dietro la quale la Francia vuole mascherare una grossa parte di tonnellaggio -probabilmente quello da costruirsi negli ultimi due anni della Convenzione -in più di quello da denunciarsi nella Convenzione medesima. Questa questione (sulla quale richiamo la Tua attenzione: v. riassunto seduta a cinque di martedì) interessa in un modo notevole gli inglesi, ai quali il trucco francese, su questo punto, era passato finora inosservato.

L'osservazione italiana è venuta tuttavia a buon punto per ravvivare e complicare la discussione anglo-francese sulle cifre francesi, che varierebbero ancora da quelle denunciate nel memorandum Tardieu. Già a quest'ora Dumesnil ha dovuto fare un comunicato polemico nel quale cerca inutilmente di spiegare e rettificare.

La settimana si apre, insomma, con nuove incognite.

Il probabile rifiuto di Tardieu ad accettare la nostra proposta concentrerà probabilmente, per un razzo finale, le quattro Potenze contro di noi. Stai certo, Presidente, che più la battaglia è dura, più sono duro io, ed il mio spirito si fa, nella battaglia, ancora più sereno.

Uno dei criteri elementari della tattica di combattimento (così facevamo in guerra) è quello di presentare al nemico, quando il suo fuoco si fa nutrito, dei bersagli mobili.

Ecco, un poco, quanto sto facendo io in questi giorni.

Ieri sera sembra (dico sembra) che finalmente l'accordo americano-giapponese sia stato raggiunto. Ma non vedo fin dove un accordo a tre americano-giapponese-britannico possa essere accettato dalla Gran Bretagna, fermo restando l'incognita di 724.000 tonnellate francesi al 1936 nel Canale della Manica e nel Mediterraneo, e l'incognita di uno sforzo navale italiano diretto a raggiungere il tonnellaggio francese.

Vedremo dunque cosa salterà fuori lunedì e martedì.

(l) Cioè da lunedì, 10 marzo.

(l) -Cfr. n. 376. (2) -Cfr. DB, Serie Il, vol. I, n. 152, e poi anche n. 154. (l) -Cfr. n. 418. (2) -Cfr. n. 421. (l) -Sul colloquio anglo-francese del 16 marzo cfr. DB, Serie II, vol. I, n. 158. (2) -Cfr. Serie VII, vol. VII, n. 22.
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IL MINISTRO A TIRANA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. ss. 728/360. Tirana, 16 marzo 1930.

Come avevo prevenuto V. E. con mio telegramma per corriere N. 563/285 (l) del 9 Marzo corrente anno ho avuto una lunga conversazione con il Sovrano circa la possibilità che da parte jugoslava si tenti qualche azione di bande sul confine orientale o nello scutarino e gli ho accennato al passo piuttosto allarmistico, che il giorno prima aveva compiuto presso di me il suo Ministro degli Affari Esteri. Re Zog ha risposto con olimpica serenità dicendomi che egli non crede che i serbi possano e vogliano fare un qualsiasi tentativo, né in grande né in piccolo stile. Tentare una invasione in forza dell'Albania sarebbe da loro parte una vera e propria follia. Dietro l'Albania c'è l'Italia. D'altra parte quali vantaggi deriverebbero alla Jugoslavia da incursioni di piccole bande? Queste sarebbero schiacciate dall'esercito albanese e la storiella della pseudo rivoluzione interna, diffusa da Belgrado, non ingannerebbe nessuno. L'Europa conosce oramai i serbi ed i loro metodi.

Zog ha poi aggiunto: • Ho formale assicurazione da parte di Re Alessandro che non saranno permessi arruolamenti di comitagi sulla nostra frontiera. Io l'ho fatto ringraziare e gli ho fatto sapere che se non mantenesse la parola l'Albania riaprirebbe le sue porte ai Kossovesi e ai bulgaro-macedoni •.

Ho in seguito veduto nuovamente il Ministro degli Esteri che questa volta era molto più tranquillo; aveva parlato col Re e col Ministro di Jugoslavia: quest'ultimo gli aveva smentito l'esistenza degli arruolamenti, ed aveva testualmente detto: • Se ciò si stesse facendo io sarei un traditore dopo gli affidamenti che vi ho portato a nome di Re Alessandro •.

Il Signor Nastassievitch, Ministro serbo, è tornato recentemente da Belgrado ove si è trattenuto per qualche settimana. Al ritorno ha veduto più volte Zog. In un colloquio con me il Signor Nastassievitch si è lasciato sfuggire che deve ripartire ben presto per la Jugoslavia.

La serenità del Re, cui ha accennato anche il R. Incaricato d'Affari nel suo telegramma per corriere del 24 Gennaio u.s. N. 178/77 (2), i dettagli sopra

riferiti e certi imponderabili che non saprei 10 stesso precisare, vanno creando in me l'impressione che in questo momento stiano svolgendosi tra Tirana e Belgrado, e più precisamente fra i due Sovrani, certi approcci, o scambi di idee di cui io non saprei ancora precisare la natura. Avanzerò qualche supposiZIOne; ma prima di parlare di tali contatti invisibili desidero descrivere lo stato visibile dei rapporti serbo albanesi.

Le concessioni economiche itala-albanesi, il Patto di Tirana, la rivolta dei Dukagini, la denunzia Italiana alle Potenze, l'arresto del pseudo dragomanno Giuraskovich e la conseguente rottura dei rapporti diplomatici, l'assassinio di Zeno Bey, il Trattato di Alleanza, la creazione del Regno, la disillusione per la Chiesa Ortodossa, il dilagare della penetrazione Italiana, il successo dell'organizzazione dell'esercito e della gioventù albanese, lo sviluppo del programma dei lavori pubblici, sono stati fatti e fenomeni che attraverso tutta una serie di azioni e di reazioni hanno scavato tra i due popoli, tra i due Governi, un solco profondo che va diventando un abisso.

Mentre i due Governi sono andati sempre più asteggiandosi, nell'animo albanese è penetrata la speranza, prima inesistente, che questo popolo non è poi fatalmente destinato a diventare il servo dei serbi. L'Albania ha cominciato quindi ad alzare il capo. È specialmente il successo ottenuto nel conflitto provocato dall'arresto di Giuraskovich che segnò, secondo me, la svolta decisiva verso il nuovo orientamento dell'animo albanese.

Da tre anni a questa parte io assisto a un vero precipitare dell'influenza serba in questo paese. I notabili albanesi non si affollano più nelle sale dei Consolati Serbi; i cittadini jugoslavi vengono guardati come sospetti; nei giornali compaiono articoli nettamente irredentistici e vi si parla con veemenza e qualche volta con mal garbo dell'atteggiamento del Governo di Belgrado; le Scuole serbe vengono chiuse o messe nella impossibilità di funzionare; ai preti serbi si impone di officiare in albanese e chi di essi resiste è messo in prigione; le case dei confidenti delle Autorità serbe vengono perquisite; ai più tenaci jugoslavofili viene resa irrespirabile l'aria dell'Albania e li si induce ad emigrare (Malo Bey, Gani Bey ecc.). Gli uomini politici, già amici della Jugoslavia, o cambiano casacca (Musa Juka) o vengono messi in quarantena; mentre tutti gli altri non esitano ad esprimere apertamente le loro idee di rivendicazioni nazionali. Mi basterà citare la conferenza tenuta dall'attuale Ministro dell'Economia Nazionale, Medhi Frasheri. Si può dire che il diapason dell'antiserbismo si è raggiunto proprio in questi ultimi mesi, dopo l'assassinio in Jugoslavia di Padre Stefano, che è appena uno dei numerosi episodi del regno del terrore introdotto dalla Serbia nelle regioni albanesi d'oltre confine.

In quanto al Re, egli è stato sempre il più prudente e il più misurato. Ma quante volte nelle battaglie diplomatiche degli ultimi tre anni mi ha lasciato trasparire la sua segreta speranza di rimanere vfncitore nel suo urto personale con il Re Alessandro! Il tradimento del 25 Febbraio 1925, nove settimane dopo il suo arrivo dalla Serbia, gli pesa. Re Alessandro gli fece sapere che lo considerava

• un porco •!

Dallo stato di inferiorità in cui si è messo egli poteva sentirsi sollevato solo se la nuova direttiva politica dell'Albania fosse stata coronata da vero e riconosciuto successo: ha quindi lavorato in tale direzione: la • Corona • è venuta, e costituisce il segno visibile del trionfo. Ma c'è un altro segno più intimo cui egli non può essere insensibile ed è che Re Alessandro accetti di trattare con lui da pari a pari.

Non proseguo in queste sottigliezze psicologiche che pure hanno il loro valore quando la politica è accentrata nelle mani di pochi uomini.

Vengo ai rapporti itala-albanesi.

Sbarcammo in Albania, senza far rumore, il 25 Febbraio 1925, con un ramoscello di olivo in mano e allungando, sotto mano, qualche biglietto da mille. Avremmo potuto prendere piede nel paese senza reazioni eccessive. Il prestito era invocato, la Banca era desiderata. Purtroppo confidammo queste due iniziative, appena • enfantées » ad una balia asciutta (Alberti) che non aveva nessuna delle qualità richieste: né tatto politico, né competenza tecnica.

Cominciarono subito i nostri guai. Gli errori tecnici della Banca vennero addebitati all'Italia come colpe politiche; mentre l'atteggiamento impolitico della Banca veniva interpretato come la prova che noi miravamo a stringere l'Albania al collo, per renderla inadempiente e occuparla militarmente.

Intanto le monete della Banca venivano bandite dalla circolazione, tutte le sue iniziative venivano contrastate, e l'Albania, per oltre due anni si rifiutava di toccare un soldo del nostro prestito.

Il Patto di Tirana che venne conseguito in circostanze veramente drammatiche (la rivoluzione era in casa) non valse a orientare diversamente, nè Governo, né opinione pubblica. Anzi la rivulsione contro il Trattato, di cui fu compresa la unilateralità solo il giorno dopo della ratifica, accrebbe il sospetto e l'astio contro di noi.

In quest'atmosfera greve, ostile, io mi dissi che per attuare qui la politica di cui mi erano state tracciate le luminose direttive occorreva anzitutto che il rappresentante del Governo di Sua Maestà si guadagnasse la fiducia personale del Presidente, poi, Re, e che egli impiegasse in seguito tutta la sua opera ed autorità a trasformare nell'animo di Zog in un buon sentimento di devozione e di fiduciosa aspettativa quel senso di istintivo timore che egli aveva fino ad allora sentito verso la personalità forte, dura e che gli sembrava minacciosa, del Duce. Egual senso di fiducia era necessario nascesse verso la persona di V. E., collaboratore diretto del Capo del Governo, e le altre persone in cui si individua, qui, la locuzione • Ministero degli Esteri •. Si doveva, in un secondo tempo conseguire che tale senso di fiduciosa aspettativa verso le persone diventasse nell'animo e nella mente del Re convinzione politica nei riguardi dell'Italia.

Contemporaneamente a questa opera presso il Sovrano mi sono sforzato, provocando generose iniziative da parte del R. Governo (missione della Croce Rossa, Scuole Professionali, ambulatori, organizzazione civile dell'amministrazione) e approfittando della mirabile opera di Pariani per il riordinamento dell'esercito e per l'inquadramento della gioventù, di far penetrare nella coscienza del popolo la sensazione che l'Italia vuole sinceramente nell'interesse reciproco, l'indipendenza politica e il risollevamento spirituale ed economico dell'Albania; perché non si creano scuole a favore di chi si vorrebbe lasciare in una situazione morale inferiore e non si danno armi e munizioni a chi si vorrebbe tenere militarmente soggetti.

Non ho mai celato a V. E. che mentre il contributo portato dall'Italia nello svegliare questo popolo dal letargo secolare, nell'ordinario a Nazione, nel dare all'Albania fisionomia di Stato, nell'incamminare i suoi primi passi verso il risorgimento economico, è stato decisivo ed ha avuto effetti prodigiosi, poca o nessuna presa noi siamo invece riusciti a fare nell'animo del popolo, o piuttosto della classe politica, rimasta diffidente, astiosa, ostile.

Questo vero fallimento dell'opera di conquista spirituale, (non potevamo mai illuderci di trovare riconoscenza, ma dovevamo almeno sperare di guadagnarci un po' di simpatia), è senz'altro dovuto ai difetti innati della razza albanese ed è anche la reazione naturale di ogni popolo verso qualunque tentativo di penetrazione straniera: ma quei difetti e questa reazione, sono stati in Albania eccitati ed acuiti dagli spropositi degli uomini preposti alla Direzione della Banca e dell'A.G.I.P.

Una campagna di stampa astiosa, maligna, persistente, viene da quattro anni condotta in Albania contro la Banca, contro l'A.G.I.P., contro la S.V.E.A. e, per riflesso di quest'ultima, contro certe imprese Italiane. È questa campagna che ha avvelenato giorno per giorno l'opinione pubblica, ne ha oscurato ogni capacità di comprensione, le ha tolto ogni senso di obiettività e di giustizia. Ho fatto sopprimere una diecina di giornali. Ma quelli che oggi rinascono con parole di simpatia verso le iniziative italiane, domani si schierano contro! Sopra questa marea di antipatia, qualche cosa però si eleva e si salva: ed è la convinzione, penetrata ormai nella coscienza di tutti della necessità dell'Alleanza itala-albanese per tenere a rispetto il vero nemico della stirpe: il Serbo.

Riassumo. La Serbia è odiata; l'Italia è sospettata, antipatizzata, tollerata. Ma l'Alleanza è un punto fermo.

Torno al Re.

Egli sa che solo con l'Italia c'è salute per lui: comincia inoltre a convincersi

che noi non aspiriamo qui a un dominio diretto e che quindi siamo disposti a rispettare l'indipendenza dell'Albania.

Vittima però della corrente di antipatia contro l'Italia (corrente che egli

stesso ha da principio incoraggiato per aver modo di venderei più cara la sua

amicizia) egli non osa tappare la bocca a quelli che rivestono l'ostilità contro di

noi del comodo manto del superpatriottismo, e quindi nulla di serio il Re ha

fatto e nulla forse potrebbe oramai fare di veramente efficace per fronteggiare

decisamente le correnti a noi ostili.

Di qui la sua politica tortuosa che si manifesta nel dire • si • ai Ministri

che chiedono provvedimenti atti ad arginare la nostra penetrazione, e a dire • si •

a me che di tali provvedimenti chiedo poi la soppressione o la attenuazione.

II di lui disagio è tanto più grande in quanto egli è pubblicamente accusato

di volersi far cattolico, di voler sposare una Principessa Italiana, di impiegare

metà del bilancio dello Stato in spese militari che porteranno fatalmente l'Albania

in conflitto con la Jugoslavia, con la conseguenza che l'Albania o sarà invasa e

saccheggiata dai serbi, o necessariamente occupata dall'Italia.

Con queste dicerie egli reagisce in uno strano modo: tirandoci spesso qualche

calcio, tanto per provare ai suoi consiglieri, e forse a se stesso, che egli non è poi

del tutto impastoiato.

Si aggiunga a ciò il suo notevole spirito di diffidenza che non lo porterà mal a legarsi indissolubilmente a chicchessia e non sorprenderà (ciò che vado scrivendo da tre anni nei miei rapporti) se egli non ha mai tagliato tutti i ponti con Belgrado nemmeno nelle ore di più grave tensione, nemmeno nel momento della rottura diplomatica, nemmeno quando noti ed ignoti individui freddavano a colpi di rivoltella i più rappresentativi e quindi i più compromessi agenti della Jugoslavia presso di lui: Jussuf Bey, Zeno Bey ecc., o i capi più autorevoli della montagna, notoriamente al soldo di Belgrado. All'atto stesso cioè che egli marcava il suo distacco da Belgrado, con atti energici e tali da aggravare ed esasperare l'odio dei serbi contro di lui e il desiderio di vendetta, egli manteneva ancora qualche passerella volante sull'abisso che andava nel frattempo approfondendosi tra le due Na~ioni, i due popoli, i due Governi, i due Sovrani.

~ome ho detto al principio di questo rapporto ho l'impressione che su una di queste passerelle si facciano oggi degli approcci. Con quale finalità, per quali motivi?

Avanzo ora null'altro che ipotesi: l) È probabile che Zog, il quale si rende conto fino a qual punto di esasperazione siano giunti gli animi dall'altra parte, voglia far balenare qualche vaga speranza di riavvicinamento per tentare di impedire un colpo di testa (passaggio di bande, tentativi di rivoluzione interna ecc.) e non escludo che consigli in questo senso gli siano pervenuti da qualche Governo straniero. 2) Può darsi poi che egli, oltre a disorientare in questo momento le mosse dell'avversario, tenda a sondarne comunque le intenzioni, e ciò per l'eventualità che nel 1932, quando potrebbero stringersi i cordoni del prestito SVEA, egli non ci trovasse disposti ad accordare una nuova moratoria. Ho l'impressione cioè che gli approcci, se veramente essi esistono (e non ho finora elementi serii per affermarlo) non costituiscano che una manovra tendente a disorientare l'avversario, e allo stesso tempo a garantirsi da nostri eventuali cambiamenti di fronte, non tanto perché li aspetti sicuramente, quanto per avere, quale misura prudenziale, un'arma di pressione su di noi. Altrettanto egli fece nell'agosto 1927 quando temette che noi non fossimo disposti ad accordare la garanzia • oro • sul ricavato del prestito. Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento? Mi permetto suggerire di non intervenire per il momento. Sia per non mostrare di vedere ombre là dove forse non esistono, sia per non mostrare di dar loro corpo se esse veramente esistono, sia perché, se di manovra si tratta, essa è forse il mezzo più efficace per impedire o ritardare un colpo di mano alla frontiera, colpo di cui mi sono recentemente preoccupato; sia finalmente, perché se gli approcci dovessero diventare conversazioni, non è detto che esse concluderanno a qualche cosa. L'unica vera possibilità di un accordo fra i due paesi, potrebbe tutto al più consistere, in questo momento, in una promessa formale jugoslava a non consentire la formazione di bande al confine, e in una promessa formale dell'Albania di non consentire il passaggio di bulgaro-macedoni sul proprio territorio, secondo è abbozzato nelle frasi che il Re mi ha riportato e che sono trascritte nella prima

36 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

parte di questo rapporto. Un'intesa del genere, se limitata così, potrebbe essere per noi più utile che dannosa.

È su questo terreno che si tenta oggi l'avvicinamento, o c'è altro? Lo ignoro. Raddoppio comunque di vigilanza, pronto a fornire a V. E. tutti quei particolari che permettano più definite conclusioni, e consentano a V. E. di prendere, con conoscenza di causa, deliberazioni e decisioni (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 324.
432

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. s. 740/117/84. Londra, 17 ma1·zo 1930, ore 19,30 (per. ore 2,30 del 18).

Comunicole seguente telegramma che ho diretto in data 16 corr. alle RR. Legazioni Sofia e Belgrado.

(Solo per Sofia). Ho telegrafato a Belgrado quanto segue:

(Per tutti): c Governo britannico ha proposto che Governi italiano, francese e inglese procedano tramite rispettivi rappresentanti passo amichevole da eseguirsi contemporaneamente presso il Governo di Belgrado ed il Governo di Sofia per dare consigli moderazione tendenti evitare ripercussioni tragici incidenti (2).

Passo tre Potenze non deve essere collettivo, bensì da farsi da parte di ciascun Ministro separatamente. Prego procedere in tal senso d'accordo col rappresentante Governo britannico da cui parte proposta ed accertarsi che analoghe istruzioni siano state inviate da Parigi al rappresentante francese costà. Appena

V. S. avrà accertato che passo tre Potenze costì è stato effettuato o sta per esserlo, vorrà darne diretta comunicazione a Piacentini il quale procederà allora ad analogo passo a Sofia •.

(Solo per Sofia). • Prego V. S. dopo ricevuta comunicazione dal R. Ministro a Belgrado agire in conformità accertando che passo sia stato o sia per essere compiuto da rappresentanti Gran Bretagna e Francia costà • (3).

-
(l) -Con successivo t. per corriere 848 del 30 marzo Sola comunicò: • Tengo a dichiarare a V. E. che io sono perfettamente tranquillo circa il sostanziale atteggiamento di Zog: e che le sue manovre, se meritano di essere indovinate e seguite, non devono però impressionarci. Suo primo obiettivo non può essere che quello di mettere i serbi nel sacco, come ha fatto per la questione della Chiesa Ortodossa. Se il Re potesse mettere nel sacco anche noi, ne sarebbe forse lietissimo. Ma egli sa che ha di fronte il fascismo, che non è cosa comoda. (2) -Allude a quattro attentati compiuti dall'O.R.M.I. nei paesi di Kociana, Pirot, Kriva Palanka e Strunica. Palazzo Chigi smenti poi la voce che nella seconda metà di quel mese di marzo Mihailov fosse stato in Italia. Tuttavia Il Tevere del 6-7 marzo aveva pubblicato un comunicato (di A. Signoretti?) sotto il titolo c I macedoni non disarmano •. nel quale, purdeplorando le lotte interne dell'O.R.M.I., si solidarizzava con Mihailov. (3) -Con t. 797/35 del 21 marzo Piacentini comunicò a Grandi di aver eseguito il passo presso il Governo bulgaro.
433

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 18 marzo 1930.

Ieri MacDonald mi ha pregato di andare da lui. Motivo: mettermi al corrente delle conversazioni di domenica con Tardieu (1). Tardieu rifiuterebbe l'esame dell'ultima offerta italiana. La Francia non ammetterebbe la paritd coll'Italia, nè in diritto nè in fatto, nè camuffata nè palese, nè come punto di partenza nè come punto di a1·rivo, nè limitata a determinata categoria di navi (incrociatori, cacciatorpediniere), rimanendo impregiudicata la questione su altre categorie (sottomarini). Su questo punto (ha riferito MacDonald) la Francia non discute. La flotta italiana nel suo valore bellico efficiente deve essere inferiore alla flotta francese. Tardieu avrebbe a questo punto ricordato che prima della guerra le forze navali francesi, che allora erano concentrate nel Mediterraneo, superavano la somma delle flotte alleate austro-italiane.

Calcolando, come la Francia calcola, rimpiazzate le navi che hanno superato i limiti di età, e le 48.000 tonnellate in più di sottomarini, la differenza fra l'attuale naviglio francese e l'attuale naviglio italiano è precisamente di 150-200.000 tonnellate. Soltanto alla esplicita condizione di ottenere una forte superioritd di cifre sulla flotta italiana, la Francia consentirebbe a ridurre l'attuale livello di

724.000 tonnellate fino ad incontrare, su un terreno ragionevole, quelle che sono le richieste e le esigenze britanniche.

MacDonald mi ha pregato di riflettere ancora una volta, ponendomi davanti l'ineluttabilità della situazione, la quale sarebbe presso a poco la seguente: la Francia accetta una cifra (ad es. 600.000-650.000 tonnellate), alla sola condizione che l'Italia si contenti di una cifra inferiore (ad es. 500.000 tonnellate). Se l'Italia sorpassa questa cifra, la Francia dichiara sin d'ora che aumenterà d'altrettanto le sue costruzioni navali, allo scopo di mantenere l'identico rapporto di forze.

Ma se la Francia fosse costretta ad aumentare le sue forze, la Gran Bretagna sarebbe parimenti costretta ad aumentare proporzionalmente le sue. E poichè il livello del tonnellaggio della Gran Bretagna è stato preso come la base delle forze relative dell'America e del Giappone, aumento proporzionale sarebbero costretti ad effettuare Stati Uniti e Giappone. Quindi un aumento di tonnellaggio da parte dell'Italia oltre la cifra indicata dalla Francia per l;Italia determinerebbe automaticamente e proporzionalmente un aumento negli armamenti delle altre quattro Potenze mondiali.

Questo è probabilmente il piano escogitato dal Signor Tardieu contro l'Italia, e la sua attuazione non deve essere stata scartata a priori da MacDonald e da Stimson, nella giornata di domenica.

• Ora -mi dice ufficialmente MacDonald --io non voglio fare pressioni di sorta sull'Italia. Io sono stato e voglio rimanere un mediatore imparziale, e protesto contro quei giornali inglesi e francesi i quali hanno pubblicato che io sarei stato guadagnato domenica alla tesi del Signor Tardieu. Ma è un fatto incontestabile che dall'Italia dipende ormai (a questo punto MacDonald tiene a spiegarmi

che egli distingue fra • responsabilità pratica • e • responsabilità morale • concedendomi che quest'ultima spetta alla Francia, ma che, dato che, poichè ecc. ecc.) un esito soddisfacente della Conferenza di Londra, ed altresì quella che potrebbe essere domani, anche all'infuori della Conferenza di Londra, la corsa agli armamenti navali delle cinque grandi Potenze •.

MacDonald mi ha pregato di riflettere, domandandomi se non era il caso che, giunte le cose a questo punto, io sottoponessi la situazione al mio Capo, pregandolo di modificare le istruzioni datemi, pur riconoscendo, ecc. ecc. che queste istruzioni procedono da giuste considerazioni, ecc. ecc. MacDonald ha infine dichiarato che non vi è ormai se non una via per uscire da questa difficoltà: accantonare tutte le questioni relative alla parità. L'Italia continua a considerare la parità come un diritto. La Francia continua a contestare questo diritto all'Italia. Ferme restando le due posizioni di diritto, Francia ed Italia indicano ciascuna i propri programmi navali per il breve periodo 1930-1936, indipendentemente da qualsiasi questione sui livelli massimi. c L'Italia -dice sempre MacDonald -sa che la Francia è decisa, e nessuna forza può ormai scuotere questa decisione, a mantenere la flotta italiana distanziata dalla sua per una quantità X di tonnellate. Qualsiasi sforzo che l'Italia farà per diminuire la distanza, si risolverà, praticamente per l'Italia, in un grosso sacrificio finanziario, senza raggiungere alcun pratico risultato. Non varrebbe meglio accettare (dice MacDonald) attraverso la fissazione dei programmi rispettivi, i quali, pur essendo evidentemente il risultato di negoziati preventivi, si presentano tuttavia senza il riconoscimento

o almeno la indicazione giuridica di una inferiorità? •.

È superfluo dirTi quello che ho risposto. Gli ho dichiarato che la condotta della Francia era (come è purtroppo) determinata da una sola volontà: profittare delle cifre, che tutto il mondo riconosce irragionevoli ed ingiustificate, del proprio Statut Naval per imporre un'umiliazione di carattere poLitico, e soltanto politico all'Italia, ecc. ecc. ecc. L'Italia domanda soltanto che non le sia strappato quello che ha. La Francia al contrario domanda che sia strappato all'Italia quello che l'Italia possiede. Non è l'Italia che c vuole • arrivare alla Francia. È la Francia che vuole c mettere i piedi • sull'Italia, e riaffermare, attraverso la Conferenza Navale, la propria supremazia su tutta l'Europa continentale, calcolando sin d'ora sulle ripercussioni che tale risultato potrebbe avere sulla politica di prestigio francese nell'Europa Centrale ed Orientale. Gli ho dichiarato che io non avevo nessun bisogno di domandare nuove istruzioni al mio Capo, il quale è perfettamente al corrente di tutto quanto accade a Londra. Che l'invito ad accettare la soluzione intermedia dei • programmi • significa, sia pure in forma indiretta, la rinuncia dell'Italia alla parità. Non c'è quindi da parlarne. In queste condizioni non mi resta che domandare la convocazione della Conferenza plenaria, dare una definizione pubblica e precisa a questa commedia che dura da due mesi, ecc. ecc. e tornarmene a Roma. Il mondo giudicherà quali sono veramente le Potenze che vogliono la pace e quelle che si preparano, attraverso una politica brutale di supremazia e di armamenti, alla guerra, ecc. ecc.

Solita preghiera di MacDonald di vedere le cose calmamente, ecc. ecc. di aspettare, ecc. ecc., di riflettere, ecc. Stamane sono andato da Stimson. Motivo: metterlo al corrente della conversazione avuta ieri sera con MacDonald. Stimson ha tenuto a dichiararmi la

sua imparzialità nel contrasto italo-francese. Questa preoccupazione, non provocata, da parte di MacDonald e Stimson di proclamare la loro imparzialità fra Francia e Italia, va presa con cautela. Gli Stati Uniti hanno interesse, nel fondo, di vedere stabilirsi nella Manica e nel Mediterraneo una forte flotta antibritannica suscettibile, all'occasione di equilibrare uno sforzo anti-americano della marina inglese. Anche Stimson ha ripetuto il suo fermo consiglio di abbandonare la questione c di principio • e trovare un accordo pratico sulla formulazione di un programma fino al 1936. c Sulle cifre si può discutere. Sui principi non si può discutere··

Quid agendum? Innanzi tutto, MacDonald mi ha proprio riferito tutto quello che è stato detto domenica fra lui e Tardieu? Non lo credo. Il suo imbarazzo traspariva dalla faccia, mentre mi parlava.

Io non credo che l'accordo anglo-francese, (che io ho sempre dichiarato si sarebbe verificato, anche nel momento più aspro della polemica anglo-francese), sia già un fatto compiuto. No. Troppi sono ancora i punti che dividono l'Ammiragliato britannico e gli esperti navali francesi. Ci vorrà ancora del tempo prima che sia raggiunto il tanto sospirato accordo franco-britannico nelle c cifre • dello Statut naval. Ma, con altrettanta persuasione, credo che MacDonald sia o stia per essere acquisito al punto di vista francese, che contiene per la Gran Bretagna la soluzione pratica, seppure indiretta, del suo problema cruciale, cioè l'abbassamento del tonnellaggio massimo francese. MacDonald e Stimson considerano, per ora, l'accordo a quattro senza l'Italia come un argomento di intimidazione su di noi, salvo realizzarlo di fatto all'ultimo momento. Cosa guadagna l'Inghilterra con un accordo a quattro sulle basi indicatemi dallo stesso MacDonald? Un abbassamento del tonnellaggio francese rispetto al tonnellaggio britannico, condizione questa indispensabile per tradurre in fatto l'a·ccordo sulla parità coll'America. È precisamente quanto la Gran Bretagna si ripromette di raggiungere colla Conferenza. Che cosa guadagna l'America? La realizzazione dell'accordo a tre: Giappone, America, Gran Bretagna, ossia quanto l'America si ripromette esclusivamente di raggiungere a Londra. Che cosa guadagna la Francia mediante il sacrificio di un centinaio di migliaia di tonnellate alla Gran Bretagna, rinunzia di tonnellaggio che la Francia ha già presumibilmente calcolato facendo la cifra di 720.000? La Francia guadagna il riconoscimento sia pure indiretto, ma non meno importante per questo, da parte delle quattro maggiori potenze mondiali dell'inferiorità navale deH'Itatia, det diritto della Francia. ad una flotta superiore a quella dell'Italia, ossia la riparazione all'c iniquità • di Washington che consacrò la parità franco-italiana. Dal punto di vista politico non esula probabilmente dal pensiero francese la volontà di infliggere un'umiliazione all'Italia, assicurarsi ancora più il diritto all'egemonia sull'Europa. L'accusa fatta da Tardieu e dalle destre francesi a Briand è stata precisamente quella di avere, accettando a Washington la parità coll'Italia, abbassato il prestigio francese. L'interesse politico di Tardieu, di apparire in Francia come il restauratore del prestigio francese intaccato da Briand, suo nemico personale e politico, e consolidare così la sua posizione, è troppo tentante perchè egli sappia resistervi, e forse gli è indispensabile per mantenersi al Governo.

Lo svantaggio di una inevitabile crisi che si determinerebbe nei rapporti coll'Italia --crisi profonda anche se contenuta, sopratutto se contenuta -è

compensato per Tardieu dal vantaggio di un successo politico. 100.000 tonnellate valgono evidentemente tutto ciò.

Come funzionerebbe praticamente questo accordo a quattro? Le quattro Potenze indicano ciascuna il livello massimo del rispettivo tonnellaggio totale, e il conseguente programma di costruzioni che intendono effettuare fino al 1936, con una riserva da parte della Francia. Questa riserva potrebbe essere concepita così:

• La Francia si impegna a non oltrepassare il livello indicato (ad es. 600.000) fino a che l'Italia non oltrepasserà un dato livello, naturalmente inferiore al suo. Ove l'Italia oltrepassasse, colle sue costruzioni, questo livello la Francia aumenterebbe proporzionalmente •.

Ma nè Francia nè Inghilterra pensano che la capacità finanziaria italiana possa realmente permetterle di entrare, con speranza di successo, in una effettiva gara colla Francia.

Quale condotta da seguire nel caso, dico nel caso, che superate le attuali difficoltà tecniche franco-britanniche (i tecnici francesi e britannici stanno lavorando attivamente a rimuoverle) l'Italia sia messa di fronte a un dilemma brutale:

o l'accettazione di un livello più basso della Francia, o l'accordo a quattro congegnato presso a poco come sopra? Per ora il dilemma non è stato ancora formulato, anzi le dichiarazioni • ufficiali • di MacDonald e di Stimson lo dovrebbero escludere. Ma la lotta, ormai, è a ferri corti. Si invoca direttamente la persona di Mussolini. Ho imparato troppo a conoscere questa gente, in questa lotta a corpo a corpo che stiamo sostenendo da due mesi, per nutrire delle illusioni.

Un accordo a quattro, presso a poco nei termini di cui sopra, non è indubbiamente una soluzione desiderabile da noi. Siamo partiti da Roma mettendo nel calcolo delle probabilità la soluzione più svantaggiosa (v. Foglio d'ordini del gennaio u. s.) (l), così enunciata: se il contrasto sulla parità franco-italiana finirà coll'essere la ragione dell'insuccesso della Conferenza non ce ne importa nulla. Un accordo a quattro non è stato preveduto, in questi termini. Ma esso, anche in questi termini, rappresenta egualmente un insuccesso della Conferenza. Non è il caso, quindi, di drammatizzare la situazione oltre il dovuto. L' • isolamento • dell'Italia non è un fatto che ci spaventa, nè esso verrebbe determinato dalla Conferenza di Londra. La Russia non esiste. La Germania non esiste. La Gran Bretagna è travagliata da una crisi imperiale che la immobilizza. L'Italia è, fino a che non si creeranno nuovi equilibri europei e mondiali. minacciata dalla tenaglia del sistema politico e militare francese. Lo sapevamo anche prima. Dobbiamo accettare, sottoscrivendolo noi stessi, il riconoscimento della nostra inferiorità navale? No. Non possiamo. Il Regime fascista può perdere una battaglia, ma non può riconoscere di avere perduta la guerra... Molto più che -anche ammesso che a questo accordo a quattro si giunga nei termini da me esposti -non bisogna credere che tutto sia finito perchè è finita la Conferenza di Londra. Ginevra verrà dopo Londra. Il problema del disarmo navale incide in pieno sul problema del disarmo terrestre ed aereo. America, Giappone, Inghilterra, e Francia sono le potenze maggiori del mondo, ma non sono tutto il mondo. C'è sempre tempo, a mio avviso, per accettare una soluzione sfavorevole. L'accordo a quattro dà anche all'Italia, ad un certo modo, un punto di vantaggio. Quello di • fissare • il tonnel

laggio mttSsimo della Francia, senza impegni da parte nostra. C'è dunque qualcosa, e non di lieve conto, anche per noi. Aggiungasi un altro vantaggio, la libertà piena nel campo tecnico-costruttivo. Il che non è poco.

Un'Italia, in queste condizioni, non è comoda per nessuno.

Non è il caso quindi di impressionarsi, oltre il dovuto, dell'accordo a quattro.

Si può ripiegare, all'ultimo momento, sopra una soluzione di compromesso che non intacchi il principio? Durante la conversazione che Sirianni ed io avemmo con Te a Palazzo Venezia, un mese fa (1), Tu non escludesti l'eventualità di accettare, ad un determinato momento, un accordo sui programmi.

Ricollegando una molto nebulosa -troppo nebulosa -proposta fatta da Briand a Ginevra: • parità di programmi d'oggi in avanti • (Briand lasciò allora imprecisata la questione del rimpiazzo delle navi oltre i limiti di età. Tutto gioca su questo problema), Tu non escludesti allora di potere arrivare, all'ultimo momento, ad un compromesso del genere. Prendendo come punto di partenza il nostro Memorandum di un mese fa, nel quale noi dimostravamo la quasi parità effettiva delle flotte italiana e francese, nell'attuale momento (la Francia ha 48 mila tonnellate di sottomarini in più, nel naviglio efficiente. Questa è la differenza), ottenendo parità. di programmi, si viene a riconoscere, è vero, un coefficiente di superiorità alla Francia (48 mila tonnellate di sottomarini) ma questo coefficiente di superiorità ha la tendenza a diminuire e sparire man mano, se al 1936 il principio della parità dei programmi venisse nuovamente riconfermato. Ma se la Francia -come sembra -considerasse la • parità dei programmi • mantenendo il diritto al rimpiazzo delle navi che hanno oltrepassato il limite di età (over age), allora questa • parità • sarebbe fittizia anche nei programmi, e quindi inaccettabile.

Sirianni ed io stiamo, insieme ai nostri esperti, studiando le varie combinazioni -ciò beninteso al di fuori di queHo che è La nostra azione di resistenza generale. Finora non abbiamo ceduto di un millimetro. lo credo che, pur accentuandosi l'opera di intimidazione giorno per giorno, la situazione non muterà fino a lunedì prossimo. Il Governo Giapponese non è ancora deciso ad accettare l'accordo a tre, accettato sub conditione, dalla Delegazione Giapponese. Gli esperti navali francesi ed inglesi non hanno ancora raggiunto un accordo sulla cifra francese.

La settimana prossima noi saremo, presumibilmente, messi colle spalle al muro. Calcolo che questa mia lettera Ti giunga venerdì mattina (2). Venerdì sera potrebbe partire da Roma, col corriere speciale, una Tua lettera di istruzioni di massima. Potremmo averla a Londra domenica nel pomeriggio.

Tu solo puoi giudicare: dare cioè n suo preciso valore all'eventuale accordo a quattro fra America, Inghilterra, Giappone e Francia, nel quadro della politica generale dell'Italia. Decidere conseguentemente quale La strada da scegliere.

lo mi mantengo, fino a che non mi giungerà la Tua risposta, rigido sulla posizione negativa. Come cioè se Tu dovessi rispondermi: • Facciano pure l'accordo a quattro, non me ne importa niente •.

Se Tu mi rispondi: c evitare l'accordo a quattro. Non escludere un accordo sui programmi •, in questo caso studieremo la nostra condotta in armonia con queste istruzioni.

Non è affatto detto che sia possibiLe raggiungere un accordo ragionevole per noi suLla base di programmi. Sarà, anzi, molto difficile. Ma, per ora, si tratterebbe soltanto di accettare la discussione. Naturalmente la Tua autorizzazione ad c accettare la discussione • (la Delegazione italiana è ancora sulle posizioni del primo giorno della Conferenza) sui programmi non racchiude implicitamente l'autorizzazione ad-c accettare un accordo • sui programmi. Questo accordo, qualora fosse possibile raggiungerlo, dovrebbe essere sempre sottoposto al Tuo esame ed alla Tua preventiva approvazione. Naturalmente.

L'accettazione della discussione sui programmi sarà però valorizzata dalla Francia ed interpretata ·come la nostra rinunzia alla parità. Prima di arrivarci bisogna pensarci molto. Tutto dipende dal valore che Tu attribuisci ad un accordo a quattro, all'infuori deLl'Italia.

Sarebbe utile ad ogni modo, oltre le istruzioni per corriere che potrebbero giungermi domenica nel pomeriggio (se partono da Roma venerdì sera) di avere prima da Te un accenno telegrafico (1). Ciò aiuterebbe il nostro orientamento. Tenuto conto che il segreto telegrafico non esiste, un telegramma cifrato a Tua firma:

• no • significa per me che, anticipando le Tue istruzioni per lettera, c La Delegazione italiana deve affrontare senza preoccuparsi l'eventualità della conclusione di un accordo a quattro sulle basi come sopra •.

Un telegramma cifrato: • Si. Mussolini •, significa per me che nella Tua lettera di istruzioni Tu non escludi che possiamo eventualmente considerare la questione dei programmi.

(l) Testo di questa conversazione in DB, Serie II, vol. I, n. 158 cit.

(l) Foglio d'ordini del 13 gennaio sotto il titolo Navi e mare.

(l) -Su questa conversazione non si è trovata documentazione. (2) -Cioè il 21 marzo.
434

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI, STIMSON (2)

Londra, 18 marzo 1930, ore 12.

Il signor Stimson ha tenuto a precisare che le voci apparse in taluni giornali, che attribuivano alla Delegazione americana il proposito di fare pressioni sull'On. Grandi, oppure di agire direttamente sul Capo del Governo erano interamente destituite di fondamento. L'accordo tra l'Inghilterra e gli Stati Uniti esisteva ormai da tre settimane. L'accordo con la Delegazione giapponese era ormai del pari un fatto compiuto per quanto si trovasse ancora sottoposto all'esame e all'approvazione del Governo di Tokio. L'accordo con la Francia e con l'Italia diventava quindi più che mai desiderabile. Il signor Stimson non sarebbe tuttavia intervenuto nella divergenza itala-francese, neanche con dei suggerimenti, se non richiesto. Era naturalmente pronto a fare tutto quello che si desiderasse da lui nell'interesse dell'accordo. Il suo avviso era che dinanzi ad un ostacolo come quello che separava Roma e Parigi, convenisse trovare modo di girarlo. Gli sembrava che si dovesse adottare la procedura che è consueta in casi del genere.

Ognuno riservava il .proprio diritto -la propria !pOSIZione -e si ricorreva

ad un modus vivendi. Egli aveva fatto preparare delle cifre sulle due flotte

italiana e francese. Sarebbe stato interessante esaminarle. Queste cifre (v. alle

gato) (l) tenevano conto del tonnellaggio coperto dal Trattato di Washington e di

quello rimanente, e si distinguevano tra tonnellaggio over age, under age e in

costruzione. Conveniva che la somma complessiva di queste diverse classi rappre

sentava l'addizione di quantità eterogenee. Quello che è importante, era tuttavia

il dettaglio: classe per classe: non il totale. Poteva forse essere utile che queste

cifre fossero esaminate dagli esperti delle due Delegazioni. (Cosi è rimasto inteso.

L'Ambasciatore Dwight Morrow e il Comandante Train da parte americana e il

Consigliere di Legazione Buti e il Capitano di Vascello Ruspoli si sarebbero

trovati nel pomeriggio alle 4 e %) (2).

Tornando al concetto del modus vivendi il Signor Stimson ha accennato (premettendo però che la Delegazione francese non avrebbe accettato) alla possibilità di stabilire per i due Paesi, Italia e Francia, il diritto al rimpiazzo delle navi che tra il 30 e il 36 diventino over age. Ha pure accennato, ma lasciando subito cadere la cosa, alla possibilità di una vacanza navale nelle costruzioni non solo delle navi da battaglia, ma di tutte le navi indistintamente. (Nell'allegato n. 2 sono illustrate le conseguenze pratiche dell'eventuale applicazione di queste due proposte, che il signor Stimson si è limitato tut~avia semplicemente ad accennare).

L'On. Grandi ha spiegato in modo particolareggiato la posizione italiana e le ragioni che la giustificano, chiarendo la differenza tra la richiesta della parità e il suo rifiuto, che è richiesta di superiorità. Ha illustrato i precedenti storici a nostro favore (Washington -telegramma Briand, ecc.) (3). Ha chiarito la proposta relativa al tonnellaggio over age fatta agli inglesi e da questi illustrata ai francesi. Ha informato del suo colloquio con MacDonald del 17 marzo (4) immediatamente dopo l'intervista MacDonald-Tardieu a Chequers, e come tra l'altro il Primo Ministro britannico gli avesse detto che la proposta sul tonnellaggio over age non era accettabile ai francesi. Ha aggiunto che la Delegazione italiana non aveva niente in contrario ad entrare nell'ordine di idee di un modus vivendi che

c È stato illustrato al Signor Morrow la necessità dei rifornimenti d'oltre mare perl'Italia: di 29 milioni annui di importazione, soltanto 6 avvengono per via di terra e il resto per via di mare; di questi ultimi 17 milioni passano per lo stretto di Gibilterra, l milione e 400 mila per i Dardanelli, l e 200 mila per Suez ed i restanti provengono dai porti del bacino Mediterraneo. In caso di guerra con una Potenza confinante, metà dei valichi alpini potrebberoritenersi chiusi e quindi pur prescindendo dall'impegno di materiale rotabile per il rifornimento dell'esercito in campagna e per il normale traffico della Penisola, le importazioni terrestri potrebbero valutarsi a circa 3 milioni di tonnellate annue, mentre soltanto di carbone l'Italia ne abbisogna normalmente di 12 milioni. La controprova dell'impossibilità di rifornirsi per via di terra si ha pensando che una sola nave può portare un carico p. e. di lO mila tonnellate di carbone, mentre per trasportare lo stesso quantitativo per via terrestre abbisogne·rebbero 250 treni di 40 vagoni capaci di 10 tonnellate ciascuno. L'Italia quindi, pur essendo una penisola si trova in condizioni peggiori che se fosse un'isola. Questo sembra esser stato ben capito dal Signor Morrow. Egli ha infatti aggiunto che se l'Italia fosse stata un'isola, la flotta dislocata a Spezia avrebbe potuto portarsi nell'Alto Adriatico passando al nord e risparmiandosi il lungo giro di oltre 1.000 miglia necessarie attualmente...

In ultimo il Signor Morrow -il quale sembrava pienamente convinto dell'equità della tesi italiana -ha chiesto cosa sarebbe avvenuto se il Trattato da concludersi fosse limitato alle tre Potenze oceaniche. Gli è stato risposto da parte italiana che ciò avrebbe probabilmente lasciato le cose come prima tra noi e la Francia. Egli ha accennato senza insistere ad un trattato a quattro con l'Italia o con la Francia, ma ha pienamente convenuto che non sarebbe stato attuabile e che sarebbe stato il mezzo più sicuro per creare una situazione difficile tra le due Nazioni •·

però non pregiudicasse i suoi giusti diritti. La proposta italiana sul tonnellaggio over age era appunto in questo ordine di idee.

Il colloquio è durato un'ora. Il signor Dwight Morrow non ha detto niente di particolare limitandosi a ripetere taluni dei punti toccati dal signor Stimson, particolarmente quello relativo all'utilità di trovare un modus vivendi (1).

(l) -Cfr. nn. 439 e 441. (2) -Al colloquio era presente Dwight Morrow. (l) -Non si pubblicano gli allegati. (2) -Del verbale di questo colloquio si pubblicano i brani seguenti: (3) -Per il telegramma di Briand, cfr. Serie VII, vol. VII, p. 68 e nota l. (4) -Cfr. n. 433, pp. 520-521.
435

PROMEMORIA DEL DELEGATO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO, SUL COLLOQUIO CON IL DELEGATO INGLESE, CRAIGIE

[Londra], 18 marzo 1930.

Craigie avendo manifestato il desiderio di avere chiarimenti sulla questione relativa alla proposta italiana della c vacanza navale • per le navi di linea, mi sono recato stamane a Downing Street ed ho avuto con lui un conversazione di oltre un'ora.

La questione sopra accennata riguardava l'esattezza della cifra rappresentante il tonnellaggio che la Francia possederebbe in più dell'Italia nella categoria delle navi di linea se, con l'accettazione della nostra proposta di rinvio dei programmi di rimpiazzo, venisse mantenuto lo statu quo attuale. La cifra da noi indicata era di 107.270 tonnellate (cioè la differenza fra il tonnellaggio francese di 197.670 ed il tonnellaggio italiano di 90.400). Le cifre fornite a Craigie dagli esperti navali inglesi erano invece: tonnellaggio francese: 185.927; tonnellaggio italiano: 86.532; differenza in più per i francesi: 99.395.

Avendo interpellato i propri esperti, Craigie ha constatato che la divergenza dipendeva unicamente dal fatto che da parte inglese il calcolo era stato fatto in tonnellate standard, mentre i calcoli italiani erano stati fatti in base alle cifre delle tabelle di Washington.

Chiarito questo punto, dissi a Craigie che quanto mi risultava della conversa

zione che aveva avuto luogo il giorno prima fra il Primo Ministro e S. E. Grandi (2)

mi lasciava molto perplesso e che avrei gradito conoscere le sue impressioni. Non

gli nascosi che S. E. Grandi era rimasto piuttosto sorpreso che in un colloquio

durato più di un'ora MacDonald non avesse avuto che un breve accenno alle

discussioni di domenica scorsa a Chequers con Tardieu e la Delegazione francese.

Ciò ci dava l'impressione che la Conferenza si fosse ridotta in questi ultimi tempi

a conversazioni a due. Constatai che Tardieu si era limitato a scartare, senza

entrare in merito, la proposta italiana di trovare un terreno d'intesa sulle navi

over age, proposta che tanto Craigie quanto il suo Capo MacDonald, avevano

considerato c molto interessante • e meritevole di discussione. Osservai d'altra

parte che, conoscendo che tale proposta era stata scartata dai francesi, ed igno

rando d'altra parte quali erano le proposte fatte dai francesi a Chequers, venivano

a mancare alla Delegazione italiana gli elementi per continuare a studiare il

problema e per dare il nostro contributo ai negoziati in corso. In questo stato di cose il Ministro Grandi si chiedeva a che cosa servisse la sua presenza a Londra.

Craigie mi assicurò che le conversazioni di Chequers non erano arrivate a nessuna conclusione positiva. Da una parte e dall'altra gli interlocutori erano stati troppo numerosi perchè si potesse fare un lavoro utile. In realtà non si è trattato che della ripetizione di cose già dette: i francesi insistendo negli argomenti che avevano già esposto per giustificare le cifre dei loro programmi, gli inglesi ripetendo gli argomenti già addotti per chiedere una diminuzione delle cifre. Un lavoro più utile si stava facendo in questi giorni, sempre sulle l:ifre, per cercare di venire a delle conclusioni.

Craigie mi confermò quanto detto da MacDonald a S. E. Grandi e cioè che della questione itala-francese si era parlato soltanto per pochi minuti, Tardieu essendosi limitato a dire che la Francia non poteva accettare una soluzione basata sul riconoscimento diretto od indiretto della parità italo-francese e scartando quindi l'idea di una superiorità francese unicamente per le navi over age.

Chiesi a Craigie se riteneva che, dopo tale risposta, la nostra proposta dovesse considerarsi senz'altro come decaduta. Rispose con vivacità pregandomi di non considerare la cosa come tale. La nostra proposta • aveva del buono • ed egli si proponeva ancora di servirsene coi francesi, studiando la possibilità di presentarla sotto un'altra forma. Chiesi quale potesse essere questa nuova forma ma Craigie non seppe rispondermi.

Non mi nascose però che l'esame delle dfre fornitegli dai suoi esperti nei riguardi delle marine italiana e francese aveva impressionato MacDonald nel senso di persuaderlo che, come nel passato, la flotta francese era anche oggi sensibilmente più forte di quella italiana e che non si poteva considerare priva di giustificazione la richiesta francese di avere più dell'Italia.

Gli obiettai le argomentazioni che giustificano il principio della parità e gli osservai in pari tempo che, se si tiene conto unicamente del naviglio veramente efficiente (under age e building) noi avevamo dimostrato col nostro memorandum che esisteva oggi parità di fatto per il naviglio leggero di superficie. La sola differenza era nei sottomarini attualmente in costruzione.

Riproduco qui appresso, per eventuale controllo, le cifre indicatemi da Craigie: Situazione al lo gennaio 1930 per tutte le navi costruite, (over age e under

age) escluse le navi in costruzione: Francia 463.660 Italia . 265.262

Differenza . 198.398 Naviglio ausiliario complessivo (over age e under age): Francia 391.617 Italia . 272.747

Differenza . 118.870

Naviglio ausiliario over age (incrociatori, destroyers e sottomarini, escluse le navi speciaìi) :

Francia 58.635

Italia . 16.683

Differenza . 41.952

Feci rilevare, in conclusione, che con l'offerta da noi fatta circa le navi di linea e con quella delle navi over age per il resto del naviglio noi in pratica ci eravamo dichiarati disposti a lasciare alla Francia la superiorità che oggi possiede in navi vecchie. Non potevamo però ammettere che tale superiorità passasse nel campo delle navi efficienti.

Craigie ha riconosciuto che avevo ragione. Ci siamo lasciati nell'intesa che le conversazioni avrebbero continuato appena fosse risultato qualche nuovo elemento di discussione dalle trattative che la Delegazione inglese sta ora conducendo coi tecnici francesi.

(l) -Per il punto di vista americano cfr. anche il tel. Stimson del 23 marzo, in FRUS, 1930, vol. I, pp. 75-79. (2) -Cfr. n. 433.
436

PROMEMORIA DELL'UFFICIO III EUROPA E LEVANTE

Roma, 18 marzo 1930.

La Banca Commerciale Italiana è stata officiata dal Governo Greco ad assumere un prestito di lire sterline un milione da farsi alla Banca Nazionale Fondiaria di Grecia, con emissione di obbligazioni al 7-7% %, ad un prezzo che potrebbe aggirarsi su 90-92. Il prestito sarebbe garantito dai clienti della Banca Nazionale Fondiaria di Grecia e dalla controgaranzia della Banca Nazionale di Grecia.

Risulta al Presidente della Banca Commerciale Italo-Greca (filiazione greca della B.C.I.), che tratta la questione, che, ove la Commerciale non aderisse all'invito, l'operazione verrebbe conclusa colla finanza inglese e cioè colla Banca Hambro di Londra.

La questione è stata oggetto di segnalazione telegrafica della R. Legazione ad Atene, che raccomanda vivamente l'assunzione del prestito da parte della nostra banca.

La Direzione Centrale della Banca Commerciale Italiana, nel far dare comunicazione a questo Ministero, dell'offerta avuta, ha dichiarato che, dal canto suo, sarebbe disposta ad aderire alla richiesta del Governo greco, per l'assunzione del prestito del milione di sterllne. Ciò corrisponderebbe, a giudizio della Direzione Centrale, oltre che ad un generale interesse finanziario italiano in Grecia, all'interesse della nostra industria cui si cercherebbe di assicurare nel trattare del prestito, un adeguato compenso in forniture statali greche, e, finalmente, ad un interesse strettamente bancario della Commerciale stessa, dando più ampio sviluppo all'influenza ed alla 1·ete d'affari della sua filiazione di recente aperta in Grecia.

Il Gr. Uff. Toeplitz desidera, peraltro, avere, previamente, una conferma che una conclusione del prestito in questione è conforme alle vedute del R. Governo.

Egli ha fatto presente anche, ad ogni buon fine, nella considerazione di eventuali preoccupazioni per l'esodo di valuta che la conclusione del prestito comporterebbe, che la stessa avverrebbe contemporaneamente all'ingresso nelle nostre casse dei 20 milioni di dollari del prestito americano che è in via di conclusione da parte delle Società elettriche di Torino con gruppi degli Stati Uniti. La contemporaneità dei due prestiti farebbe uscire ed entrare valuta in una proporzione rispettiva di l a 4.

Dato quanto sopra è esposto, l'Ufficio non può, dal canto suo, che esprimere parere favorevole a che la Banca Commerciale Italiana sia incoraggiata nelle intenzioni manifestate.

La somma non eccessiva del prestito, ci offre modo di una prima importante manifestazione finanziaria, di nome ed interesse esclusivamente italiano, sul mercato greco, sul quale non siamo che scarsamente, ed accodati a gruppi esteri, rappresentati. Condizione di cose questa di cui abbiamo spesso dovuto constatare i difetti in occasione dì trattative economiche di qualche rilievo. L'apertura recente della Banca Commerciale !taio-greca è stato un primo passo per far passo all'Italia attraverso al cordone finanziario anglo-francese in Grecia. Il prestito potrà allargare considerevolmente la breccia. La Grecia ha necessità di provvedere all'esecuzione di opere pubbliche di molta importanza e di organizzare la sua industria per far fronte ai bisogni di una popolazione improvvisamente cresciuta. Numerose sono state, in questi ultimi anni, le concessioni contese dalla finanza inglese, francese, belga, americana, tedesca, che sorvegliano gelosamente le possibilità e gli sviluppi del mercato greco. A noi è, indubbiamente, mancata finora una piattaforma finanziaria sulla quale impiantare una azione economica che adeguatamente fiancheggiasse ed utilizzasse ai nostri fini i risultati dell'azione politica. È evidente che, nelle attuali circostanze, la conclusione del prestito, oltre a marcare fortemente la nostra presenza economica, non andrebbe disgiunta da contemporanee trattative per assicurare gli interessi della nostra industria, per affrettare ordinazioni, ancora assai incerte, ai nostri cantieri ed ai nostri produttori di materiali bellici.

L'Ufficio resterà, ora, in attesa di ordini per le comunicazioni da fare alla Direzione Centrale della Banca Commerciale e al R. Ministero delle Finanze (1).

Sulle difficoltà che incontrava la penetrazione economica in Grecia cfr. il t. (p. r.)

3304/46 del 4 aprile, a firma Guariglia: il Governo greco, venendo meno a un precedenteimpegno preso con la Breda, aveva commissionato una fornitura di 30.000 moschetti Mannlicher alla fabbrica austriaca Steyr. c Se ciò fosse esatto dovremmo ormai cominciare a pensare che sull'argomento si sia costà in preordinata malafede e si cerchino pretesti per esimersi dall'impegno assunto verso di noi mentre si è invece trovato modo di mantenere quelliassunti verso fabbrica austriaca. Sarebbe evidente infatti assurdità di rimandare trattativa a quando Società Breda avrà dovuto smobilitare tutto l'apparecchio industriale predisposto per la fabbricazione del tipo di fucile richiesto dalla Grecia •.

(l) Mussolini autorizzò il prestito subordinatamente al verificarsi del prestito americano alle Società Elettriche di Torino.

437

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA (l)

TELESPR. 1372/574. BeLgrado, 18 marzo 1930.

Mio telegramma n. 45 di ieri (2).

In esecuzione del telegramma di V. E. n. 116 (3) da Londra mi sono ieri subito rec&to da questo Ministro d'Inghilterra Signor Neville Henderson per chiedergli quali istruzioni avesse. Egli aveva infatti ricevuto telegramma da Londra con istruzioni conformi a quelle di V. E. per quanto si riferisce a Belgrado, ma stimava averle già eseguite essendosi già espresso tanto a Kumanudi quanto a Re Alessandro (come detto nel mio rapporto n. 1338/557 del 15 corrente) (4) consigliando attitudine calma e moderata. Il suo intervento aveva avuto carattere ufficiale anche se in un primissimo tempo di sua iniziativa.

Il Signor Henderson avendomi chiesto se il Ministro d'Italia a Sofia avrebbe avuto incarico di fare anche colà qualche comunicazione, gli ho risposto che ignoravo il testo delle istruzioni, sapevo però che avrebbe eventualmente agito analogamentt. colà accordandosi con i colleghi inglese e francese.

Il Signor Henderson si è mostrato lieto di questo, ed è tornato sul tema che ormai mi ha più volte ripetuto: opportunità di togliere alla Francia ogni argomento e pretesto per rafforzare il sistema da essa creato con Piccola Intesa e Polonia. Ha aggiunto che parlando col Signor Dard degli attentati aveva avuto la impressione che il suo collega non ne fosse scontento, in quanto tutti gli incidenti analoghi facevano il giuoco francese, e la Francia poteva sfruttare a suo vantaggio una nostra supposta attitudine quanto meno passiva. Tanto più opportuno perciò, secondo lui, un nostro atteggiamento a Sofia che distruggesse tale supposta attitudine.

L'incaricato di Affari di Francia mi ha pure confermato che istruzioni di raccomandare a Belgrado ogni moderazione erano giunte la mattina del 15, che il giorno stesso il Signor Dard (partito poi in congedo nel pomeriggio) si era recato da Kumanudi ed informatolo del passo che sarebbe stato fatto a Sofia per raccomandare la ricerca e punizione dei colpevoli nonché misure preventive per impedire il ripetersi di attentati aveva altresì raccomandato a Kumanudi ogni moderazione nella attitudine jugoslava. Mi ha poi letto il telegramma del Signor Dard in cui questi confermato di aver dato tali consigli (senza specificarne la forma) ha poi aggiunto che essi erano superflui perché tale era la linea di condotta già adottata dal Governo jugoslavo il quale non se ne sarebbe dipartito a meno del rinnovarsi di incidenti, o di palese cattiva volontà di Sofia.

« Oggi la situazione appare calma ed è mio avviso che tale si manterrà anche se il Governo bulgaro non proceda a quelle complete misure repressive che qui ardentemente si desiderano, ma nessuno si illude di ottenere. Troppo è il desiderio di non interrompere il cammino verso una normalizzazione interna ed esterna cui ho accennato in principio, perchè il governo jugoslavo non senta quanto vantaggio generale può venirgli dal conservare la sua calma ed il suo sangue freddo anche in evenienze estreme. Più difficile sarE'bbe mantenere i buoni rapporti con Sofia se un nuovo attentato si verificasse cosi sanguinoso come quelli di Pirot e Trumiza. In questa ipotesi ogni possibilità critica sarebbe da temere.

Ad ogni buon fine allego al presente un pro-memoria rirnessomi dal Colonnello Visconti e relativo a sintomi di maggiore attività militare alla frontiera bulgara ed albanese •.

Mi sono perciò recato da Kumanudi col quale mi sono espresso conforme le istruzioni di V. E. ed in armonia a quanto del resto i miei colleghi di Francia e di Inghilterra gli avevano già detto. Il Signor Kumanudi mi ha risposto che tali consigli erangli stati dati a titolo personale (l) e che del resto il Governo jugoslavo pur apprezzandoli doveva far notare che non ne abbisognava perché aveva già dato prova di ogni moderazione possibile.

Ho subito osservato a Kumanudi che avevo parlato pochi momenti prima tanto alla Legazione di ~nghilterra che a quella di Francia le quali avevano ricevuto istruzioni analoghe alle mie. Ma poiché egli mi affermava così categoricamente che i miei colleghi gli avevano parlato a titolo personale non sapevo che obiettare, ed in tal caso lo pregavo di considerare le mie parole ed il mio passo nella stessa maniera e forma di quello dei miei colleghi quindi eventualmente anche a titolo personale, ma su istruzioni di V. E. Ciò in ogni caso gli provava quale interesse il R. Governo portava a che pace nei Balcani non fosse turbata.

Il Signor Kumanudi mi ha detto che il Ministro di Francia lo aveva informato in pari tempo di un passo che l'Incaricato di Affari di Francia avrebbe fatto a Sofia e chiesto se il nostro Ministro avrebbe avuto uguali istruzioni. Gli ho risposto che ignoravo il testo delle istruzioni date al Comm. Piacentini, ma sapevo che avrebbe eventualmente fatto un passo analogo al mio ed in accordo con i colleghi inglese e francese. Domandatomi se per analogo intendevo che sarebbero stati dati a Sofia consigli di moderazione ho confermato ignorare il testo delle istruzioni date a quel mio collega.

Kumanudi ha ripetuto che il Governo jugoslavo aveva subito considerato con ogni calma gli avvenimenti, e non abbandonerebbe tale linea se non forzato.

Aveva chiesto a Sofia la esecuzione stretta degli accordi del 15 Febbraio e fatto sapere che se quel governo fosse stato inadempiente o non avesse preso adeguate misure .rer punire i colpevoli degli attentati ed impedirne il ripetersi, il Governo jugoslavo si sarebbe visto nella necessità di prendersi la sua libertà di azione.

Aggiungo a titolo di notizia che questo Ministro di America mi ha narrato di avere visto Re Alessandro tre o quattro giorni or sono. Il discorso essendo caduto sugli ultimi attentati, il Sovrano gli disse che il Governo jugoslavo si trovava in una impasse perché non era nelle condizioni dell'America che aveva ogni libertà di agire sul Messico, eventualmente impiegando le sue truppe.

La Jugoslavia pur avendone la forza, sarebbe stata assai imbarazzata sulle decisioni da prendere tanto se si rinnovassero attentati, quanto se il Governo di Sofia desse prova manifesta di inadempienza degli accordi e di cattiva volontà nella ricerca dei colpevoli.

Mi risulta che anche il Ministro di Francia è stato ricevuto da Re Alessandro prima di partire, ma ignoro dettagli di quel colloquio.

In ogni modo mi si conferma la impressione espressa a V. E. in fine del mio rapporto n. 557 del 15 corrente che cioè la situazione appare calma e tale si manterrà. Il Governo jugoslavo ha troppo interesse generale a mantenerla, e

• Ministro Inghilterra mi ha detto avere sempre parlato con Kumanudi nome suo governo. Mi ha assicurato che scriverebbe immediatamente Kumanudi per confermargli che consigli moderazione ecc. erangli dati nome e su istruzioni Foreign Office come del resto già dettogli •.

troppi obbiettivi prossimi da raggiungere, come pure assoluta necessità di non compromettere anche la tranquillità interna, per adottare verso il Governo di Sofia un'attitudine di forza e di imposizione le cui conseguenze sono imprevedibili. D'altronde si può osservare che questi incidenti macedoni, sono i consueti incidenti primaverili ai quali le cancellerie europee sono ormai avvezze da decenni (1).

(l) -Il telespresso venne inviato, per conoscenza, al ministero degli Esteri. (2) -Non si pubblica in quanto ha lo stesso contenuto del presente documento. (3) -Si tratta evidentemente del telegramma ed. al n. 432. (4) -Di questo rapporto si pubblica solo il brano seguente:

(l) Ma cfr. quanto comunicò Galli con t. 46, pari data:

438

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD (2)

Londra, 20 marzo 1930, ore 17,3_0.

MacDonald ha incominciato col dichiarare che molte delle notizie messe in giro dai giornali circa le sue intenzioni di far pressione sull'Italia erano assolutamente infondate. Chiedeva a Grandi di non prestarvi fede e lo invitava, ogni qualvolta sorgesse nel suo animo qualche dubbio, di parlargliene liberamente.

Grandi gli ha detto che non aveva mai dubitato della fairness di MacDonald e della sua Delegazione.

MacDonald ha continuato dicendo che proseguivano sempre le conversazioni fra esperti inglesi e francesi sulle cifre, che esse si svolgevano sotto la forma di calcoli basati su varie ipotesi (supponendo cioè che l'Italia accettasse questa

o quest'altra cifra) ma che finora non erano arrivati ad alcuna conclusione.

Si dilungò poi a parlare della necessità di giungere ad un accordo che per lo meno eviti il pericolo di una corsa agli armamenti nei prossimi anni, osservando che tale pericolo si sarebbe verificato se l'Italia, lasciando per il momento da parte l'idea di ottenere la parità effettiva con la Francia, non aiutasse la Conferenza a trovare una soluzione pratica delle difficoltà. (Si omettono le osservazioni e le considerazioni di S. E. Grandi, che ha dimostrato a MacDonald come la Delegazione italiana abbia già dato prova della sua buona volontà, ma che il rifiuto francese di considerare la proposta relativa alle navi vecchie aveva mostrato chiaramente che era la Francia che faceva ostacolo al raggiungimento di una soluzione pratica).

MacDonald infine disse che intendeva sottoporre a Grandi una suggestion non ufficiale e puramente tentative, basata sull'idea del mantenimento dello statu quo. Non chiedeva una risposta subito ma desiderava anzi che Grandi l'esaminasse con calma, vi apportasse eventualmente tutte le modificazioni che credeva e gli facesse poi sapere se avrebbe potuto fare una dichiarazione nel senso indicato oppure se avrebbe potuto dare la sua adesione ad una proposta che MacDonald gli avesse fatto formalmente nello stesso senso.

(Il testo della suggestion inglese (3) è stato poi consegnato a Rosso da Craigie. MacDonald insistette perchè la cosa rimanesse assolutamente segreta).

(l) -Annotazione a margine di Grandi: • Al Capo del Governo •. (2) -Al colloquio erano presenti Craigie e Rosso. (3) -Cfr. n. 454, allegato.
439

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA

T. GAB. (P. R.) PRECEDENZA ASSOLUTA 20/72. Roma, 20 marzo 1930, ore 17,40.

Letti i tuoi molto interessanti rapporti. Astienti da ulteriori proposte conciliative di qualsiasi specie (1).

440

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. 125/91. Londra, 20 marzo 1930, ore 20,30.

Tuo telegramma (2) di cui ti ringrazio rende superfluo mio rapporto (3) che ti giunge domattina 21. Ho cercato in detto rapporto prospettarti obiettivamente elementi situazione e possibili sviluppi. Tue istruzioni confermano mia convinzione non doversi in nessun caso deflettere da linea adottata fin qui.

441

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA

T. GAB. (P. R.) 21/73. Roma, 21 marzo 1930, ore 12,30.

Ricevuto stamani venerdì tuo interessante rapporto (3). Confermati mio telegramma di ieri (4). Non deflettere nostra posizione e non presentare ulteriori proposte conciliative di nessuna specie, nè dirette, nè indirette (5).

442

PROMEMORIA DEL DELEGATO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO, SUL COLLOQUIO CON IL DELEGATO INGLESE, CRAIGIE

[Londra], 22 marzo 1930, ore 9,30.

Stamattina di buon'ora Craigie mi ha telefonato per dirmi che alle dieci avrebbe avuto luogo una riunione • piuttosto importante • (ho poi capito si trattava di una riunione della Delegazione inglese coi Dominions) e che desiderava di vedermi prima per conoscere le nostre impressioni sulla suggestion sottoposta giovedì da MacDonald a Grandi (6).

(3~ Cfr. n. 433.

37 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Mi sono recato a Downing Street ed ho detto subito a Craigie che non vedevo

la possibilità di entrare nell'ordine di idee suggeritoci. Da Roma ci avevano

fatto capire che la proposta circa le navi over age era già andata al di là dei

limiti delle possibili concessioni e che quindi non avremmo potuto aderire ad

una soluzione il cui effetto sarebbe stato quello di aumentare [sic] e di peggiorare

la nostra situazione di fronte alla Francia.

Ho fatto a Craigie questo discorso: • Noi non abbiamo mai preso l'iniziativa

di aumentare i nostri armamenti nei confronti della Francia. È stata sempre la

Francia ad incominciare e noi l'abbiamo necessariamente seguìta. In questi

ultimi due o tre anni la Francia ha intensificato le sue costruzioni e noi dovremo

seguirla. Ora, con la vostra proposta, voi venite ad invitarci a fermarci proprio

nel momento in cui dobbiamo cercare di diminuire la differenza creata in

questi ultimi tempi a nostro danno (ho citato in modo speciale il programma

francese di costruzioni in fatto di sottomarini), ciò che non potremo accettare ".

Osservai inoltre che la proposta inglese implicava la nostra adesione al

metodo della dichiarazione di programmi, mentre noi siamo sempre stati per

il sistema del plafond.

Craigie si è mostrato molto preoccupato della mia risposta ed ha insistito sui gravi pericoli di una corsa agli armamenti fra Italia e Francia. Ha detto che non voleva ancora rinunciare alla speranza di un accordo. Quando nella suggestion inglese si parlava di statu quo non si intendeva dire che si dovesse necessariamente riconoscere alla Francia il diritto di conservare la sua attuale posizione in fatto di navi in costruzione. Per esempio per i sottomarini l'Inghilterra intendeva insistere perchè la Francia diminuisse le sue cifre. In altre parole, la proposta inglese aveva unicamente lo scopo di ottenere la nostra adesione di massima al principio di arrivare al 1936 più o meno sulle stesse proporzioni di forze attuali, e per poter così aprire una discussione che permettesse di far abbassare le cifre francesi. Mi pregò di insistere presso S. E. Grandi perchè non opponesse un rifiuto. La Delegazione italiana poteva accettare l'idea in linea di massima e presentarla con la formula che le sembrerebbe più accettabile. Ciò avrebbe aperto la via a trattative, ciò che era tanto più opportuno, in quanto • non era del tutto escluso che l'Inghilterra potesse ancora esaminare la possibilità di intervenire fra Italia e Francia per offrire delle maggiori garanzie di sicurezza •.

Senza lasciare a Craigie l'impressione che ritenessi la cosa molto probabile, non ho creduto di dichiarargli in modo assolutamente reciso che da parte nostra non si voleva continuare ad esaminare il problema sotto l'aspetto indicatocL Mi sono limitato quindi a dirgli che avrei riferito ai miei Capi.

(l) -Graham comunicò al Foreign Office che le voci giornalistiche francesi di un prossimo passo anglo-americano presso Mussolini per indurlo all'accordo navale con la Francia avevano irrigidito la posizione dello stesso Mussolini (t. 20 marzo, DB, Serie II, vol. l, n. 165). (2) -Cfr. n. precedente. (4) -Cfr. n. 439. (5) -Lo stesso giorno Mussolini fece inviare al Re in visione tre documenti relativi alla conferenza di Londra, con ogni probabilità i nn. 433, 439 e 441. (6) -Cfr. nn. 438 e 454, allegato.
443

L'AMBASCIATORE A MOSCA, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 833/80. Mosca, 22 marzo 1930 (per. il 31). Litvinof mi ha chiesto ieri se fosse esatto che l'Italia avesse questa volta

deciso di unirsi al passo compiuto dall'Inghilterra e dalla Francia a Sofia per indurre la Bulgaria a por termine alle agitazioni del Comitato macedone, perchè in caso affermativo ciò avrebbe significato che l'Italia aveva mutato la propria politica in seguito alle pressioni delle altre due Potenze.

Gli ho detto che non avevo elementi per rispondergli. Non dubitavo però che se l'Italia aveva realmente aderito al passo compiuto a Sofia da Inghilterra e Francia ciò significava che essa questa volta lo aveva considerato opportuno.

444

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 1455/614. Belgrado> 22 marzo 1930.

Mi onoro riassumere qui di seguito i punti principali di un interessante colloquio avuto ieri sera col Principe Paolo. È noto a V. E. che egli è legato di intima amicizia col Generale Zivkovich, e che con Jeftic costituisce una specie di gruppo solidale nella ostilità a Marinkovich ed alla sua politica. Per quanto il Principe Paolo non abbia parte attiva nella politica jugoslava una qualche sua influenza non è dubbia, come, a mio avviso, deve credersi ad una di lui generica simpatia verso il nostro Paese.

Il colloquio che egli mi ha tenuto ieri non è per la intonazione generale sostanzialmente differente da vari altri avuti con lui (principalmente la scorsa estate a Bled), ma per certe affermazioni fattemi ed in considerazione della fase attuale dei rapporti italo jugoslavi merita essere conosciuto da V. E.

Il Principe Paolo ha dunque affermato:

l) che l'attuale regime dittatoriale in Jugoslavia non cesserà finchè Re Alessandro abbia vita e forza di mantenerlo. A parlamenti e partiti non si tornerà più. Al massimo verso un regime ricalcato più o meno su quello fascista e che lasci piena e indiscutibile autorità a Corona e a governo.

2) Che di conseguenza in Europa il regime Fascista e jugoslavo saranno stabilmente e definitivamente basati sugli stessi principi, ciò che costituirà fra essi una ragione di stretti rapporti.

3) Il Generale Zivkovich è da molto tempo persuaso che il cardine della politica jugoslava è la stretta collaborazione con l'Italia e l'appoggio all'Inghilterra pur non escludendosi l'amicizia con la Francia che per ragioni storiche e sentimentali non può essere eliminata dal quadro della politica jugoslava. Questi concetti il generale Zivkovich esprimeva al Principe Paolo prima ancora del colpo di Stato del 6 gennaio. Se fosse stato a quel momento possibile, il Generale Zivkovich avrebbe preso subito contatti con S. E. il Capo del Governo. Quando nella primavera scorsa il Principe Paolo chiese udienza a S. E. Mussolini lo fece su consiglio del generale che desiderava avere qualche diretta e personale impressione.

4) La Jugoslavia deve chiarire al più presto la sua posizione debitoriale verso la Francia che è esigente creditrice. Ma non deve aggravarla con altri esclusivi impegni che finirebbero col limitare la sua indipendenza politica.

5) Se la situazione presente quale si va creando dal gennaio ultimo, duri e si consolidi, converrà passare a maggiori conversazioni che possano permetterne lo sviluppo concreto. Occorrerà cercare il punto di equilibrio fra l'amicizia francese e nuovi stabili legami italiani.

6) Da essi la Jugoslavia si attenderebbe oltre che una generale tranquillità della sua politica anche un beneficio sicuro nell'alleggerimento dei suoi pesi militari. La Jugoslavia certa dell'amicizia italiana non ha più bisogno del grande attuale sforzo militare.

7) Ogni serbo e principalmente Re Alessandro è contrario a qualsiasi unione con la Bulgaria. Si vogliono soltanto amichevoli rapporti, nulla più. Il Principe Paolo ha insistito nel concetto che se si facesse una unione ne verrebbe automaticamente un accordo croato bulgaro che metterebbe i serbi (che debbono continuare ad essere il nucleo motore della Jugoslavia) in minoranza, quasi in condizione di servaggio. Sarebbe cecità assoluta da parte serba correre verso simile pericolo. Ciò era nel pensiero di qualche demagogo bulgaro come Stambuliski. Qui in Jugoslavia la idea fu lanciata da un altro demagogo come Radich ed ha anche qualche seguace. Ma nessun serbo che rifletta alle conseguenze di tale idea può praticamente incoraggiarla.

Ho ascoltato con ogni attenzione il colloquio, !imitandomi a qualche consenso a qualche cauto incoraggiamento a qualche osservazione.

Principalmente:

ad 2) Ho fatto rilevare al Principe le ragioni che avevano determinato il movimento Fascista, gli elementi ideali che lo sostengono, l'unanime consenso italiano che mercè la organizzazione del Partito Fascista assicura al Regime una stabilità assoluta ed incrollabile, non basata unicamente sulla forza militare.

ad 5) Ho concordato nel rilevare come la atmosfera migliore voluta da V. E. concordemente con Jeftich si andasse vieppiù consolidando e come io sentissi il mio compito secondato dalle autorità competenti nelle varie questioni delle quali la Legazione doveva quotidianamente occuparsi.

Rimaneva ancora qualche punto da vincere, ma i risultati di queste settimane facevano sperare che anche queste resistenze delle autorità periferiche sarebbero vinte. Occorreva però che questa situazione si consolida!se in modo certo e definitivo prima di parlare di ulteriore sviluppo.

Ero come il Principe; pieno di speranze nell'avvenire ed animato dalla migliore buona volontà di adoperarmi, nell'ambito delle mie funzioni per tale risultato, ma ritenevo con convinzione che non conveniva aver fretta.

ad 7) Non mettevo in dubbio l'affermazione circa il pensiero di Re Alessandro ma nei giornali delle associazioni, come i Sokol, che hanno tanta parte nella politica jugoslava, etc., la tendenza verso la Grande Jugoslavia dai quattro mari era così costante ed aveva tanto frequenti manifestazioni, che non poteva lasciare indifferenti gli osservatori e [non] determinare anche preoccupazioni e reazioni.

Tutto ciò ho creduto utile riferire affinchè l'E. V. abbia esatta conoscenza di ogni possibile elemento e di ogni forza della quale sarà forse possibile valermi qui in Jugoslavia, se e quando verrà il momento di nuove istruzioni da parte di

V. E. per tentare uno sviluppo della attuale iniziata meno aspra situazione.

445

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 2.~ mm·zo 1930.

Completo la cronaca di questa laboriosa settimana.

Dopo il colloquio vivace con MacDonald di lunedì e il colloquio gelido con Stimson di martedì, di cui Ti ho dato notizia (1), c'è stato mercoledì nel pomeriggio il teatrale annunzio della partenza di Briand, e l'affannosa corsa di MacDonald all'Hotel Carlton per compiere l'inutile tentativo di trattenerlo. Prima di recarsi all'Hotel Carlton MacDonald mi ha telefonato per informarmi che si recava da Briand e che desiderava vedermi subito dopo in serata. Essendo io impegnato ad un pranzo in casa dell'ex-Ministro Runciman, ci siamo dati appuntamento in detta casa per dopopranzo. MacDonald era scuro. Mi ha fatto brevemente la cronaca del suo colloquio con Briand, nella parte, si capisce, che poteva raccontarmi e cioè il tentativo fatto per impedire che Briand lasciasse Londra ecc. ecc. Mi ha pregato alla fine di andare da lui nell'indomani giovedì.

Nella giornata di martedì e mercoledì, per mezzo del Ministro Rosso, Ruspoli e Buti, ho fatto arrivare al Foreign Office, all'Ammiragliato britannico ed alla Delegazione americana la notizia che la Delegazione italiana, dopo i colloqui Grandi-MacDonald-Stimson di lunedì e martedì, aveva deciso di domandare la riunione della Conferenza plenaria allo scopo di portare in discussione pubblica il progettato accordo a quattro, ed i risultati delle conversazioni MacDonald-Tardieu-Briand di domenica scorsa (2). Ho fatto sapere che le mie dichiarazioni erano già pronte, e che la Marina italiana considerava l'accordo a quattro non solo con indifferenza, ma anche con segreto favore.

Giovedì nel pomeriggio ho veduto MacDonald (3) il quale appariva ancora più imbarazzato ed incerto di quello che non fosse apparso nel nostro incontro di lunedì. Dimenticandosi addirittura che lunedì mi aveva effettivamente annunciato il • passo • collettivo da farsi a Roma, e l'accordo intervenuto su questo punto non soltanto con Tardieu, ma anche con Stimson; dimenticandosi altresì di avermi lunedì prospettato la possibilità che la Francia dichiarasse la sua cifra definitiva prendendo come base una cifra da determinarsi per l'Italia dalla Conferenza, indipendentemente dal consenso dell'Italia; dimenticandosi di avermi dato come realizzato e concluso l'accordo col Giappone; dimenticandosi, in una parola, di tutta la parte antipatica che egli aveva giocato con me per commissione di Tardieu, lunedì scorso, MacDonald ha tenuto, giovedì, a dichiararmi nuovamente:

l) che la proposta del famoso • passo • collettivo a Roma era una pura invenzione francese;

2) che l'accordo col Giappone non era ancora realizzato;

3) che egli, nella qualità di Presidente della Conferenza mi confermava la sua imparzialità.

Ne ho preso atto, limitandomi a confermargli a mia volta che la prospettiva di un accordo a quattro era stata accolta dalla Delegazione italiana con assoluta indifferenza. • Dal punto di vista internazionale un accordo a quattro avrebbe rincrudito i rapporti itala-francesi, ma avrebbe inoltre compromesso la tradizionale amicizia itala-britannica, determinando nuovi orientamenti nell'azione internazionale dell'Italia. Circa il progettato passo collettivo da farsi a Roma esso altro non doveva considerarsi se non come un giuoco "puerile" e "pericoloso". Voi non vi siete reso ancora esatto conto -ho detto a MacDonald che i francesi nel consigliarvi ad adottare questa tattica hanno contato e contano sul risultato precisamente opposto a quello che voi forse per un momento avete sperato di raggiungere. Bisogna ormai che voi vi rendiate conto di questo: per i Francesi è buono soltanto ciò che può danneggiare la Conferenza •.

Nella stessa giornata di lunedi la cronaca ha registrato una discussione tra Stimson e MacDonald. MacDonald avrebbe rimproverato Stimson per avergli dato come raggiunto l'accordo coi giapponesi. Stimson avrebbe rimproverato a sua volta MacDonald per avermi riferito che egli condivideva con lui e coi francesi l'idea di un passo collettivo a Roma e dell'accordo a quattro con esclusione dell'Italia.

Il fatto deve essere vero perchè me lo ha raccontato personalmente Dwight Morrow giovedi sera.

Venerdì i Delegati francesi Pietri e Dumesnil hanno domandato improvvisamente di vedermi. Dopo, ho saputo che era stato MacDonald ,a consigliarli di venire a trovarmi. La conversazione con Pietri e Dumesnil non ha avuto alcuna importanza. Ciascuno ha dichiarato l'irriducibilità delle proprie tesi illustrandola colle solite argomentazioni che ormai tutto il mondo conosce a memoria.

La settimana si chiude in questo stato di collasso. Si fa strada la convinzione che soltanto un accordo a tre presenta qualche probabilità di riuscita. Ma anche per questo non è detta ancora l'ultima parola.

Rimane, non foss'altro per la storia della Conferenza, il mistero delle ormai famose conversazioni di domenica scorsa fra MacDonald, Tardieu e Briand.

Fino a che punto MacDonald si è • effettivamente • impegnato coi francesi contro l'Italia? Tu sai quello che penso: io non ho mai creduto nè credo alla sincerità dei sentimenti di MacDonald verso di noi. MacDonald non può essere, per ovvie ragioni, un amico dell'Italia fascista. L'Italia fascista gli ha fatto comodo nel giuoco complesso della politica britannica contro la Francia: ma sarebbe una ingenuità pensare che egli si rifiuterebbe ad accettare una soluzione solo per il fatto che questa possa rappresentare danno per l'Italia.

MacDonald è un britannico, ed un laburista per giunta. Aggiungasi che le sue sorti e quelle del suo Partito sono molto legate al successo o all'insuccesso della Conferenza Navale.

Sono quindi persuaso che MacDonald abbia dato, in un primo momento, il suo consenso alla proposta Tardieu. Poi MacDonald ci ha ripensato su. Ma ha constatato, dopo il suo colloquio di lunedì con me, che l'intimidazione, in luogo di spaventarmi e di spaventarci raggiungeva precisamente l'effetto opposto, ci rendeva ancora più intrattabili di quello che già non fossimo dianzi. Da parte sua, l'Ammiragliato inglese deve avere mostrato la propria preoccupazione di avere nel Mediterraneo una grande Marina come l'italiana, libera di costruire quello che vuole, e sopra tutto • nel modo • che vuole. Il Foreign Office avrà fatto per conto suo un altro ragionamento: se è vero che l'Italia ha fatto sempre dell'amicizia inglese un elemento importante della sua politica, non è men vero che la Gran Bretagna ha fatto sempre dell'amicizia italiana un argomento importante della sua politica. Dunque un accordo a quattro, supposto che esso avesse potuto realizzarsi, non avrebbe rappresentato per la Gran Bretagna che un vantaggio effitnero e sarebbe stato la causa di guai peggiori. MacDonald deve aver concluso, ad un certo momento, che le probabilità di 100.000 tonnellate in meno dello Statuto Navale francese non compensavano un'inevitabile crisi nei rapporti italo-britannici.

Si dice, qui a Londra, che sia stato Snowden, influenzato a sua volta da Vansittart (Sottosegretario Permanente al Foreign Office) a far mutare d'avviso MacDonald, e persuaderlo che egli stava battendo una strada sbagliata.

Comunque sia stato, la settimana si è chiusa bene per noi, male per la Francia, ancora una volta. La deliberazione del Gran Consiglio (l) e l'approv::,zione della nostra azione è venuta da ultimo a disperdere le poche illusioni rimaste. Essa ha specialmente nelle giornate di giovedì e di sabato facilitato la mia azione e contribuito efficacemente ad avere ragione delle ultime resistenze.

I tuoi due telegrammi (2), di cui ancora non soltanto io e Sirianni, ma la Delegazione intera, Ti siamo grati, ci hanno confermato la via giusta. Un mese fa, a Roma, Tu mi ordinasti di segnalarTi il momento in cui il contrasto italafrancese sarebbe apparso come il motivo determinante dell'insuccesso della Conferenza. Ti riservasti, per quel momento, o di confermarmi le Tue precedenti istruzioni o di modificarle nel senso indicato dal camerata Sirianni (parità ~li programmi, ecc.). Io ho obbedito al Tuo ordine, ma non puoi immaginare la mia soddisfazione quando ho ricevuto il tuo primo telegramma, nel quale Tu, prima ancora che Ti giungesse il mio rapporto per strada, confermavi le istruzioni di intransigenza assoluta, e queste istruzioni le ripetevi con un secondo telegramma subito dopo aver letto il mio rapporto che prospettava un'eventualità, la più sfavorevole di tutte. Io non so se Tu hai confermato le Tue istruzioni soltanto perchè hai giudicato improbabile questa eventualità. Ma io amo pensare che Tu le hai rinnovate anche pel caso che questa eventualità potesse o possa verificarsi. Così almeno io le ho intese e le intenderò sino alla fine della Conferenza.

Anche l'eventualità di un patto a quattro (vale sempre la pena di prendere come punto di partenza l'ipotesi più pessimistica), deve !asciarci perfettamente tranquilli.

Nessuna proposta conciliativa sarà, naturalmente, presentata da noi. Neppure sarà, naturalmente, accettata, se proposta da altri. Puoi starne certo. La proposta italiana della vacanza navale nelle navi di linea risale a due anni fa. La proposta fatta due settimane fa, di non calcolare il naviglio che ha superato al l o gennaio 1930, i limiti di età, a condizione di ottenere la parità sul naviglio efficiente, non mirava [ad] altro che, oltre che ottenere la parità, togliere altresì alla Francia, sotto l'apparenza di una concessione, il diritto al rimpiazzo per più. di 100 mila tonnellate, e ad abbassare conseguentemente per altrettanta quan

tità di tonnellate il tonnellaggio francese al 1936. Ecco perchè l'idea non dispiacque agli inglesi. Ma era troppo evidente che Tardieu avrebbe subito respinto una proposta che, sotto l'apparenza conciliativa, veniva non solo a riconoscere la parità, ma altresì ad esigere praticamente una forte diminuzione di tonnellaggio. Con questa proposta infatti noi ci siamo messi in una posizione più intransigente di quello che non fossimo alla vigilia della Conferenza Navale, quando nella nota del 18 novembre u. s. (l) lasciavamo alla Francia il diritto esclusivo di fissare il comune tonnellaggio.

Mentre scrivo giunge la notizia che l'Ambasciatore britannico Tyrrell avrebbe fatto un passo a Parigi per convincere Briand a ritornare a Londra. Ieri alla Delegazione francese si diceva chiaramente che Briand sarebbe ritornato soltanto quando MacDonald si fosse scusato pel modo come egli aveva proceduto nei riguardi degli italiani, e cioè in contrasto coi precisi impegni presi con Tardieu e Briand domenica scorsa. Il Delegato francese Massigli ha detto ieri al Ministro Rosso: • un beau jour je vous dannerai connaissance des compterendus des conversations aux Chequers, et alors vous verrez ce que Vos amis anglais étaient disposés à faire à votre égard •.

Probabilmente c'è del vero. Vedremo cosa succederà la settimana prossima.

(l) -Cfr. nn. 433 e 434. (2) -Cfr. DB, Serie II, vol. I, n. 158, cit. (3) -Cfr. n. 438. (l) -Nelle seduta del 19-20 marzo. (2) -Cfr. nn. 439 e 441.
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PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD

[Londra], 24 marzo 1930, ore 17.

Il colloquio ha avuto luogo per iniziativa di MacDonald (2). Erano presenti

Rosso e -durante una parte della conversazione -Craigie. Si è prolungato per

più di un'ora e mezza e si è svolto quasi interamente sugli aspetti generali

della Conferenza, senza entrare in problemi particolari.

MacDonald ha rinnovato le sue insistenze perchè da parte italiana si facesse

tutto il possibile per far uscire la Conferenza dalla critica situazione in cui si

trova a causa della opposizione delle tesi francese ed italiana relativamente

alla parità. Ha dipinto a colori foschi la situazione che risulterebbe nei rapporti

franco-italiani da una mancanza di un accordo, osservando che la Francia è ben

decisa a non lasciarsi raggiungere dall'Italia nelle costruzioni navali e che la

maggiore larghezza delle sue risorse finanziarie le permetteva di impedire

la realizzazione della parità. In queste circostanze MacDonald si chiedeva se

non era nell'interesse stesso dell'Italia di prescindere dalla questione di prin

cipio e cercare una soluzione pratica che, pur non intaccando la tesi della parità,

permettesse di trattare sulla base di cifre e di programmi.

Grandi ha osservato che la Delegazione italiana aveva già mostrato di essere disposta ad incamminarsi per questa via, con la sua proposta relativa alle navi over age, respinta dalla Francia.

MacDonald ha notato che tale proposta era stata considerata dai francesi come implicante il riconoscimento formale del principio della parità. Ha chiesto se invece l'Italia non potrebbe entrare nell'ordine di idee esposto nella precedente conversazione (1), cioè di esaminare le possibilità di un accordo fino al 1936 sulla base dello statu qua.

Grandi ha fatto rilevare che l'Italia non ha mai preso l'iniziativa di aumentare le sue forze navali. Essa si è sempre accontentata di seguire la Franciil. Ora, appunto negli ultimi due o tre anni la Francia ha dato un nuovo impulso alle proprie costruzioni che significano un notevole aumento delle proprie forze navali, specialmente in materia di sottomarini. L'Italia si vedeva costretta a sua volta a seguire la Francia su questa via, ma non lo aveva ancora fatto e non aveva neppure fissato il proprio programma di costruzioni, in attesa appunto dei risultati della Conferenza. Non era quindi giusto che si chiedesse all'Italia di accettare lo statu quo proprio nel momento in cui la sua posizione di fronte alla Francia era meno favorevole.

MacDonald ha riconosciuto la fondatezza di tale osservazione, ma ha aggiunto che lo statu quo è una parola abbastanza eLastica e che la Delegazione italiana avrebbe potuto darle la propria interpretazione, per es. avrebbe potuto accettare come base di discussione lo siatu quo concernente le navi costruite e non quelle in costruzione... (Non si vede la possibilità che una proposta del genere possa formare una base seria di discussione, non essendo concepibile che la Francia rinunci, non soltanto ai propri programmi di costruzione, ma perfino alle costruzioni in corso!).

Grandi ha ripetuto che non vedeva la possibilità di entrare in tale ordine di idee ed ha dichiarato che nel momento attuale e data l'atmosfera che si era creata intorno al conflitto franco-italiano per la parità egli non aveva alcuna speranza di trovare una soluzione. Non poteva d'altra parte fare a meno di preoccuparsi delle ripercussioni dannose che avrebbero potuto verificarsi se il conflitto esistente fosse stato acuito in modo da risultare in una rottura della Conferenza sulla questione itala-francese. Egli era naturalmente pronto ad andare ad una seduta plenaria e svolgere pubblicamente le ragioni che giustificano la tesi italiana. Si chiedeva però se tale procedura era la più consigliabile nell'interesse di tutti. Forse la migliore via di uscita sarebbe stata la seguente: che la Conferenza compia ora quella parte di lavoro che si può ragionevolmente chiederle, arrivando per esempio ad un patto a tre fra Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone. Dopo di ciò la Conferenza verrebbe aggiornata per un certo periodo di tempo (quattro, cinque, sei mesi) durante i quali Italia e Francia tratterebbero fra di loro in un'atmosfera più calma ed in circostanze più favorevoli, cercando di arrivare ad un accordo. Se questo risultasse possibile MacDonald, nella sua qualità di presidente, avrebbe riconvocato la Conferenza

al momento opportuno e sarebbe allora stato possibile di innestare l'accordo itala-francese sul patto a tre. Grandi non vedeva l'utilità, ma vedeva anzi i gravi inconvenienti di portare la discussione a Ginevra prima che un accordo fra le cinque Potenze navali fosse stato raggiunto.

MacDonald ha mostrato di ascoltare con molto interesse quanto sopra, ma ha concluso insistendo ancora perchè si facciano tutti i possibili sforzi per giungere ad un accordo a cinque (1).

(l) -Cfr. n. 171, allegato. (2) -Mac Donald aveva fatto pervenire il giorno precedente a Grandi il suo progetto di accordo, per il quale cfr. n. 454, allegato.

(l) Cfr. n. 438.

447

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. GAB. (P. R.) 8j135j100. Londra, 25 marzo 1930, ore 12,30 (per. ore 15,20).

Nessun fatto nuovo. Spedito rapporto ieri (2). Mio colloquio ieri sera con MacDonald (3) ha lasciato situazione immutata. Convinzione generale siamo verso la fine.

448

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. 790/140/105. Londra, 25 marzo 1930, ore 23,25 (per. ore 3,25 del 26).

Oggi convocazione inattesa capi delle delegazioni. MacDonald esposto alla

conferenza questioni insolute fra America e Giappone fra Francia e Inghilterra

fra Francia e Italia. Malgrado difficoltà giungere ad un accordo generale Mac

Donald ha dichiarato tuttavia non voler ancora rinunziare ultimi tentativi. Ha

proposto per prossima settimana conferenza plenaria in cui tutti capi delega

zioni esporranno rispettivi punti di vista. Proposta accettata da tutti.

Times e Daily Herald pubblicano notizia pretesa proposta italiana aggior

namento conferenza per sei mesi durante i quali potenze dovrebbero impegnarsi

non impostare nuove costruzioni navali. Ho fatto smentire dai giornali della

sera, dalla Agenzia Reuter notizia nei termini esposti dal Times. Unico sugge

rimento da me dato ieri sera MacDonald nel corso della conversazione è il

seguente: • È giunto il momento di aggiornare (4) conferenza colla quale ormai

fuori di dubbio impossibilità di raggiungere accordo a cinque •.

Questo è tutto.

« sine die ».

(l) -Per la versione inglese del colloquio cfr. DB, Serie II, vol. I, n. 169. Sul problema della parità fra Italia e Francia cfr. anche una conversazione pari data tra le delegazioni americana e inglese, ibid., n. 168, pp. 271-274. (2) -Cfr. n. 445. (3) -Cfr. n. 446. (4) -Nella copia conservata nel fondo Segreteria Generale qui sono aggiunte le parole
449

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHOBER

L. P. Roma, 26 marzo 1930.

La lettera che V. E. ha voluto indirizzarmi (l) mi è giunta particolarmente gradita.

V. E. può essere sicura che i sentimenti di cordiale amicizia che Ella mi manifesta sono da me sinceramente ·Condivisi, che serbo il migliore ricordo e la più gradita impressione del nostro incontro romano.

La visita di V. E. è stata accolta dal governo e dalla nazione italiana con un misto di calda e sincera simpatia e sono certo che Ella ne avrà avuto la sensazione precisa.

Sono lieto di constatare che il Parlamento austriaco ha approvato all'unanimità il Trattato di Palazzo Venezia (2). La stessa cosa avverrà al Parlamento italiano.

Debbo ancora ringraziare V. E. per il gentile invio della Sua fotografia.

Le ripeto quanto ebbi occasione di dirLe durante i nostri recenti colloqui romani: V. E. e la Nazione austriaca possono contare sulla mia amicizia e su quella del governo e del popolo Italiano.

450

IL MINISTRO A TIRANA, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 740/364. Tirana, 26 marzo 1930.

Trasmetto a V. E. l'accluso rapporto diretto dal Generale Pariani al Ministero della Guerra in risposta a quesiti posti dal Ministero stesso circa la questione

A.G.I.P. (3).

< Va sempre più facendosi strada il concetto che l'aiuto italiano (" SVEA ", organizza

zione militare) sia dato col recondito fine di imporre all'Albania legami tali da costringerla

<:ol tempo a consentire al suo pieno assoggettamento all'Italia.

Circa l'ultimo capoverso, debbo rappresentare netto il mio pensiero in proposito.

Premetto che l'avere con noi, a suo tempo, l'Albania è, secondo me, problema esclusi

vamente dipendente dal nostro programma, e cioè problema di nostra volontà e decisione.

Ad ogni modo esamino la questione indipendentemente da tale nostra volontà e consi

dero i due casi.

l) L'Albania non sarà con noi. In tal caso poco male avremo dall'averla organizza

ta : il nemico avrà un lievissimo vantaggio ereditando un esercito munito di nostre armi,

con scarso munizionamento e nel quale, comunque, sarà pur penetrato un soffio d'italianità.

In compenso, avremo, per contro, impedito, sino a tale momento, che terreno e costa

siano organizzati a nostro danno.

Infine se l'Albania, dopo tutti gli aiuti avuti, mostrasse di non avere il più piccolo

senso di riconoscenza e compisse il tradimento, noi avremmo il più pieno diritto davanti a

tutto il mondo di cancellare questo Paese dalla carta geografica.

2) L'Albania sarà con noi. È allora nostro obbligo morale e materiale di garantirne

l'integrità, è obbligo verso noi stessi d'impedire al nemico di giungere al mare, non solo,

ma anche di mettere l'Albania in condizioni da poter esercitare alle sue frontiere una

pressione atta a togliere da altri scacchieri forze nemiche.

Ma se vogliamo ottenere ciò, non abbiamo tempo da perdere nè dobbiamo soffermarci

su dubbi. Lo scopo dev'essere tenuto sempre chiaramente presente e dev'essere perseguito

con fede e tenacia.

Perciò nessuna modificazione dev'esser fatta al nostro programma militare. Ripeto, anzi,

che, secondo il mio giudizio, tale programma dovrebbe essere al più presto completato da

provvedimenti totalitari, atti a portare la nostra organizzazione anche nel campo culturale

e nel campo commerciale ed industriale.

In Albania non dovrebbe cioè trovare posto che l'azione italiana •·

Il rapporto Pariani contiene molte osservazioni giuste; ma non è precisamente esatto che il motivo occasionale della caduta del Ministero Kotta sia stata la questione del monopolio dei carburanti. È certo che la concessione del monopolio non aveva aumentato la popolarità del Gabinetto; ma bisogna ricordare che il Governo non solo aveva riluttato fino all'ultimo momento ad accordare la concessione, ma aveva anzi assunto un atteggiamento apertamente ostile ad essa. Questo in Albania è noto a tutti. Devesi al mio energico intervento presso il Re ed alle pressioni di questi sui Ministri se il monopolio fu strappato. Supponevo allora, o meglio speravo, che l'A.G.I.P. avrebbe saputo organizzarsi bene senza suscitare troppo gravi malcontenti. Ma chi qui rappresenta il R. Governo non poteva mal prevedere l'imperizia, l'incapacità, il disordine e la leggerezza di cui hanno offerto così documentata dimostrazione i Signori dell'A.G.I.P.

Appena manifestatisi i primi gravi inconvenienti nella questione del monopolio, il Gabinetto sferrò subito una offensiva di stampa contro l'A.G.I.P. e passò alle diffide giudiziarie, prodromo della rescissione del contratto.

Dovetti intervenire di nuovo e forzare ancora una volta la mano al Re ed ai Ministri che capitolarono una seconda volta, facendo però stampare sui giornali che chi aveva capitolato era l'A.G.I.P. Lasciai passare l'innocente vanteria, perchè era utile ai fini del momento. Ma in una serie di lunghi colloqui convinsi il Ministro Tutulani che attaccando l'A.G.I.P. egli attaccava se stesso che aveva concesso il monopolio.

Tale opera persuasiva ottenne il risultato che ne speravo: difatti quando alla riapertura del Parlamento un gruppo di Deputati cercò di mettere sotto stato di accusa il Ministro delle Finanze, questi, non potendo sferrare altri calci contro l'A.G.I.P. di cui aveva annunziato la • resa a discrezione», fu costretto a prenderne le difese per difendere se stesso.

Come ho già detto in altro mio rapporto, molte delle accuse mosse all'A.

G.I.P. sono ridicole e insussistenti: ma il guaio è che esse fanno corona ad altre accuse di inadempienza che sono invece fondatissime. Mi viene ora annunziato l'arrivo di un rappresentante dell'A.G.I.P. che dovrebbe rimettere tutto in ordine. Speriamo. Ma ricordo a V. E. che il disordine non è soltanto qui, ma anche e specialmente a Fiume, cioè al punto di partenza.

La questione A.G.I.P. ha segnato la sorte del Ministero Kotta in questo solo senso: che l'ostilità del Gabinetto, essendosi estesa dall'A.G.I.P. a tutte le altre iniziative italiane, io finii col perdere la pazienza, e passai alla controffensiva attaccando apertamente il Presidente Kotta e i suoi Ministri (mio telegramma N. 327 del 10 ottobre 1929) allo stesso tempo che ostentavo le preferenze della Legazione verso l'ex Presidente della Camera, Pandeli Evangeli, che ha poi formato il nuovo Gabinetto.

È la prima volta, e spero sarà l'ultima, che sono intervenuto direttamente nel provocare una crisi di Governo, cosa che è assolutamente contraria alla linea di condotta che mi ero proposto fin dal mio arrivo in Albania (mio Rapporto N. 2157/652 del 25 Settembre 1927).

Il Generale Pariani prende spunto dalla questione A.G.I.P. per abbracciare, con pochi tratti, in calce al suo rapporto, il problema centrale di tutta la nostra azione in Albania, o meglio delle direttive generali cui essa deve essere ispirata e della finalità da raggiungere. A parte due o tre ingenuità che si sono insinuate nelle poche righe che nel detto rapporto abbozzano sì ampia materia, è appena il caso di dire che l'impostazione del problema fatta dal Generale Pariani è precisa e che essa sembrami corrispondere al quadro che da oltre tre anni il

R. Ministero degli Affari Esteri aveva immaginato e disegnato, e in base al quale fu deciso l'invio qui di un Addetto Militare per iniziare l'organizzazione dell'esercito albanese.

(l) -Cfr. n. 398. (2) -In un primo progetto della lettera, minutata da Guariglia, questa frase era del seguente tenore: < Tale fatto assume particolare importanza in quanto l'approvazione è avvenuta con i voti unanimi dell'Assemblea, compresi quelli del partito socialdemocratico •. (3) -Dell'allegato si pubblica solo il passo seguente:
451

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 1531/651. Belgmdo, 27 marzo 1930.

Ho avuto con questo Ministro d'Inghilterra venuto espressamente a vedermi una seconda lunghissima conversazione non meno interessante di quella che ho riassunta a V. E. con la mia lettera particolare del 14 corrente (1).

Ne riepilogo gli argomenti e ne indico qui di seguito i punti principali.

Il Signor Henderson ha cominciato col dirmi che era stato incaricato dal Foreign Office di accertarsi quale fosse l'attitudine di questa stampa nei riguardi dell'Italia e chiedere a Kumanudi un armistizio nelle polemiche relative all'Italia. Ne aveva avuto risposta stamani che dal gennaio scorso, ma specialmente da tre settimane, nulla era apparso che potesse avere qualsiasi carattere offensivo verso il nostro paese. Soprattutto in occasione della proclamazione di Fiume zona franca, che pure aveva deciso carattere di lotta contro Sussak e la economia jugoslava, la stampa aveva completamente taciuto. Ma se necessario il Governo farebbe ancor più, per l'intendimento di giungere ai migliori rapporti con l'Italia.

I quali rapporti, ha continuato Henderson con me, stanno a lui Henderson sommamente a cuore, poichè egli è persuaso che la Francia ha creato in Europa una situazione nefasta e pericolosissima, come l'andamento della conferenza navale lo riprova. Egli crede che il maggiore rimedio a possibili futuri momenti critici siano chiari definiti e cordialissimi rapporti itala-jugoslavi, i quali toglierebbero la principale ragione di inquietudini nei Balcani e nell'Europa Centrale, poichè solleverebbero la Jugoslavia da quel diffuso senso di timore di una nostra azione aggressiva che la ha indotta ed induce a cercare a Parigi la sua difesa. Il timore di una azione italiana era tanto diffuso, mi ha detto Henderson, che tre mesi e mezzo fa un ministro jugoslavo in carica (ha rifiutato recisamente dirmene il nome, ma ho ragione di supporre possa trattarsi di Sverljuga Ministro delle Finanze) era andato a dirgli che al governo era giunta notizia che sarebbe stato simulato un singolare piano di sbarco italiano in Dalmazia per occupare qualche località della costa.

Secondo dette informazioni una simulata ribellione sarebbe scoppiata su due nostre navi da guerra che avrebbero operato tale sbarco che poi il governo Nazionale sarebbe stato obbligato a sostenere. Lo stesso Henderson aveva subito

(l} Cfr. n. 429.

qualificato tali informazioni come pure inventate follie che nessun governo responsabile avrebbe potuto mai attuare senza esporsi ad una universale opposizione. Aveva perciò rassicurato il detto Ministro, che si era limitato a giustificarsi asserendo che la paura era cattiva consigliera.

Ma da questo episodio facile è arguire, ha continuato Henderson, quale sia lo stato d'animo di questo governo, e come sia necessario adoperarsi per indurlo non certo a prendere un atteggiamento opposto all'attuale, cioè di inimicizia verso la Francia, ma un atteggiamento che rassicuri l'Italia che esso non è alle dipendenze militari francesi uscendo dal circolo vizioso nel quale oggi si trova la situazione italo-jugoslava.

Perciò Henderson si domandava se i prossimi colloqui dei quali già gli aveva parlato il Re, ed ora Kumanudi gli confermava, fra V. E. e Rakic avrebbero avuto una portata generale e conclusiva.

A mia domanda Henderson mi ha dichiarato che il suo pensiero era interamente condiviso dal Foreign Office ed approvato dal Governo Britannico.

Premesso che parlavo solo a titolo personale e confidenzialissimo ho chiarito ad Henderson che i provvedimenti italiani relativi a Fiume trovano anzitutto origine dalla inosservanza jugoslava nella messa in vigore delle Convenzioni di Nettuno e da tutto un complesso di attività diretto a soffocare la economia fiumana, e dovevano essere considerati non sul terreno di una presunta ed inesistente nostra ostilità politica ma unicamente su quello della concorrenza commerciale.

Gli ho poi aggiunto che da parte mia avevo rilevato un mutamento dell'atteggiamento della stampa jugoslava, che avevo anche notato qualche premura del Ministero degli Affari Esteri nella soluzione delle piccole pratiche quotidiane. Gli ho poi detto che quanto eragli stato affermato di supposti pazzeschi progetti di sbarco in Dalmazia era una delle più grosse baggianate che avevo mai udito (1).

Se tutte le informazioni ufficiali dello Stato jugoslavo erano di uguale serietà, dovevasi domandare se chi le riceveva e le accoglieva così facilmente avesse capacità di governo. Se si narri a taluno che un asino vola e questi lo ripeta accreditando, questi è l'asino.

Quanto a generali propositi aggressivi dell'Italia verso la Jugoslavia era fare offesa solo il supporlo.

Circa le prossime conversazioni di V. E. con Rakic non potevo che ignorare quale piega e profondità avrebbero potuto avere. Ma ripetute le riserve di cui sopra dovevo metterlo in guardia contro due pericoli:

a) che da troppe parti si sapesse di tali colloqui. Qualora essi avessero realmente luogo, cosa che a me non risultava, il riserbo era secondo me condizione sine qua non per un eventuale loro risultato;

b) che una qualsiasi fretta avrebbe nociuto agli scopi utili che potevansi proporre.

ripetuti viaggi del nostro Addetto Militare in Dalmazia, aggiungendo che 13. di lui attività era come se si fosse • alla vigilia di una guerra •· [Nota del documento].

E lo ho fatto riflettere su due considerazioni:

I. -I rapporti della Jugoslavia con la Francia constano di tradizionali legami storici, hanno una base nei rapporti culturali, economici, etc. un legame non facilmente dirimibile che è quello debitoriale. Anzi forse nel momento stesso in cui parlavamo era non impossibile che a Parigi (dove si trovano contemporaneamente Marinkovic, Jeftic, Fotic, insieme a questo Ministro di Francia Dard) il Quai d'Orsay compiesse ogni sforzo per aggiogare a sé definitivamente ed irrimediabilmente la economia jugoslava, quindi determinare la servitù politica di Belgrado appunto per evitare che o prima o poi questo Stato potesse cercare sottrarsi all'orbita francese per non essere coinvolto in una crisi per interessi non propri. Se anche si cominci qui a sentire il danno che viene dal legame francese per i pesi militari che impone, per il pericolo di fare gravare sulla politica jugoslava le due maggiori inimicizie francesi (italiana e tedesca), per la insofferenza che ogni debitore moroso ha verso il suo creditore esigente, per la pericolosa nervosità di cui dà costante prova la politica francese ansiosa di patti e di armamenti, non bisognava trascurare che si tratta di un complesso di interessi costituiti in ogni campo non agevole da rompersi, e che fa e farà massa resistente ad un diverso orientamento.

Auguravo che la volontà di Re Alessandro, quale egli gliela aveva espressa il 12 marzo insieme con quella del Governo jugoslavo tendesse sicuramente a cercare nuovo atteggiamento politico e potesse anche attuarlo. Ma non bisognava illudersi su facilità e rapidità. Ostacolo era intanto, a mio avviso, l\'Iarinkovich.

II. -Il perno della questione era la funzione di pedina che la Jugoslavia aveva nei piani militari e navali francesi contro di noi. In quale modo la Jugoslavia avrebbe potuto concretamente assicurare e garantire che tale funzione cesserebbe e non sarebbe più ripresa?

Si trattava quindi, come egli vedeva, di una serie di problemi della maggiore complessità. E gli esponevo solo i primi che mi erano venuti alla mente. Ma non dovevano essere dimenticati altri problemi fra i quali l'albanese dove ormai la politica di S. E. il Capo del Governo aveva raggiunto risultati e creato una situazione che sarebbe stato impossibile modificare.

Non ho evidentemente detto ad Henderson che anche per noi una diversa attitudine verso la Jugoslavia, che non sia solo un espediente tattico, implica un diverso orientamento con ripercussioni su tutta la nostra politica che solo

V. E. è in grado di valutare e decidere.

Ho tuttavia concluso con Henderson che le difficoltà non dovevano dissuadere dal cercarne la soluzione e che per la parte che mi riguarda avrei cercato portarvi la mia collaborazione secondo le direttive che V. E. mi avrebbe dato poichè per ora io parlavo solo a titolo strettamente personale e privato senza alcuna istruzione e direttiva. Aprivo con lui più agevolmente che con altri l'animo mio sia perchè la politica inglese non poteva avere attitudini generali contrastanti con le nostre, e per la confidenza che si era rapidamente creata

fra noi.

V. E. avrà certo ciò meglio constatato costà; ma intanto da queste conversazioni posso dedurre un interessante indirizzo della politica inglese che coincide in massima col nostro maggiore interesse: battere la concorrenza francese

in Europa, togliere alla Francia ogni possibile apporto. L'jugoslavo è certamente fra tutti, quello che più pesa sulla nostra azione. Ma la premura di giungere ad una diversa situazione è solo di Henderson, nuovo a questo posto e forse desideroso di un rapido successo personale, od è anche del Foreign Office? E quali sono gli scopi precisi del Governo inglese, e fino a che punto coincidono con nostri interessi e possono consentire una comune azione V. E., a Londra, può saperlo per certo assai meglio di me.

In ogni caso io sono a pregarLa, Signor Ministro, di volermi confortare della sua approvazione per il tenore dei futuri possibili colloqui, e di darmi eventuali direttive e consigli. Io sono oltremodo guardingo e cauto, parlo in nome mio proprio, e sotto il suggello del maggiore riserbo.

Ma non posso totalmente evitarli o tacermi senza dare una impressione certamente contraria agli obiettivi di V. E., sia pur limitati oggi (secondo le istruzioni impartitemi nel Gennaio u. s.) a produrre una impressione di non ostilità italiana e di smobilitazione di spiriti. Non posso neppure continuare a parlare, sia pure a titolo personale e privato, poichè da qualche mio giudizio od espressione anche misuratissima, se ne potrebbero trarre al Foreign Office deduzioni arbitrarie ed errate su quello che può essere il pensiero di V. E.

La mia situazione è perciò assai delicata. Ed è questo che mi spinge a chiedere le direttive e le istruzioni di V. E. (1).

• Sta di fatto che la visita del signor Henderson a Sofia ha rivestito un carattere di indubbia importanza, non tanto per quello che egli possa avere udito o avere detto durante la sua breve sosta in questa città, quanto come diretta riprova dell'intensa attività che la diplomazia inglese sta svolgendo sin dall'avvento del governo laburista, nei paesi balcanici, e più precisamente in Jugoslavia e in Bulgaria, ai fini ben precisati di premere su Sofia e su Belgrado (ma specialmente su Sofia) con tutta la forza del nome e della potenza britannica, onde portare i due Paesi a quel completo riavvicinamento che Londra sembra ora considerare come uno dei cardini della politica di pace in Europa.

Il signor Henderson è rimasto a colloquio con me, -in presenza del signor Waterlow -, per più di un'ora.

Con una franchezza che non esito a riconoscergli, egli ha subito posto il problema dei rapporti bulgaro-serbi nel seguente modo: "Le difficoltà per arrivare ad una pacificazione,ad un riavvicinamento tra la Bulgaria e la Jugoslavia derivano dallo stato di tensione esistente tra l'Italia e la Jugoslavia. Se tra Roma e Belgrado si stabilissero relazioni più cordiali, i rapporti serbo-bulgari diventerebbero subito normali e tranquilli. Quanto ai rapporti con Roma, a Belgrado non si desidera di meglio che di migliorarli e di renderli stabilmente corretti e cordiali ".

Ho risposto al signor Henderson che la questione dei rapporti italo-jugoslavi oltre ad esulare dalla nostra competenza diretta, avrebbe richiesto -per discuterla -un troppolungo tempo, quale egli non aveva a sua disposizione per la visita che cortesemente aveva voluto farmi durante il suo fuggevole passaggio da Sofia. Dovevo perciò !imitarmi a dichiarargli che la tesi da lui espostami in base alla quale i rapporti serbo-italiani starebbero in cosi stretta connessione -di causa ed effetto -con i rapporti serbo-bulgari, era una tesi errata, non rispondente alla realtà delle cose. Dopo brevissimi cenni sulle cause principalidelle difficoltà dei rapporti italo-jugoslavi, cause rimontanti sino all'epoca della Conferenza della Pace, ho portato il signor Henderson sull'argomento che era per il momento più importante, e per il quale egli era venuto a Sofia: l'argomento dei rapporti bulgaro-serbi.

La conversazione, che pur essendo sempre stata corretta, ha assunto a volte un tono piuttosto animato, si è svolta sui seguenti punti principali:

l) Il Governo di Belgrado -(ha dichiarato il signor Henderson) -sarebbe animato dalle migliori intenzioni nei riguardi di Sofia e desidererebbe veramente un amichevole riavvicinamento con la Bulgaria. Senonchè le sue intenzioni e i suoi desideri sono stati sinora frustrati dall'azione "delittuosa " dell'Organizzazione macedone, che il Governo bulgaro non ha voluto o non ha potuto ridurre all'impotenza. Il Comitato Macedone -(che, a torto o a ragione, i Serbi ritengono agisca dietro le direttive dell'Italia) -è quindi la causa permanente c materiale che impedisce lo stabilimento di buoni rapporti tra Sofia e Belgrado...

Il signor Henderson mi ha qui lungamente esposto la sua opinione in proposito. -Egli mi ha detto di considerare come ingiustificati i timori di coloro (intendi: Italia) che pensano che la Serbia abbia delle mire egemoniche ed espansionistiche (sia pure sotto forma confederativa) nei riguardi della Bulgaria. Secondo il Ministro britannico, la Serbia, -che è il popolopiù forte, più nobile, più intelligente di quanti formano l'attuale Jugoslavia, -ha davanti a sè tante difficoltà per raggiungere il suo scopo di amatgamare le varie parti del Regno, e per consolidare in modo stabile e duraturo la compagine e la sicurezza dello Stato, -che almeno due generazioni dovranno passare prima che la Serbia possa essere in grado di occu

(l) V. E. ricorderà però certamente che tanto da parte dei RR. Consolati in Dalm3.zia come da parte di questa Legazione queste voci furono segnalate al principio del corrente anno e rammenterà pure che Jeftic a proposito del Colonnello Visconti il 12 Dicembre rilevò

(l) Il ministro Henderson si recò a Sofia dal 31 marzo al 2 aprile ed ebbe un colloquio con Piacentini, il quale riferi con R. 770/278 del 7 aprile; di questo rapporto si pubblicano i brani seguenti :

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 28 marzo 1930.

Desidero che Ti giunga, col corriere in partenza stamane, questo appunto (redatto dal Ministro Rosso), di una conversazione avuta ieri sera con MacDonald, dopo la riunione dei Capi Delegazione (1).

Come Tu vedi, è la prima volta che MacDonald mi comunica, senza perifrasi e circonlocuzioni indirette (come fece nel colloquio di lunedl 17) (2), la possibilità di un accordo a quattro fino al 1936, suHa base dei programmi.

parsi della Bulgaria, e dell'eventualità di procedere ad una più stretta forma di relazioni politiche...

5) Congedandosi, il Ministro britannico mi ha fatto la seguente dichiarazione: "Vi esprimo di nuovo il mio convincimento che la principale causa delle difficoltà nei rapportiserbo-bulgari consiste nella tensione italo-jugoslava. Ciò è tanto più deplorevole in quanto va a tutto vantaggio della Francia. La Jugoslavia sente in pieno, e comincia a sopportarlo a malincuore, il peso grave della vera e propria c tutela • che la Francia esercita su di essa in ogni campo. Se i rapporti tra Roma e Belgrado divenissero normali e buoni, la Serbia ne approfitterebbe per svincolarsi dall'eccessivo giogo francese. Di questo la Francia si rende perfettamente conto: ed è perciò che essa è, in fondo, lieta ogni volta che si verificano incidenti tra la Bulgaria e la Serbia. Essa infatti coglie tali occasioni, immancabilmente, per far presente a Belgrado quale pericolo rappresenti per la Serbia una Bulgaria sorretta ed eccitata dall'Italia; onde la necessità per la Serbia stessa di mantenersi sempre più unita al protettoreGoverno di Parigi. Se Roma intenderà questo, e se renderà migliori i suoi rapporti con Belgrado, essa ne trarrà grande vantaggio, poichè l'egemonia francese in Jugoslavia, e quindi nella Piccola Intesa, diminuirà considerevolmente; mentre <:l'altro canto l'Italia potrà più facilmente lavorare insieme con l'Inghilterra pel conseguimento e l'assestamento della pacebalcanica " ». Allegato a questo rapporto un appunto anonimo: c Si richiama l'attenzione del Direttore Generale sull'unito rapporto, specie sul fatto che le dichiarazioni "vivaci", fatte da Piacentini ad Henderson, ed indubbiamente da questi riferite, oltre che a Belgrado, a Londra, sono suscettibili di confermare il Foreign Office in non desiderabili convincimenti circa la nostra azione nei riguardi macedoni. 22 aprile 1930 •.

Sulle relazioni jugo-bulgare cfr. anche il R. 700/249 di Piacentini del 10 aprile 19.30 del quale si pubblicano i brani seguenti:

« Questa tendenza della politica bulgara mirante a porre in modo più chiaro e più deciso di quanto non sia stato fatto sinora, la questione macedone nel quadro delle questioni minoritarie, va da noi attentamente esaminata ai fini (s'intende) della salvaguardia dei nostri interessi generali politici nei Balcani. Incoraggiando tale tendenza, sembra indubbio che la questione macedone verrebbe avviata verso una soluzione, diciamo così, ginevrina, basata su eventuali inchieste internazionali e su probabili forzate concessioni ai Macedoni, -da parte di Belgrado -nei campi culturale, religioso, economico, ecc.

Cercando invece -per quanto sia possibile -di ostacolare tale tendenza, il movimento macedone resterebbe nel suo pieno vigore, poichè non gli verrebbero a mancare quegli elementi giustificativi che sono oggi essenzialmente costituiti dal persistere dei Serbi nel diniego di ogni diritto dei Macedoni al trattamento delle minoranze.

Se convenga a noi seguire qui a Sofia l'una o l'altra di queste due linee di condotta, giudicherà l'E. V., esaminando la questione macedone e la questione dei rapporti bulgaro-serbinel quadro generale della politica italiana nei Balcani...

Anche se le possibilità di una risoluzione della questione macedone mediante il riconoscimento da parte di Belgrado di più o meno estesi diritti etnici alle minoranze macedoni appaiano per ora lontane e vaghe, non v'ha dubbio che l'eventualità di un futuro sviluppodi tale idea debba da noi essere sin d'ora presa in considerazione, specialmente di fronte alla intensificata attività politica inglese nei Balcani che indica chiaramente il proposito di voler eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono al desiderato completo riavvicinamento bulgaro-serbo: tra questi ostacoli il maggiore è costituito dalla questione macedone. Pur se gli Inglesi mostrino oggi maggiore severità -(causata da maggiore incomprensione) verso Sofia che verso Belgrado, sembra sicuro che se essi persisteranno con fermo volere nel proposito di riavvicinare i due Paesi, oggi ancora tra loro cosi profondamente divisi e lontani, -gli Inglesi finiranno per formarsi la convinzione -basata su una più equa e piùcompleta valutazione della realtà della situazione, che per raggiungere il loro scopo di far cessare il dissidio serbo-bulgaro l'unico mezzo sarebbe quello di eliminare le cause più dirette e contingenti che tengono in vita il movimento macedone: ciò che equivale a dire che essi farebbero del tutto per ottenere ai Macedoni un trattamento politico, giuridico e sociale, che -placando gli animi -produrrebbe un graduale affievolimento di quella fiamma che oggi cova pericolosa sotto la cenere, e costituisce per unanime ammissione uno dei pericoli più seri per la pace balcanica ed europea •.

Cfr. infine un t. posta di Piacentini del lO gennaio 1931: « ... L'Inghilterra -(specie

dopo l'avvento dei laburisti al potere) esercita sui Paesi balcanici una diretta formidabile

pressione tendente alla pacificazione e all'unione. Tale pressione è particolarmente sensibile

in Jugoslavia e in Bulgaria... •.

38 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

.ALLEGATO.

APPUNTO SULLA RIUNIONE DEI CAPI DELEGAZIONE E SULLA CONVERSAZIONE GRANDI-MACDONALD

Giovedì, 27 marzo 1930.

Nel corso dell'odierna riunione dei Capi di Delegazione, MacDonald, ad un dato momento si è rivolto al Ministro Grandi dicendogli presso a poco questo: • Noi continuiamo le nostre conversazioni coi Francesi e prevediamo che finiremo per intenderei; i Giapponesi attendono da Tokio la risposta che permetterà di concludere le loro discussioni con Inglesi ed Americani. Restate voi, Italiani, che siete finora rimasti fuori dalle discussioni. Perchè non fate una mossa che renda possibile un accordo a cinque? •.

Alla fine della riunione il Ministro Grandi ha preso da parte MacDonald e non gli ha nascosto la sua sorpresa ed il suo malcontento per questo appello indirizzato a lui, singolarmente, come se la Delegazione Italiana fosse stata la sola a non cooperare per l'accordo a cinque e come se essa sola fosse chiamata a sacrificarsi per il successo della Conferenza.

MacDonald ha risposto più o meno in questi termini: • Non vi parlo come primo Ministro o come Presidente della Conferenza, ma come amico e desidero dirvi come stanno le cose, non già per far pressione su di voi, ma nell'intento di aiutarvi.

Briand è tornato da Parigi 'con delle idee che hanno portato un cambiamento abbastanza importante nella situazione da due giorni a questa parte. Non si tratta di un accordo politico che implichi degli impegni militari da parte dell'Inghilterra. Questo noi non lo potremo mai accettare. Nella eventualità di un conflitto armato nel Mediterraneo noi potremmo essere forzati ad intervenire per salvaguardare i nostri interessi (libertà di comunicazioni con le Indie) ma non intendiamo legarci nel senso di portare il nostro aiuto militare ad una od all'altra parte contendente. Si tratta oggi semplicemente di discutere coi francesi l'interpretazione e la precisazione di certi obblighi derivanti dal Covenant di Ginevra. Non saprei precisarvi le cose perchè le conversazioni avvengono attualmente fra Briand ed Henderson al Foreign Office.

Vi posso dire però che questa mossa di Briand ha avuto come conseguenza un progresso notevole delle discussioni anglo-francesi sui programmi navali e non è da escludere che queste discussioni possano arrivare quanto prima ad una conclusione favorevole. I Francesi hanno già notevolmente abbassato le loro cifre e non si tratta ormai più che di una differenza abbastanza piccola che potrà forse essere composta su una base di compromesso.

Si presenta quindi la possibilità di un accordo anglo-francese e quindi di un patto a quattro. Noi desideriamo vivamente un patto a cinque e per questo vi ho pregato di fare tutto il possibile per entrare anche voi nella combinazione. Se voi rimanete fermi sulle vostre posizioni, non vi sarà possibilità per voi di partecipare all'accordo delle altre quattro Potenze e l'opinione pubblica che finora ha giudicato con favore la vostra tesi finirà per schierarsi contro di voi •.

• -Di modo che -ha osservato Grandi -noi dovremmo essere i soli a pagare le spese dell'accordo? •. • -Io mi rendo conto dei vostri sentimenti -ha continuato MacDonald -ma sta di fatto che Briand ha fatto una mossa che vi mette in una situazione difficile da sostenere. Capisco che non sarebbe facile per voi di modificare la vostra attitudine ma sono persuaso che il Vostro Capo, che possiede una mente politica superiore e che può prendere le decisioni che crede utili al suo Paese senza preoccuparsi di null'altro, vedrebbe l'opportunità di fare qualche cosa per prevenire che la Francia vi porti a combattere sul terreno che essa ha scelto.

Tenete presente che quello per cui oggi si discute è un accordo per la durata di cinque o sei anni. Si tratta di fissare di comune accordo quale sarà la situazione delle rispettive flotte nel 1936. Voi insistete perchè venga affermato il principio della parità con la Francia. I Francesi non vogliono ammetterlo e sono fermamente decisi a non lasciare che i Vostri armamenti raggiungano il livello di quelli francesi. Non vi è adunque nessuna possibilità di conciliare le due tesi. Voi però potreste benissimo fare nel modo più formale una dichiarazione chiara, precisa per dire che non rinunciate per nulla a far valere la vostra tesi. Dopo di che potreste dichiarare quali sono le vostre intenzioni di qui al 1936. Io vorrei consigliarvi una cosa ed è questa: di partire per Roma e di sottoporre al Vostro Capo la situazione quale si presenta oggi. Sono sicuro che Mussolini si renderà conto della utilità di entrare ìn quest'ordine di idee e di fare il gesto necessario perchè l'accordo si faccia fra le cinque Potenze e che l'Italia restandone fuori non abbia ad essere considerata -sia pure a torto -come la responsabile di una soluzione imperfetta.

Vi ho parlato da amico e come Primo Ministro di un Paese per il quale l'amicizia dell'Italia, che data da tanti anni, conta parecchio. Vi ho parlato molto sinceramente nell'unico intento di trovare una soluzione che non ci metta nella necessità di !asciarvi soli •.

• Non vedo come una mia andata a Roma potrebbe cambiare la situazione. Il Capo del Governo è informato di tutto. Non parto da Londra. Voi sapete ormai a memoria le ragioni per cui l'Italia non può cedere alla prepotenza francese. Se la Gran Bretagna è disposta a cedere, l'Italia non può fare altrettanto •.

(l) -Grandi riferì la conversazione con MacDonald anche con un t. pari data, ore 12,30, che non si pubblica. (2) -Cfr. n. 433.
453

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL DELEGATO AMERICANO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, MORROW, ED I MEMBRI DELLA DELEGAZIONE ITALIANA, BUTI E RUSPOLI

Londra, 29 marzo 1930, ore 11,30.

Il Signor Dwight Morrow aveva invitato Buti e Ruspoli ad andare a veder!o.

Il Signor Dwight Morrow ha rinnovato le dichiarazioni fatte dall'On. Stimson nel colloquio del 18 marzo con S. E. Grandi (l) che, nè la Delegazione americana, nè egli personalmente intendevano di intervenire nella divergenza italafrancese: meno che mai esercitare o aver l'aria di esercitare qualsiasi pressione. Ogni idea del genere era completamente da escludere. Egli si proponeva soltanto di chiarire gli elementi della divergenza in vista di una possibile conciliazione, e beninteso che ciò fosse di gradimento italiano.

Riprendendo l'idea del modus vivendi, già accennata da Stimson, egli si

domandava se non sarebbe stato nell'interesse italiano un accordo che dicesse

presso a poco quanto segue. L'Italia e la Francia riservano ognuna la questione

di principio della parità. Invece di limitarsi però ad una riserva pura e sem

plice ambo le parti specificherebbero le ragioni sulle quali basano, l'Italia il

proprio diritto alla parità, e la Francia quelli che essa ritiene i motivi per non

ammetterla. Così dal lato italiano si addurrebbe il precedente di Washington,

la proposta americana di parità italo-francese per tutte le categorie di navi, il

telegramma Briand ecc. ecc. In tal guisa resterebbe acquisito nel documento

finale non solo la posizione italiana, ma gli elementi di fatto e di diritto su cui

essa si basa. La quistione, insieme colla sua motivazione, sarebbe rinviata al 1936, alla fine della Convenzione da concludere attualmente. Nella Convenzione seguirebbe a queste dichiarazioni motivate di riserva, l'indicazione del programma di costruzioni italiane e francesi da oggi al '36. Innanzi di andare oltre e di parlare del programma, il Signor Dwight Morrow desiderava di conoscere il pensiero italiano sul suo suggerimento.

È stato risposto al Signor Dwight Morrow che l'idea poteva essere ingegnosa e rispondere al desiderio di giovare alla conclusione di un accordo reciprocamente vantaggioso. Pareva difficile però scorgere quello che l'Italia vi avrebbe effettivamente guadagnato. Le ragioni che suffragano la tesi italiana risalgono alla Conferenza di Washington e sono state rappresentate e sostenute durante tutto il periodo intermedio tra Washington e l'attuale Conferenza. Sono consacrate negli atti della Conferenza di Washington. Il telegramma Briand è consacrato in un Libro Giallo francese. La loro ripetizione nell'atto finale della Conferenza di Londra non vi avrebbe quindi aggiunto nulla. Il fatto veramente importante della Convenzione, anche e nonostante queste dichiarazioni motivate, sarebbe sempre costituito dalle cifre da far seguire a queste dichiarazioni. Occorreva evitare che il loro contenuto potesse, a cosi dire, smentire le riserve che le avessero precedute. Dalle eifre doveva risultare la parità. La proposta italiana di limitare la Convenzione al naviglio under age e in costruzione, lasciando fuori quello over age, era stata concepita con spirito eminentemente conciliativo. Essa rispettava il criterio della parità, e dava allo stesso tempo alla Francia un vantaggio, almeno fino a consumazione delle navi over age. Vantaggio che per i 5 anni della durata della Convenzione era tutt'altro che trascurabile, giacchè per 5 anni ancora buona parte delle navi over age francesi sarebbero state ancora efficienti.

Sono seguite le altre consuete argomentazioni a favore della tesi italiana (altro è insistere per una dichiarazione di parità, altro è negarla e quindi reclamare per sè uno stato di superiorità ecc.).

Il Signor Dwight Morrow -premettendo che non desiderava di avere subito la risposta -ha da ultimo richiesto se la Delegazione italiana avrebbe preferito un patto a 3 anglo-americano-giapponese o un patto a 5 e se le faceva piacere che il Signor Dwight Morrow si interessasse per conciliare la divergenza itala-francese.

(l) Cfr. n. 434.

454

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 30 marzo 1930.

Cronaca della settimana, che Tu in parte già conosci, e che, del resto, si desume indirettamente dalla lettura dei giornali. Più che altro allo scopo di dare una conferma o una smentita o una interpretazione realistica alla ridda confusa di notizie che appaiono ogni giorno sulla stampa internazionale.

Domenica scorsa MacDonald mi fece avere -in grande segretezza -un progetto, da lui escogitato, che avrebbe, secondo lui, potuto comporre, con soddisfazione di entrambi, il contrasto franco-italiano. Preghiera di studiarlo, scongiuri di non respingerlo a priori, non parlarne con alcuno, modificarlo ove fosse inaccettabile, mantenendolo come base di trattative. Allego una copia di questo nuovo progetto MacDonald, che poi ho saputo essere stato il parto laborioso dell'Ammiraglio inglese Fisher e dell'americano Dwight Morrow.

Lunedì ho dichiarato a MacDonald (l) assolutamente inaccettabile il suo progetto, pregandolo di non insistere, e consigliandolo nell'interesse della Conferenza di lasciarlo cadere prima ancora di prenderlo in considerazione. MacDonald non si è arreso. Gli ho spiegato ancora tutte le ragioni perchè il progetto presentato non poteva essere preso in considerazione da noi, neppure come base di discussione. Il progetto implicava infatti l'adesione al principio della denuncia dei programmi, sanciva in modo evidente la differenza fra la flotta francese e quella italiana, e attraverso un complicato meccanismo (accettazione dello statu quo e facoltà dei rimpiazzi, da proporzionarsi secondo l'attuale calcolo delle forze) giungere al 1936 permettendo alla Francia di avere per quella data una flotta superiore a quella italiana, e con un tonnellaggio ancora maggiore rispetto alla flotta italiana di quello attuale.

MacDonald non si è dato ancora per vinto. Mi ha dipinto a foschi colori la situazione europea nel caso di un fallimento della Conferenza, l'inevitabile guerra tra Francia ed Italia (?), la responsabilità sull'Italia del fallimento della Conferenza. È allora che ho perso un po' la pazienza e .gli ho dichiarato che volevo dargli un consiglio nell'interesse della pace mondiale e del suo prestigio personale: aggiornare sine die la Conferenza. In seguito gli avvenimenti avrebbero consigliato tutti sul da farsi. Così è finita la conversazione di lunedì. Martedì mattina, con mia meraviglia, il Daily Herald ed il Times (unici fra i giornali inglesi) hanno pubblicato la notizia di una nuova proposta italiana: aggiornamento della Conferenza a sei mesi, sospensione delle costruzioni navali per tale periodo, MacDonald intermediario tra Francia ed Italia allo scopo di comporre il dissidio franco-italiano durante questi sei mesi. Ho protestato e smentito. I due giornali hanno dichiarato che la notizia veniva da MacDonald in persona. Ho mandato il Ministro Rosso a Downing Street per lamentarmi di questo modo di procedere. Spiegazioni, malinteso, ecc. ecc. La cosa è finita lì.

Lunedì sera la Conferenza sembrava essere entrata nella fase del collasso. Improvvisamente, nella giornata di martedì, tre fatti nuovi. Dichiarazione americana favorevole, in massima, alla conclusione di un patto consultativo. Ritorno di Briand. Riunione della Conferenza a cinque. Uno strano ottimismo ha pervaso ad un tratto i circoli della Conferenza. MacDonald ha riassunto nella riunione dei Capi Delegazione la situazione, specificando le tre questioni ancora insolute. Questione americano-giapponese. Questione franco-britannica. Questione italo-francese. È stata decisa la convocazione di una seduta plenaria.

Il ritorno di Briand, accolto dalla stessa stampa inglese come il probabile salvatore della Conferenza, nello stesso momento in cui la stampa francese sospendeva i suoi attacchi a MacDonald -ha determinato la ripresa delle conversazioni fra Ammiragliato britannico ed esperti navali francesi, e l'inizio ài conversazioni tra il Foreign Office e la Delegazione francese intorno ad una

serie di progetti • politici • in margine alla Società delle Nazioni, progetti non ben definiti e non tuttora esattamente definibili. Un'atmosfera di mistero sui contatti anglo-francesi divenuti ad un tratto, tra la generale meraviglia, tanto amichevoli quanto ostili erano stati sino allora (1). L'americano Gìbson mi ha informato che la differenza di tonnellaggio in contestazione tra inglesi e francesi era giunta giovedì a 40 mila tonnellate e si prevedeva che tanto inglesi come francesi avrebbero • tagliato a metà •. L'esame delle cifre è stato sospeso giovedì, in attesa di un risultato delle trattative politiche fra Briand e Henderson. MacDonald, giovedì e venerdì è apparso cambiato. Perfino la notizia del ritardo della risposta giapponese non ha mostrato di impressionarlo.

Ti ho inviato una breve relazione della mia conversazione con MacDonald dì giovedì (2). Per la prima volta MacDonald mi ha posto direttamente il problema di un accordo a quattro, come possibile, e me lo ha posto con un'apparenza di rassegnata fatalità che contrastava con la violenza di persuasione impiegata in occasioni precedenti allo scopo di smuovermi dalla rigidità della posizione assunta dall'Italia.

Nel pomeriggio di giovedì Stimson mi ha mandato Gibson per • confermarmi la neutralità della Delegazione americana.· Confermarmi altresì che nel pensiero della Delegazione americana l'idea di un patto a quattro non era stata presa in considerazione. Ma che nello stesso tempo la Delegazione americana non si rendeva conto perchè l'Italia rifiutasse un accordo sui programmi. Nessuna rinuncia del principio della parità, ma semplice aggiornamento al 1936 della questione •.

Con Stimson, con Gibson, coi Delegati americani ed inglesi, che ho avvicinato e fatto avvicinare in questi giorni, mantenendo e intensificando i contatti con tutti (specie coi Delegati americani Adams, Reed, Robìnson, Dwight Morrow) mi sono apertamente doluto del voltafaccia di MacDonald. Venerdì ho domandato un colloquio a MacDonald, ed ho mandato il Ministro Rosso da Craigie, perchè MacDonald sapesse che l'atteggiamento della Delegazione britannica e del Foreìgn Offi.ce da martedì ad oggi era giudicato inesplicabile dalla Delegazione italiana, per cui ritenevo mio dovere, a scanso di malintesi, domandare a lui una spiegazione, dopo la quale la Delegazione italiana avrebbe esaminato la condotta da adottare, non solo nei riguardi della Conferenza in generale, ma altresì della stessa Delegazione britannica. MacDonald mi ha pregato di andare da lui sabato a colazione nella sua villa di campagna, ai Chequers. Ho risposto che ero impegnato avendo a colazione il Delegato americano Senatore Robinson. MacDonald ha rinnovato il suo invito per oggi. Ti scrivo precisamente dopo il mio incontro con MacDonald, appena di ritorno a Londra.

MacDonald non mi ha detto nulla, sostanzialmente, di nuovo. Dopo avere

prolissamente spiegato che io ero in errore a credere che egli avesse mutato

pensiero, in quanto che egli considerava un patto a quattro come una jattura,

e si rifiutava perfino di immaginarlo come probabile, ha finito col ripetermi

presso a poco quanto mi disse giovedì: • Nessuno vuole il Patto a quattro. Ma

esso si realizzerà automaticamente, una volta che, raggiunto (come è ormai raggiunto) il Patto a tre fra America Giappone e noi, sia parimenti raggiunto un accordo fra noi e la Francia. Non è l'Italia che resta fuori. È la questione itala-francese che resta insoluta. È l'Italia che rifiuta l'accordo provvisorio offertole sulla base dei programmi, ossia senza pregiudizio del principio della parità •.

Chiestogli sullo stato attuale delle trattative MacDonald ha risposto evasivamente.

• La Francia ha chiesto delle garanzie di sicurezza, e la Gran Bretagna ha accettato di discutere il problema. Ma la Gran Bretagna non intende in nessun modo assumere degli impegni che portino ad obblighi militari, ciò che la Francia invece vuole con la sua richiesta di precisare la portata degli articoli del Covenant che concernono le misure preventive dei conflitti (art. 11) e le misure repressive contro l'eventuale aggressore (art. 16) •.

Ho dichiarato a MacDonald che era molto strano il fatto che l'Italia, membro della Società delle Nazioni, e firmataria del Patto di Locarno, fosse tenuta all'oscuro di trattative vertenti precisamente sugli obblighi da assumersi da parte dell'Italia, in caso di conflitto. L'interpretazione dell'art. 16 era stata una delle questioni più delicate discusse a Locarno, e lo stesso Trattato di Locarno ha un protocollo che si riferisce unicamente (su richiesta tedesca) a tale questione.

c Non in qualità di Capo della Delegazione italiana alla Conferenza navale ma come Ministro degli Esteri Italiano non posso fare a meno di richiamare, molto seriamente, la Vostra attenzione su tutto ciò, dichiarandovi fin d'ora che l'Ital~a terrà conto di questi elementi nel determinare la sua futura condotta non solo nel consiglio della Società delle Nazioni, ma altresì di fronte allo stesso Patto di Locarno •.

MacDonald ha replicato dicendo che le conversazioni tra il Foreign Office e la Delegazione francese non dovevano essere considerate, finora, se non come

• modo d'esplorare il terreno • e nulla più. Era inteso che non appena si fosse intravveduto una possibilità di accordo l'Italia sarebbe stata subito pregata di partecipare allo svolgimento ulteriore delle trattative in modo che l'eventuale accordo risultasse concluso fra Francia, Inghilterra, Italia.

c Ma l'Italia -ho replicato -non ha nessuna intenzione di concludere un accordo di questo genere. La mia osservazione vuole limitarsi a constatare l'adozione di una procedura che il Governo italiano considera inammissibile •.

La conversazione è poi passata all'esame dell'argomento sostanziale. Gli ho ripetuto per la ennesima volta le nostre ragioni:

• -Voi non vi siete reso esatto conto di quello che significano le vostre "suggestioni , nei riguardi della posizione dell'Italia. Vi ho già spiegato lunedì u. -s. perchè non possiamo aderire all'idea della limitazione sulla base dello statu quo. La Francia ha presentato a Londra la propria situazione in modo da far apparire le sue forze attuali come di gran lunga superiori a quelle italiane. Ha messo in conto tutte le navi vecchie, le navi buone, le navi in costruzione, più un ingente programma di nuove costruzioni, ossia navi sulla carta. Ricordando l'esperienza di Washington, e allo scopo di prevenire il pericolo che anche a Londra la limitazione potesse effettuarsi sulla base dello statu quo, la Francia si è presentata qui nelle condizioni migliori per chiedere di più. Noi non lo abbiamo fatto. Noi abbiamo avuto il torto di radiare le nostre navi

vecchie, e di venire a Londra, con un modesto programma di costruzioni in corso, e senza fare nessun programma per i prossimi anni. Noi speravamo sinceramente che la Conferenza di Londra ci avrebbe permesso di non costruire più di quel poco che abbiamo in costruzione. Noi non abbiamo mai preso l'iniziativa di aumentare la nostra flotta. Abbiamo dovuto farlo solo quando le nuove costruzioni francesi ci hanno obbligato a seguirle. Ma anche facendolo, non abbiamo pensato seriamente di entrare in una competizione di armamenti. Ed infatti abbiamo assistito indifferenti alla formidabile flotta di sottomarini che la Francia si è messa a costruire in questi ultimi anni. Ora, accettare lo statu quo, significherebbe essere puniti per avere fatto una politica di disarmo, e per avere creduto nella Conferenza del disarmo. È possibile ciò?

Voi, MacDonald, mi avete anche detto: mantenete fermo il principio della parità, ma indicate i vostri programmi. Al 1936 la situazione sarà riesaminata, e voi farete di nuovo valere le vostre ragioni. Questo ragionamento sembra accettabile, ma solo in apparenza (qui gli ho ripetuto le solite ragioni, ecc. ecc.).

La dichiarazione dei programmi avrà per effetto di spingere Paesi ad armare. Non altro.

Ma supponiamo per un momento che la Conferenza finisca con un accordo a quattro sui programmi, senza l'Italia. Che cosa succede? Ve lo dico subito. L'Italia che fino a tre mesi fa non aveva in animo di entrare in una gara di competizioni navali, nè pensava ad aumentare il suo modesto programma di costruzioni, sarà costretta a gettare sul mare una quantità di tonnellate di naviglio che colmino il più rapidamente possibile l'attuale differenza colla Francia. Risultato: che voi, inglesi, per mantenere il two Powers standard, sarete costretti ad aumentare la vostra flotta del doppio. Bell'affare che fate, in verità!

E non illudetevi, nè i francesi si illudano che l'Italia non abbia capacità di sostenere il sacrificio finanziario di una Marina potente. Ciò infatti è stato detto. Avrete delle forti sorprese, su questo punto. Basta che il nostro Capo faccia un cenno, ed il popolo italiano, tutto intero, darà al nostro Paese la Marina di cui la difesa del Paese ha bisogno. Se noi non abbiamo la ricchezza dei forzieri francesi, abbiamo però una ricchezza che compensa largamente quella: la disciplina, e l'abnegazione fino al sacrificio. Tanto più che per fare la Marina che ci occorre allo scopo di evitare nel 1936 gli attuali pericoli della futura conferenza del disarmo non c'è proprio bisogno che il Capo del Governo domandi eccezionali sacrifici al popolo italiano.

Ma non è tutto qui. Altre conseguenze, e non indifferenti. Voi avete mostrato più volte di impensierirvi dei rapporti itala-francesi. Un accordo a quattro renderà indubbiamente questa crisi più acuta. Inoltre l'Italia si troverà nella conseguente necessità di rivedere, nelle sue basi, la sua politica nei riguardi della Gran Bretagna. Il popolo italiano è fedele nelle sue amicizie. Ma non tollera infedeltà. La Gran Bretagna fa a meno dell'Italia. L'Italia farà a meno della Gran Bretagna. Negli ultimi dieci anni la politica continentale europea ha avuto come pilastro l'azione solidale e combinata della Gran Bretagna e dell'Italia. La nostra comune azione ha rappresentato l'elemento equilibratore dell'azione tedesca e dell'azione francese. Locarno è la formula internazionalegiuridica di questa azione. La Gran Bretagna altera questo piano di politica in

ternazionale e si mette a rimorchio della politica continentale della Francia. L'Italia troverà altrove le sue alleanze e le sue amicizie • (1).

Previsioni? Non ne faccio. Non è possibile farne. Tutto dipende dalla sorte delle trattative franco-inglesi. La situazione franco-inglese ha determinato, dal principio, tutta la Conferenza. Il sacrificio di 100 mila tonnellate rappresenta un sacrificio molto facile a farsi da parte della Francia. Quando Tardieu ha indicato la ·cifra di 720 mila era troppo evidente che si teneva alto appunto per avere un margine di contrattazione.

Fino a 15 giorni fa la volontà francese di determinare il fallimento della Conferenza appariva chiara. Il contrasto coll'Italia, voluto ed aggravato appositamente da parte francese, ha significato anche questo: un ostacolo di più per il successo della Conferenza. Da una decina di giorni la linea dell'azione francese appare modificata. La diplomazia francese sta puntando su una carta molto grossa, profittando della paura di MacDonald e dell'azione confusa, indecisa, isterica di quest'ultimo. Realizzare attraverso la cosidetta interpretazione dell'art. 16 del Covenant, in fatto se non i.n diritto, l'alleanza militare francobritannica, sia pure nell'ambito della Società delle Nazioni. Dato il particolare momento che la Gran Bretagna attraversa, ciò significherebbe praticamente la mano libera alla Francia, e indirettamente, il riconoscimento da parte britannica all'azione predominante della Francia in Europa.

Le resistenze britanniche a questo programma francese sono forti. Non credo che la Francia riuscirà in tutto il suo piano. Ma è vero altresì che la Francia teme, non vuole che la Conferenza finisca con un accordo a tre fra America, Gran Bretagna, Giappone. La Francia è venuta a Londra per assicurarsi un nuovo rango di potenza mondiale. A Londra la Francia ha parlato, per la prima volta, di Impero. Una delle profonde ragioni della sua ostilità alla parità dell'Italia sta precisamente in questo. La parità coll'Italia innalza l'Italia, ed abbassa la Francia rispetto alle tre grandi Potenze mondiali. Gli inglesi si sono accorti che Briand teme come il fumo negli occhi un accordo a tre e lo vuole evitare. Questo lo hanno capito benissimo gli inglesi. Di qui il loro ottimismo improvviso. Essi credono che Briand finirà di contentarsi di una formula politica anodina che gli permetta di giustificare avanti l'opinione pubblica francese la concessione di un centinaio di migliaia di tonnellate dello Statut Navat. A meno che, all'ultimo momento, i Rappresentanti della Marina francese, ai quali importa assai più centomila tonnellate che un accordo a tre o a quattro, non abbiano il sopravvento sulla diplomazia del Quai d'Orsay. Di fatto in questa Conferenza Navale non c'è che un Paese il quale si preoccupa degli interessi propriamente • navali • e cioè la Gran Bretagna. Per gli altri quattro America, Francia, Italia, Giappone, la Conferenza Navale è innanzi tutto una partita dove si gioca il prestigio ed il rango delle N azioni.

Ad ogni modo, qualunque sia la fine di questa esasperante, estenuante partita che dura da più di due mesi, una certezza è acquisita per noi. La certezza della nostra necessità, pena la perdita del nostro rango di Potenza mondiale, di avere pel 1936 una potente marina, pari o quasi a quella francese. La Francia,

rifiutandoci la parità, ci ha lanciato una grossa sfida, e ci attende nel 1936, alla prova dei fatti. Nel 1922 le tre grandi Potenze mondiali dichiararono la parità tra Francia ed Italia, e la Francia accettò. Nel 1930 la Francia ha negato all'Italia il diritto alla parità, e le tre grandi Potenze mondiali non hanno voluto pronunciarsi nè per la Francia nè per l'Italia. Nel 1936 l'Italia fascista, dopo quanto ha affermato e sta affermando a Londra, non può fare a meno di presentarsi con una flotta potente al pari di quella francese. Infatti, tutte le difficoltà contro le quali cozziamo a Londra non derivano altro che da un fatto: l'esserci presentati senza un vasto programma navale, con un'inferiorità (48 mila tonnellate) nel naviglio sottomarino, e senza • cassoni • a galla da rimpiazzare.

Ecco, a mio avviso, prima ancora che la Conferenza finisca, la morale che io traggo dalla Conferenza di Londra. Intanto, ricominciamo a batterci domani.

N. B. -Quando questo rapporto ti giungerà, esso sarà certamente superato

dal corso a zig-zag degli avvenimenti. Esso varrà ad ogni modo come cronaca retrospettiva.

ALLEGATO.

SUGGESTIONS UNOFFICIAL AND PURELY TENTATIVE

(NOT AGREED BY ANY DELEGATION)

(Ed. in D B, Serie II, Vol. I, n. 169 appendice, p. 276)

MosT SECRET. Mar'ch 19th 1930.

Italy might draft a memorandum stating:

a) that this offer is made so as to facilitate the work of the Conference and give the world a chance of escaping from the calamity of rival naval building; b) that at Washington you [sic] secured parity in battleships and asserted

your [sic] claim to parity in auxiliary fleets as a whole; c) that Italy holds to this and that no agreement come to here must be taken in any way to be a departure from it; d) that for the period during which this agreement is to run: viz: unti! 31st December 1936, as a basis of discussion Italy will agree to maintain the status quo;

e) that during this period all building undertaken by the two countries in auxiliary ships shall be of the nature of replacement tonnage and what new ships are built shall be in the categories set forth by the Powers in the programmes embodied in, or annexed to, the agreement, so that the total category tonnage set out in the agreement shall not be exceeded at the end of the period;

f) that this right of replacement should be limited to a proportion of over age tonnage to be included in the global tonnage mentioned in section (d) which shall be adjusted to the programmes of the three Powers represented at the Conference;

g) that Italy reserves the right to retain its liberty to bring to the 1935 Conference its claim unimpaired by any agreement made at the London Conference or by any building undertaken in the interval.

(l) Cfr. n. 446.

(l) -Per questi contatti cfr. il colloquio Henderson-Briand del 27 marzo (DB, Serie II. vol. I, n. 170). (2) -Cfr. n. 452, allegato.

(l) Sul colloquio Grandi-MacDonald, al quale partecipò anche Rosso, fu redatto un promemoria che non si pubblica.

455

PROMEMORIA DELL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 164. Londra, 31 marzo 1930.

Mi sono recato oggi da Sir Robert Vansittart (l) per chiedergli notizie delle conversazioni che, secondo le voci che circolano con insistenza da qualche giorno, egli avrebbe avuto col Signor Massigli e col consulente Legale del Foreign Office, Signor Malkin, per la ricerca di una formula interpretativa di alcuni articoli dello Statuto della Società delle Nazioni, in relazione a quelle maggiori garanzie di sicurezza che la Francia richiede per modificare il suo atteggiamento e le sue cifre in quest'ultima fase della Conferenza per la riduzione degli armamenti navali.

Gli ho espresso anche la mia meraviglia per il fatto che l'Italia non fosse stata invitata a partecipare a tali conversazioni non solo come Membro della Società delle Nazioni e firmataria del Patto di Locarno, ma anche come quella fra le cinque Potenze partecipanti alla Conferenza Navale che insieme alla Francia ed ,all'Inghilterra ha eguali interessi negli argomenti che venivano discussi.

Sir Robert ha cominciato per assicurarmi non essere mai stata intenzione del Foreign Office di !asciarci fuori da conversazioni che potrebbero comunque interessare l'Italia sia dal punto di vista della Conferenza Navale che da quello della politica generale. Che finora le conversazioni svoltesi tra lui, Malkin e Massigli avevano avuto un semplice carattere di scambio di vedute, inteso ad esaminare la possibilità di trovare nei patti già esistenti una base di maggior precisione per la sicurezza della Francia. L'iniziativa di queste conversazioni essendo partita dalla Francia non si era creduto invitare l'Italia a parteciparvi finchè non si fosse arrivati a qualche cosa di più concreto su cui fondare una più seria discussione. Le conversazioni però hanno dimostrato l'impossibilità di un'intesa su una formula qualsiasi.

Sir Robert credeva che oramai le conversazioni stesse non sarebbero state riprese e che, se mai, sarebbe spettato ai Capi delle Delegazioni ritornare sull'argomento. Mi ha assicurato di nuovo che se ci fosse la probabilità di conchiudere qualche cosa, l'Italia sarebbe stata certamente invitata alla discussione e non sarebbe stata messa di fronte ad un fatto compiuto.

Nel corso della conversazione ho espresso a Vansittart le mie preoccupazioni per la piega che la Conferenza Navale minaccia di prendere. Gli ho detto che se veramente si giungesse ad un accordo tra tutte le Potenze senza l'Italia, ciò dovrebbe, secondo me, portare come conseguenza ad una revisione generale della politica dell'Italia, non solo nei confronti della Francia, ma anche dell'Inghilterra stessa e, necessariamente, ad una politica di armamenti che l'Italia non desidera e che sarebbe contraria agli scopi per i quali la Conferenza è stata convocata.

Vansittart ha mostrato di apprezzare e condividere le mie preoccupazioni, ma mi ha detto che non credeva alla possibilità di un accordo a quattro senza l'Italia. Egli crede piuttosto alla possibilità di un accordo a tre, che lascerebbe adito ad un'adesione dell'Italia e della Francia quando le due Potenze riuscissero a mettersi d'accordo e semprechè quest'adesione non si facesse troppo aspettare.

La mia conversazione con Vansittart ha avuto luogo alle 3 e mezza. Alle cinque egli mi ha telefonato per dirmi che essendo sopravvenuti fatti nuovi dopo il nostro colloquio, il Signor Henderson desiderava vedere V. E. e me domani alle 11 e mezza al Foreign Office (1).

(l) Bordonaro si recò da Vansittart per decisione presa da Grandi durante il suo colloquio con MacDonald del 30 marzo.

456

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 1489/292. Bndapest, 31 marzo 1930.

Nel riferire all'E. V. subito dopo il mio recente arrivo a Budapest, circa le prime mie conversazioni col Capo di questo Governo, non mancai di trasmettere le espressioni della sua viva gratitudine per l'appoggio tanto efficace dato dall'Italia all'Ungheria in occasione delle trattative dell'Aja, e poi di Parigi, per la questione degli optanti e per quella delle riparazioni orientali.

Il Conte Bethlen, il quale già fin d'allora mi aveva fatto noto -come ho anche riferito -il suo proposito di manifestare appena possibile direttamente al Capo del Governo italiano tale sua riconoscenza, recandosi espressamente nella nostra capitale, mi ha poi, in un colloquio che ho avuto con lui alcuni giorni or sono alla Presidenza del Consiglio, informato di aver fatto chiedere pel tramite del Signor De Hory (2), se sarebbe stato gradito a S. E. Mussolini e di sua convenienza, che la progettata visita si effettuasse fra il 10 ed il 14 aprile prossimo, soggiungendo di aver prescelto tale epoca nella considerazione che, pur cadendo essa nel periodo di sospensione dei lavori parlamentari qui, non avrebbe creato, in Italia, fastidiose interferenze con le ferie pasquali.

Nel corso dell'anzidetta conversazione, il Conte Bethlen, dopo avermi rinnovato le note espressioni di sentimenti di assoluta cordiale amicizia verso l'Italia, che devono, secondo lui, continuare a costituire la base fondamentale della politica estera ungherese, si è anche soffermato ad esaminare le relazioni di questo Paese con le altre Grandi Potenze europee e, più specificatamente, con gli Stati limitrofi che lo circondano.

Nei riguardi della Francia, pur non avendo trovato, nelle espressioni del Presidente del Consiglio, quella stessa ostile veemenza che prorompeva dai discorsi confidenzialmente tenutimi in precedenti lunghe conversazioni, dal Reggente Ammiraglio Horthy e dal Ministro della Guerra Gombos, non saprei certo dire di avervi notato particolare simpatia, ed ho piuttosto riportato l'impressione che il Conte Bethlen -il quale mi ha spontaneamente dichiarato di

rendersi perfettamente conto del fatto che, anche a voler prescindere da ogni voluto calcolo diplomatico del Quai d'Orsay, è come una fatale necessità per la Francia l'appoggiare gli interessi czechi in contrasto con quelli magiari -cerchi naturalmente di barcamenarsi con Parigi sia per smontare il lento ma ininterrotto lavorio che qui si compie dalla propaganda francese in senso democraticomassone, ostile quindi alla compagine ed all'essenza politica del Gabinetto (per quanto mi consti che il rappresentante diplomatico di Francia, Signor De Vienne, non sia, nel suo intimo, di sentimenti nè democratici nè massonici), sia per non crearsi difficoltà nelle interessanti questioni finanziarie colà tuttora in via di regolamento. Per queste, anzi, ho potuto constatare come, non solo singoli membri del locale Governo -tra cui, forse, principalmente il Ministro delle Finanze Wekerle-ma anche l'opinione pubblica dei circoli di stampa e sociali, guardino, pur sempre in mezzo alle espressioni di assolutamente generale gratitudine per l'appoggio concesso dall'Italia, con particolare compiacimento e fiducia all'azione che può e che si cerca di far svolgere a Loucheur nell'ulteriore corso del negoziato.

Verso l'Inghilterra, è noto il generale entusiasmo -per non dire il feticismo -un tempo non lontano qui risvegliato da Lord Rothermere, forse un tantino al ribasso nel momento attuale, per quanto se ne continui a vedere l'effige raffigurata in tutti i pubblici locali, nelle camere d'albergo e sulle cartoline di propaganda, nonchè a sentire il nome assai spesso associato con quello di Mussolini nelle innumerevoli occasioni di discorsi e commemorazioni patriottiche. Con grande ammirazione, quasi con entusiasmo, me ne ha parlato il Ministro degli Esteri Walko; più freddamente, per lo meno nella forma, il Presidente del Consiglio. Entrambi si sono espressi meco con deferenza sulla « obbiettività • dimostrata verso l'Ungheria dai delegati del Governo britannico all'Aja nel negoziato per le riparazioni orientali, tenendo conto, hanno posto in rilievo, della marcata differenziazione tra le tendenze costitutive dei due Gabinetti. Naturalmente, la Gran Bretagna, la quale non svolge qui -nè mi sembra che il suo Ministro, Visconte Chilston, persona che appare di carattere mite ed amante piuttosto del quieto vivere, sarebbe eventualmente il più adatto ad un tal compito -una particolare politica attiva che non sia di generale equilibrio balcanico, esercita sempre il suo peso, e gode di buona considerazione, ma non parmi debba crearci, almeno pel momento, particolari imbarazzi.

La Germania costituisce indubitatamente un importantissimo centro di attrazione e di affinità con i più svariati ambienti di questa capitale, se non proprio con quelli più marcatamente agricoli della provincia, e sarebbe semplicemente puerile il negare che, sia attraverso la lingua qui quasi universalmente conosciuta e parlata, sia attraverso l'opera di penetrazione commerciale, industriale e culturale, il Reich stia a poco a poco riprendendo, come del resto anche negli altri Stati del centro Europa e balcanici, con opera sommessa ma paziente e tenace, alla quale indefessamente si adopra qui con zelo ed accortezza rimarchevoli il Ministro Plenipotenziario Von Schoen, buona parte delle posizioni perdute subito dopo la guerra. Pur senza sembrarmi aver esso, pel momento, assunto proporzioni tali da destare proprio tutto quell'allarme che veniva, del resto con sagace senso d'osservazione e chiarezza, tratteggiato nell'interessante esposto presentato a S. E. il Capo del Governo dall'inviato speciale del

Popolo d'Italia, se non erro nell'ottobre novembre scorso, è questo di una certa ripresa dell'influenza germanica senza dubbio uno dei fenomeni che maggiormente meritano d'essere seguiti con interesse nello studio delle relazioni internazionali di questo paese. Conversandone con me in diverse occasioni, hanno, in primissima linea il Reggente Ammiraglio Horthy, e subito dopo il Ministro della Guerra Generale Gombos e lo stesso Conte Bethlen, cercato spontaneamente come di scagionarsi aprioristicamente da un simile addebito senza che, peraltro, io lo avessi comunque mosso loro -asserendo con insistenza, e ritengo anche con buona convinzione, che • si rendono conto perfettamente dell'importanza capitale che ha per la Ungheria il mantenimento di legami sempre più intimi con l'Italia, particolarmente nel campo politico e militare • (sic). Ciò essi hanno, separatamente ma concordemente soggiunto, pur non disconoscendo la sussistenza di altre simpatie e di vincoli personali d'amicizia che non possono fare a meno dal continuare ad esercitare, forse anche soltanto subcoscientemente, da parte della Germania, un certo fascino ed una certa influenza su moltissimi elementi degli ambienti della diplomazia, della cultura intellettuale ed artistica, nonchè in quelli delle forze armate ungheresi. Anche più esplicito in questa constatazione, assai ben temperata però da formali dichiarazioni di preferenza ragionata e sentita per noi, che la sua italofilia ben provata

dalle indiscusse benemerenze già da lui acquistate a nostro riguardo, mi fanno considerare sincere, è stato il ben noto Ministro della Pubblica Istruzione e dei Culti Conte Kuno Klebelsberg. In quanto al Segretario Generale Conte Khuen Hedervary, egli mi ha apertamente manifestato l'avviso, che nel giuoco politico dell'Ungheria, debba entrare, per quanto possibile, la veduta di cordiali -relazioni con la Germania.

Particolare studio hanno posto parlandomi, tanto il Presidente del Consiglio che il Ministro degli Esteri Walko -e, quando se ne è meco presentata l'occasione, analogamente si è regolato Khuen Hedervary -a far risaltare, come era prevedibile, essere fra le precipue direttive della politica estera di questo Governo, la più assoluta indipendenza dalla Piccola Intesa considerata come blocco internazionale. Il Conte Bethlen si è addirittura compiaciuto, indugiandosi a descrivermi il reciso rifiuto da lui ancora recentemente opposto agli ap· procci che avrebbe cercato di fargli, per tentare di attrarlo in quell'orbita, Benes, cui egli avrebbe senz'altro risposto d'esser pronto a trattare eventualmente con lui affari inerenti ai due Stati, purchè considerati isolatamente, e non mai se tali trattative dovessero intendersi come condotte innanzi dalla Czecoslovacchia non per suo proprio conto, ma per quello comune dei suoi altri alleati. Ufficial· mente è stato qui di recente pubblicato, giusta quanto non ho mancato di riferire, un comunicato di precisa smentita a voci corse nella stampa -in correlazione col gran discorrere che di tratto in tratto si va rinnovando, di riavvicinamento magiaro alla Jugoslavia -secondo cui sarebbe stata addirittura in corso di elaborazione una qualche forma di atto od accordo concreto

tra Budapest e Belgrado. Il Conte Bethlen ha avuto cura di far cadere in discorso con me la conferma di tale smentita, e, in tutte le conversazioni che mi capita di avere con personalità che fanno ufficialmente o per semplice dilettantismo della politica estera, si tiene, quasi un po' come se ciò mi fosse dovuto nella mia qualità di Rappresentante italiano, a parare ogni sospetto di tendenza riavvicinatrice alla Serbia. Non vi è dubbio, però, che, sia nell'opinione pubblica generale, quanto nel concetto dei Governanti ungheresi, l'intima sensazione che predomina nei riguardi dei varii Stati della Piccola Intesa è di gran lunga quella del risentimento e dell'ostilità verso la Czecoslovacchia. Sono contro di questa le aspirazioni e le grida di rivincita. E, mentre per la Rumania, dopo la sistemazione della questione degli optanti, si nota una certa détente ben percettibile -che non mi apparirebbe dover essere da noi guardata con preoccupazione in quanto tende ad eliminare uno dei possibili avversari certamente temibili dell'Ungheria in caso di conflitto a Sud-Ovest -giungente ad estrinsecarsi con manifestazioni di ,cordialità tra questo governo ed il Rappresentante rumeno a Budapest (il Ministro Klebelsberg, venuto a trovarmi alla Legazione, mi chiese confidenzialmente consiglio se dovesse o meno accettare un invito a colazione dall'inviato rumeno Grigorcea, alla quale intervenimmo poi tutti e due), sta di fatto che pur sussistendo anche verso la Jugoslavia risentimento ed ostilità, sono essi verso di quest'ultima, malgrado tutto, nell'ordine dei varii paesi che si sono arricchiti di territorio a spese dell'Ungheria, i meno profondamente

sentiti.

Delle relazioni con l'Austria e con la Polonia mi riservo trattare a parte, riferendo circa interessanti e particolareggiate conversazioni avute in proposito con i Ministri Klebelsberg e Gombos dopo i loro ultimi viaggi a Vienna.

In conclusione credo poter esprimere il subordinato avviso che, nella progettata visita che questo Presidente del Consiglio -attualmente, come è noto, a Parigi, dove si è recato precipitosamente, chiamato nuovamente, giusta quanto egli ebbe a dichiararmi all'atto della partenza, dal Barone Koranyi che invocava, sto per dire disperatamente, l'ausilio di un membro di questo Governo per esserne pilotato e sorretto nella difficile navigazione tra gli scogli czechi dei negoziati là in corso per l'applicazione dei deliberati dell'Aja -si propone di fare prossimamente a Roma a S. E. il Capo del Governo, le cose e gli argomenti che gli verranno esposti dal Conte Bethlen, costituiranno in complesso una conferma del sincero intendimento ungherese di continuare nella via del rinsaldamento di sempre più cordiali rapporti con l'Italia, intendimento che ci conviene sperare attuato, desiderando ed appoggiando nei limiti del possibile e dell'opportunità, la permanenza, al Governo di questo Stato, dell'attuale Gabinetto, sotto la saggia ed equilibrata reggenza dell'Ammiraglio De Horthy.

(l) -Cfr. n. 459. (2) -La richiesta di de Hory era stata f~tta il 15 marzo, dopo un primo sondaggio fatto alla fine di gennaio.
457

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. R. 42024. Roma, 31 marzo 1930.

Con il telespresso n. 41188 del 9 corrente (l) ho esposto a V. E. le mie idee sull'argomento in genere della nostra azione politica verso lo Yemen. Perviene ora un rapporto sullo stesso argomento del R. Governatore della Colonia Eritrea, nel quale le considerazioni da me fatte a V. E. trovano conferma, e che

credo opportuno inviare integralmente a V. E. nonostante qualche spunto retrospettivo e polemico, che forse esorbita dalla trattazione obiettiva dell'argomento (1).

La questione dei nostri rapporti con lo Yemen e in generale della nostra situazione nel Mar Rosso è così importante e interessa tanto le sorti della Colonia Eritrea che son sicuro di avere V. E. consenziente con me nel riconoscere la necessità di fare quanto è possibile per vincere le difficoltà, che nella mia precedente comunicazione e in questa di S. E. Zoli sono enunciate e discusse.

« Ho detto, del resto, che questo volontario ed inoffensivo, nonchè molto saltuario, servizio di informazioni è l'unico mezzo per mantenere qualche contatto coll'Imam, dopo che attorno ai nostri sanitari ed agenti nello Yemen, e specialmente intorno a quelli residenti in Sanaa, è stato abilmente elevato dalle Autorità yemenite quel muro d'isolamento che V. E. sa, via via che gli agenti russi hanno, coi mezzi più volte ripetuti, preso piede nel paese, ed a misura che l'Imam è venuto persuadendosi, prima dell'inutilità poi del pericolo e del danno, di mantenere uno stato di conflitto acuto ed aperto cogli inglesi, e dell'opportunità invece di venire con questi a più miti consigli e forse di accordarsi con loro: opportunità della quale -non bisogna dimenticarlo, e conviene oggi riconoscerlo! -noi stessi, seppure in tono blando, lo abbiamo indotto, o per lo meno aiutato, a convincersi.

Non bisogna dimenticare e conviene riconoscere che c'è stato un momento, a fine autunno del 1928, in che noi abbiamo temuto che il Governatore dell'Eritrea facesse una politica troppo apertamente e troppo pericolosamente anti-inglese -timore avvalorato da qualche noticina verbale dell'Ambasciata britannica in Roma o da qualche rilievo dell'Ambasciata d'Italia in Londra, non sono in grado di precisarlo -che ci ha indotti a dare un colpo di barra a sinistra. II "nocchiero " -dirò per usare un'espressione e un'immagine cara al Maresciallo Badoglio -ha cercato di dare quel colpo di barra quanto più dolcemente e delicatamente fosse possibile; ma non ci si poteva logicamente illudere che il cambiamento di rotta non fosse avvertito... sull'antistante sponda!...

Poi, non bisogna dimenticare e conviene riconoscere che è venuto un altro momento, nel giugno-luglio 1929, in che noi abbiamo -per motivi di natura estranea, sui quali non troverei di buon gusto insistere -bruscamente rinviato un viaggio del Governatore dell'Eritrea a Sanaa ed un suo convegno coll'Imam, proprio quando incominciava a farsi palese la diffidenza dello Yemen per i nostri cordiali rapporti coll'Inghilterra e, d'altro lato, si precisava e si rafforzava rapidamente la concorrente azione degli agenti sovietici nel paese. Mi guarderò bene dall'affermare che quel viaggio e quel convegno, se si fossero effettuati, sarebbero stati il tocca-sana della nostra situazione politica nello Yemen, giàimmiserita per tutte le circostanze che ho detto sopra -perchè mi mancano elementi per sostenere una simile tesi. Ma non è dubbio che quel viaggio e quel convegno sarebbero stati tempestivi, ed erano tutto quel che logicamente noi potevamo tentare in quel momento. Averli rinviati bruscamente, e per quanto dall'Asmara si sia fatto ancora tutto il possibile per giustificare la manovra, ha voluto dire dare un altro colpo di barra a sinistra... Ed anche questo secondo cambiamento di rotta è stato necessariamente avvertito e notato... sull'antistante sponda!

Tutto quanto precede ho detto non per rammaricare o per criticare -che non è mio

costume -ma soltanto per spiegare logicamente, Eccellenza, le ragioni del fatale decadere della nostra influenza nello Yemen: di quell'influenza che era stata creata e abilmente montata su di un equivoco -la fallace convinzione, da parte dell'Imam, che noi potessimoessergli di efficace appoggio in caso di aperto conflitto anglo-yemenita -e su di una impossibilità -la non meno fallace presunzione che noi potessimo continuare sine die a rifornire lo Yemen di tutto quel che gli occorreva, a prezzi di favore e con pagamenti... a babbo morto!

Questa situazione, evidentemente poco rosea, non presenta che un lato confortante, in linea generale: quello che la storia, gli onorevoli relatori del bilancio delle Colonie al Parlamento, e magari.... l' " Oltremare ", potranno sempre dire che la responsabilità di tutto ciò risale all'inettitudine di chi ha diretto dall'Asmara, in questi ultimi venti mesi, la politica collo Yemen....

Ora, tale essendo la situazione, il mio subordinato avviso è che noi non abbiamo che

da "continuare". Continuare, intendo, a mantenere un contegno di fredda e cortese corret

tezza; ad esigere il pagamento del nostro residuo credito; e non dar corso ad eventual'

nuove ordinazioni, se non dopo che quello sia estinto e se non quando l'Imam anticipi volta

a volta almeno la metà dell'importo delle dette ordinazioni; a dimostrare insomma, con tutto

il nostro contegno, che lo Yemen ha molto maggiore interesse a conservare l'amicizia del

l'Italia, che questa non ne abbia a conservare quella dello Yemen.

È mia profonda convinzione che un tale contegno di ferma e corretta riservatezza

indurrebbe l'Imam a riesaminare la propria situazione ed a convincersi dell'opportunità

di non alienarsi la nostra benevolenza, e a considerare, rispettare e, occorrendo, temere

la nostra posizione di Grande Potenza rivierasca del Mar Rosso: considerazione, rispetto e

timore che egli non ha mai avuto di noi, in quanto si è sempre considerato almeno come

una pedina indispensabile di un nostro supposto sottile giuoco antibritannico. Un nostro

prossimo riconoscimento di Ibn Saud e, meglio ancora, la stipulazione di trattati tra noi e

il Re dell'Hegiaz, Neged e dipendenze gioveranno enormemente a questo nostro contegno ed

alla ripercussione che a lungo andare, esso non può non avere sull'atteggiamento dell'Imam

nei nostri confronti.

Questa è, ripeto, la mia profonda convinzione. E, d'altra parte, non vedo oggi con

quali mezzi finanziari -e ne accorrerebbero di cospicui! -noi potremmo ritornare ad

una politica di blandizie e di agevolezze verso lo Yemen.... •.

Mentre stiamo negoziando per il riconoscimento di Ibn el Saud e per migliori rapporti con lo Hegiaz, sarebbe grave danno perdere quelli che da qualche anno andiamo faticosamente difendendo nello Yemen.

Mentre attendo di conoscere il punto di vista di V. E. su questo argomento, La informo che seguito ad occuparmi della questione della navigazione nel basso Mar Rosso. Aggiungo che le prime notizie pervenutemi sugli accertamenti da me disposti sul fondo Yemen (vedi ultima parte del mio precedente telespresso) mi danno una situazione molto migliore di quella che era stata segnalata dal Governatore. In ogni modo su questi due punti (fra loro strettamente connessi) mi riservo ulterori comunicazioni.

(l) Cfr. n. 416.

(l) Dell'allegato, che è in data 3 marzo, si pubblicano solo i seguenti passi:

458

APPUNTO DEL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, RUSPOLI

... (1).

NEGOZIATI TRA LE POTENZE NAVALI EUROPEE

Posizioni rispettive.

La Francia ha dichiarato che le cifre fatte nel suo Memorandum rappresentano il proprio fabbisogno assoluto di armamenti navali. L'Italia si è posta dal punto di vista della relatività, vale a dire essere il proprio fabbisogno funzione diretta degli armamenti navali delle altre Potenze. La Gran Bretagna, pur non avendolo dichiarato, parte dal principio che le proprie forze navali non debbano scendere al disotto del • two Powers standard • rispetto alle Potenze europee.

La posizione assunta dalla Delegazione italiana con la nota dichiarazione essere pronta l'Italia ad accettare per i suoi armamenti navali una cifra qualsiasi purchè non sorpassata da alcuna Potenza continentale europea, è stata definita una posizione di • prezzo fisso • che non offre possibilità di negoziati, una posizione di • take or leave • come direbbero gli inglesi. La nostra sola possibilità di negoziati è rappresentata dall'accettazione o meno di metodi di limitazione più restrittivi di quelli contemplati nel nostro Memorandum del 19 febbraio (2).

Evidentemente la nostra posizione essendo fortissima, ma allo stesso tempo fragilissima in quanto che la minima incrinatura basterebbe a farla rovinare, è naturale che si ·cerchi ogni mezzo per portarci sul terreno delle cifre in genere e su quello della dichiarazione dei programmi navali per i prossimi cinque anni, in ispecie.

I francesi hanno dichiarato alle altre delegazioni che per nessuna ragione riconosceranno il principio della parità degli armamenti con noi; gli inglesi, d'altra parte, vogliono abbassare le cifre della Francia ed a questo scopo vorrebbero evidentemente farci cedere sul principio della parità per indurre la Francia ad abbassare il livello delle proprie richieste. Essi vorrebbero ottenere da noi l'assentimento a cifre di armamento molto basse, per potere quindi rivolgersi alla Francia dichiarando che noi accetteremmo tali e tali cifre se pure essa le

39 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

accettasse. A questo modo sortirebbero un duplice vantaggio: quello di servirsi di noi per premere sulla Francia, e l'altro ancor più importante di scalzare la nostra posizione portandoci dal terreno della relatività a quello delle cifre e implicitamente ai programmi navali. Una volta dato l'assenso a cifre qualunque, gli inglesi sarebbero in condizione di tacitarci offrendoci cifre superiori a quelle accettate e nello stesso tempo sarebbero in condizione vantaggiosa per premere su di noi per indurci a consentire alla Francia un supplemento di tonnellaggio per scopi coloniali od altri.

Così stando le cose, la risposta più sicura per non compromettere la nostra posizione, sembrerebbe essere quella che una volta che la Francia abbia accettato definitivamente tali e tali cifre, non vi saranno certo difficoltà da parte nostra per associarci ad un accordo, ma prima di tale momento, data specialmente la posizione assunta dalla Francia di non volere a nessun costo riconoscerei pari diritti, non possiamo che ripetere la nostra dichiarazione fondamentale e mantenerci strettamente sul terreno della relatività. La Francia ha sempre sostenuto che le cifre da essa fatte rappresentano il suo fabbisogno assoluto: dunque nessuna necessità da parte nostra di dichiarare cifre, cifre del resto che non possiamo dichiarare perchè esse sono subordinate alle cifre francesi

o per meglio dire alle cifre che in definitiva saranno riconosciute alla Francia.

La riprova si può avere a quanto sembra in questo modo: se gli inglesi insistono tanto per farci accettare delle cifre prima della Francia, è segno che ciò faciliterebbe il loro giuoco e scalzerebbe le nostre posizioni, ossia la nostra accettazione avrebbe per essi un valore ben diverso dalla nostra dichiarazione di principio fondamentale di accettare cifre qualsiasi ecc. Se invece l'assentimento a determinate cifre fosse soltanto una conseguenza naturale della posizione da noi assunta, e cioè non avesse nessun valore, non si debbono rammaricare se ci rifiutiamo al giuoco e rimaniamo fermi sulle posizioni che fino ad oggi siamo riusciti a mantenere.

Le navi antiquate.

È stata ventilata l'idea di fare proposte alla Francia sulla base di parità di cifre per gli incrociatori e per i cacciatorpediniere, in altri termini di parità di programma per questi tipi di navi per la durata della Conferenza, per Francia e Italia, e di lasciare alla Francia un supplemento di navi che abbiano passato i limiti di età per i suoi bisogni coloniali ed altri servizi.

L'idea a prima vista potrebbe sembrare interessante nel senso di permettere un negoziato come risultato del quale dovrebbe venire riconosciuto o quanto meno implicitamente confermato, il nostro diritto alla parità, mentre alla Francia verrebbe di fatto lasciata temporaneamente una certa superiorità di tonnellaggio.

Esaminando da vicino la proposta appare però evidente che la nostra concessione non soltanto rimarrebbe assolutamente senza contropartita nel caso che mancasse l'esplicito riconoscimento della parità, ma le cifre totali del tonnellaggio assegnato alle due Potenze sarebbero la prova irrefutabile che l'Italia sarebbe stata giocata ed il principio della parità enunciato e mantenuto dall'ottobre 1921 in poi, e solennemente proclamato dal Governo Fascista compromesso per sempre.

Incidentalmente si osserva che anche stabilendo una limitazione in base all'assoluta parità di tutto il naviglio non considerato dal Trattato di Washington, per il fatto della nostra proposta riguardante le navi di linea, se questa proposta venisse accettata, l'Italia rimarrebbe con 100 mila tonnellate di meno della Francia, ossia con una proporzionalità di forze, anzichè pari, di circa 1'80 %. Se a questo venisse aggiunto un maggior tonnellaggio assegnato alla Francia, sia pure di navi aventi oltrepassato i limiti di età, è evidente che la nostra sconfitta difficilmente potrebbe essere più clamorosa, nel senso che non mancherebbe nessun elemento alla stampa della Repubblica per cantar vittoria e noi non saremmo in .condizione di potere confutare le loro argomentazioni.

Per quanto concerne le navi di linea, dal momento che si tratta di una nostra proposta fatta due anni or sono e ripetuta alla Conferenza, non c'è da preoccuparci ma soltanto aver cura di tenere nettamente distinto il naviglio per il quale continua a vigere il Trattato di Washington da quello per il quale si dovrebbero fare nuove stipulazioni. In altri termini la nostra proposta riguardante le navi di linea può essere sfruttata per mostrare la lealtà del nostro desiderio di ridurre gli armamenti e per giustificare ancor meglio, qualora ve ne fosse bisogno, l'irriducibilità della nostra richiesta di parità su tutto il rimanente naviglio della flotta.

(l) -Presumibilmente del marzo 1930. (2) -Cfr. n. 376.
459

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI INGLESE, HENDERSON

Londra, 1 aprile 1930.

Henderson ha fatto telefonare ieri sera per pregarmi di andare a vederlo stamane. Ho desiderato che anche il nostro Ambasciatore fosse con me.

HENDERSON -Ha cominciato col dire che era stata sempre sua intenzione di invitare l'Italia a partecipare alle conversazioni che erano state iniziate da qualche giorno tra Funzionarì inglesi e francesi per la ricerca di una formula che desse soddisfazione alla Francia nel suo desiderio di concludere un Patto di carattere politico che aumentasse la sua sicurezza.

Fino a ieri nel pomeriggio sembrava ancora che tali conversazioni non riuscissero ad approdare ad alcun risultato, ma dopo una visita fatta a lui, Henderson, da Briand, la possibilità di un accordo si era prospettata ed egli si era affrettato a pregarmi di passare da lui per mettermi al corrente della situazione ed invitarmi a partecipare alle conversazioni ulteriori.

Sin dal Memorandum francese del 20 Di.cembre era chiaro il desiderio della Francia di cercare di ottenere a Londra anche un Patto politico nelle discussioni tecniche della Conferenza Navale. Il giorno stesso del ritorno di Briand da Parigi, la settimana scorsa, Henderson, recatosi ad incontrarlo alla stazione, aveva preso con lui un appuntamento per il giorno dopo ed in quello ed in successivi lunghi colloqui (1), aveva spiegato al Ministro degli Esteri francese fino a che punto l'Inghilterra avrebbe potuto venire incontro al desiderio della Francia. Niente Patto Mediterraneo, che avrebbe se mai (anche per impegni presi con altre Potenze, soprattutto con la Spagna) dovuto essere trattato all'in

fuori della Conferenza. Esclusi anche nuovi impegni di carattere militare da parte dell'Inghilterra. Il campo delle conversazioni si restringeva ai Patti già esistenti, Ginevra, Locarno, Parigi. Si ,sarebbe la Francia contentata di una riaffermazione dell'interpretazione dell'art. 16 del Covenant che fu data alla Germania a Locarno dalle Potenze? In altri termini, si sarebbe la Francia contentata di un documento che più o meno corrispondesse nella sostanza all'annesso 5 (l) del Patto di Locarno? Sembra che Briand non abbia respinto la proposta, e riservandosi di interrogare il Capo del suo Governo a Parigi, abbia promesso una risposta per stasera o domattina al più tardi.

Henderson si è dimostrato fiducioso in una risposta favorevole, in base alla quale la Francia, con la nuova parvenza di Patto di Sicurezza, sarebbe stata indotta ad abbassare le cifre del suo programma Navale. In questo stato di cose Henderson invitava l'Italia, quale Membro della Società delle Nazioni e firmataria del Patto di Locarno, a partecipare alle ulteriori conversazioni per l'eventuale conclusione di un accordo su tali basi.

GRANDI -Ho cominciato, da parte mia, col rilevare che il Governo Italiano aveva avuto tutte le ragioni di dolersi, e le aveva tuttora, per il fatto che il Governo Britannico ed il Governo francese avevano creduto di potere iniziare conversazioni sull'interpretazione dell'art. 16, senza darne avviso al Governo Italiano, che è Membro permanente del Consiglio e firmatario del Patto di Locarno. In questo senso mi ero già espresso col Primo Ministro, e per questo avevo incaricato l'Ambasciatore d'Italia a fare un passo ufficiale in questo senso al Foreign Office (2).

HENDERSON-• Ma nulla è stato fatto sinora. Era inteso che non appena fosse apparsa la possibilità pratica di un accordo politico l'Italia sarebbe stata invitata a prendere parte alle discussioni. Ecco precisamente quanto faccio oggi •.

GRANDI -• Ne prendo atto •. HENDERSON -• Vi prego di dirmi il Vostro avviso su questo accordo politico •.

GRANDI -• Il mio Governo non ha mai, fino ad ora, considerato questo problema, che per la prima volta, in verità, viene inserito come argomento di discussione nella Conferenza. Comincio col rilevare che la Conferenza di Londra è la Conferenza del disarmo navale, e che il momento ed il luogo non siano i più adatti per una discussione sulla portata e l'eventuale modificazione del Covenant e del Patto di Locarno. Gran Bretagna, Francia ed Italia non sono tutta la Società delle Nazioni. Non avranno la Germania e gli altri Stati Membri della Società delle Nazioni il legittimo diritto di protestare?

Ad ogni modo, per quanto riguarda l'Italia, il problema ci interessa fino ad un certo punto. È la Francia che considera questo problema come essenziale. Tant'è vero che la Francia è disposta a ribassare le sue cifre, in cambio di questo accordo con la Gran Bretagna. Quando ci sarà assicurato che parimenti la Francia è disposta a non insistere più per una superiorità di forze navali sull'Italia, in cambio di un accordo politico coll'Italia, allora soltanto, e soltanto

in quel momento, il problema verrà posto davanti alla nostra riflessione. Che cosa dà la Francia a voi in cambio della famosa " formula della sicurezza? " •. HENDERSON -Ha eluso la domanda, ma ha risposto: • Io sono uno scozzese. Potete pensare che uno scozzese dia qualche cosa per nulla? •.

GRANDI -• Bene. Ma allora dovrei essere io a pagare il conto anche per voi? L'Italia dovrebbe cedere alla Francia la parità in contraccambio del sacrificio che la Francia fa cedendo un po' del suo tonnellaggio a voi. Ma ci avete preso per degli sciocchi? La realtà è un'altra. La Gran Bretagna cede alla prepotenza fmncese. L'Italia non cederà mai. La Conferenza del Disarmo è una commedia. Lo dirò venerdì prossimo venturo alla seduta plenaria •.

HENDERSON -• C'è solo una differenza: che voi Italiani fate dei discorsi, ment1·e i Francesi fanno dei cannoni • (frase testuale).

GRANDI -• Vi prometto, caro signor Henderson, che per la prossima Conferenza del Disarmo di qui a cinque anni, voi sarete costretto a tener conto, non solo dei discorsi, ma anche dei cannoni dell'Italia •.

La conversazione con Henderson è durata un'ora, su un tono cortese, ma freddo. Alla fine mi ha detto che desiderava che tornassi da lui domani, mercoledì, per riferirmi circa quanto sarebbe stato detto e concluso fra lui e Briand, oggi nel pomeriggio.

Mentre uscivo dal Foreign Office, il Segretario Particolare di MacDonald mi ha raggiunto per dirmi che il Primo Ministro mi pregava di andare da lui, per una comunicazione urgente.

(l) Per uno dei quali cfr. DB, Serie Il, vol. I, n. 170, cit.

(l) -Sic, ma si tratta dell'annesso F (testo in MARTENS, Nouveau recuei! généra! ecc., III Serie, vol. 16, p. 32). (2) -Cfr. n. 455.
460

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD (l)

Londra, l aprile 1930.

MACDONALD-• Desidero continuare con voi l'interessante conversazione di domenica a Chequers • (2).

Riferendosi a questa conversazione ed a quello che sapeva Henderson mi aveva detto poco prima, MacDonald ha insistito nel suo desiderio che partecipassimo alle conversazioni anglo-francesi e mi ha detto chiaramente: • Non faremo nessun Patto a quattro, non vogliamo metter ju01·i l'Italia • (3).

Ha poi ricordato tutti i suoi sforzi per giungere ad un accordo fra tutte le Potenze, mostrando di rendersi perfettamente conto delle gravi ripercussioni che avrebbe per la politica estera europea un fallimento di tale accordo, e facendo appello alla nostra collaborazione per trovare una via d'uscita che, pur tenendo ferma la nostra • pretesa • alla parità, potesse facilitare un'intesa sui programmi per i prossimi cinque anni.

GRANDI-• Non dite "pretesa italiana alla parità". Dite "pretesa francese alla superiorità". La cosa è molto diversa •.

Ho quindi ripetuto a MacDonald con le stesse parole, quanto avevo detto poco prima ad Henderson, tanto sulla impossibilità di cambiare la nostra linea di condotta, quanto sulle conseguenze che il fallimento della Conferenza in

queste condizioni non potrà mancare di avere sulla politica estera avvenire dell'Italia, anche nei riguardi dell'Inghilterra. MacDonald ha insistito perchè facessimo un qualche gesto per uscire dal nostro atteggiamento negativo.

Gli ho dimostrato che se egli chiamava negativo il nostro atteggiamento, a maggior ragione doveva chiamarsi negativo l'atteggiamento della Francia irrigidita nel reclamare una superiorità che si basa esclusivamente su uno statu quo, che non siamo certamente venuti a Londra per sanzionare.

• Voi mi avete detto finora che siete un "mediatore .imparziale" fra Francia e Italia. Avrei potuto farvi osservare che questa vostra neutralità è già un vantaggio che la Gran Bretagna dà alla Francia contro l'ItaHa rispetto alla Conferenza di Washington, dove il vostro predecessore Lord Balfour si comportò ben altrimenti, come dirò alla prossima seduta plenaria di venerdì. Ma supponiamo che voi siate un mediatore imparziale. Vi sembra davvero " imparziale " insistere sull'Italia perchè ceda alla pretesa francese che vuole sanzionare la superiorità? Che cosa avete fatto voi sinora sulla Francia perchè receda da tale ingiusto atteggiamento? Alla Francia voi vi limitate a domandare quello che interessa esclusivamente voi: 100 mila tonnellate in meno. Questa diminuzione della cifra francese non ci interessa che mediocremente, come risulta chiaramente dalle nostre proposte al1a Francia per la parità sul livello in alto, alla vigilia della Conferenza di Londra (1).

Voi volete che l'Italia accetti un accordo sui programmi, senza più parlare di livelli. Non lo faremo mai. Un accordo a quattro? Tanto peggio per tutti.

Commetto a questo momento un'indiscrezione di governo per dirvi che due anni fa lo Stato Maggiore della R. Marina portò al Capo del Governo la proposta di costruzione di tre navi da battaglia. Il Capo del Governo radunò tutti gli Ammiragli. La discussione fu lunga. Alla fine il Capo del Governo decise, contro il parere unanime degli Ammiragli, di non costruire le tre navi da battaglia, e di costruire invece quattro [incrociatori da] 10.000 [tonn.] (2). Perchè? Per una ragione politica: non prendere l'iniziativa di nuovi armamenti navali, e dimostrare davanti al mondo la nostra effettiva volontà di pace.

Voi volete metterei nella condizione di non potere accettare un accordo navale sulla base dei programmi. Ebbene questo significa che voi, anche voi Gran Bretagna, volete spingere l'Italia ad armare. Fra tre mesi, vi garantisco, che le tre navi di linea, di cui il mio Capo decise la non costruzione, entreranno in cantiere. Ci rivedremo nel 1936. Questo come risultato navale. Poi c'è tutta una situazione politica europea e mondiale da rivedere, compreso beninteso la politica di collaborazione itala-britannica. Tanto meglio per noi se il fallimento della Conferenza di Dondra o il vostro minacciato accordo a quattro, ci darà l'insperata possibilità di metterei ,alla testa, a Ginevra, di tutti i popoli vinti, scontenti, per dimostrare il fallimento morale della politica del disarmo alla Conferenza di Londra ».

Conversazione durata un'ora. MacDonald ha detto, alla fine, che desidera vedermi domani o posdomani (3).

(l) -Al colloquio erano presenti anche Bordonaro e Craigie. (2) -Cfr. n. 454. (3) -Sottolineato da 1\riussolini sull'originale. (l) -Cfr. n. 261. (2) -Cfr. l'accenno in Serie VII, vol. VII, p. 70 nota 1. (3) -Un accenno a questo colloquio in D B, Serie II, \'Ol. I, n. 176, nota 2.
461

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 3 aprile 1930.

Desidero mandarti subito col corriere in partenza, gli uniti appunti di due colloqui con Henderson e MacDonald, di ieri l'altro (1). Lunedì mattina ho fatto fare dal nostro Ambasciatore un passo formale al Foreign Office. Allego anche il promemoria dell'Ambasciatore Bordonaro (2).

Ieri nella riunione dei Capi Delegazione, dopo l'annuncio ufficiale dell'accordo a Tre (America, Giappone e Gran Bretagna), Briand ha domandato il rinvio della seduta plenaria annunciata per venerdi. Stimson, MacDonald e Wakatsuki hanno espresso concorde avviso sul pericolo di una seduta plenaria, nell'attuale stato delle trattative anglo-franco-italiane. Ho dichiarato, per parte mia, che pur avendo già espresso il desiderio di profittare della seduta di venerdì

p. v. per una dichiarazione conclusiva sulla posizione dell'Italia alla Conferenza, di fronte all'avviso unanime, non insistevo, rimandando le mie dichiarazioni ad altra prossima seduta, ed esprimendo altresì la speranza che l'aggiornamento potesse essere l'indice di buon augurio per un accordo generale. Henderson mi ha telefonato ieri dicendomi che non è ancora in grado di comunicarmi ulteriori notizie, dopo quelle datemi martedì u. s. (3).

MacDonald mi ha invitato stamane a tornare da lui a mezzogiorno. Previsioni? Non sono in grado di farne. Tengo duro, ecco tutto (4).

462

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD, ED IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI INGLESE, HENDERSON (5)

Londra, 3 aprile 1930.

MACDONALD -Riassume la posizione giapponese, americana, britannica. I dettagli dell'accordo a tre non sono ancora fissati. Ma si può oramai dire che l'accordo è raggiunto. MacDonald è parimenti fiducioso in una favorevole soluzione delle questioni franco-britanniche. Il Ministro Henderson avrebbe comunicato quanto prima al Ministro Grandi i dettagli della formula studiata dagli Esperti francesi ed inglesi. Rimaneva dunque da risolvere la partecipazione italiana agli accordi raggiunti dalle altre quattro Potenze.

• Quello che mi avete detto domenica ai Chequers, martedì a Downing Street, e quello che avete detto a Henderson l'altro giorno (6), mi hanno piuttosto

impressionato. Il Governo Britannico non può fare a meno di deprecare l'eventualità, da voi ammessa come possibile che dell'esclusione dell'Italia da un Patto a cinque avessero a soffrirne i buoni rapporti tradizionali fra Gran Bretagna ed Italia •.

GRANDI -• Io spero che ciò non debba verificarsi. Ma vi confermo tutto quanto vi ho detto domenica e martedì. Era mio stretto dovere dirvi apertamente e lealmente quali sarebbero state le ripercussioni politiche di un accordo che avesse avuto, comunque, il significato di una contestazione al diritto italiano della parità colla Francia. Oramai tutto è stato detto. Dal giorno in cui voi mi avete comunicato nella vostra qualità di Presidente della Conferenza il rifiuto di Tardieu a considerare qualsiasi formula che ammetta implicitamente la parità franco-italiana, io ho considerata la Conferenza di Londra finita per l'Italia. Se sono rimasto a Londra, l'ho fatto per solo scrupolo di cortesia verso la Gran Bretagna, che è stata la Potenza invitante alla Conferenza. Ma oramai io non posso più rimanere. I lavori parlamentari mi richiamano a Roma. Prima della fine del mese il Parlamento ha fissato la discussione del mio bilancio. Debbo partire ormai. Prima di partire esporrò pubblicamente la posizione dell'Italia. Questo è tutto. Non perdete tempo ad immaginare, fantasticare, proporre formule ambigue, equivoche. O la Francia riconosce il diritto italiano alla parità,

o non lo riconosce. Nel secondo caso qualsiasi formula rappresenta per l'Italia un impegno senza corrispettivi. Preferisco la libertà assoluta, che garantisce al mio Paese la possibilità di tornare a Londra fra sei anni in condizioni assai diverse. Adesso, basta •.

HENDERSON -Dichiara che il Governo britannico non vuole fare pressioni sull'Italia perchè rinunzi alla parità. D'altra parte il Governo Britannico non può dimenticare che i Francesi hanno dichiarato che non aderiranno mai ad un accordo che riconosca tale principio.

GRANDI -• Allora ho ragione di dirvi, da venti giorni oramai che la Conferenza è finita •.

HENDERSON -• Ma l'Italia potrebbe, ad ogni modo, aderire ad una formula politica d'interpretazione dell'art. 16, il che costituirebbe un'intesa comunque a cinque raggiunta dalla Conferenza di Londra •.

GRANDI -• No, l'Italia non aderirà mai a nessuna formula politica che interessi la Società delle Nazioni e il Patto di Locarno, discussa e stabilita qui a Londra in margine alla Conferenza Navale. Siamo venuti a Londra per discutere di tonnellaggio, di cannoni, di categorie, di navi. Non per studiare formule giuridico-politiche destinate ad alterare lo spirito e la lettera del Trattato di Locarno e del Covenant.

L'Italia non può permettere che la Germania e tutte le Potenze firmatarie del Patto di Ginevra siano messe davanti al fatto compiuto di un accordo a due,

o a tre inteso a modificare sostanzialmente l'istituto di Ginevra. Se questo sarà fatto da voi e dai francesi, l'Italia denuncerà questa violazione non foss'altro morale, del patto societario. Nello stesso tempo l'Italia esaminerà la posizione determinatasi a Londra in rapporto al Patto di Locarno.

La vita internazionale è una cosa seria, e non soffre questo paradosso:

che la Potenza garantita contesti alla Potenza garante il diritto ad avere la possibilità materiale di gamntirla. Questi sono scherzi di cattivo genere che

non reggono. Naturalmente l'eventuale denunzia del Trattato di Locarno altera conseguentemente la posizione dell'Italia nei confronti della Gran Bretagna. L'Italia riprende la sua libertà d'azione nella politica continentale ed europea in generale •.

MACDONALD -• Ma è proprio questa l'ultima parola dell'Italia? •.

GRANDI -• È stata questa. È questa. Sarà questa. La Conferenza di Londra si risolve nell'aumento degli armamenti. Essa determina nuove crisi nei rapporti internazionali. Unico vantaggio, il seguente: I Popoli hanno compreso oramai che la formula della " sicurezza " di cui si è fatto banditore il Signor Briand da sei anni a questa parte, non è una formula di pace, bensì è la nuova idea della guerra. Del resto è vero che ogni periodo storico ha una determinata idea " pacifista " da cui procede la guerra futura, e che giustifica la guerra futura. La "sicurezza" determina gli armamenti. Gli armamenti determinano la guerra. Ecco la vera faccia della politica briandista, cui voi britannici state sottomettendovi. Arrivederci dunque alla Società delle Nazioni. I Popoli del mondo non permetteranno mai che la Francia, con Voi o senza di Voi, diventi il "braccio secolare" della Lega delle Nazioni. L'Italia difenderà l'Istituto Ginevrino da queste deformazioni imperialiste da parte di chicchessia • (1).

(l) -Cfr. nn. 459 e 460. (2) -Cfr. n. 455. (3) -Cioè il lo aprile (cfr. n. 459). (4) -Grandi telegrafò il 5 aprile a Forges Davanzati: • Benissimo tuo articolo del 3 aprile». Cfr. La Tribuna del 3 aprile, articolo di fondo • La conferenza navale. Libertà d'azione per l'Italia fascista ». (5) -Al colloquio erano presenti anche Rosso, Craigie e Noel-Baker. La versione inglese del colloquio in D B, Serie II, vol. I, n. 176. (6) -Cfr. nn. 454 (pp. 554-557), 459, 460.
463

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 42415. Roma, 3 aprile 1930.

Allego in copia il telegramma n. 1743 (2) del 29 mese corrente del R. Governatore della Colonia Eritrea con alcune notizie sulla situazione in Etiopia.

Credo opportuno di segnalare a V. E. il paragrafo 4°. Non so quanto la notizia sia rispondente alla verità o almeno a tutta la verità; ma si tratta di cosa cosi importante, che credo andrebbe chiarita. So di avere V. E. consenziente con me nel ritenere: l) che a noi non conviene rafforzare la posizione del Negus Tafari; 2) che a noi conviene di agire -cercando con ogni prudenza di attirarli nella nostra orbita -verso i capi abissini più prossimi ai nostri confini, appunto per ottenere il risultato indicato in 1).

Ora è chiaro che se il comm. Pollera avesse agito nel senso indicato nel telegramma in questione, avrebbe contribuito a rafforzare la posizione del Negus ed avrebbe dato a Gugsa Oliè (3) la sensazione che nulla può attendere

o sperare dal R. Governo. Ciò che sarebbe in aperto contrasto con le suddette direttive politiche.

Giunto a questo punto, credo opportuno aggiungere, dato che il comm. Pollera è stato nominato al suo attuale posto di concerto fra codesto e questo Ministero, che se le circostanze allegate risultassero fondate e se cioè risultasse

che egli non è inquadrato nelle direttive del R. Governo e non può quindi essere un utile strumento alla nostra azione, io per mio conto non avrei alcuna difficoltà a rinunciare alla sua opera.

Come V. E. rileverà, il Governatore Zoli comunica la notizia con queste parole: • Cosa non mi meraviglierebbe perchè è nella linea dell'azione svolta dalla R. Legazione in Addis Abeba nei riguardi del Ras Hailù •. Tale frase mi riesce assai poco comprensibile, perchè non mi consta, e sulla base delle considerazioni prima fatte, dovrei anzi escludere, che una simile azione sia stata svolta.

Molto interessante, se pur vaga, è la notizia del paragrafo 3°, proveniente dal comm. Cora, di una eventuale corrispondenza segreta fra l'imperatrice e Gugsa Oliè, in quanto V. E. ricorderà (mio telespresso n. 41626 del 12 marzo corrente) (l) come io abbia ritenuto elemento di grande importanza per lumeggiare l'attuale incerta situazione etiopica l'esistenza o no di rapporti fra i ribelli e l'imperatrice o il suo partito.

Da ultimo vorrei far notare che la notizia -anch'essa pervenuta da Addis Abeba -del paragrafo 2° è sintomatica, in quanto mostra come non possa per ora parlarsi di una sottomissione di Gugsa Oliè, che invece qualche giorno prima era data come assai probabile.

(l) -Secondo D B, Serie II, vol. I, n. 176, cit., nel corso del colloquio e il giorno successivo, Rosso avanzò la proposta di lasciare fino a tutto il 1936 alla Francia una superiorità di circa 150.000 tonnellate. (2) -Manca. (3) -La ribellione di Ras Gugsa Oliè era terminata con la sua morte in combattimento il 31 marzo. La notizia non era ancora giunta a Roma.
464

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. [Londra], 4 aprile 1930.

Come vedi, da domenica (2) sono passato dalla resistenza all'offensiva.

Ho avvicinato e fatto avvicinare alcuni fra i più noti leaders laburisti, liberali e conservatori, invitandoli a considerare al di là della Conferenza Navale e dell'effimero successo di un Governo laburista, la realtà della situazione europea che si determinerebbe qualora si mettesse l'Italia nella situazione di non potere accettare un accordo a cinque sopra basi diverse da quelle per cui la Conferenza Navale fu convocata obbligando altresì l'Italia a grossi armamenti sul mare, maggiori forse degli stessi armamenti francesi.

La giornata di oggi (venerdì) -(la situazione cambia d'ora in ora) segna un grosso punto di vantaggio per noi. I Francesi non hanno mai dissi

Ciò non toglie che queste ultime notizie confermino che la posizione di Tafari è scossa e che una nostra azione politica esclusivamente verso di lui diviene ogni giorno meno fruttuosa, mentre cresce sempre di più l'importanza di Ras Hailù, che appare quasi arbitro dell'instabile equilibrio politico etiopico. E questa nuova conferma aggiunge un maggior colore di verisimiglianza alle voci che l'accordo Hailù-Gugsa Oliè si sia esteso o possa estendersi a Ras Seium.

Sarebbe assai interessante conoscere se e quali legami e punti di contatto abbia l'attuale movimento di rivolta in Addis Abeba: se cioè esso sia inspirato dal partito lcgittimistadell'Imperatrice o in qualsiasi modo connesso con esso. Non mi dissimulo le difficoltà di un accertamento di tal genere, che naturalmente non potrebbe essere compiuto che dalla

R. Legazione».

mulato la loro persuasione che all'ultimo momento la Gran Bretagna avrebbe saputo piegare la resistenza dell'Italia. La nostra violenta reazione di questi ultimi quattro giorni ha reso perplessi tutti, anche i Francesi.

Tuttavia non faccio previsioni. L'unica cosa certa è che tanto Inglesi come Francesi hanno ormai esaurito lo • stock • in riserva con cui si illudevano di piegare l'Italia. Non altro.

(l) Di questo documento si pubblica solo il passo seguente relativo alla situazione in Etiopia: • Certo tale situazione va considerata con sereno e calmo apprezzamento ed io debbo confermare quanto ho scritto in precedenza che cioè non possono, almeno per il momento, farsi previsioni catastrofiche.

(2) Cioè dal 30 marzo.

465

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Londra, 4 aprile 1930.

Come Tu sai, il Conte Bethlen è attualmente a Parigi, (ove sono pure Bènes e Marinkovic) per le trattative sulle Riparazioni orientali.

Sembra che Bethlen stia cercando in pari tempo di negoziare un prestito a favore dell'Ungheria. Non ho ancora avuto modo di controllare la notizia ma ho creduto opportuno richiamare subito la Tua attenzione sulla cosa, in vista dell'imminente venuta di Bethlen a Roma. È indubbio che, da un punto di vista politico, sarebbe importante che l'Ungheria potesse ottenere un prestito in Italia, anzichè in Francia.

Io ignoro se le Banche italiane abbiano oggi una simile possibilità, o almeno quella di una eventuale partecipazione effettiva. Ove Tu lo creda del caso, si potrebbero dare opportune istruzioni a Parigi e Budapest per conoscere le intenzioni ungheresi.

466

IL DIRETTORE GENERALE PER GLI ITALIANI ALL'ESTERO E PER LE SCUOLE, PARINI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI

L. 36995. Roma, 4 aprile 1930.

Ho ricevuto nei giorni scorsi da Sofia la lettera che ti unisco con la relativa traduzione dal tedesco.

Non ho notizie precise sul movimento fascista bulgaro e quando ne parlai con il nostro Ministro a Sofia Comm. Piacentini, parecchi mesi fa, ebbi la sensazione che non si trattasse di una cosa molto seria.

Prima di esaminare la questione è opportuno che tu sottoponga la lettera del Maggiore Kantscheff, al Capo del Governo.

Se S. E. il Capo del Governo crede che si debba stabilire qualche contatto, anche indiretto, con questa gente, troverò il modo di farlo, naturalmente previo un opportuno accordo con la R. Legazione.

ALLEGATO.

KANTSCHEFF A PARINI

(Traduzione)

Sofia, 15 marzo 1930.

Secondo la deliberazione del Consiglio superiore della organizzazione patriottica bulgara • Bulgarska Rodna Zastita • nella mia qualità di direttore dell'Ufficio Propaganda e Informazioni dell'Organizzazione stessa, mi permetto di sottomettere alla E. V. le seguenti proposte:

È verità universalmente conosciuta che solamente coll'unione delle forze di

tutte le organizzazioni patriottiche europee, si potrà combattere con successo contro

il pericolo del bolscevismo.

A tale scopo ci troviamo già in contatto colla • Heimwehr • austriaca e col Bureau International del Signor Aubert a Ginevra, al fine di combattere la II e la III Internazionale e prossimamente saremo in contatto pure colle Organizzazioni della Germania, Polonia, Ungheria.

L'associazione • Bulgarska Rodna Zastita •, quale organizzazione fascista, patriottica e non settaria, il cui programma è identico al Loro, ritiene che nell'interesse comune delle due Nazioni, è richiesto un lavoro comune delle due Organizzazioni per il raggiungimento del successo. A tale scopo ci rivolgiamo a Lei proponendoLe questo piano di scambievole collaborazione:

l) Inizio di un costante contatto tra le due uguali Organizzazioni e scambievole conoscenza dei membri, delle idee di ognuna. Questo è da attenersi attraverso la stampa delle Organizzazioni, coll'appoggio reciproco e lo scambio di quelle notizie e pubblicazioni degli avvenimenti importanti che hanno un significato per l'altra Organizzazione.

2) Costante scambio delle pubblicazioni e inserzione dei comunicati, fotografie e altre notizie.

3) Rubrica riservata in queste pubblicazioni alla attività dell'altra Organizzazione, che potrebbe essere intitolata: • Vita delle Organizzazioni patriottiche di oltre confine •.

4) In caso di bisogno fattivo appoggio morale scambievole. 5) Formazione di un fronte unico europeo contro il bolscevismo e il socialismo. 6) In caso di necessità, convocazione di un Congresso generale delle organizzazioni patriottiche.

7) Al fine di facilitare la reciproca conoscenza personale dei membri e della attività delle due Organizzazioni e per stringere vincoli di fiducia fra loro, favorire reciproche visite nelle due Patrie.

Questi sono i punti capitali che noi riteniamo necessari e che ci impegnamo di adempiere.

Le saremo grati se Ella vorrà non solo dare la Sua approvazione alle nostre proposte, ma se Ella stessa vorrà farne di nuove e proporcele per la reciproca collabm·azione.

Siamo fermamente convinti che il nostro compito reciproco e pieno di onore sarà coronato di un magnifico successo e che solamente in questa maniera sarà possibile di combattere con vantaggio e vittoria il comune nemico bolscevico e socialista.

Mentre La preghiamo di accogliere i nostri saluti • heimwehr • ci permettiamo di allegare qui copia del nostro programma (l) e di raccomandarlo alla Sua attenzione.

(l) Non si pubblica.

467

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 42443. Roma, 4 aprile 1930.

Ricevo e trasmetto in copia un telegramma in data 31 marzo scorso di

S. E. Zoli (1).

Non molto importanti sono le notizie in esso contenute sulla situazione politica in Etiopia; non molto importanti, perchè ovvie e non nuove. Interessanti invece quelle sulle finanze imperiali, che richiamano alla mia mente le acute considerazioni fatte su questo argomento dal R. Ministro Cora nel suo rapporto segreto n. 1461/149 del 14 settembre 1929 (2), (telespresso di codesto Ministero

n. 252026/608 del 18 ottobre), e soprattutto la conclusione cui egli giungeva, che cioè • una modificazione della paradossale situazione attuale dell'Etiopia possa forse attendersi con maggiore probabilità da un momentaneo consolidamento del Negus e da una susseguente accelerazione del movimento riformatore in modo da provocare una rottura dell'equilibrio cosi faticosamente mantenuto nel Paese, che non avrebbe i mezzi nè i quadri da fronteggiare la nuova situazione, anzichè attendere questa modificazione dalle discordie intestine che da secoli si rinnovano e si calmano senza ripercussione sulla compagine dell'impero e sulla sua esistenza come Stato indipendente •. Conclusione certo unilaterale, perchè non tiene conto della situazione esterna dell'Impero Abissino, che dall'epoca del Gragn fino alla seconda metà del secolo scorso non aveva mai avuto serie minacce alla sua integrità nazionale, e che da allora in poi è stato sorretto più che altro dalle competizioni internazionali europee, come l' • uomo malato • di Stambul fino alla guerra europea e -in parte -anche dopo; ma in ogni modo conclusione che mette in luce un elemento della massima importanza, che ben giustifica le istruzioni impartite da V. E. con il telespresso citato (3).

468

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 938/308. Angora, 4 aprile 1930.

Mi era stato riferito che durante le conversazioni di S. E. Walko con questi dirigenti durante il soggiorno del Ministro degli Affari Esteri Ungherese ad Angora, era stato anche parlato del progetto di riunione di Stati balcanici.

• Non posso, comunque, non convenire nelle considerazioni che al riguardo fa S. E. Zoli: considerazioni, alla base delle quali bisogna ancora una volta porre l'ovvia constatazione della posizione irriducibilmente antagonistica in cui si trovano l'Italia e l'Abissinia. Fino a quando questo contrasto fondamentale, -che è storico, politico, psicologico, e che malgrado tutto tende a manifestarsi in ogni buona o cattiva occasione, -non sarà comunque superato e resterà quello che è, la questione dei reciproci rapporti presenterà pur essa larghe zone di assai difficile chiarificazione, e nulla in particolare potrà farsi di fronte ad episodi come questi •.

Ne feci parola al Signor Walko, il quale mi disse che effettivamente Tefik Ruscdi bey lo aveva intrattenuto sul progetto di una riunione del genere in conformità del voto emesso dal Congresso per la Pace che ebbe luogo alla fine del settembre scorso ad Atene ad iniziativa del • Bureau des Amis de la Paix • di Ginevra.

Tefik Ruscdi bey ritorna di tanto in tanto su questo argomento. Progettava tempo indietro una riunione del genere a Stambul, ove i delegati turchi avrebbero potuto meglio seguirne i lavori ed essere di sostegno ai Bulgari, e ove l'Italia, che non fece parte del Congresso di Atene, avrebbe visto sostenute da parte della Turchia le sue vedute al riguardo. Ora egli ne ha parlato in modo diverso a S. E. Walko. Atene sarebbe nuovamente il luogo di riunione e vi parteciperanno anche delegati italiani. Tefik Ruscdi bey ha sollecitato quindi il Signor Walko a farvi partecipare anche l'Ungheria. Al che egli ha risposto vagamente, rilevando che con la partecipazione ungherese converrebbe prospettare quella austriaca. Ha aggiunto a me, che non aveva ben compreso le intenzioni di Tefik Ruscdi bey. Non vedeva perchè l'Ungheria avrebbe dovuto dare ad una iniziativa del genere la sua adesione che avrebbe d'altra parte implicato quella della Cecoslovacchia.

Ho detto da parte mia che non mi risultava in nessun modo che il R. Governo avesse manifestato un avviso al riguardo e tanto meno nel senso espresso da Tefik Ruscdi bey.

Non so se su questo argomento vi sia qualche fatto nuovo, come ad esempio, un invito della menzionata associazione di Ginevra cui si deve l'iniziativa di queste riunioni, o se Tefik Ruscdi bey sia tornato sull'argomento d'iniziativa propria, nè quali siano precisamente i suoi intendimenti in proposito.

Cercherò di appurarlo e non mancherò di riferirne a V. E. Mi premeva intanto segnalare il colloquio da lui avuto al riguardo con S. E. Walko (1).

però non risulta spedito :

c In sostanza Tewfik Ruscdi ha ripetuto, in modo più deciso ed insistente, al signorWalko, per quanto concerne un intervento ungherese al prossimo Congresso di Atene degliamici della pace, le stesse premure che gli sono valse, lo scorso anno, le rimostranze di codesto Ministro di Ungheria e dell'Ambasciatore dell'U.R.S.S., di cui al telespresso di codesta R. Ambasciata n. 6169/1070 del 28 novembre u. s.

Senonchè, questa volta, Tewfik Ruscdi, ad avvalorare le sue insistenze, si è valso del nostro nome, giungendo ad affermare cosa del tutto inesatta, come quella di una nostra partecipazione al prossimo Congresso.

Stimo, quindi, utile che V. E. trovi modo, opportuno e confidenziale, di chiarire a codesto Ministro degli Esteri il nostro pensiero e le nostre intenzioni al riguardo, che dovrebbero essere -ed inesplicabilmente sembra non siano -coincidenti con quelle di Tewfik Ruscdi e del Governo turco.

Il Governo Italiano ha fornito e sta fornendo ripetute e non equivoche prove, e direttamente di fronte a Governi e Convegni responsabili, della sua reale sollecitudine per la pace generale, per un pacifico assetto delle relazioni interbalcaniche. Non sente, per conseguenza, menomamente il bisogno di far conoscere le sue già note idee ed i suoi propositi in seno a congressi, a carattere accademico, come quello proposto, di ispirazione francomassonica, le cui finalità non risultano ben definite, cui sembrano far capo aggruppamenti ed interessi politici, che non appaiono diretti sicuramente alla realizzazione della pace nè interna, nè estera che dovrebbe essere lo scopo del convegno.

Quanto alle premure che Tewfik Ruscdi dimostra per il Convegno di Atene, aggiungoche, conformemente a quanto gli ebbero già a far rilevare i due Rappresentanti diplomatici di cui più sopra, non ci è dato di comprendere come egli vi voglia insistere, non solo per ciò che concerne la posizione politica della Turchia, ma neppure nei riguardi dei risultati personali che egli può attendersi da una simile iniziativa •.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. n. 2. (3) -Cfr. anche il telespr. 44167 del 28 maggio 1930 di De Bono, il quale commentava alcune considerazioni svolte da Zoli circa i rapporti fra il Governo etiopico e un convento copto in Eritrea e concludeva:

(l) Per la risposta a questo documento cfr. il seguente telespresso ministeriale che

469

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 1281/735. Vienna, 4 aprile 1930.

Mercoledì scorso, ricevuta con il corriere diplomatico la lettera (l) di S. E. il Capo del Governo per il Cancelliere, gliene feci dare immediata comunicazione. Schober, benchè si trovasse in Parlamento per la discussione dell'c Antiterrorgesetz •, mi fece pregare di andare subito alla Cancelleria Federale, ove mi raggiunse pochi minuti dopo. Lesse la lettera con evidente grandissimo compiacimento, e mi manifestò poi a più riprese la sua viva gratitudine accompagnandola con parole di profonda ammirazione per S. E. Mussolini.

Gli chiesi del suo viaggio a Parigi e a Londra, annunciatomi dai funzionari della Cancelleria Federale per il 28 corrente. Me ne dette conferma dichiarandomi di compierlo molto a malincuore: non ne vedeva altra ragione se non quella di aver già visitato i governi di Roma e Berlino. Non mi parlò però di un altro motivo al quale mi si era accennato nella Cancelleria Federale già prima ch'egli si recasse in Italia, e cioè al bisogno austriaco del prestito e alla speranza di ingraziarsi quei due governi (2). Mi disse invece che avrebbe preferito assai restarsene a Vienna se avesse potuto; che sperava vi fosse prima della fine del mese qualche nuova crisi ministeriale in Francia, e che anche in Inghilterra il Gabinetto MacDonald, il quale non gli sembrava molto solido, avesse a cadere avanti a quell'epoca.

Il Segretario Generale Peter, cui dopo la conversazione con il Cancelliere parlai dello stesso argomento, mi confermò che questo nuovo viaggio non entusiasmava affatto Schober, il quale però non vedeva modo di evitarlo, tanto più che la Camera austriaca si sarebbe trovata chiusa alla fine di aprile ed egli non avrebbe potuto quindi addurre neanche gli impedimenti di lavori parlamentari. Il Cancelliere ha tanto minor desiderio di questo viaggio in quanto, sensibile com'è al modo con cui lo si tratta, sa sin da ora che non potrà trovare in Francia e in Inghilterra le calorose accoglienze d'Italia e neanche quelle di Germania; c e Tardieu e MacDonald non significano per lui quello che significa Mussolini •. Ad ogni modo la visita avrà altro carattere ed altro valore, come è provato anche da particolari di forma quale il fatto che il Cancelliere non viaggerà nel suo vagone-salone e che nè a Parigi nè a Londra sarà ospite di quei Governi.

In una nuova conversazione di stamane con il Signor Peter, egli, ripetendomi quanto mi aveva detto nella precedente, ha aggiunto che già al tempo del viaggio di Schober a Roma questo Ministro di Jugoslavia era andato a chiedere genericamente alla Cancelleria Federale se l'Austria non sarebbe stata disposta a conchiudere con Belgrado un patto simile a quello stipulato a Roma; che posteriormente anche questo Ministro di Francia aveva rivolto la stessa domanda nei riguardi del suo paese; che la Cancelleria aveva risposto con una afferma

tiva generica; che però da allora nè l'uno nè l'altro dei due Ministri era tornato sull'argomento; che molto meno vi era tornata la Cancelleria.

Ho osservato al Signor Peter ch'io non mi preoccupava tanto della proposta jugoslava, sia per la non grande importanza di quello stato sia per la considerazione che non essendo in progetto alcun viaggio del Cancelliere a Belgrado non era probabile che a quel generico progetto avesse presto a seguire una proposta più concreta. Diversa mi appariva la cosa per la Francia. Un patto di amicizia, firmato dopo solo due mesi trascorsi da quello con l'Italia e mentre in questo breve spazio di tempo lo svolgimento dei lavori della Conferenza di Londra non aveva migliorato le nostre relazioni con la Repubblica vicina, avrebbe potuto far sembrare svalutata l'importanza del nostro patto e indebolita l'efficacia dei concetti di amicizia in esso contenuti. Se il Governo austriaco non credeva potersi esimere dalla stipulazione avrebbe dovuto almeno prendere tempo per ritardarla, tanto più che da cosa nasce cosa e non è detto che domani possa compiersi quello che oggi si potrebbe.

Il Signor Peter ha riconosciuto il fondamento delle mie impressioni: se anche egli non riusciva con la ragione a rendersi conto dei motivi, il sentimento lo induceva ad ammettere che questo patto non era nel momento presente opportuno. Ma come poteva l'Austria disgustarsi con la Francia apponendole un rifiuto che non si vedeva in qual modo giustificare? Il Conte Clauzel, dopo la prima allusione di qualche tempo fa, non aveva riparlato della cosa e la Cancelleria non ne aveva nè ne avrebbe riparlato; egli sperava si trattasse di una qualche iniziativa di questo rappresentante francese, non preceduta nè seguita da conformi istruzioni del suo governo.

Ho obbiettato che fino al 28 aprile c'erano più di tre settimane di tempo, e che simili accordi possono essere proposti discussi e conclusi in brevissimi giorni come era stato provato dal nostro. Io era convinto che la notizia di un simile patto, specialmente se stipulato in questo momento, avrebbe prodotto cattiva impressione in Italia e lo pregavo pertanto di dirlo da parte mia al Cancelliere affinchè fosse informato di questa mia convinzione prima di una eventuale visita del mio collega di Francia e di una qualche sua proposta concreta a Schober. Ma mi riservavo di parlarne al Cancelliere io stesso quando questi avesse creduto ricevermi.

Il Segretario Generale mi ha promesso ripetergli la nostra conversazione e riferirmi il risultato del suo colloquio.

470.

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. S. 589/48. Addis Abeba, 4 aprile 1930. Telespresso V. E. n. 205689/14 del 22 febbraio u. s. (1). Col mio telegramma N. 10 del 23 gennaio u.s. avevo semplicemente inteso di esporre molto rispettosamente all'E. V. alcune considerazioni sulle istruzioni contenute nel telegramma di V. E. N. 8 del 17 gennaio u.s. in rapporto alla situa

zione, alla mentalità locale ed alla nota e chiara protesta del Ras Tafari alla

S.d.N. Sono rimasto perciò sorpreso ed addolorato che l'E. V. abbia potuto supporre che io non mi sarei conformato alle Sue istruzioni.

Ho ritenuto mio dovere esporre le considerazioni di cui sopra prima dello inizio delle conversazioni, affinchè appunto vi fosse il tempo di ricevere eventualmente le ulteriori istruzioni dell'E. V. Le conversazioni, infatti, non furono aperte che alcuni giorni dopo (mio telegramma N. 22 del 27 gennaio) e si prolungarono per oltre un mese.

Com'è noto quelle conversazioni non hanno costituito una fase risolutiva dell'annosa questione. Prima di riprendere utilmente le conversazioni fra le parti interessate dovranno essere eseguiti lavori tecnici di rilievo ed idrografici che richiederanno certo un paio d'anni di tempo. Rimane perciò intatta la possibilità di esercitare l'azione diplomatica prescritta dall'E. V.

Con l'occasione mi permetto far presente che il mezzo più rapido e più sicuro di comunicare con questa R. Legazione ritengo sia ancora quello di servirsi della Radiotelegrafia, la nostra stazione essendo in comunicazione diretta e giornaliera con quella di S. Paolo a Roma. Mentre il telespresso segreto di

V. E. N. 14 mi è pervenuto per posta il 21 marzo e la posta per l'Etiopia è trasportata da piroscafi inglesi e francesi e transita per Gibuti dove vi è sicuramente censura per le corrispondenze indirizzate alle Legazioni di Addis Abeba.

(l) -Cfr. n. 449. (2) -Schober aveva dichiarato al corrispondente viennese del Petit Parisien che il Governo austriaco « resta fermo nell'intenzione di non assumere legami politici univoci... è assolutamente esclusa una nostra partecipazione ad un determinato gruppo di Stati • (t. posta 1090/612, Vienna 21 marzo 1930).

(l) Cfr. n. 383.

471

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LONDRA

T. GAB. (P. R.) 25/99. Roma, 6 apTile 1930, ore 14,15.

Ricevuto tuoi ultimi rapporti (l) stamani domenica. Bisogna più che mai tener duro. Tuo bilancio si discuterà in maggio. Partirai da Londra tre giorni dopo tutti gli altri.

472

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DELLA MARINA FRANCESE, DUMESNIL (2)

[Londra], 7 aprile 1930.

DUMESNIL -Dichiara essere venuto a nome di Briand per tenere i contatti con me, nell'assenza di Briand. Mi comunica essere intenzione di Briand di sottopormi immediatamente al suo ritorno da Parigi la formula anglo-francese d'interpretazione del Covenant.

GRANDI -Solite argomentazioni.

Il colloquio si prolunga un'ora.

francese in una conversazione dell'S aprile fra le delegazioni della Francia e dell'Inghilterra (D B, Serie Il, vol. l, n. 181).

40 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

DUMESNIL -Propone un accordo sui programmi proporzionati allo statu quo delle flotte rispettive calcolando per la flotta francese 240.000 tonnellate più della flotta italiana.

GRANDI -Gli faccio capire che è matto (?) a farmi questa proposta.

DUMESNIL -Alla fine, in piedi, nell'atto di congedarsi, mi dichiara che la Delegazione francese, allo scopo di fare un supremo sforzo conciliativo, sarebbe disposta a trattare sulla base della parità dei programmi.

GRANDI-Gli rispondo che questa proposta mi venne già fatta a Ginevra il 15 Gennaio da Briand (1), e che fu rigettata dall'Italia, per le solite ragioni ecc. ecc.

(l) -Cfr. nn. 455, 459, 460, 461, 462, 464. (2) -Accenni a questo· colloquio e discussione del problema della parità navale italo•
473

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, AL CONSOLE GENERALE A BEIRUT, DE CICCO

TELESPR. 211741/10. Roma, 7 aprile 1930.

Questo Ministero prega la S. V. di voler seguire da presso il corso della azione giudiziaria a carico dei marittimi De Ponte Giuseppe e Predulin Riccardo, sbarcati dal piroscafo • Adria • ed arrestati dalla polizia di Beirut perchè sospettati di contrabbando di munizioni (2).

Sarà bene che V. S. cerchi di trovare il modo di prestare a detti connazionali, in via indiretta, ogni possibile assistenza.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. GAB. (P. R.) 11/162/121. Londra, 8 aprile 1930, ore... (per. ore 17,25).

A titolo di informazione comunico che ieri è venuto a vedermi ministro della marina francese, col quale ho avuto lunga discussione (3) sul solito tema svolto con i soliti argomenti da ambo le parti. Al momento di congedarmi Dumesnil mi ha detto che allo scopo di far supremo sforzo conciliativo egli sarebbe disposto esaminare un accordo basato sulla parità dei programmi francesi ed italiani da oggi al 1936.

« A conclusione dell'inchiesta, il Comando del porto esprimeva parere che, tanto i due marittimi arrestati a Beiruth, quanto l'elettricista Antonini dovessero ritenersi gli autori del tentativo di contrabbando delle 14.400 cartucce rinvenute sul piroscafo "Adria", senonché, prima della firma del verbale da parte del rappresentante dell'Autorità politica, che pure aveva preso parte all'inchiesta, la R. Prefettura di Trieste interessava verbalmente il Comandante del porto a non dare ulteriore seguito al procedimento per ragioni di delicata natura politica. Ogni azione, quindi, è stata sospesa.. (N. 785 del Ministero delle Comunicazioni, Marina Mercantile, al Ministero dell'Interno, inviata per conoscenza al Ministero degli Esteri, del 25 maggio 1930).

(,3,l Cfr. n. 472.

(l) -Cfr. n. 308. (2) -Le munizioni consistevano in 14.400 cartucce per rivoltella. Analoghi tentativi di contrabbando di armi e munizioni erano stati fatti da altri due piroscafi del Lloyd Triestino. Il comando del porto di Trieste svolse in proposito un'indagine.
475

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. GAB. (P. R.) 12/163/122. Londra, 8 aprile 1930, ore 14,30 (per. ore 21,45).

Seguito al mio telegramma n. 162/121 (1).

In colloquio avuto ieri MacDonald (2) confermandomi possibilità giungere accordo a quattro sulla base dichiarazione programmi fino al 1936, mi ha prospettato possibilità nostra adesione mediante una formula del tenore seguente:

• Italia non ha indicato cifre definitive programma navale ma dichiara di essere d'accordo con intenzioni altre potenze firmatarie ed impegnarsi ad osservare spirito accordo ed a cooperare per renderlo effettivo. Italia non può rinunziare ad insistere sul diritto costituire flotta eguale, ma non superiore a quella della potenza continentale europea più forte, ma esaminerà la situazione europea da oggi al 31 dicembre 1936 per regolare in conformità suo effettivo programma costruzioni •.

Ho risposto a Mac Donald:

l) Non doversi parlare di adesione ma unicamente di partecipazione italiana;

2) Termini in cui è redatta la rendono inaccettabile;

3) Unica formula che consenta partecipazione italiana accordo a 5 è quella basata sul principio da te enunciato e specificata nel nostro memorandum del

19 (3) e cioè:

Mentre altre potenze si impegnano mediante dichiarazioni programmi, Italia si impegna a non superare in nessun momento livello potenza continentale più armata.

Mac Donald mi ha confermato che la nostra irriducibilità sul principio parità rende impossibile accordo a cinque.

476

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO (4)

TELESPR. R. 211862/275. Roma, 8 aprile 1930.

II R. Ministro in Addis Abeba, in data 5 corrente, ha telegrafato quanto

segue:

« II Governo Britannico ha fatto nuove sollecitazioni per conoscere le deci

sioni di questo Governo circa il Trattato elaborato dalla Conferenza Armi a

Parigi. II Negus ha risposto al mio collega d'Inghilterra che ci sarebbero alcuni

punti da chiarire in merito ai quali avrebbe telegrafato alla Legazione di Etio

pia a Parigi. In seguito anche agli avvenimenti di questi giorni, è prevedibile

che la decisione del Governo Etiopico si farà ancora attendere •.

Questo Ministero non può che constatare, con rincrescimento che il Governo Britannico persiste nel suo atteggiamento di giungere al più presto ad una conclusione positiva della Conferenza di Parigi, senza tener alcun conto delle considerazioni esposte da V. E. al signor Henderson in base alle istruzioni ministeriali, di cui al telegramma per corriere n. 2315 del 6 dicembre 1929 (1).

(l) -Cfr. n. precedente. (2) -N o n si è trovato il verbale di questo colloquio. (3) -Cfr. n. 376. (4) -Il telespresso venne inviato, per conoscenza, al ministero delle Colonie e all'ambasciata a Parigi.
477

PROMEMORIA SUL COLLOQUIO FRA L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, IL DELEGATO ALLA CONFERENZA NAVALE DI LONDRA, ROSSO, ED IL PRIMO MINISTRO INGLESE, MACDONALD (2).

Londra, 9 aprile 1930, ore 12.

MACDONALD, dopo avere espresso il suo rincrescimento per l'indisposizione di S. E. Grandi, comincia col precisare il carattere delle conversazioni che hanno avuto luogo in questi ultimi giorni tra inglesi e francesi per l'interpretazione dell'art. 16 del Covenant.

Tiene a precisare che non si tratta di un nuovo patto politico, ma di un chiarimento di un patto politico esistente. La Francia ha chiesto all'Inghilterra il suo punto di vista sulla portata del predetto articolo, e l'Inghilterra non si è rifiutata di esprimerlo, come non si sarebbe rifiutata di esprimerlo all'Italia se la richiesta le fosse stata ufficialmente rivolta dall'Italia.

Come si è creduto poter fare a Locarno nei riguardi della Germania, da parte delle Potenze colà riunite nel 1925, così MacDonald non vede perchè ciò non si possa fare ora a Londra, in margine della Conferenza, senza urtare Ginevra e tutti gli altri membri della S.d.N.

Fra Francia e Inghilterra è stato raggiunto su questo punto un accordo di massima che sarà precisato in una riunione da tenersi oggi nel pomeriggio (3). Ma tanto inglesi che francesi desiderano che l'Italia si associ a questa formula di interpretazione e il Segretario di Stato per gli Affari Esteri sarà incaricato di sottoporre all'approvazione di S. E. Grandi il testo proposto. Se mancherà l'approvazione dell'Italia, l'idea dell'accordo interpretativo sarà abbandonata.

Nell'ulteriore corso della conversazione è risultato anche che l'accordo resterà lettera morta anche in caso che non si riuscisse a firmare un patto a cinque per le questioni navali.

MACDONALD ha quindi espresso il suo fermo desiderio di concludere entro pochi giorni i lavori della Conferenza.

Il patto a tre è ormai definito. Una riunione anglo-americana-giapponese ne fisserà gli ultimi punti questo pomeriggio (4). Ma MacDonald desidera fare un ultimo tentativo per arrivare possibilmente ad un patto a cinque su queste basi:

Il patto dovrebbe contenere, oltre i risultati tecnici sui quali non si è

verificato disaccordo tra le cinque Potenze, gli impegni sui programmi concordati tra Stati Uniti, Inghilterra e Giappone con l'inclusione di quelli francesi se è possibile e con una dichiarazione da parte dell'Italia che, senza far cifre, si associ allo spirito della conferenza ed esprima i punti di vista che più riterrà idonei a salvaguardare i principi da essa sostenuti durante i lavori della Conferenza.

MACDONALD ha accennato al desiderio della delegazione francese che una tale dichiarazione italiana assicurasse, per la durata della conferenza, il margine attuale di differenza tra Francia e Italia.

BORDONARO e ROSSO hanno subito obiettato che era inutile pensare ad una simile possibilità.

Allora MACDONALD ha domandato che la Delegazione italiana presentasse essa stessa il testo della dichiarazione (l) che sarebbe stata disposta ad includere nell'accordo ed egli avrebbe fatto di tutto per indurre i francesi a non farvi obbiezioni.

MACDONALD è ormai convinto che non c'è più nulla da dire. Ha fretta di chiudere la conferenza e crede che l'ultima seduta potrebbe essere tenuta nei primi giorni della prossima settimana.

(l) -Cfr. n. 221. (2) -Al colloquio erano presenti Henderson e Craigie. (3) -Cfr. D B, Serie II, vol. I, n. 182. (4) -L'accordo anglo-americano-giapponese fu raggiunto la mattina del 10 (FRUS, 1930, vol. I, pp. 105-107).
478

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

TELESPR. RR. 212086/169. Roma, 9 aprile 1930.

A rapporto 12 marzo u. s. n. 770/412 (2). Ringrazio per le interessanti informazioni comunicate col rapporto sopracitato.

Convengo coll'E. V. sull'opportunità che il marchese Antinori eviti, per parte sua e fino a nuovo ordine, ulteriori troppo frequenti e manifesti contatti cogli esponenti di cui trattasi, contatti che dovranno invece essere mantenuti a cura del solo maggiore Renzetti.

V. E. vorrà perciò provvedere a dare le opportune istruzioni ad entrambi detti Signori, seguendo a tenermi informato sull'interessante argomento.

479

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 9 aprile 1930.

La Direzione Generale degli Affari Politici di Europa Levante ed Africa ha l'onore di attirare la particolare attenzione di V. E. sopra la delicata questione della fornitura delle armi all'Ungheria.

Recentemente una fabbrica d'armi italiana (la Ditta Odero-Terni-Orlando) chiese al R. Ministero degli Affari Esteri l'autorizzazione di 6fiportare alcune mitragliatrici in Ungheria e nel fare tale richiesta la Fabbrica in parola assicurò che il R. Ministero della Guerra aveva già data la necessaria autorizzazione. In attesa di maggiori precisioni sul quantitativo di armi e sulle modalità del contratto stipulato dalla fabbrica per la detta fornitura, questo Ministero negò la chiesta autorizzazione basandosi sul disposto dell'art. 134 del Trattato di S. Germano e sul corrispondente articolo del Trattato di Trianon.

Quasi contemporaneamente ci è stato segnalato che negli ambienti di Ginevra (proprio da fonte ungherese) si è rilevato che l'Italia figura al quarto posto delle importazioni in Ungheria di cartucce cariche con un totale di 248 quintali e per il rilevante valore di circa 7 milioni di lire.

Se per ragioni di opportunità politica e per necessità di ordine militare, od anche per dare incremento alle nostre industrie specializzate, giudichiamo conveniente di esportare armi e munizioni occorrerà prendere le necessarie precauzioni se non vogliamo correre il rischio di provocare un altro clamoroso incidente come quello del St. Gothard (1).

Unica soluzione del delicato problema sarebbe quella di assicurarci il concorso delle autorità federali austriache. Tale concorso dovrebbe esserci acquisito per il fatto che lo stesso Governo federale, a mezzo del Cancelliere Schober, ci ha chiesto a sua volta di essere rifornito in armi e munizioni (2).

Occorrerebbe pertanto esercitare un'azione concomitante a Vienna sia da parte ungherese che da parte italiana, per ottenere il licenziamento di ferrovieri socialisti e l'allontanamento in genere del personale infido.

Se V. E. entra in tale ordine di idee potrebbe tenerne parola al Conte Bethlen durante la sua prossima permanenza a Roma e prendere gli opportuni accordi circa l'azione da promuovere a Vienna (3).

(l) -Vedila in D B, Serie II, vol. I, n. 183, appendice. (2) -Cfr. n. 420.
480

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 1752/229. Budapest, 9 aprile 1930.

Faccio seguito al mio rapporto n. 1489/292 del 31 marzo (4), nonchè al telegramma n. 35 col quale riferivo all'E. V. avermi il Conte Bethlen personalmente confermato, subito dopo il suo ritorno da Parigi, avant'ieri, il proprio

« Per ora e a scansare i rischi di possibilissime indiscrezioni il Ministero degli Esteri ha risposto in via ufficiale alla Odero Terni, che alle richieste di cui trattasi ostano i Trattati di Pace. In via poi riservata anzi riservatissima, sarà bene che ci poniamo direttamente d'accordo fra i due Ministeri per esaminare il miglior modo di soddisfare questa, ed eventualmente, altre richieste avvenire dell'Ungheria, senza mettersi a repentaglio di provocare uno scandalo internazionale». La lettera reca il seguente appunto di Guariglia: «Datane comunicazione verbale al Colonnello Giglioli 3-4-30 •·

Nel febbraio 1930 i diplomatici rumeni segnalavano un intensificarsi dei trasporti di materiale militare italiano all'Ungheria tramite l'Austria (E. CAMPUS, Mica Inte!egere, Bucuresti, 1968, p. 89).

intendimento di partire questa sera alla volta di Roma, contando giungervi nella mattinata di venerdì 11 per visitarvi l'E. V. (1).

Nel corso della sosta alla nostra capitale, il Presidente del Consiglio ungherese conta anche, com'è noto, aver l'onore di esser ricevuto in udienza da Sua Maestà il Re, cui rimetterà, in nome del Reggente Horthy, le insegne della più alta onorificenza ungherese, e recarsi anche a far visita al Sommo Pontefice.

Ho già, con mio telegramma in chiaro n. 37, subito informato l'E. V. del comunicato ufficiale con cui tutti i giornali di questa capitale hanno dato iersera l'annunzio, contemporaneamente del viaggio e della partenza decisa per og~i, ed invio a parte, col quotidiano resoconto stampa, gli ampi e generalmente assai benevoli -starei per dire entusiastici se non si notasse qualche temperamento nel dar sfogo assolutamente libero alla manifestazione di generale consenso, dovuto allo studio, da parte di questo ufficio stampa governativo, giusta quanto mi faceva stamane stessa rilevare il Capo di esso, Conte Csaky, di intonare gli apprezzamenti in modo da non fomentare ed ingigantire la tendenza a sospetti e ad allarmi che già mostrano gli sbizzarrirsi, a proposito di questo viaggio, nella maggior parte dei grandi e dei piccoli Paesi che guardano con notorio parti

colare interesse alle cose ungheresi -commenti con cui il viaggio medesimo viene salutato.

Il Conte Bethlen, il quale aveva già espresso il desiderio di vedermi ancora prima della sua partenza, mi ha raccontato stamane, nel corso di assai cordiale colloquio, (e ciò mi è poi anche stato confermato dal Sottosegretario Khuen Hedervary, e dal mio collega britannico, Lord Chilston, che ho avuto occasione di vedere più tardi) che la notizia del viaggio aveva destato particolare preoccupazione in questi ambienti diplomatici più vicini alla Francia. Bethlen ha aggiunto che il ministro De Vienne, coltone dirò così di sorpresa, non aveva saputo trattenere o nascondere il proprio nervosismo al riguardo, e sollecitata telefonicamente un'udienza colla maggiore urgenza, s'era precipitato stamane da lui a primissima ora, .chiedendogli, in uno stato di palese agitazione, che cosa avesse egli mai dovuto riferire al Quai d'Orsay. Al che il Presidente del Consiglio avrebbe semplicemente risposto, pur nel dare ampie assicurazioni che a nessun intendimento comunque bellicoso s'informasse la politica di notorie cordialissime relazioni intercedenti fra Italia e Ungheria, doversi considerare perfettamente logici nel Capo di questo Governo, il desiderio ed il bisogno di incontrarsi col Capo di quello Italiano, in primo luogo per confermargli verbalmente la viva riconoscenza da cui è naturale che Governo e popolo Ungherese siano animati verso l'Italia che tanto efficacemente ha appoggiato i legittimi loro interessi nella questione delle Riparazioni e in quella degli Optanti; ed in secondo luogo per esaminare personalmente con lui i problemi interessanti l'Ungheria nel quadro della situazione generale europea, cosi come 1 reiterati periodi di sue frequenti permanenze a Parigi possono dargli occasione di trovarsi a contatto con le più alte personalità dirigenti la politica francese, senza che per

questo abbiano avuto ad adombrarsene i Rappresentanti di altri Paesi. Il Conte Bethlen mi ha detto anche essersi stamane già recato ansiosamente da lui questo Incaricato d'Affari del Belgio, impressionato da voci poste in circolazione su imminenti speciali accordi di carattere militare che sarebbero dovuti intervenire tra Italia e Ungheria, ma più, secondo l'impressione riportatane dal mio Interlocutore, a scopo d'ottenere genericamente materiale informativo da inviare a Bruxelles in occasione del viaggio, anzichè mosso da effettiva preoccupazione come il collega francese.

Il Conte Bethlen si è quindi marcatamente soffermato a parlarmi • dell'intima soddisfazione che egli provava nel potersi oggi personalmente recare a portare questo tributo di sincera e profonda gratitudine ungherese al Capo del Governo Italiano, e della convinzione che egli nutriva di potergli in tale circostanza direttamente anche meglio comprovare la perfetta identità di vedute che anima nei riguardi della situazione internazionale la politica dei due Paesi • (sic).

Mi ha poscia fatto un particolare accenno alle relazioni coll'Austria, manifestando il proprio compiacimento pei risultati conseguiti col recente viaggio di Schober a Roma; ed esprimendo fiducia nell'efficace influenza che un ulteriore, secondo lui prevedibile, sviluppo delle note organizzazioni di • Heimwehren • potrà avere sul consolidamento del Governo di destra nella Repubblica austriaca, sia col mantenimento dello stesso Schober al potere, sia forse anche colla eventuale assunzione al Cancellierato dell'attuale Ministro della Difesa Vaugoin, mi ha chiaramente dimostrato desiderio di rafforzare cordiali relazioni deH'Ungheria coll'Austria, a proposito di che mi ha informato di aver dato istruzioni a questo Ministro degli Affari Esteri Walko di passare espressamente per Vienna, nel viaggio di ritorno da Parigi, ove egli si trova tuttora, allo scopo non solo di amichevole manifestazione, ma con quello preciso, altresì, di invitare il Cancelliere Schober a venire prossimamente in visita qui a Budapest.

Dopo aver incidentalmente scartato ogni preoccupazione sull'efficacia pratica delle mene che tenta proprio in questi giorni praticare, tra gli ambienti dell'opposizione parlamentare il • massone Friedrich • (sic), già per breve tempo Presidente del Consiglio proprio prima che il potere fosse assunto dal Conte Bethlen, questi mi ha spontaneamente parlato della questione di Regime in Ungheria, e su ciò riferisco con altro mio breve odierno rapporto a parte, avente il numero 1753/330 (1).

«Se si trattasse unicamente dell'Arciduca Otto, ha osservato il Presidente del Consiglio, la cosa avrebbe forse anche potuto prendersi in qualche modo in esame sotto simile forma, e nell'intento di cercare, con tale provvedimento transazionale, di conciliarsi qualche maggiore simpatia negli ambienti legittimisti. Ma, al seguito di Otto, ha egli aggiunto testualmente, che varrebbe unicamente come facciata, pretenderebbe di venire poco dopo, immancabile, l'Imperatrice Zita, ed i suoi molteplici intrighi non avrebbero più alcun ritegno.

In corrispondenza di quanto precede, ha quindi concluso il Conte Bethlen, abbiamo categoricamente deciso di rifiutare qualsiasi autorizzazione ci venga richiesta in tal senso, e, se, ciò malgrado, qualcosa venga tentato contro tale decisione, faremo quanto sarà necessario per farla rispettare.

In vista dell'imminenza delle conversazioni di Roma, mi sono naturalmente limitato a ringraziare il mio cortese Interlocutore delle cordiali sue informazioni, esprimendogli ogni augurio pei più utili risultati, nell'interesse comune dei due Paesi, della visita alla quale

si accinge ».

Mazzotti inviò a Mussolini una lettera in data Roma 14 aprile 1930, chiedendo una udienza, che venne concessa, per conferire sui problemi « propaganda sotterranea per la :restaurazione degli Asburgo in Austria e Ungheria e intrigo franco-intesista contro l'Ungheria » (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, fase. Mazzotti W/R).

(l) -Sul quale cfr. i documenti ed. in Serie VII, vol. VI. (2) -Cfr. n. 347. (3) -Appunto di Mussolini: • Sta bene •. Nei giorni precedenti era stata preparata una lettera di Mussolini per Gazzera di cui si pubblica il brano seguente:

(4) Cfr. n. 456.

(l) Sul viaggio a Roma di Bethlen non si è trovata documentazione. Cfr. 1'accen11;o, limitatamente al problema delle Heimwehren, in KEREKES, Abenddiimmerung einer Demokrat~e, cit., pp. 70-71; e in NEMES, op. cit., pp. 110 e 348; e, più ampiamente, KARSAI, op. ctt., pp. 382-387.

(l) Di questo rapporto si pubblica solo il passo seguente:

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. 170/128. Londra, 10 aprile 1930, ore 22,40.

Giornata ieri registra ultima richiesta MacDonald (l) per conoscere in quali termini precisi avrei acconsentito partecipazione italiana accordo a cinque sulla base dichiarazione programmi. Gli ho ripetuto nota formula italiana (2), aggiungendo per l'ultima volta che essa non consentiva variazioni. MacDonald mi ha altresì richiesto se accettavo entrare nell'accordo anglo-francese per interpretazione art. 16. Gli ho risposto:

l) che continuavo ritenere Ginevra e non Londra sede adatta simili negoziati;

2) che prima prendere soltanto esame possibilità sottoporti simile richiesta desideravo conoscere se e quale rapporto essa avesse con riconoscimento Francia parità italiana. In conseguenza di tale mia risposta intesa franco-inglese su detto articolo è venuta meno per mancata partecipazione italiana.

Oggi MacDonald e Stimson di fronte a mancato accordo fra Francia e Italia e Francia e Inghilterra, hanno constatato inutilità continuare trattative ed impossibilità giungere accordo a cinque.

Eguale constatazione ho fatto con Briand, venuto oggi a vedermi, al quale ho riconfermato netto atteggiamento italiano (3).

È stato pertanto stabilito che lunedì (4) avrà luogo conferenza plenaria. In essa MacDonald annuncierà accordo a tre anglo-americano-giapponese, e comunicherà che conferenza si aggiorna per consentire ulteriori negoziati a tre potenze europee, cioè Italia, Francia, Gran Bretagna che sonosi trovate di fronte maggiori difficoltà.

Saranno inoltre presentate altre questioni come quella della vacanza navale per navi di linea (proposta italiana) regole guerra sottomarini, ecc., allo scopo di sottoporre qualche questione dettaglio alla firma delle cinque Potenze, per mascherare alla meglio insuccesso conferenza.

Conferenza può dunque considerarsi finita a partire da lunedì.

482

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND

Londra, 10 aprile 1930.

BRIAND -Mi domanda perchè ho rifiutato di aderire all'accordo francobritannico sulla famosa formula dell'art. 16. GRANDI -Spiego le ragioni.

(-4) 12 aprile.

• Anzitutto Londra non è la sede. Poi non si fa trovare un Paese come l'Italia, per di più garante di Locarno, di fronte ad un progetto già concordato. Inoltre nessuno mi ha detto quale ripercussione l'accettazione italiana avrebbe nella soluzione del problema navale. Da ultimo il punto di vista dell'Italia circa l'art. 16 è profondamente diverso da quello francese. Per me la " sicurezza " ve l'ho detto, è un'idea di guerra, non di pace •.

BRIAND-• Ne sono dispiacente.

Vorrei ad ogni modo che Italia e Francia non si separassero a Londra come nemici, e fossero risparmiate recriminazioni e polemiche che riaccendessero gli spiriti già eccitati. Che ne dite? •.

GRANDI -Sono d'accordo.

BRIAND -• Fra non molto, ad esempio, in occasione dello stesso Consiglio della S.d.N. che avrà luogo il 14 Maggio p.v. noi potremo riprendere le nostre conversazioni •.

GRANDI -• Sta bene. Credo che sia ora che voi pensiate una volta per sempre e seriamente al problema dei rapporti italo-francesi •.

BRIAND -• Io ci penso sempre •.

GRANDI • Non abbastanza •.

BRIAND • Può darsi che in altra atmosfera un accordo sarà meno difficile •. GRANDI -• Accetto l'augurio. Ma debbo dirvi che dopo tre mesi di discussioni a Londra non avrei ragione di essere ottimista come voi •.

BRIAND -• MacDonald non volle seguire il consiglio che gli diedi " Non fate la Conferenza!... ". Non mi ha dato ascolto. Male gliene incolse! Così la Conferenza non poteva riuscire •.

GRANDI -• Io ho fatto di tutto perchè riuscisse •.

Ho voluto a questo punto mettere in chiaro l'offerta francese della • parità dei programmi •. Tanto per la storia, e perchè ci possa servire come elemento utile nei futuri negoziati.

GRANDI -• Il Ministro Dumesnil mi ha confermato lunedì sera la vostra offerta del 14 gennaio u. s. "Parità di programmi" (1). È ben vero che ieri sera lo stesso Dumesnil parlando col mio Collega della Marina Italiana, Ammiraglio Sirianni (2), non ha più parlato di "parità" bensì di "proporzionalità di programmi", il che è molto differente. Parità significa eguale quantità di tonnellaggio da costruirsi di qui al 1936. È esatto questo? ».

BRIAND -(dopo qualche esitazione). • Sì, è esatto •.

Questa conferma di Briand, naturalmente non ha alcuna speciale importanza. È lo stesso Briand che ha riconosciuta la parità dei livelli a Washington, e che a Londra l'ha rinnegata. Giusto per avere dei punti di riferimento nelle trattative future, se ci saranno (3).

(l) -Cfr. n. 477. (2) -Cfr. p. 585, nota l. (3) -Cfr. n. seguente. (l) -Cfr. n. 472. (2) -Cfr. n. seguente. (3) -Un accenno al colloquio Grandi-Briand in D B, Serie, II, vol. I, n. 184. lbid., verbale di una riunione delle delegazioni italiana, francese e inglese. Non si pubblica il breve verbale italiano di tale riunione.
483

PROMEMORIA DEL MINISTRO DELLA MARINA, SIRIANNI (USM, cart. 3291/4)

[Londra], l O aprile 1930.

Ieri sera in casa del Segretario di Stato Stimson il Ministro Dumesnil m'invitava, dopo pranzo, ad un colloquio al quale volle assistere anche Stimson. Dopo alcune frasi banali di introduzione (solidarietà -amicizia -grado di parentela con la Francia, ecc. ecc.) entrò in argomento.

Mi chiese se ero al corrente delle sue proposte a Grandi (1). Per non dare importanza soverchia a quel colloquio, risposi che ne sapevo solo qualche cosa e gli domandai se era ben sicuro di essersi spiegato chiaramente. Gli sembrava di essere stato esplicito. Cominciò ad ogni modo a parlarmi di programmi sui quali potevamo perfettamente intenderei, ma con le formule verbali non rendeva chiaro il suo pensiero.

Lo portai allora sul concreto, sui numeri, chiedendogli quale avrebbe dovuto essere l'importo del tonnellaggio annuale da costruirsi dalla Francia e per quale periodo: se cioè dal '30 compreso a tutto il '36 oppure dal '31 al '36.

Il periodo delle costruzioni secondo le sue affermazioni avrebbe dovuto andare dal '30 compreso al '36 escluso: 6 anni. Circa l'anno '36 non mi parve sicuro.

L'ammontare annuo delle costruzioni francesi sarebbe stato condizionato con l'accordo a cinque a 35 mila tonnellate. Se l'accordo non fosse stato raggiunto la Francia avrebbe costruito annualmente 45 mila tonnellate, uniformandosi al suo Statuto Navale.

Osservai che lo Statuto Navale francese non contemplava che 40 mila tonnellate annue; la stessa cifra presentata nel loro Memorandum, eccezione fatta per l'anno in corso per il quale erano state approvate circa 42 mila tonnellate di naviglio leggero e sommergibile.

Gli richiesi allora quale era il tonnellaggio complessivo chiesto dalla Francia. Mi dichiarò che era 640 mila tonnellate e che proponeva 400 mila tonnellate per l'Italia, che nel seguito del discorso egli portò a 440 mila.

A questo punto gli domandai quale avrebbe dovuto essere l'ammontare delle nostre costruzioni annuali. Rispose da 23.500 a 24.000 tonnellate, corrispondente cioè al rinnovamento del naviglio preso come base per le due Marine.

Compresi subito che la sua proposta non meritava il nostro esame.

Dumesnil per illustrare la sua tesi, aggiunse che nel 900 e nel 914 l'Italia aveva una forza navale corrispondente ai 7/100 di quella mondiale, mentre era 13/100 la francese e che l'offerta ci dava implicitamente la parità nel Mediterraneo lasciando alla Francia un'aliquota appena sufficiente per i suoi bisogni

o c e anici.

Osservai che riferire la situazione di oggi a quella del 900 e del 914 era cosa assolutamente irreale poichè le condizioni politiche erano del tutto mutate.

Due grandi Marine europee, l'Austriaca e la Germanica, a Lei avverse, erano praticamente scomparse.

Stimson, che seguiva la discussione con interesse, mi chiese notizie sui programmi delle due Nazioni negli ultimi 10 anni. Diedi i dati complessivi del '23 e del '24, poi quelli complessivi degli ultimi 6 anni, soffermandomi particolarmente sugli ultimi 3. Non li conosceva affatto. Rimase meravigliato dell'ammontare dei valori assoluti e della media annuale degli ultimi 6 anni, che definì una competizione.

Risposi che effettivamente era una competizione, ma che le nostre costruzioni erano sempre state subordinate a quelle francesi. Feci ancora osservare che il nostro programma di costruzioni navali era coerente alle conclusioni di Washington. L'Italia aveva avuto una parità di diritto, che le permetteva di raggiungere quella di fatto.

Stimson espresse il pensiero che tutte queste spese per gli armamenti navali erano dannose per l'economia delle nazioni, specialmente per una nazione come l'Italia che aveva in progetto e in esecuzione larghi lavori in tutti i campi della attività civile.

Mi mostrai dello stesso avviso e gli elencai alcune delle più importanti opere di trasformazione intraprese dal Regime soffermandomi specialmente sulle bonifiche, e illustrando lo sforzo finanziario necessario. Questo per confermargli che le nostre dichiarazioni sulla volontà di disarmare -purchè questa volontà fosse stata condivisa da altre Potenze -non erano manifestazione oratoria, ma realtà.

Stimson affermò allora che la parola parità era un ostacolo. Osservai che anche gli americani l'avevano fatta loro ed aggiunsi che la parità è quella forma di accordo che spinge meno di qualsiasi altra agli armamenti. Gli portai come esempio il fatto che la parità con la Francia nella categoria delle navi portaerei, non ci ha spinto affatto a seguirla nella costruzione di tale tipo di nave.

Parlammo anche delle navi Over age e particolarmente del tipo • Danton • che avevamo offerto alla Francia di mantenere in servizio per le sue necessità coloniali. Dumesnil dichiarò che me le avrebbe regalate volentieri.

Il colloquio ebbe la durata di circa un'ora e mezza. Nel congedarmi dichiarai che mi sembrava incomprensibile che i francesi potessero offrirei una cifra annuale di costruzioni di un terzo inferiore alla loro, quando da 6 anni avevamo entrambi costruito con lo stesso ritmo.

Dumesnil mi apparve molto verboso e piuttosto superficiale.

Stimson seguì la discussione con molto interesse. Senza dare alcuna importanza o valore alla cosa posso aggiungere che egli rimase favorevolmente impressionato delle mie argomentazioni.

Dopo aver udito Dumesnil ed ascoltato alcune considerazioni di Stimson sull'imponenza del programma costruttivo francese, ho avuta la sicura sensazione che il solo accordo a 3 fosse realizzabile.

(l) Cfr. n. 472.

484

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. GAB. (P. R.) 14/173/131. Londra, 11 aprire 1930, ore 21,35 (per. ore 3 del12).

Ho telegrafato al R. ambasciatore a Berlino quanto segue:

• Suo telegramma n. 268 (1). Per sua conoscenza ed eventuale norma di linguaggio, a titolo personale, con codesto segretario di stato, informo che effettivamente di fronte ad offerta di partecipazione conversazioni franco-inglesi circa clausola interpretativa articolo 16 Covenant ho risposto che non ritenevo conveniente discutere tale argomento in assenza Germania e che sede adatta simile conversazione era Ginevra •.

485

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 1400/801. Vienna, 11 aprile 1930.

Mio telespresso n. 1348/775 in data 8 u. s. (2).

Il Segretario Generale Peter mi aveva detto giorni fa che, avendo riflettuto a quanto gli avevo fatto osservare (3) sul viaggio del Cancelliere a Parigi in rapporto all'Italia e al nostro patto di amicizia, aveva proposto a Schober di !asciarlo a Vienna sotto pretesto della necessità della sua presenza qui per la direzione del Dipartimento degli Esteri durante l'assenza del Cancelliere: Schi.iller trovasi in Ungheria per i negoziati commerciali, e il Capo di Gabinetto Junkar, che quando Schober venne a Roma rimase qui, accompagnerà questa volta il Cancelliere. L'assenza del Segretario Generale avrebbe diminuito il valore del viaggio di Schober, accentuando la mancanza in esso di un preciso scopo politico; e nella ipotesi, ormai improbabile, di una qualche proposta di carattere politico che avesse potuta essere fatta in Parigi a Schober avrebbe dato modo a questo di guadagnare tempo. Il progetto di Peter era piaciuto a Schober, e io lo avevo approvato incitando il Segretario Generale a non recedere per eventuali insistenze di questo Ministro di Francia.

Stamane Peter mi ha detto che Schober ha deciso di !asciarlo qui, e che comunicazione ne è stata data al Conte Clauzel il quale se ne è mostrato rammaricato. Così del pari si è mostrato rammaricato che Schober non voglia valersi del vagone-salone che il Governo francese desidererebbe inviargli a Monaco.

c Peter ha riferito al Cancelliere la mia conversazione, e Schober gli ha detto che qualora il Ministro di Francia facesse una simile proposta si esaminerebbe il miglior modo per rimandarne l'effettuazione a più tardi •.

Il programma del viaggio, che ho visto stamane, è molto semplice, in quanto contiene una visita al Presidente della Repubblica, una a Tardieu e una a Briand (di mezz'ora) con susseguente colazione offerta da quest'ultimo: non vi saranno brindisi.

Il mio collega di Francia ha ieri voluto parlarmi spontaneamente di questo viaggio affermandomi ch'esso era stato proposto da Schober mesi fa e ch'egli aveva risposto che il Governo francese sarebbe stato lieto di ricevere il Cancelliere, sempre beninteso dopo che questi avesse effettuate le sue visite a Roma e a Berlino. Ma Peter mi ha detto stamane che tutto ciò è falso: era Clauzel che aveva invitato Schober e insistito perchè accettasse, e proposto persino che il Cancelliere si recasse a Parigi direttamente dall'Aja già nel gennaio, alla fine della conferenza.

(l) -Allude al t. 907/268 dell'8 aprile col quale Orsini Baroni riferiva su una conversazione con Schubert. Secondo quest'ultimo, « Governo del Reich non è tranquillo dinanzi a quello che sta succedendo a Londra, mentre è soddisfatto per la attitudine che, secondo i giornali, V. E. avrebbe preso di fronte alla formula interpretativa dell'art. 16. Governo del Reich per ora null'altro può fare che attendere. Ma, >al momento opportuno, a Ginevra, si riserva far conoscere suo pensiero circa eventuali deliberazioni Londra che modifichino accordi esistenti e tirarne le conseguenze •· (2) -Di questo documento, relativo a un colloquio Auriti-Peter circa un'eventuale proposta francese di patto con l'Austria, si pubblica il brano seguente:

(3) Auriti allude probabilmente al n. 469.

486

IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, GHIKA, A... (l)

L. P. [Roma], 11 aprile 1930.

Je pars tantòt par le rapide de Milan et n'ayant plus le temps de vous aller trouver au Palais Chigi, je tiens à vous dire par ces lignes • ad ogni buon fine • que mon collègue au Vatican, lors de la remise de ses lettres de créance (2), a eu, au cours de l'audience dans la bibliothèque du Pape, des déclarations facheusement précises et ultrapessimistes quant à la Russie. Le St. Père a sorti un rapport • reçu hier • qui confirme • tout ce que nous savons de ces scélérats (sic) depuis plusieurs semaines • et • qui nous fait craindre à brève échéance que la pauvre chère Roumanie sera appelée, au prix de nouvelles souffrances à etre le boulevard avancé contre une attaque des bolcheviks •.

Je vous livre ceci pour vous seui, avec ce que le sujet comporte de réserves, parce que j'ai cru nécessaire que vous sachiez une fois de plus combien le Vatican est pessimiste quant à un • coup • des Soviets contre nous (3).

487

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA, FERRETTI

T. 898/174/132. Londra, 12 aprile 1930, ore 16,05 (per. ore 21,40).

Mi sembra sarebbe opportuno che articoli direttoriali commenti Conferenza di Londra contenessero, oltre resto, constatazione che Conferenza di Londra è successo Regime Fascista. Per tre mesi opinione pubblica mondiale ha sottoli·

Sull'atteggiamento sovietico cfr. la dichiarazione fatta a Cerruti da Litvinov che « egli sapeva che in generale noi diplomatici credevamo che gli uomini di stato soviettici parlassero del pericolo di un'aggressione molto più di quanto realmente vi credessero. Fino ad un certo punto ciò era vero... » (t. 972/97 del 18 aprile 1930). Mosca temeva in quel momento un attacco della Polonia. Cfr. anche Dokumenti Vnesnei Politiki SSSR, XIII, nn. 58 e 60.

neato con aperto consenso condotta dell'Italia Fascista a Londra. Concezione Italiana del disarmo, che è formula Mussolini, va oltre difesa nostri interessi, ma indica sola via risolvere grande questione mondiale. L'Italia fascista si è messa dunque alla testa di questo movimento e tutti i popoli hanno riconosciuto contributo del fascismo. Per la prima volta conferenza internazionale Italia è stata trattata da pari con quattro maggiori potenze mondiali ed azione italiana sempre vigile dal primo all'ultimo giorno ha costituito una, se non la maggiore, delle forze determinanti il corso generale della conferenza. Italia ha combattuto da sola sua battaglia, esclusivamente sua, contro tutti, senza affiancarsi nessuno. È il caso forse di sottolineare stile con cui diplomazia fascista partecipa conferenze internazionali. E così di seguito.

(l) -Il destinatario è con ogni probabilità Guariglia. (2) -Il Papa aveva ricevuto in udienza 1'8 aprile Nicola Petrescu Comnen, ministro di Romania presso la Santa Sede, che gli aveva presentato le lettere credenziali. (3) -Come risulta da un appunto in margine al t. 589, Bucarest 16 febbraio 1930, che non si pubblica, Guariglia non condivideva l'opinione del ministro di Polonia a Mosca che riteneva imminente, per la primavera, l'occupazione militare russa della Bessarabia. Analoga l'opinione di Roatta, addetto militare a Varsavia, in un rapporto del 24 marzo 1930.
488

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 944. Roma, 12 aprile 1930.

Riferimento per ultimo mio rapporto n. 780 del 7 marzo u. s.

Con riferimento al foglio sopracitato, ho l'onore di, qui unito, far pervenire in copia all'E. V. una Nota della Segreteria di Stato di Sua Santità, in data 11 aprile, consegnatami stamattina brevi manu da Monsignor Pizzardo, relativa alle affermazioni del Sommo Pontefice nel Suo discorso del 24 dicembre 1929 al Sacro Collegio dei Cardinali.

ALLEGATO.

LA SEGRETERIA DI STATO DELLA SANTA SEDE A DE VECCHI

N. RR. 1210j30. Dal Vaticano, 11 aprile 1930.

Il Ministero degli Interni, nella nota n. 265 F-A dell'8 febbraio u.s. (1), scriveva: • sembra che il Cardinale Segretario di Stato di Sua Santità, nella risposta alla R. Ambasciata d'Italia presso il Vaticano, anzichè fondare le sue osservazioni su elementi concreti, si sia richiamato a fatti generici e non circostanziati·· In contrario è da osservare che la Segreteria di Stato ha avuto più volte occasione di far conoscere al R. Governo, per il tramite di Monsignor Nunzio o di S. E. il Signor Ambasciatore, i nomi di località dove accaddero i fatti e altre indicazioni bastanti a procurare, ove si fosse desiderato, gli opportuni accertamenti.

Non si vuole qui ripetere quanto già è stato detto; ma essendo opportuno dare una risposta, sia pure sommaria, ad alcune affermazioni contenute nella su ricordata Nota del Ministero degli Interni, si ritiene utile, per maggiore chiarezza, raggruppare gli elementi più controversi nei seguenti punti:

l) Le inchieste sul Clero e sull'Azione Cattolica.

2) La incompatibilità tra l'appartenere all'Azione Cattolica e alle Associazioni del Regime. 3) Le manifestazioni cattoliche. 4) L'atteggiamento di alcune Autorità nei riguardi della stampa cattolica. 5) La pubblicazione dei discorsi pontifici.

l. --Per quanto riguarda le inchieste eseguite sul clero e su gli iscritti all'Azione Cattolica non è esatto quanto S. E. il Signor Ambasciatore scriveva alla Segreteria di Stato con la Nota 272 del 7 novembre 1929 parlando di un • contenuto di supposte circolari, ignoto per altro al R. Governo •. Sembra, invece, che una inchiesta simile sia stata disposta con circolare del Ministero degli Interni del luglio 1929 sugli Enti, Associazioni ed Istituti Cattolici. Non che s'intenda con questo rilievo negare alle competenti autorità civili il diritto di fare, occorrendo, le opportune indagini su singoli cittadini per tutelare l'osservanza delle giuste leggi dello Stato. Ma in passato quest'opera di vigilanza ha assunto nei riguardi del Clero e dell'Azione Cattolica non di rado tali forme di controllo da circondarli di immeritata diffidenza e sospetto: mentre invece, in un paese cattolico come l'Italia e particolarmente dopo il riconoscimento contenuto nell'articolo 43 del Concordato, sarebbe piuttosto da attendersi che il Clero e le Associazioni di Azione Cattolica, poste alle dirette dipendenze della gerarchia ecclesiastica, godessero di qualche considerazione o riguardo. Perciò è facilmente spiegabile la sorpresa con cui si venne a notizia, sempre nel luglio 1929, di una circolare, inviata a tutte le stazioni dei RR.CC. del Regno, in cui si chiedeva • una particolareggiata relazione • la quale illustrasse l'azione svolta o che • svolge il Clero all'infuori di ciò che costituisce l'esercizio del culto nonchè l'attività clericale nel campo associativo ed in quello organizzativo della gioventù. Converrà quindi (continua il documento) elencare le associazioni ed organizzazioni esistenti in ciascun comune, indicando il numero degli iscritti e trattando particolarmente all'indirizzo educativo •. Inoltre, nello stesso mese di luglio 1929, si venne a conoscere da parecchie fonti il testo di un'altra circolare che i Comitati Provinciali dell'Opera Nazionale Balilla avrebbero spedito a tutti i Comitati dipendenti, e che suonava così: • Prego di farmi conoscere, in via riservata, quale efficienza abbia attualmente il movimento giovanile cattolico di codesto Comune e quale azione è svolta, sopra tutto in questi ultimi tempi, dopo la Conciliazione nei riguardi del reclutamento della gioventù da parte delle .disciolte organizzazioni cattoliche. Mi farà inoltre conoscere quali siano i rapporti che intercorrono fra il Comitato Comunale e le Autorità ecclesiastiche del Comune. Prendo infine occasione per raccomandare... di seguire con molta diligenza le pubblicazioni parrocchiali e giornaletti cattolici che vengono eventualmente editi nel comune, provvedendo a trasmettere di volta in volta a questa Presidenza tutti gli scritti che comunque si occupino della gioventù •.

Le citazioni potrebbero continuare; ma per non ripetere quanto si disse nella Nota del 27 ottobre 1929 (l) e quanto scrisse Monsignor Nunzio Apostolico, basterà qui ricordare che sabato 8 marzo 1930 un funzionario di pubblica sicurezza si presentò negli Uffici della Giunta Centrale dell'Azione Cattolica Italiana in Roma, Via Aracoeli 2, domandando accurate informazioni intorno ai dirigenti della medesima Giunta. Parimenti proprio in questi giorni, il Signor Cambise, questore di Ascoli Piceno, si è recato in alcuni luoghi della Provincia, chiamando a sè i sacerdoti e tacciandoli anche di soverchia intransigenza nella predicazione della morale.

Concludendo, si chiede che venga messo da parte ogni ingiustificato sospetto verso le Associazioni Cattoliche e che esse siano trattate come si conviene, tanto più che delle medesime l'Autorità Eclesiastica, da cui dipendono, ha garantito e garantisce il perfetto ossequio alle legittime autorità e la astensione da ogni partecipazione a movimento politico. Il Santo Padre conosce bene lo spirito che anima l'Azione Cattolica; più volte ha dichiarato che le associazioni cattoliche non possono e non devono fare azione politica: Egli si fida dei suoi figli perchè sa che sono docili alle Sue direttive; non meritano quindi di essere circondati da una diffidenza quanto estesa altrettanto ingiusta. Si domanda perciò che cessino le diffidenze verso ottimi dirigenti di Azione Cattolica e zelanti Sacerdoti, sospettati dalla Autorità solamente perchè fanno affermazione, come del resto deve fare ogni

cattolico, di attaccamento di fedeltà di amore alla Chiesa ed al Papa, accettandone gli insegnamenti e seguendone le indicazioni.

Per il caso di Saronno, poi, il quale veramente rimonta al 18 luglio 1928 (e non 1929),-a parte che la via percorsa dal Sacerdote, indicato nella Nota del Ministero degli Interni n. 265 F-A in data 8 febbraio u.s., era la via più naturale a seguirsi (il Santo Padre conosce molto bene la topografia del Paese) -si potrebbe chiedere perchè mai nonostante che il Sacerdote sia stato allontanato, nonostante le ripetute richieste fatte dal compianto Cardinale Tosi, si è tardato (fino al mese di dicembre u.s.) a concedere la riapertura del Circolo.

2. -Si prende atto ben volentieri della dichiarazione che non esiste incompatibilità tra l'essere iscritti all'Azione Cattolica e contemporaneamente nelle varie organizzazioni del Regime; il che dà a sperare che verrà a cessare ogni motivo di reclamo. Ma poichè questi appunti si riferiscono al passato (in quanto rispondono a rilievi fatti dal Ministero degli Interni in data 8 febbraio a sua volta riferentisi a una Nota di questa Segreteria di Stato del 29 dicembre 1929) (l) è necessario osservare che da parecchi anni, e fino a questi giorni, sono giunte alla Santa Sede da diversi luoghi lamentele per fale pretesa incompatibilità, proclamata dai dirigenti delle organizzazioni fasciste. Bastino queste poche e sommarie citazioni:

Fin dall'll giugno 1928 il segretario federale di Forli, avv. Ivo Oliveti scriveva, che c mentre il Partito incoraggia ed agevola in ogni contingenza la partecipazione dei veterani e dei giovani alle cerimonie religiose, non è d'altra parte, per intuitive ragioni, compatibile che i nostri uomini e i nostri giovani abbiano contemporaneamente due tessere in tasca; e siano cioè vincolati da due discipline che non sempre possono esattamente coincidere •.

Simile atteggiamento era preso, nel dicembre 1928, in Sardegna dall'On. Marghinotti, il quale confermava tale direttiva anche a S. E. Monsignor Arcivescovo di Sassari.

A Messina, il 6 settembre 1929, il Presidente del Comitato Provinciale dell'Opera Nazionale Balilla inviava ai suoi dipendenti la seguente circolare:

• Mi si riferisce che in qualche comune gli Avanguardisti e Balilla fanno pure parte dei locali Circoli Cattolici. Comunico alle SS.LL. che tale stato di fatto è inconciliabile con le disposizioni vigenti.

L'educazione religiosa ai nostri organizzati deve essere impartita dai nostri organi competenti e sempre sotto il nostro controllo. Le SS.LL. si accordino all'uopo con le Autorità Ecclesiastiche locali e concretino le modalità con cui tale educazione religiosa sarà impartita agli iscritti e provvedano acchè gli avanguardisti ed i Balilla si dimettano dai Circoli Giovanili Cattolici.

In proposito attendo assicurazione anche dai Comitati Comunali che non hanno avuto a lamentare tale stato di cose •.

Poco dopo, nel periodo della riapertura delle scuole, veniva segnalata da Bergamo, da Messina, da Parma la dichiarazione di incompatibilità (fatta dai dirigenti fascisti) dell'appartenenza ai gruppi studenteschi e universitari cattolici e a quelli fascisti. La circolare inviata dal Segretario Politico di Parma asseriva che

• nessun gruppo studentesco potrà essere riconosciuto al di fuori del G.U.F. •·

Nel corrente anno 1930, il 3 febbraio, a Senigallia furono diffidati i giovani cattolici studenti a scegliere tra la tessera del Circolo Cattolico e quella degli avanguardisti. Nello stesso periodo di tempo a Montappone, Porto San Giorgio, Ponzano Monturano, Montefiore dell'Aso (in quest'ultima località il 18 febbraio u.s.) veniva parimenti asserita dai dirigenti delle organizzazioni fasciste la lamentata incompatibilità. Da altra parte vien riferito che il segretario politico della provincia di Sondrio, Signor Cantagalli, il 26 gennaio u.s. in una Adunanza tenuta a Sondrio avrebbe detto con infelici frasi, che c occorre strappare la gioventù a chiunque, adoperando anche i manganelli qualora il caso lo richiedesse •.

(l} Cfr. n. 284.

41 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

Il 28 febbraio u.s., nella conferenza degli insegnanti di Arco (Trento), quel Podestà dichiarava di non capire come possan esservi associazioni all'infuori di quelle fasciste e ripetutamente asseriva: c c'è incompatibilità tra azione cattolica e le nostre associazioni • e c è incompatibile che chi lavora per l'azione cattolica lavori per noi •.

E da ultimo è veramente inspiegabile il gravissimo provvedimento preso in

data 28 febbraio u.s. contro il Maestro Anelli di Noicattaro (Bari); trasferito ad altra

sede unicamente perchè organizzava c Circoli giovanili • considerandosi tale sua

attività c in aperto contrasto con l'attività e le direttive dell'O.N.B.•.

Tuttavia, se da questa rapida e sommaria rassegna apparisce chiaro trattarsi

non di casi rari e sporadici, ma di una pratica largamente diffusa, la Segreteria di

Stato confida che la Circolare inviata dall'On. Turati ai Segretari Federali in data

14 marzo p.p. varrà ad eliminare definitivamente un sì doloroso stato di fatto: ciò

che assai più facilmente si otterrà se il contenuto della Circolare suddetta verrà

reso di pubblica ragione.

3. -Il Ministero degli Interni, nella Nota ripetutamente su menzionata, asserisce che c le manifestazioni cattoliche hanno sempre trovato libero svolgimento • e ricorda in proposito le adunanze della Settimana sociale e i congressi della Gioventù Cattolica Italiana e della Federazione Universitaria Cattolica Italiana.

È, però, a tutti noto che anche queste grandi manifestazioni, fatte sotto il

pubblico controllo, e, più ancora, sotto l'impulso e con l'assistenza dell'Autorità

Ecclesiastica, furono riguardate quasi con sospetto e diffidenza, come se si trattasse

di qualche cosa di pericoloso per il bene della patria e non invece di cosa altamente

benefica per la salutare propaganda di buone idee e di saldi principii di ordine e

di concordia.

Inoltre all'Azione Cattolica, appunto perchè essa opera per fini così nobili, non si possono impedire tutti quei mezzi che al raggiungimento di tali fini sono necessari; tra i quali sono altresì da annoverarsi quei mezzi di sollievo (filodrammatiche, cinematografi, giuochi, passeggiate, ecc.), che oltre ad essere voluti dalla più elementare pedagogia, sono stati riconosciuti necessari in una dichiarazione scritta che S. E. il Capo del Governo faceva pervenire alla Santa Sede fino dal 15 dicembre 1927 e che riconosceva lealmente come c gli Oratori o Scuole di Dottrina Cristiana possano trattenere i giovanetti con giuochi ginnastici, teatri e simili divertimenti trattandosi non di vera e propria educazione fisica, ma di esercizi di divertimento usati per allettare la tenera gioventù alla frequenza del catechismo e anche per premiare la diligenza nello studio •.

A questo proposito la recente Enciclopedia sull'Educazione Cristiana della Gioventù ha ben precisato il diritto della Chiesa di preoccuparsi anche dell'educazione fisica, senza disconoscere il diritto che spetta allo Stato di dare norme e disposizioni per tale educazione, ordinata altresì a preparare la difesa del Paese.

4. -Quanto alla Stampa, che abbiamo già osservato, bisogna pur riconoscere che affermare e difendere i principii della dottrina e della morale cattolica non è soltanto un sacro dovere di fedeltà alla Chiesa, ma è nello stesso tempo un nobile servigio reso agli interessi stessi della Nazione.

Perciò non si riescono a comprendere certi atteggiamenti tutto altro che benevoli da parte di alcune autorità nei riguardi dei giornali cattolici.

Non si vede, ad esempio, come possa spiegarsi il sequestro intimato dal Prefetto della Provincia di Milano, al giornale L'Azione Giovanile in data 30 giugno 1929 c per il contenuto generico e tendenzioso di molti articoli, alcuni dei quali possono essere interpretati in senso tendenzioso, anarcoide e lesivo dell'autorità delle leggi dello Stato •; motivazione, come si vede, affatto generica e indeterminata, poichè pur troppo è sempre possibile che per malevolenza o per ignoranza della dottrina cattolica si interpretino in senso tendenzioso anche le frasi più innocue.

Parimenti apparisce ingiustificato -per fare un altro esempio -il sequestro fatto dal Prefetto di Verona dal giornale Idea Giovanile per l'articolo c Dopo le giornate romane • dichiarandolo c atto a dar motivo di turbamento dell'ordine pubblico •, mentre non è che una giusta esaltazione dell'opera del Sommo Pontefice Pio XI e una professione di fedeltà da parte dei giovani cattolici, come è dovere di tutti i cattolici.

Quanto poi alla Rivista del clero dell'agosto 1929, n. 8 vi è bensì l'affermazione che c nessun altro nè persona nè governo nè associazione nè monarca può arrogarsi questo diritto (educativo) della Chiesa nè !imitarlo o regolarlo •. Ma chi scorra anche superficialmente l'articolo, intitolato • L'Eucaristia nella educazione dei giovani •, vede subito trattarsi del • compito • che • spetta alla Chiesa Cattolica in quanto ha avuto a sè da Dio. affidato l'insegnamento della verità soprannaturale rivelata, che da Dio ebbe in deposito con la missione di custodirla, di difenderla e di comunicarla a tutti coloro che vogliono divenire figli di Dio, partecipi della Sua natura e della Sua gloria eterna •. È, dunque, ben lontana dalla mente dell'articolista l'idea di negare il giusto diritto dello Stato nella educazione dei giovani; per cui non si può dire, come è affermato nel decreto di sequestro, che c venga negato qualsiasi diritto anche di semplice partecipazione dello Stato nella educazione dei giovani •. Del resto sarebbe bastato considerare che l'articolo era firmato dal Rettore dell'Università Cattolica, p. Agostino Gemelli, per persuadere anche il più scrupoloso censore che era assurdo attribuirgli una negazione non conforme alla dottrina cattolica.

5. -Non si vede come al Ministero degli Interni • non risulti che sia stato adottato alcun provvedimento diretto ad impedire la pubblicazione dei discorsi pontifici •. n Ministero potrebbe venire facilmente a conoscenza che la Questura di Palermo proibiva al giornale Primavera siciliana di pubblicare il discorso tenuto dal Sommo Pontefice al Sacro Collegio il 24 dicembre u.s. A Cremona il 26 dicembre un redattore del giornale Vita Cattolica veniva chiamato in Questura per sentirsi comunicare lo stesso ordine. Contemporaneamente dalla R. Prefettura di Milano veniva imposto alla Società editrice c Vita e Pensiero • di non pubblicare nella Rivista Vita e Pensiero nè il testo del discorso pontificio, nè alcun sunto o cenno del medesimo. Anche a Bergamo, in quei giorni, la R. Questura proibì alla Tipografia Vescovile di pubblicare le parole del Papa nella Rivista Diocesana.

(l) -Cfr. n. 356.

(l) Cfr. n. 132, allegato.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

L. P. Londra, 13 aprile 1930.

Cronaca riassuntiva delle due ultime settimane. Domenica 30 marzo, invito di MacDonald a Chequers (2). L'accordo anglo-francese sembrava ormai un fatto compiuto, e quindi, per conseguenza, qualora l'Italia persistesse nella sua inflessibilità, un accordo a quattro, o un accordo a tre con adesione della Francia (che si sarebbe salvaguardata con una clausola speciale nei riguardi dell'Italia) in via di compiersi. Inglesi e francesi avevano anche discusso il testo della formula di salvaguardia, che gli Inglesi avrebbero voluto di carattere generico, allo scopo d'irritare il meno possibile l'Italia, e che la Francia insisteva invece a indicare in termini specifici.

Mi sono convinto che era venuto il momento di giocare grosso. A MacDonald che mi confermava lo stato soddisfacente dei negoziati Henderson-Briand (sicu

rezza) e Alexander-Dumesnil (riduzione tonnellaggio), e che per l'ultima volta dichiarava pormi il quesito della rinunzia alla parità, concludendo che in caso di risposta negativa l'accordo a quattro senza l'Italia avrebbe proceduto in modo automatico, malgrado la sua stessa buona volontà (?) di impedirlo, ho risposto vivacemente indicandogli le conseguenze cui una soluzione del genere avrebbe portato:

l) Acutizzazione della crisi franco-italiana. 2) Fine dell'amicizia itala-britannica. 3) Denuncia del Trattato di Locarno. 4) Nuovo orientamento della politica internazionale dell'Italia. 5) Costruzione immediata di tre corazzate, e gara di competizione navale.

Nel colloquio di martedì 1° aprile e più di tutto nell'incontro con MacDonald e Henderson di giovedì (1), ho ripetuto rincarando la dose, le dichiarazioni fatte domenica ai Chequers. Uscendo dal Palazzo di St. James ho dato alla stampa inglese tutti i dettagli dell'incontro, denunciando la manovra di Briand, cui Henderson e MacDonald si accodavano in cambio di una modesta riduzione del programma navale di Tardieu.

La manovra di Briand rinnovava il tentativo dell'alleanza militare anglofrancese, e si risolveva, in sostanza, in un'offesa all'Istituto di Ginevra, pur avendo l'aria di rinforzarne la portata e l'efficacia.

La stampa inglese tutta, senza eccezione, del giorno dopo, venerdì 4 aprile, partiva in resta contro l'accordo franco-inglese denunziandone i pericoli e domandando in modo reciso al Governo laburista, ma specialmente ad Henderson, di smetterla.

Sono andato da Stimson, al quale ho parlato pure colla necessaria franchezza. Stimson ha preso l'impegno formale che la Delegazione americana non avrebbe fatto pressioni di sorta sull'Italia, dichiarando di avere risposto negativamente alla domanda di Briand che lo pregava di esprimersi in senso contrario alla parità franco-italiana e di associarsi alla Francia nell'interesse di raggiungere un patto a cinque.

La nostra azione, aggiunta naturalmente ad altri elementi di fatto, ha scosso, in un modo definitivo, l'incertezza britannica, determinando l'intervento personale di MacDonald, nelle trattative Henderson-Briand. Il progetto concordato Henderson-Briand, attraverso cui era sanzionata la comune azione franco-britannica, nel caso di una guerra determinata dall'applicazione dell'art. 16 del Patto della Società delle Nazioni, è stato, all'ultimo momento, dopo la tempestosa seduta ai Comuni, rifiutato da MacDonald. Briand è partito per Parigi sabato avendo in tasca una formula denicotinizzata, priva di valore pratico e di importanza politica, cui si aggiungeva il seguente codicillo da parte del Governo britannico, e cioè: • n Governo britannico firmerd soltanto se il Governo italiano, garante di Locarno, aderird alla formula •.

Era, insomma, la sconfitta di Briand.

Quando egli è partito per Parigi con la nuova formula, per sottoporla al Consiglio dei Ministri francese, io ho tirato un grosso respiro. Oramai, ero perfettamente tranquillo.

Infatti, da lunedì ad oggi, gli avvenimenti hanno seguito, in base a queste premesse di fatto, il loro corso logico.

Il Gabinetto francese ha, indubbiamente, respinto la formula dell'accordo politico, nella sua redazione ultima, o meglio, non l'ha considerata come sufficiente a determinare una diminuzione di tonnellaggio. Questa è la verità, almeno nella evidenza che scaturisce non dai giornali, ma dai fatti.

Naturalmente Briand, al suo ritorno martedì, ha fatto il suo gioco. Roba cucita col filo bianco, in verità, anche se per tre giorni la stampa internazionale vi ha abboccato. Briand si è presentato dicendo : • n Governo francese accetta la formula d'accordo poLitico come gli è stato proposto dana Gran Bretagna ma dichiara che non può ribassare le cifre del suo tonnellaggio fino a che l'Italia non avrà accettato una superiorità da parte della Francia di 240 mila tonnellate •.

Briand si è preoccupato all'ultimo momento di non mostrare lo scacco del fallito accordo politico franco-inglese, cercando di nasconderlo dietro il grosso paravento del contrasto italo-francese. Questo contrasto è stato voluto, drammatizzato, ingigantito, durante tre mesi, giorno per giorno, a scopo tattico, dalla Delegazione francese. L'improvvisa mellifluità del Matin nelle giornate di lunedì, martedì, verso l'Italia è stato l'epilogo della manovra francese. Fallito l'accordo a quattro, cui Briand ha inutilmente lavorato da due mesi, dopo avere per due mesi dichiarato con palese soddisfazione che bisognava dare una lezione all'Italia, il Matin, proprio il Matin, del noto Sauerwein, ufficioso portavoce di Briand (con relativo immancabile comunicato Havas!) ci viene a dire che • la Francia non vuole dare alla sorella (?) latina lo schiaffo di un accordo a quattro •.

E molti giornali italiani, sciocconi come sempre, ci sono caduti dentro.

La • parità dei programmi • proposta sia pure in modo generico, da Dumesnil nella giornata di lunedì (1), è anteriore al ritorno di Briand. Non c'è quindi da meravigliarsi se mercoledì sera, sipario calato oramai sul teatro della Conferenza, Dumesnil, incontrandosi con Sirianni, si sia preoccupato di tradurre la sua • parità di programmi •, offerta lunedì in • proporzionalità • di programmi che è proprio l'opposto della parità (2).

La Conferenza Navale, dopo tre mesi, è, dunque finita. Non avrei mai pensato che la sorte mi avrebbe riservato un così duro collaudo come Tuo Ministro degli Esteri.

È finita. Ed è finita bene per l'Italia e per il Regime. L'Italia ed il Regime Fascista, permettimi di dirlo, partono da Londra, non solo colla testa alta, così alta, come l'Italia giammai è partita da nessuna Conferenza internazionale, ma, quello che più conta, l'Italia fascista parte da Londra, fra la simpatia, il rispetto, e diciamolo pure, l'ammirazione del mondo.

Nel problema specifico, e cioè nel terreno navale, la Francia si è rifiutata di prendere atto del nostro intangibile diritto alla parità. È vero. Ma è altresì vero che la pretesa francese a vedersi riconosciuto dal mondo il diritto di superiorità sull'Italia, è caduta, dopo tre mesi di intrighi e tentativi d'ogni genere, nel vuoto, miseramente. Al contrario, il mondo, nella sua duplice espressione: politica degli Stati e pubblica opinione, hanno [sic] condannato unanimemente la

Francia ed hanno riconosciuto, con un'unanimità impressionante il buon diritto dell'Italia. Credo di essere assolutamente obiettivo nell'affermare che questi tre mesi di Conferenza navale costituiscono un autentico successo per il Regime Fascista.

Il cerchio dell'antifascismo mondiale è stato fratturato. Difficilmente, se saremo vigili, e se sapremo mantenere i distacchi che abbiamo determinato, il cerchio potrà ricomporsi. Durante tre mesi di battaglia, non una voce, dal branco dei nostri avversari, ha osato levarsi contro il Fascismo. Quando la stampa francese ci si è provata, ha subito compreso che il gioco, più che inutile, era dannoso per essa. Ed ha taciuto, subito. Pur rifiutandoci il riconoscimento alla

• parità • navale, la Francia è stata unanime nel riconoscere in noi degli avversari • pari ad essa • nella battaglia. E questo è molto per dei francesi che pretendono tutto il mondo ad essi inferiore. Anche nella polemica più acre, la stessa Francia ci ha rispettato, valutato, temuto. È la constatazione semplice, di questi tre mesi da parte di tutti. La parità ce la siamo quindi bellamente conquistata davanti al mondo. E nessuno ce la porta via più.

Lasciami dire, Presidente, mentre mi appresto a rientrare, dopo tre mesi di cozzo e di clamore, nella • zona del silenzio • che Tu sai essere la casa preferita del mio spirito, questo: • Credo di essere stato un fedele alla Tua consegna. Spero che Tu non sia scontento del Tuo scolaro di cinque anni di Palazzo Chigi •.

È la prima volta infatti che l'Italia fascista si è presentata all'Estero colla

• sua diplomazia • senza più ricorrere all'esperienza e ai servizi dell'antico liberalismo italiano.

La Diplomazia -arte sottile, non facile, sconosciuta o quasi alla tremebonda anima dell'Italia liberale e papalina -è un'altra creazione della Tua Arte di Governo, cui Tu stai educando la nuova classe dirigente.

Ma c'è un altro punto, che è forse il più importante di tutti. La Conferenza di Londra rappresenta, a mio avviso, la vittoria morale degli italiani su loro stessi. È la prima volta, infatti, che, in una Conferenza Internazionale, l'Italia si è presentata sola, splendidamente sola. Sola, e contro tutti. È la prima volta che l'Italia si è presentata con un'idea europea e mondiale, (la Tua magica formula del disarmo), e cioè non soltanto nell'attitudine, ,tipica dei piccoli Paesi, che si preoccupano di difendere soltanto i propri interessi nazionali disinteressandosi del resto, ma invece inquadrando la difesa dei propri interessi in un concetto più vasto, e cioè mondiale. Nessuno si aspettava questo. Da principio

[la reazione] è stata questa: • Sgradevole stupore •. In seguito si sono detti:

• Macchè. È un bluff. Al momento buono molleranno. È la solita tattica dell'Italia, che alla fine ha mollato sempre •.

Quando, dopo due mesi e mezzo hanno capito finalmente che non era un bluff, che l' • isolamento • non faceva più paura agli Italiani, in c quel momento • l'Italia Fascista ha veramente conquistato il suo posto c pari • alle quattro Potenze più grandi del mondo. Allora. Non prima. Per ciò dico che si tratta di una • vittoria morale degli italiani su loro stessi •. So che non sono mancate le critiche dei paurosi, terrorizzati all'idea di un'Italia che non è più

• puntellata • a destra o a sinistra, a qualche palo, anche se secco e infracidito. Il solito ritornello degli invertebrati: • cosa succederà dopo, se siamo soli? •.

I dominatori, gli uomini come i Popoli, hanno sempre cominciato coll'essere soli. Anzi più che soli, perseguitati. Anche sotto quest'aspetto credo che la Conferenza di Londra sia stata un bene per gli Italiani.

Ed ora? Al mio ritorno mi permetterò di esporTi più dettagliatamente, e con maggiore ordine, quello che penso della situazione di domani. La Conferenza di Londra apre, a mio avviso, un nuovo periodo di azione internazionale per l'Italia, delicato e difficile.

Siamo riusciti a Londra, e siamo riusciti noi, ad impedire la realizzazione di quello che è lo scopo, tenacemente perseguito, della politica francese da dieci anni a questa parte: l'alleanza franco-britannica. La Francia vuole questo. Tenterà tutte le strade per arrivarci. Coi Conservatori al Potere la Francia ci era glà quasi arrivata (1). Sono stati i Laburisti a mandare tutto per aria. Perciò io mi domando se alcuni entusiasmi italiani per il Governo di Baldwin e di Chamberlain, ed i Conservatori in genere, non siano un'ingenuità. In questi tre mesi infatti gli unici due giornali • non amici • dell'Italia sono stati proprio il Times e la famosa Morning Post. Non bisogna dimenticare questo.

Ginevra tornerà ad essere il piano dell'azione diplomatica francese nei riguardi dell'Inghilterra. Da oggi in poi Ginevra e la Società delle Nazioni assumono per noi un'importanza ancora maggiore di quella che non abbiano avuto finora. Lo scontro, in cui la Francia ha avuto a Londra diplomaticamente la peggio, per effetto dell'azione dell'Italia, si ripeterà a Ginevra. Ma vi saremo di nuovo noi. Soltanto bisogna prepararsi bene. Sinora la nostra azione a Ginevra è stata frammentaria, ristretta, qualche volta incoerente, limitata ad ogni modo ad una tattica di difesa dialettica. C'è da fare, si può fare molto, ma molto di più.

Quando penso che nel 1924 il Capo della Delegazione italiana dell'Assemblea di Ginevra, On. Salandra, Ti ha scritto una lettera autografa implorando la sollecita ratifica del famoso • Protocollo • e ciò solo per • non restare isolati • da Francia ed Inghilterra, trovo perfettamente giustificato che a Londra abbiano creduto per tre mesi, che l'Italia fascista (che, grosso modo, è per lo straniero la stessa Italia fascista del 1924) bluffasse nel suo atteggiamento inflessibile. Il

• Protocollo • era molto più grave (interpretazione totalitaria dell'art. 16) nei riguardi degli interessi [italiani] di quello che non lo fosse la formula HendersonBriand.

Tu un giorno hai detto una delle Tue gmndi e semplici verità, quando hai affermato che il rango delle Nazioni è determinato dalla potenza delle flotte rispettive. La Conferenza Navale è stata giorno per giorno, la dimostrazione palmare di questa grande verità.

Bisogni assoluti, bisogni relativi, livelli, programmi, ecc. ecc. Tutte formule senza importanza sostanziale. H rango deHe Nazioni è determinato dalla quantitd di tonnellate che sono possedute sul mare. Ecco la verità nuda. Tonnellate di più. Potenza di più.

La Conferenza di Londra, ma più di tutto la nostra battaglia sul diritto alla parità colla Francia, hanno una conseguenza logica.

• On m'accuse de ne pas etre un ami de l'Italie: tout à fait le contraire. Toutes les fois que Chamberlain m'a demandé la permission de voir M. Mussolini, j'ai toujours répondu que je ne voyais pas de difficultés •· [Nota del documento].

Nel 1921 (Conferenza di Washington) venne stabilita la parità italo-francese. Cosa fecero i Governi pre-fascisti per difendere questo diritto? Niente. Tu sai che le istruzioni del Governo di allora al Ministro Schanzer furono nel senso di contentarsi dell'S su 10 del tonnellaggio francese. La parità colla Francia fu un regalo americano e inglese, che (la cronaca della Conferenza di Washington è una storia triste ed allegra!) lo stesso Schanzer ad un certo punto rifiutò e che qualcuno della Delegazione Io costrinse ad accettare. Ma il riconoscimento del diritto alla parità navale non basta. Bisogna difenderlo, e realizzarlo. Cosa ha costruito la Francia negli anni 1922 e 1923? TonneLlate 90.613. Cosa ha costruito l'Italia nel 1922 e 1923 (i programmi del 1923 sono l'effetto della preparazione tecnica e finanziaria del '22)? Tonnellate 15.200.

Soltanto coll'anno 1924 (ossia il 1923) il Governo d'Italia comincia ·a preoccuparsi del problema navale. Dal 1924 al 1929 noi abbiamo costmito tonnellata per tonnellata quello che ha costruito la Francia e cioè:

Francia 160.000 tonnellate Italia 160.000 tonnellate.

Infatti la differenza • effettiva • tra la flotta italiana e la flotta francese, a tutto il 1929, è costituita dalle 70.000 tonnellate, quelle che i Governi prefascisti non si diedero cura di costruire, dopo la Conferenza di Washington.

Cosa deve fare oggi l'Italia, cosa non possiamo a meno di fare, se non vogliamo che fra un anno o due il mondo • prenda atto • della nostra inferiorità di fatto rispetto alla Francia, e non appaia la • parità • come una pretesa italiana non rispondente ai suoi bisogni ed alle sue possibilità?

Perchè la Francia non abbia fra qualche tempo, datale da noi, quella vittoria su di noi, che non è riuscita a strappare a Londra, occorre impostare almeno cominciando dal 1930, cioè dal programma di costruzioni dell'anno in corso, la stessa quantità di tonnellaggio impostato dalla Francia, col suo programma recentemente votato al Parlamento.

Si tratta di 40.000 tonnellate circa. Ci siamo lontani coll'attuale disponibilità di bilancio? Non ci siamo lontani. La media delle nostre costruzioni annuali è oggi di 30 mila tonnellate. Il programma del 1930 non è ancora fatto. È un bene che sia fatto dopo che è stato fatto quello francese. Non credo che vi siano grandi difficoltà per coprire la differenza di 10.000 tonnellate. Ma quello che occorre a mio avviso è non lasciare passare il 1930 senza impostare almeno un programma uguale. In caso contrario, poichè le discussioni sul disarmo continuano fra Italia, Francia e Inghilterra, la nostra posizione sarebbe resa sin da quest'anno, piuttosto difficile, e daremmo ragione immediatamente a coloro che affermano non avere l'Italia la capacità finanziaria per eguagliare la Francia nelle costruzioni navali.

Aggiungasi, da ultimo, che la Gran Bretagna attende ansiosamente di conoscere la cifra del nostro programma pel 1930. Se fosse una cifra inferiore a quella francese, allora tutte le sue preoccupazioni sparirebbero immediatamente, mentre noi dobbiamo mantenere vive queste preoccupazioni, non fosse altro fino che non sarà definitivamente morta anche l'appendice delle trattative anglo-franco-italiane, che dovrebbero e che dovranno ad ogni modo aver luogo, in epoca imprecisata dopo la fine della Conferenza.

E, se mi è permesso, un'osservazione che scaturisce dalla laboriosa esperienza di tre mesi di Conferenza. Vorrei che si fosse più guardinghi nella radiazione delle navi vecchie. Una delle difficoltà più forti incontrate a Londra è derivata dal fatto che l'Italia si è presentata con un tonnellaggio che io ho definito • asciutto •, un tonnellaggio di guerra. È perfettamente vero che ai fini della guerra le navi vecchie servono poco. È perfettamente vero che noi abbiamo seguito, radiandole tutte, l'esempio dell'impero inglese, americano e giapponese. Ma America, Gran Bretagna e Giappone, posseggono flotte talmente potenti rispetto alle nostre che il confronto non vale. Vale viceversa un altro criterio, quello esposto da Te, ed applicato esattamente dalla Francia. Tutte le navi da guerra navigabili contano, purchè esse possano innalzare un pennone e una bandiera. Le flotte non servono solo alla guerra, ma anche (vorrei dire soprattutto) servono nella pace. Così la Francia ha potuto presentarsi a Londra con una superiorità effettiva di naviglio da guerra, che naviga, di 240 mila tonnellate. Come avrei voluto, in questi tre mesi, tirare su dal fondo del mare le nostre corazzate ed i nostri incrociatori, radiati dal 1922 ad oggi! (1).

(l) -Grandi rientrò a Roma nella mattina del 16 aprile e da qui spedì subito per Mussolini. che si trovava a Pistoia, il presente documento. (2) -Cfr. n. 454, pp. 554-557.

(l) Cfr. nn. 460 e 462.

(l) -Cfr. n. 472. (2) -Cfr. n. 483.

(l) Briand un giorno mi ha detto, con aria apparentemente distratta ed assonnata:

490

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA E LEVANTE, GUARIGLIA

L. P. Belgrado, 13 aprire 1930.

Il Colonnello Amari è ,arrivato, e Visconti a giorni partirà. Semprechè le condizioni di salute glielo consentano perchè egli è a letto da circa un mese con seri e preoccupanti attacchi di nefrite.

In questi ultimi giorni sembra che la febbre non si sia rinnovata, potrebbe quindi darsi che per l'epoca stabilita per il trapasso di funzioni (20 corrente) egli potesse anche partire.

In ogni modo egli lascia Belgrado assai amareggiato, e quel che più conta, dal mio punto di vista, con propositi d'attacco contro di me. Ragione: una presunta mia debolezza d'attitudine verso Belgrado, una manchevole difesa della sua dignità etc. etc. Quali siano tutti i suoi argomenti ignoro, in ogni caso non ha fatto mistero con i miei collaboratori di queste sue intenzioni. Certo egli si appoggerà sicuramente sul mancato invito al ballo a corte (2). E che questo sia stato uno sgarbo è fuori dubbio, ed anche che dovesse essere rilevato certo, tanto più perchè in aperta contraddizione con quanto Jeftic aveva promesso. D'altro canto dato che Roma mi aveva dato istruzioni d'ottenere una lettera da Jeftic la quale servisse a vincolarlo contro ogni velleità scandalistica avvenire e che fosse una larvata soddisfazione per Visconti tale mancanza era per me il più agevole punto di partenza per ottenere la voluta lettera, e senza l'inopportuno intervento di Visconti fatto a mia insaputa, verosimilmente Jeftic

p. -354, nota 1).

avr,ebbe aderito alla mia domanda, per lo meno non avrebbe avuto pretesto cosi facile per un rifiuto, e pretesto offerto proprio dall'interessato.

Egli è che era fino dal primo momento idea fissa di Visconti di rilasciare ad Jeftic qualche scritto assai forte anche insolente, nel quale negare ogni suo rapporto con gli arrestati russi. A tal fine subito dopo il mio primo colloquio con Jeftic mi aveva dato un promemoria da rimettergli, ma redatto così inopportunamente che mi ero rifiutato di consegnarlo, !imitandomi ad utilizzarlo per quanto era possibile, nelle discussioni orali avute di poi. Questa delle lettere insolenti è forse una delle fissazioni degli addetti militari, ma che poco rientra nei criteri diplomatici. Rammenterai quella di Cattaneo ad Hadjich per dolersi del trattamento fatto ad una famiglia sua amica asseritamente disturbata perchè in relazione con lui. E poichè relazioni vi erano, è fuori di dubbio, ma non per obiettivi militari, ecco molta parte del risentimento di Cattaneo. Ad ogni modo quale risultato ha ottenuto? Così adesso Visconti. Con tale lettera che trova fondamento nell'amarezza di Visconti che vede chiudersi male un sessennio di mirabile attività, egli ha impedito a me di avere meno difficile via per adempiere alle istruzioni che mi avete inviato. Richiesto perchè non me ne avesse prevenuto, mi ha risposto che se ne avessi conosciuto prima il tenore, gli avrei vietato di inviarla. Egli riconosce quindi che il tono non era davvero quello che ci voleva, e che non gli sembrava nemmeno sufficiente se con i miei collaboratori aveva espresso l'intenzione d'inviarne alla sua partenza una anche più offensiva tanto che ho dovuto richiamarlo ad un più esatto senso della realtà e della situazione, vietandogli in modo esplicito di scrivere alcunchè senza mia conoscenza e consenso.

Ma per tornare al motivo primo di questa mia a te, tu vedrai a suo tempo se e quale fondamento avranno gli attacchi che egli sembra intenzionato muovermi costà, e giudicherai quanto sarà da farsi.

Poi per quello che riguarda l'esecuzione delle istruzioni avute, richiamo in ultimo il mio telespresso N. 504 dell'8 marzo (1). In allora Jeftic concluse che avrebbe riletto la lettera di Visconti, mi avrebbe fatto poi sapere le sue decisioni. Sono tornato più e più volte alla carica, ottenendo ondeggiamenti di volontà: mezzi rifiuti, mezze promesse, ritornello la durezza della lettera di Visconti che poneva un ostacolo pressochè insormontabile, conclusione: nulla di scritto finora.

A detto mio telespresso non ho avuto replica, non so quindi che pensiate costà, se riconosciate cioè che l'intervento personale di Visconti sia stato mal consigliato ed inopportuno, ed abbia impedito il risultato voluto, oppur no. Se quest'ultimo sia il vostro pensiero, proverò a replicare con insistenze ancora più forti. Importante è che la questione si chiuda con vostra soddisfazione, senza strascichi per me. Ti prego quindi di.rmi che debbo fare.

Una cosa mi preme affermare, ed è che lettera o non lettera di Jeftic a

me, se le relazioni !taio-Jugoslave continueranno possibili come oggi e con

speranza di miglioramento ulteriore, della questione Visconti non si parlerà

più. Mentre se i rapporti dovessero ripeggiorare e tornare dove erano alla fine

dello scorso anno non vi saranno impegni bastevoli ad impedire al governo

jugoslavo di tentare scandalo a suo vantaggio. Vedi ad esempio la conclusione del caso Zadnik, che se non fossero intervenute le conversazioni Jeftic-Grandi del Gennaio (l) si sarebbe mirabilmente prestato a scandalo giornalistico, mentre invece nessuno ne ha parlato.

Quanto poi ai minacciati lamenti di Visconti contro di me, sarà quello che Dio vorrà, o meglio voi vorrete. Argomenti e fatti a difesa non mi mancano, ed anche di contrattacco se sarà necessario.

Il Colonnello Visconti ha alte qualità di mente e di pensiero, ma è temperamento di rara complessità e che tende ad una deformazione professionale dell'ufficiale informatore, estremamente pericolosa. (Il pensiero ricorre ad una di quelle macchiette consolari così bene descritte dal Console Vitto e che certo hai letto e rammenti). In più la sua situazione personale e famigliare si complica singolarmente con la ,cessazione del suo servizio a Belgrado. Ciò spiega e chiarisce molto del suo stato d'animo odierno.

Parto domani per la Dalmazia con ritardo di due giorni sul programma. Ciò mi dà occasione di pregarti, se non lo abbia già fatto, di esaminare la situazione di quei • fiduciari •, prima che facciano altro male alla superstite italianità di quella infelicissima terra.

(l) -Il 14 aprile Grandi ebbe ancora un colloquio con MacDonald (D B, Serie II, vol. I, (2) -Cfr. nn. 404, 413, 423.

(l) Cfr. n. 413.

491

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. GAB. (P. R.) 15/175/133. Londra, 14 aprire 1930, ore 1 (per. ore 6).

Ieri avuto inizio lavoro esperti incaricati elaborare testo trattato (2). È stato preso in esame progetto di trattato redatto sulla base lavori svolti da delegati tecnici durante conferenza.

Prima parte del progetto concernente modificazione trattato Washington prevede: a) vacanza navale navi di linea; b) radiazione navi da battaglia da parte Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone; c) nuova definizione navi portaaeroplani.

Seconda parte comprende principi generali circa limitazione armamenti. Terza parte comprende norme particolari circa sottomarini, circa navi esenti da limitazione, circa regole di rimpiazzo; nonchè norme per radiazione. Quarta parte consta dell'accordo a tre (Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone) per limitazione armamenti.

Quinta parte comprende regole guer:r~a sottomarini.

Sesta parte prevede impegno a convocare nuova Conferenza nel 1935 e stabilisce modalità ratifica convenzione, la cui durata è prevista fino 31 dicembre 1936.

Cfr. anche una relazione del ministero degli Esteri sul trattato stesso, ed. in Documenti relativi alla politica navale dell'Italia, cit., pp. 49-53.

Alcune di queste parti possono essere da noi approvate senza difficoltà nè sostanziali modificazioni. Quarta parte non ci riguarda. Della prima parte ci riguardano solo i punti c) non di speciale rilievo ed a) che traduce in atto una proposta italiana. Quinta parte prevede disposizioni meno impegnative di quelle stabilite nella convenzione Root che abbiamo firmata ratificata.

Terza parte comprende norme di secondaria importanza e già approvate da comitato tecnico di cui facevano parte ministro Sirianni ed ammiragli Acton e Burzagli.

Ho invece dichiarato inaccettabile seconda parte.

Questa che contiene norme di carattere generale, da seguirsi in occasione di futuri accordi navali è in sostanza riesumazione del progetto transazionale francese (1), di cui molto si parlò primi giorni della conferenza.

Il progetto, che è via di mezzo fra limitazione per tonnellaggio globale e limitazione per categorie, fu discusso sotto espressa mia riserva che mi sarei pronunciato solo quando fosse stato stabilito livello degli armamenti e proporzione delle flotte.

Italia ha sempre sostenuto principio limitazione per tonnellaggio globale. Desidero ripartire da Londra senza aver menomamente limitato nostra libertà d'azione.

(l) -Cfr. n. 302. (2) -Il trattato fu firmato il 22 aprile. Vedine il testo in Trattati e convenzioni ecc., 1930, pp. 457 sgg.
492

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 1236/648. Berlino, 14 aprile 1930.

Telespresso di V. E. N. 212086/169 del 9 corrente (2). Ho impartito al Maggiore Renzetti le istruzioni datemi da V. E. con il Telespresso sopra citato. Sull'argomento in oggetto, il Maggiore Renzetti mi comunica, in data odierna, quanto segue:

• In un colloquio avuto pochi giorni fa con Hitler, il Capo dei Nazionalsocialisti ha riaffermato ancora la profonda simpatia ed ammirazione per Mussolini ed il Fascismo. Ha aggiunto di aver salutato con gioia l'occasione presentatasi con il noto processo (3), per esporre pubblicamente le sue idee sulla politica della Germania con l'Italia.

Mi ha chiesto se conoscevo il Migliorati. Alla mia risposta negativa, esso ha aggiunto che si tratta di una menzogna di un tedesco, l'Abel, che esso ha denunziato come spergiuro. Il processo dovrebbe avvenire tra breve.

L'Hitler nutre simpatia e stima per Hugenberg e non vorrebbe rompere le relazioni che ad esso lo uniscono. Esso mi ha detto -rispondendo alle mie

domande -che ha bisogno della stampa per estendere il proprio campo di azione. Non so ancora con precisione quali rapporti intercederanno ora tra i tedesco-nazionali e gli hitleriani; a me pare che essi non verranno mai completamente rotti.

Hitler stima che alle prossime elezioni esso potrà contare su trenta-trentacinque deputati.

È certo che, malgrado tutto, gli " Elmetti d'Acciaio " e gli hitleriani, non sono scontenti della piega che hanno preso gli avvenimenti. Intanto, i socialisti non sono al potere, il fronte nazionale si rafforza. Le iscrizioni, nei vari gruppi di tale fronte sono in aumento.

Vi è, inoltre, il fatto della Turingia. I nazionalsocialisti fanno di questa una loro roccaforte, fatto importante per il futuro svolgersi del loro movimento.

Gli "Elmetti d'Acciaio", a mezzo dei loro dirigenti, Morosovich, Wagner, Seldte, il Duca di Coburgo-Gotha, mi hanno fatto nuovamente proteste di viva simpatia per l'Italia. Essi desidererebbero che una loro pellicola, dove è mostrato il movimento loro, quanto hanno compiuto in fatto di colonie, sport, di igiene, fosse mostrata ai fascisti italiani. La pellicola, che io ho visto, non ha nessun carattere politico o tendenzioso.

D'altra parte, essi desidererebbero avere una pellicola analoga per quanto è Fascismo, Milizia, BalilLa .etc. Detta pellicola verrebbe da essi presa, proiettata etc., ad invito, senza, naturalmente che noi si figuri in nessuna maniera.

I nazionalsocialisti mi hanno posto a disposizione i loro giornali: così anche la parte della Destra più nazionalista. Nei prossimi giorni vedrò come organizzare tale servizio che è di importanza non lieve.

Sarebbe certo opportuno avere qualche direttiva. Io non prometto mai nulla e mi limito ad istruire coloro con cui parlo su cosa è l'Italia, il Fascismo, le mire francesi e via di seguito, onde poter agire più efficacemente. Va da sè che il tutto rimane riservatissimo e come compiuto di mia iniziativa •.

(l) -Cfr. p. 306, nota 2. (2) -Cfr. n. 478. (3) -Allude al processo intentato da Hitler contro Abel che lo aveva accusato di aver ricevuto nel 1923 denaro dall'Italia tramite il Capitano Migliorati. Cfr. n. 377, allegato.
493

PROMEMORIA PER IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, BURZAGLI (l) (U S M, cart. 3177/7)

RISERVATISSIMO. Roma, 14 aprile 1930.

Secondo i risultati della Conferenza di Londra l'Italia e la Francia, salvo che non sia intervenuto un accordo verbale, avranno piena facoltà di svolgere i loro programmi navali relativi alle navi non contemplate dal Trattato di Washlngton.

L'opposizione della Francia ad accordarci la parità navale, non solo su quanto si riferisce al tonnellaggio totale esistente, ma altresì allo svolgimento

dei programmi degli anni venturi, fa presumere che, di fronte a qualsiasi nostro programma navale, essa adotterà provvedimenti analoghi intesi a mantenere o ad accrescere la differenza esistente attualmente tra le due marine.

Poichè trapela che i risultati della Conferenza di Londra, in certo modo suggerirebbero all'Italia di svolgere un vasto programma navale nell'intesa di cercare di raggiungere di fatto la parità con la Francia o quanto meno avere una superiorità all'attuale situazione, occorrerà tener presente il pericolo di una tale decisione, la quale evidentemente ci porrebbe nella condizione di ingaggiare con la Francia una lotta di armamenti navali la quale, essendo basata sulla maggiore potenzialità economica dei due paesi, evidentemente si risolverebbe a tutto nostro danno.

Si ritiene quindi che sarebbe forse miglior partito, per parte nostra, far una dichiarazione nel senso che l'Italia, inspirata all'idea di un vero disarmo, in seguito ai risultati della Conferenza di Londra, non svolgerà particolari programmi di aumenti di armamenti navali e che, in avvenire, si regolerà per le nuove costruzioni secondo i programmi che verranno svolti dalla Francia.

In questa maniera noi otterremo due scopi: a) di fronte all'opinione pubblica, specialmente anglo-americana non saremo noi quelli che saremo ·considerati causa di ulteriori aumenti negli armamenti navali; b) poichè lo svolgimento del programma navale attualmente in corso, che comprende navi le quali non sono ancora impostate, rappresenterà già un maggiore ed omogeneo sviluppo della nostra marina, ed un onere non indifferente del bilancio, la nostra situazione di fronte alla Francia, qualora potesse essere mantenuta quella che è attualmente ci potrebbe dare modo di addivenire più facilmente ad una futura intesa.

(l) II documento è stato redatto da un ufficio dello Stato Maggiore.

<
APPENDICI

APPENDICE I

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO (Situazione at t• gennaio 1930)

AFGANISTAN

Kabut -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ALBANIA

Tirana -SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; QUARONI Pietro, primo segretario; ZAMBONI Guelfo, console con funzioni di segretario; CASTELLANI Vittorio, vice console con funzioni di segretario; PARIANI Alberto, generale di brigata, addetto militare; DANISCA Pietro, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -PIGNATTI MoRANO DI CusToZA Bonifacio, ambasciatore; GAZZERA Giuseppe, consigli€re; RossET DESANDRÉ Antonio, console con funzioni di segretario; DE PINEDO marchese Francesco, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; DE ANGELis Giulio, capitano di vasc€llo, addetto navale; MANCINI Tommaso, addetto commerciale.

AUSTRIA

Vienna -AURITI Giacinto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GEis:!!ER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, primo segretario; MARINI Vittorio, console con funzioni di segretario; CuTURI Antonio, console con funzioni di segretario; FABBRI Umberto, ten€nte colonnello, addetto militare e aeronautico; DI NoLA Carlo, addetto commerciale.

BELGIO

Bruxelles -DuRAzzo marchese Carlo, ambasciatore; CHIARAMONTE BoRDONARO Gabriele, consigliere; ToMMASI Giuseppe, console con funzioni di segretario; Pxccw Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi); RADICATI, dei conti di Marmorito, Augusto, capitano di vascello, addetto navale (residente a Parigi); BERAUDO, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi).

42 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

BOLIVIA

La Paz-CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FRANSONI Francesco, primo segretario.

BRASILE

Rio de Janeiro -ATTOLrto Bernardo, àmbasèiatore; MARIANI Alessandro, consigliere; PoRTA Mario, primo segretario; PEREGO Carlo Alberto, vice console con funzioni di segretario; DE ANGELIS Giulio, capitano di vascello, addetto navale (residente a Buenos Aires).

BULGARIA

Sofia -PIACENTINI Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RoNCALLI, dei conti di Montorio, Guido, primo segretario; WIEL Ferdinando, console con funzioni di segretario; CoccoNI Francesco, tenente colonnello di fanteria, addetto militare e aeronautico; SECCHI Attilio, èapitano di vascello, addetto navale (residente a Costantinopoli).

CECOSLOVACCHIA

Praga -PEDRAZZI Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CosTA SANSEVERINO principe Francesco, primo segretario; DE SrMONE Paolo, addetto; CADORNA conte Raffaele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; CAssoNE Ferdinando, colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Belgrado); BENEDETTI G. P., reggente la delegazione commerciale.

CILE

Santiago -DURINI DI MoNZA conte Ercole, ambasciatore; ALLIEVI Antonio, primo segretario con funzioni di consigliere; DE ANGELIS Giulio, capitano di vascello, addetto navale (residente a Buenos Aires).

CINA

Pechino-VARÉ Daniele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRTINr Claudio, primo segretario; Ros Giuseppe, interprete; Dr RENZO Marco, interprete; CALAMAI Marco, tenente di vascello, addetto navale e militare.

COLOMBIA

Bogotà -CECCHI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TELESIO. dei duchi di Toritto, Giuseppe, console con funzioni di segretario.

COSTARICA

S. Josè -UMILTÀ Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (resi

dente a Panama). CUBA

Avana -VIVALDI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

DANIMARCA

Copenaghen -VIOLA Guido, conte di Campalto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CITTADINI conte Pier Adolfo, console con funzioni di segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del genio aeronautico, addetto aeronautico (residente a Berlino); Luzi Renato, addetto commerciale.

DANZICA

Danzica -N. N.

EGITTO

Cairo -PATERNÒ DI MANCHI DI BILICI marchese Gaetano, inviato straordinario e ministra plenipotenziario; ToNI Piero, primo segretario; ALESSANDRINI Adolfo, console con funzioni di segretario; SPERANZA Vincenzo, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale; SoLA Giorgio, interprete.

EQUATORE

Quito -TosTI, dei duchi di Valminuta, conte Mauro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ESTONIA

Tallin (Reval) -VIGANOTTI GIUSTI conte Gianfranco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RovAsENDA DI RovAsENDA (dei conti) Vittorio, primo segretario; ROATTA Mario colonnello di fanteria, addetto militare (residente a Varsavia).

ETIOPIA

Addis Abeba -CORA Giuliano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Muzi FALCONI (dei baroni) Filippo, vice console con funzioni di segretario; CERULLI Enrico, consigliere coloniale di 2• classe; SoURIN Tchakrian, interprete.

FINLANDIA

HeLsinki (Helsingfors) -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPRANICA DEL GRILLO marchese Giuliano, console con funzioni di segretario; RoATTA Mario, colonnello di fanteria, addetto militare (residente a Varsavia); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del genio aeronautico, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -MANZONI conte Gaetano, ambasciatore; BoscARELLI Raffaele, consigliere; CANTONI MARCA (dei conti) Antonio, primo segretario; PERRONE, dei conti di San Martino, Ettore, console con funzioni di segretario; LANDINI Amedeo, console; SALLIER DE LA TouR CoRIO duca Paolo, vice console con funzioni di segretario; PICCIO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; BERAUDO, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; RADICATI, dei conti di Marmorito, Augusto, capitano di vascello, addetto navale; CaLETTI Silvio, consigliere di emigrazione; BALLERINI Elisio, consigliere commerciale.

GERMANIA

Berlino -0RSINI BARONI Luca, ambasciatore; CICCONARDI Vincenzo, consigliere; ScADUTo Gioacchino, primo segretario; ANFuso Filippo, console con funzioni di segretar.io; CIPPico (dei conti) Tristam Alvise, vice console con funzioni di segretario; Rossi Camillo, colonnello, addetto militare; TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del genio aeronautico, addetto aeronautico; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale.

GIAPPONE

Tokio-N. N., ambasciatore; WEILL ScHoTT Leone, consigliere; CoNFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console con funzioni di segretario; MELKAY Almo, interprete; FRATTINI Enrico, tenente colonnello del genio.

GRAN BRETAGNA

Londra -CHIARAMONTE BORDONARO Antonio, ambasciatore; MAMELI Francesco Giorgio, consigliere; CROLLA Guido, console con funzioni di segretario; PRUNAs Renato, console con funzioni di segretario.

GRECIA

Atene -BAsTIANINI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERARDIS Vincenzo, primo segretario; SERENA DI LAPIGIO (dei baroni) Ottavio, console con funzioni di segretario; TRIONFI marchese Luigi, tenente colonnello, addetto militare; BERTOLDI Giuseppe, capitano di fregata, addetto navale ed aeronautico; DE SANTO Demetrio, interprete.

GUATEMALA

Guatemala -SAVONA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HAITI

Porto Principe -VIVALDI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipoten• ziario (residente all'Avana).

HEGIAZ

Gedda -SoLLAzzo Guido, console.

HONDURAS

Tegucigalpa -SAVONA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

JUGOSLAVIA

Belgrado -GALLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoSMELLI Giuseppe, primo .segretario; BARBARICH conte Alberto, console con funzioni di segretario; VISCONTI PRASCA Sebastiano, colonnello di fanteria, addetto militare; CATTANEO Carlo, capitano di frega·ta, addetto navale (residente a Bucarest); CASSONE Ferdinando, colonnello di aeronautica, addetto aeronautico; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; DE SARNO SAN GIORGIO Dionisio, interprete.

LETTONIA

Riga -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario; ROATTA M.ario, colonnello di fanteria, addetto militare (residente a Varsavia).

LIBERIA

Monrovia -N. N.

LIECHTENSTEIN

Vaduz -BIANCHI Vittorio, console generale (residente a Zurigo).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi Camillo, colonnello, addetto militare (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -MERIANO Francesco, incaricato d'affari.

MAROCCO

Tangeri -DE FACENDIS Domenico, inviato straordinario e ministro plenipoten.ziario.

MESOPOTAMIA (IRAK)

Bagdad -AGOSTINI Bruno, console.

MESSICO

Messico -MACCHIORO VIVALBA Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MONACO (Principato)

Monaco -N. N.

NICARAGUA

Managua -SAVONA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

NORVEGIA

OsLo -SENNI (dei conti) Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AssERETO Tommaso, primo segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del genio aeronautico, addetto aeronautico (residente a Berlino).

PAESI BASSI

Aja -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoNARELLI DI CASTELBOMPIANO conte Vittorio Emanuele, primo segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del gemo aeronautico, addetto aeronautico (residente a Berlino): TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino).

PALESTINA

Gerusalemme -PASCALE Giovanni, console generale.

PANAMA

Panama -UMILTÀ Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione -NEGRI (dei conti) Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERSIA

Teheran -DANEo Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERU'

Lima -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

POLONIA

Varsavia -MARTIN FRANKLIN conte Alberto, ambasciatore; PETRUCCI Luigi, consigliere; RULLI Guglielmo, console con funzioni di segretario; RoATTA Mario, colonnello di fanteria, addetto militare navale· e aeronautico; CoRVI Antonio Menotti, addetto commerciale; ANGLE Romano, interprete.

PORTOGALLO

Lisbona-ARONE Pietro, barone di Valentino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARIANI Luigi, primo segretario; GABETTI Giovanni Battista, capitano di vascello, addetto navale (residente a Madrid); ToNINI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Madrid); LoNGO Ulisse, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Madrid); MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEQUIO Francesco, primo segretario; DI STEFANO Mario, console con funzioni di segretario; MERCALLI Luigi, colonnello di fanteria, addetto militare; CATTANEO Carlo, capitano di fregata, addetto navale; CASSONE Ferdinando, colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Belgrado); DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; RaccHI Cesare, interprete.

SALVADOR (REPUBBLICA DEL)

San Salvador-SAVONA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala).

SAN MARINO

San Marino -GoRI Giuseppe, console.

SANTA SEDE

Roma -DE VEcCHI DI VAL CISMON conte Cesare Maria, ambasciatore.

SIAM

Bangkok -DE Rossi Girolamo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bovo Goffredo, console interprete di 2• categoria.

SIRIA

Damasco -BENZONI Giorgio, console interprete.

SPAGNA

Madrid -MEDICI, dei marchesi del Vascello, Giuseppe, ambasciatore; DE PEPPO Ottavio, consigliere; DELLA PoRTA Francesco, console con funzioni di segretario; MALASPINA, dei marchesi di Carbonara e di Volpedo, Folchetto, console con funzioni di segretario; GABETTI Giovanni Battista, capitano di vascello, addetto navale; ToNINI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare; LoNGO Ulisse, maggiore di aeronautica, addetto aeronautico; MARIANI Erminio, consigliere commerciale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington-DE MARTINO Giacomo, ambasciatore; MARCHETTI di Muriaglio conte Alberto, primo segretario con funzioni di consigliere; MoNAco Adriano, console con funzioni di segretario; SoARDI Carlo Andrea, vice console con funzioni di segretario; NoTARBARTOLO, dei duchi di Villarosa, Luigi, capitano di vascello, addetto navale; PENNAROLI Marco, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; ScARONI Silvio, maggiore di aeronautica, addetto aeronautico; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, reggente la delegazione commerciale.

SUD AFRICA (UNIONE DEL)

Capetown-LABIA conte Natale. inviato straordinario e ministro plenipontenziario.

SVEZIA

Stoccolma -CoLoNNA (dei principi) Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAFFARELLI (dei duchi) Filippo, primo segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del genio aeronautico, addetto militare (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE ANGELis Mariano, primo segretario; CASSINIS Angiolo, primo segretario; PICCIO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi); PENTIMALLI Natale, colonnello di artiglieria, addetto militare.

TURCHIA

Angora -ALOISI barone Pompeo,·ambasciatore; KocH Ottaviano Armando, primo segretario con funzioni di consigliere; BovA ScoPPA Renato, console con funzioni di segretario; GALLI Guido, console; LA TERZA Pierluigi, console con funzioni di segretario; FoNTANA Franco, console con funzioni di addetto commerciale; MACCHI DI CELLERE (dei conti) Pio, vice console con funzioni di .segretario; CARocci Carlo, interprete; CAPIZZI Manlio, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; SECCHI Attilio, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico; PoDESTÀ Giuseppe, interprete.

UNGHERIA

Budapest -ARLOTTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE AsTIS Giovanni, console con funzioni di segretario; OxiLIA Giovanni Battista, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare e aeronautico; DI NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna).

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOVIETICHE SOCIALISTE

Mosca -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; PERSico Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere; BucEVICH Antonio, console con funzioni di segretario; DE FERRARI Aldo, tenente colonnello, addetto militare; RELLI Guido, interprete.

URUGUAY

Montevideo -BERNARDI Temistocle Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoMBARDI Mario, primo segretario; DE ANGELIS Giulio, capitano di vascello, addetto navale (residente a Buenos Aires).

VENEZUELA

Caracas -CAvrccHIONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipoten.ziario.

YEMEN

Hodeida -N. N., console.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

(Situazione al l" gennaio 1930)

MINISTRO

GRANDI Dino, deputato al Parlamento.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

FANI Amedeo, deputato al Parlamento.

GABINETTO

Affari confidenziali-Ricerche e studi in relazione al lavoro del Ministro

Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del Ministro

col Parlamento e col Corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di Gabinetto: GHIGI Pellegrino, primo segretario di legazione di 2• classe.

Segretari: JACOMONI Francesco, OTTAVIANI Luigi, primi segretari di legazione di 2• classe; Rossi LoNGHI (dei marchesi) Alberto, NoNrs Alberto, consoli di 2• classe; JANNELLI Pasquale, console di 3• classe; GIUSTINIANI (dei marchesi) Raimondo, ToRELLA (dei baroni) Raimondo nob. di Romagnano, vice consoli di 2• classe; CHASTEL Roberto, addetto consolare.

Direttore dell'Archivio: FossATI Oreste.

UFFICIO STORICO DIPLOMATICO

Raccolta e compilazicme di materiale storico sopra questioni di politica estera d'interesse pratico ccmtemporaneo a complemento e illustrazione dei documenti ufficiali-Raccolta, custodia e aggiornamento di cotlezicmi cartografiche e stuaì geografici -Diario storico del Ministero -Classificazione e diramazione degli atti diplomatici-Diramazione di essi -Libri Verdi -Raccolta, coordinamento e valorizzazione di tutti gli elementi tratti dai carteggio delle Regie Rappresentanze all'estero e da ogni altra fonte -Studi e preparazione di carattere politico ed economico.

Capo Ufficio: JACOMONI Francesco, primo segretario di legazione di 2• classe.

Segretari: ScAMMACCA Michele, CoRTESE Luigi, consoli di 2• classe; SACERDOTI, dei conti di Carrobio, Renzo, vice console di 2• classe; SILI Francesco, NAVARRINI Guido, addetti consolari.

SERVIZIO GEOGRAFICO

ADEMOLLO Umberto, generale di divisione; CoBALTI Camillo, tenente colonnello di fanteria.

UFFICIO AFFARI RISERVATI

Capo Ufficio: DE Rossi DEL LION NERO Pier Filippo, consigliere di legazione. Segretario: GuGLIELMINETTI Giuseppe, console di 2" classe.

UFFICIO STAMPA

Rivista della stampa estera e della stampa italiana nei riguardi della politica estera -Informazioni a giornali od agenzie italiane ed estere Traduzioni.

Capo ufficio: FERRETTI Landa, deputato al Parlamento.

Segretari: CANCELLARlo D'ALENA Francesco, console di 1 • classe; MASCIA Luciano, console di 2• classe; BRUGNOLI Alberto, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: N. N.

UFFICIO DEL PERSONALE

Personale di ogni categoria dipendente dal Ministero (eccetto il personale delle scuole italiane all'estero e quello di servizio) -Uffici diplomatici e consolari all'estero: loro istituzione e soppressione -Addetti militari, navali, aercmautici e commerciali e loro uf]ici -Servizio d'ispezione agii

uffici all'estero -Questioni di ordinamento del Ministero e delle carriere dipendenti -Commissioni di avanzamento -Consiglio del Ministero Concorsi -Ammissioni-Annunzi e bollettini del personale -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini di detto personale -Rapporti informativi sul personale -Matricola generale -Disciplina del personale subalterno del Ministero -Legalizzazione di atti Corrispondenza e contabilità relativa -Passaporti diplomatici.

Capo ufficio: Tuozzr Alberto, consigliere di legazione.

Segretari: VIDAU Luigi, console di l" classe; TuRCATo Ugo, console di 3" classe; CARUSO Casto, CAsTELLANI Augusto, addetti consolari; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari-Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia-Massimario -Visite e passaggi di Capi di Stato. Principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere -Libretti e richieste ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: TALIANI Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2" classe.

Segretari: Boccr Giunio, console di l" classe; DALLA RosA PRATI Rolando, marchese di Collecchio, addetto consolare.

UFFICIO C.A.S.E.

Esame delle proposte di costruzione, acquisto, arredamento delle Regie Rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero -Esecuzione delle decisioni della Commissione per le costruzioni, acquisti. arredamenti ed affitti delle Regie Sedi all'estero (C.A.S.E.) -Forniture e rinnovo delle dotazioni tipo -Vigilanza ed esecuzione del Regolamento per l'uso dei mobili ed immobili patrimoniali deHo Stato adibiti ad uso deHe Regie Rappresentanze all'estero -Segreteria della Commissione C.A.S.E.

Capo ufficio: ToRTORA BRAYDA Camillo conte di Policastro, primo segretario di legazione di 1• classe.

SERVIZIO TECNICO

Dr FAUSTo Florestano, esperto tecnico -BuzzELLI Giuseppe, disegnatore principale del Real Corpo del Genio Civile.

UFFICIO PUBBLICAZIONI E RACCOLTE AMMINISTRATIVE

Raccolta dei decreti organici -Coordinamento di Leggi e regolamenti Testi unici -RaccoLta deLle circolari e degli ordini di servizio -BolLettini vari -Annuario diplomatico.

Capo ufficio: ToscANI Angelo, console generale di 1• classe.

UFFICIO AMMINISTRATIVO

Disegni di Legge d'indoLe finanziaria e amministrativa -Decreti relativi a stipendi-Assegni ed indennitd varie aL personale del Ministero e carriere dipendenti -Interpretazione della tariffa ccmsolare -Amministrazione dei varii fondi ospitatieri, di beneficenza e di sussidi a vedove ed orfani di funzionari del Ministero -Spese per commissioni di esami, missioni ed incarichi, contributi ad istituzioni diverse -Liquidazione di pensioni -Gestione dei fondi per L'acquisto, costruzione ed arredamento di sedi per le Regie Rappresentanze aLL'estero -Gestione della Concessione italiana di Tientsin -Gestione dei fondi per gli stabili e locali ad uso dell'amministrazione centrale; manutenzione ordinaria e straordinaria, assicurazioni, arredamento -Inventari rendiconti, conservazione e manutenzione del materiale mobile dell'Amministrazione centrale -SorvegLianza, disciplina e servizio del personale subalterno di ruolo e non di ruolo -Tipografia riservata, operai, ma.teriale, stampati e rilegature di registri per uffici -Spese d'ufficio, riscaldamento, ilLuminazione, vetture, cancelleria -Spese eventuali -Richieste aL Provveditorato generale -Acquisti diversi -Contratti, contabilitd relativa -Feste, ricevimenti Forniture, disposizioni interne e relative spese -Corredi per i Regi Uffici all'estero, bandiere e stemmi, sigiLli e ritratti deLle Loro Maestd, contratti, ordinazioni e contabilitd relative -Magazzino carta, oggetti cancelleria e stampati e contabititd relativa -Carteggio relativo ai predetti servizi -Custodia valori -Ritiro ed assunzione in carico e successive spedizioni dei valori ed effetti scaduti nelle successioni dei connazionali all'estero o rimessi al Ministero per altre cause, e contabilitd relativa Decorazioni nazionali, acquisto, consegna e contabilitd -Servizio delle anticipazioni e reLativi rendiconti -Preparazione e distribuzione stipendi ed indennitd fisse e compensi varii al personaLe del Ministero -Riscossioni e pagamenti varii.

Capo uffi.c.io: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BoNAVINO Arturo, AcosTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; BoNTEMPS Aldo, primo commissario consolare; VELONÀ Antonino, GUASONI Uberto, commissari consolari.

BIBLIOTECA

Conservazione ed incremento delle pubblicazioni; proposte per acquisto di libri e periodici -Scambio di pubblicazioni con altri Ministeri od Istituti italiani ed esteri -Cataloghi, schedari -RaccoLta sistematica delLa Legislazione straniera per ciò che può concernere Le relazioni internazionali e L'Amministrazione degli Affari Esteri -Forniture di pubblicazioni ufficiali a corredo dei Regi Uffici diplomatici e consolari.

Bibliotecario : PIRONE Raffaele.

Vice bibliotecario: RoNZANI Francesco.

TIPOGRAFIA RISERVATA

Stampa e rilegatura degli atti riservati delle Conferenze internazionali Trattati, convenzioni, protocolli e accordi stipulati dall'Italia -Cifrari Relazioni e verbali del Consiglio del Contenzioso diplomatico -Libri verdi -Questionari, pubblicazioni e documenti diplomatici di carattere segreto.

Direttore: BERNI Fedele.

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI D'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA

Direttore generale: GuARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

UFFICIO I

Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Monaco -Norvegia -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna Stati Balcanici -Svezia -Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche.

Capo ufficio: PITTALis Francesco, consigliere di legazione.

Segretari: DE PAoLis Pietro, console di 2" classe; SCAGLIONE Roberto, vice console di 1• classe; GABRICI Tristano, addetto consolare.

UFFICIO II

Austria -Cecoslovacchia -Romania -Ungheria.

Capo ufficio: SuMMONTE Gonsalvo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Segretari: TALAMO ATENOLFI, marchese di Castelnuovo, Giuseppe, primo segretario di legazione di l a classe; CAPPELLANI, dei baroni della Formica, Raffaele, addetto consolare.

UFFICIO III

Bulgaria -Grecia -Jugoslavia -Turchia -Affari concernenti le Isole Italiane dell'Egeo.

Capo ufficio : INDELLI Mario, consigliere di legazione.

Segretari: DEL BoNo conte Giorgio; REVEDIN, dei marchesi di San Martino, conte Giovanni, addetti consolari.

UFFICIO III-A

Albania.

Capo ufficio: MELI LuPI DI SoRAGNA marchese Antonio, consigliere di legazione.

Segretario: Lo FARO Francesco, addetto consolare.

UFFICIO IV

Africa -Penisola arabica -Mesopotamia -Palestina -Siria Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia Italiana.

Capo ufficio: N. N.

Segretari: GuARNASCHELLI Giovanni Battista, console di l" classe; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, console di 2" classe; CASTRONUOVO Manlio, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI DI AMERICA, ASIA ED AUSTRALIA

Direttore generale: PAGLIANO conte Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

UFFICIO I

America del 1WI'd, Oceania ed Asia tranne le regioni attribuite all'ufficio IV della Direzione generale Europa, Levante ed Africa.

Capo ufficio : SAPUPPO Giuseppe, consigliere di legazione.

Segretari: NARDI Luigi, console di 2• classe; FRANco conte Fabrizio, addetto consolare.

UFFICIO II

America Latina.

Capo ufficio: GuAzzoNE DI PASSALACQUA conte Pietro Alfredo, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretario: ARcHI Pio, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI E AFFARI CON LA SANTA SEDE

Direttore generale: SANDI CCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l • classe, consigliere di Stato.

UFFICIO I

Redazione formale dei Trattati e degli Accordi internazionali in genere Atti relativi alla loro efficacia: ratifiche, adesioni, denuncie; leggi e decreti di approvazione e di esecuzione di essi -Registrazione degli atti internazionali presso la Società delle Nazioni-Raccolta e pubblicazione delle convenzioni internazionali -Redazione formale dei provvedimenti legilativi e governativi concernenti il Ministero degli affari esteri; relazione al Consiglio dei Ministri; presentazione al Parlamento Nazionale dei disegni di legge riguardanti lo stesso Dicastero e relative pratiche ulteriori -Esame dei disegni di legge e degli schemi di atti di Governo su proposta di altri Dicasteri in quanto possano avere attinenza con quello degli Affari Esteri.

Capo ufficio: DE MARSANICH, dei conti, Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: SILENZI Renato, primo segretario di legazione di l a classe; BERGAMASCHI Bernardo, console di a• classe; CoRRIAS Angelino, addetto consolare.

U:E'FICIO II Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: CAVRIANI (dei marchesi) Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2" classe. Segretario: Rossr LoNGHI (dei marchesi) Gastone, console di 2• classe.

UFFICIO SOCIETA NAZIONI Lavori preparatori delle Sessioni de W Assemblea e del Consiglio delta Società delle Nazioni, della Conferenza internazionale del Lavoro e delle diverse conferenze e riunioni attinenti alta Società delle Nazicmi e all'Ufficio Internazionale del Lavoro -Rapporti col Segretariato delta S. N., con t'U.I.L. e cogli organismi da essi dipendenti e collaterali -Delegati, consiglieri tecnici ed esperti -Coordinamento dell'attività delle Delegazioni e dei Delegati italiani -Coordinamento dei dati tecnici forniti dalle Amministrazioni dello Stato, in relazione ai singoli problemi -Collegamento fra gli organi delta Società delle Nazioni e gli altri Enti internazionali con le varie Amministrazioni dello Stato-Ordinamento e custodia degli atti e documenti relativi -Questioni dipendenti dall'applicazione dei trattati di pace, in quanto non siano di competenza specifica degli Uffici politici -Istituto internazionale di cooperazione intellettuale Istituto internazionale per La unificazione del Diritto privato -Ccmgressi e Conferenze in genere -Corte permanente di giustizia internazionale Corte permanente d'arbitrato -Istituti internazicmali in genere.

Capo ufficio: Rosso Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: BUTI Gino, VINCI GIGLIUCCI conte Luigi Orazio, consiglieri di legazione; BERlO Alberto, RoMANo Guido, MrGONE Bartolomeo, consoli di 2• classe; PLETTI Mario, MACCHI, dei conti di Cellere, conte Francesco, FERRERO Andrea, addetti consolari.

UFFICIO GIURIDICO Consulente generale: ScrALOJA Vittorio, senatore del Regno, ministro di Stato, professore di diritto nella Regia Università di Roma. Segretario generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro pleni

potenziario onorario con rango di l • classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nella Regia Università di Roma. Consulenti: BRoccHI Igino, consigliere di Stato; PILOTTI Massimo, consigliere di Cassazione; ALBERTAZZI conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nel Regio Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; MoNTAGNA Raffaele, referendario al Consiglio di

Stato, con titolo onorario di consigliere di legazione. Segretari: ToFFOLO Giovanni Battista, SETTI Giuseppe, addetti consolari.

43 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. VIII

UFFICIO DI POLITICA ECONOMICA

Segreteria della Commissione internazionale per l'azione economica all'estero -Collegamento in materia economico-commerciale fra le Direzioni generali Europa, Levante e Africa; America, Asia ed Australia ed i Ministeri tecnici competenti.

Capo ufficio: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l" classe.

Segretari: SPECHEL Augusto, console di l • classe; ZECCHIN Guido, addetto consolare.

Comandato: DEI MEDICI conte Ugo, consigliere di finanza.

DIREZIONE GENERALE ITALIANI ALL'ESTERO E SCUOLE

Direttore generale: PARINI Piero, console generale di 2• classe.

UFFICIO I

Fasci e istituzioni italiane all'estero.

Capo ufficio: N. N.

Segretario: CHIAVARI (dei marchesi) Gian Girolamo, vice console di 2• classe.

Comandato: DINI Ottavio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO II

Assistenza agli Italiani all'estero.

Capo ufficio: PASETTI Vittorio, primo segretario di legazione di l" classe. Segretario: CAPECE GALEOTA Giuseppe, console di 3• classe.

UFFICIO III

Scuole Italiane all'estero.

Capo ufficio: GABBRIELLI Luigi, console generale di 2• classe.

Segretari: MoscA Bernardo, console di 2• classe; DEL DRAGO BISCIA GENTILI Marcello, console di 3" classe; ARRIGHI Ernesto, addetto consolare.

Addetto all'ufficio con incarico speciale: RIMONDINI prof. Felice, regio provveditore agli studi.

Comandati: DE FINA Andrea, segretario capo nei R. Provveditorati agli studi; MALGERI Eugenio, professore nei R. Istituti tecnici; LACCHÈ Augusto, regio ispettore scolastico; BISCOTTINI Umberto, professore nei R. Ginnasi.

DIREZIONE GENERALE DEL LAVORO ITALIANO ALL'ESTERO

Direttore generale: LoJACONO Vincenzo, ambasciatore.

UFFICIO I

Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Progetti di colonizzazione Paesi continentali -Bacino del Mediterraneo -Africa -Canadà.

Capo ufficio: VINCI Adolfo, consigliere dell'emigrazione di l a classe.

Segretari: OLIVERI Umberto, FAGO CATALDO Amedeo, PATRIZI DI RIPACANDIDA, dei duchi di Castelgaragnone, Ernesto, vice consiglieri dell'emigrazione; CARUZZI Ciro, primo segretario dell'emigrazione; SALLIER DE LA TOUR conte Carlo, marchese di Cordon e Combloux, vice segretario dell'emigrazione.

UFFICIO II

Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Trasporti ferroviari e marittimi -Americhe ed Australia.

Capo ufficio: GIANNINI Torquato Carlo, consigliere dell'emigrazione di l a classe.

Segretari: MAsi Corrado, consigliere dell'emigrazione di 2a classe; LAMPERTICO Gaetano, vice consigliere dell'emigrazione; BEVILACQUA Michele, FERRINI Guglielmo, primi segretari dell'emigrazione.

Addetto all'ufficio: Russo Giovanni, commissario onorario dell'emigrazione.

UFFICIO III

Politica del turismo e del lavoro straniero in Italia.

Capo ufficio: LANDUCCI Publio, console generale di 2a classe.

Segretario: BAISTROCCHI Ettore, addetto consolare.

Addetti alla Direzione per Compiti Speciali: DI GIURA (dei baroni) Giovanni, primo segretario di legazione di l" classe; Bosco Giacinto, vice segretario dell'emigrazione; TRONCELLITTI Francesco.

SERVIZIO DEGLI AFFARI PRIVATI

Capo del servizio: BEVERINI Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l n classe.

UFFICIO I

Affari privati Europa, Africa, Palestina, Siria, Irak, Turchia, Penisola ambica.

Capo ufficio: BARTOLUCCI GoDOLINI Giovanni Battista, marchese di Castelletta, console generale di la classe.

Segretario: CoTTAFAVI Antonio, console di 2• classe.

Comandati: CoARI Ernesto, cancelliere capo di Corte d'appello; MIRABELLI Camillo, primo cancelliere; NARDUCCI Virgilio.

UFFICIO II

Affari privati America, Oceania e tutta la parte dell'Asia non compresa nella competenza dell'ufficio I.

Capo ufficio: MoDICA, dei baroni di San Giovanni, Giovanni, consigliere di legazione.

Segretario: GIUSTI Paolo Emilio, console di 2• classe.

Addetti al servizio degli affari privati con incarichi speciali: RABBY Ezio, vice consigliere dell'emigrazione; GRANDINETTI Eugenio, capo sezione dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, vice segretario dell'emigrazione.

SERVIZIO CIFRA, CORRISPONDENZA ED ARCHIVI

Capo di servizio: SILVESTRI Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l" classe.

Segretari: CANNICCI Achille Angelo, VALERIANI Valeria, consoli di 2" classe; ARNÒ Guglielmo, vice console di 2a classe.

CIFRA

Corrispondenza telegrafica e ordinaria in cifra -Compilazione e distribuzione dei cifrari.

Capo ufficio: FossATI Oreste.

ARCHIVIO STORICO

Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e dei Regi Uffici all'estero -Conservazione degli originaLi degli atti internazionali -Conservazione delle carte riversate dagli archivi del Ministero e dai Regi Uffici all'estero -Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali per incarico del Ministero -Inventari, schedari e rubriche.

Capo ufficio: FossATI Oreste.

ARCHIVIO E CORRISPONDENZA Organizzazione e sorveglianza degli archivi -Registrazione e sunto della corrispondenza in arrivo e in partenza -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla cm·rispondenza in arrivo -Archivi correnti e archivi di deposito -Spedizione della cor1"ispondenza -Servizio dei corrie1"i.

Capo ufficio: PERVAN Edoardo, console di l • classe. Segretario: N. N. Comandato: GUARIGLIA Vito, tenente dei CC.RR.

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo di ragioneria: FANO Alberto.

DIVISIONE I

(alla diretta dipendenza del direttore capo di ragioneria) Stato di previsione, variazioni, consuntivo -Tenuta degli impegni e scritture relative, registrazione di mandati-Agenti di riscossione e contabilità relative -Conti giudiziali -Conto corrente infruttifero con il Tesoro deHo Stato -Giornale della contabilità extra biLancio -Accettazione delle tratte emesse dai Regi Agenti all'estero -Conto con it Portafoglio dello Stato -Conti correnti coi Regi Agenti all'estero e servizi relativi -Partitario dei depositi per successioni, atti e diversi -Richieste vagLia del tesoro e postali -Contabilità dei valori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità dei Regi Uffici diplomatici e consolari -Servizio cambia1"io relativo -Liquidazione dei conti delle società di navigazione pe1· il rimpatrio dei nazionali indigenti -Emissione dei mandati relativi Rendiconti delle spese relative alla assistenza militare, smobilitazione, ecc. -Servizio dei cambi -Competenze al personale -Riscont1·o sugli atti amministrativi dell'ufficio amministrativo ed emissione dei mandati relativi.

Capo sezione: DE SANTIS Paolo.

Segretari: CASONI Enrico, MoNTUORI Pietro, consiglieri; AsBOLLI Attilio, BLAIS Manlio, Tosi Emilio, SALVATI Settimio, primi segretari; CoNTI Roberto, Lo SARDo Domenico, VoLPE Mario, ANGELICI Ruggero, segretari; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

DIVISIONE II

Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici demaniali all'estero -Monte pensioni dei maestri elementari -Scritture generali e speciali -Contabilità scolastiche mensili e varie (riscontro e liquidazione delle spese, scritture e corrispondenza relativa) -Emissione dei mandati di pagamento -Materiale scolastico -Gestioni speciali e relative scrittU1·e.

Direttore capo divisione: FIORETTI Vittorio.

Capo sezione: N. N.

Segretari: SuGLIANI Augusto, consigliere; ZAFARANA Gino, TuRA Michele, primi segretari.

Comandato: ANTINUCCI Umberto, capitano di artiglieria.

DIVISIONE III

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e regolamento suU'emigrazione -Scritture generaLi e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento e sulle 1·ichieste fer1'0viarie per i viaggi dei connazionali rimpatrianti -Liquidazione delle competenze ai RR. Commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Tenuta degli impegni, emissione e registrazione dei mandati di pagamento per le spese relative ai servizi dell'emig1·azione -Liquidazione ed approvazione di contabilità per le spese relative ai servizi dell'emigrazione -Liquidazione ed a.pprovazione di contabilità per le spese medesime -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale della emigrazione -Stralcio della contabilità di guerra -Inventari.

Direttore capo divisione: C roTTI Remigio, direttore capo di ragioneria.

Capo sezione: RrsoLDI Giuseppe Arturo, ispettore di ragioneria.

Segretari: BLANDI Silvio, MAZZA Ferrante, TEDEsco Pietro Paolo, primi segretari di ragioneria; RICCA Alfredo, segretario di ragioneria.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente: GRANDI Dino, ministro degli Affari Esteri.

Vice-presidente: SCIALOJA Vittorio, Senatore del Regno, Ministro di Stato, professore di diritto nella Regia Università di Roma.

Consiglieri: BARZILAI Salvatore, senatore del Regno; BERlO Adolfo, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato; BoNIN LoNGARE Lelio, ministro di Stato, ambasciatore, senatore del Regno; CAMMEO Federico, professore di diritto nella Regia Università di Firenze; CAVAGLIERI Arrigo, professore di diritto nella Regia Università di Napoli; CoNTARINI Salvatore, ministro di Stato, ambasciatore, senatore del Regno, consigliere di Stato; CusANI CoNFALONIERI marchese Girolamo, ambasciatore; D'AMELio Mariano, senatore del Regno, presidente della Corte di Cassazione; DE MrcHELrs Giuseppe, ambasciatore, senatore del Regno; DrENA Giulio, professore di diritto nella Regia Università di Pavia; FEDOZZI Prospero, professore di diritto nella Regia Università di Genova; GASPERINI Gino, presidente della Corte dei Conti; GuARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenz.iario di 2• classe; IMPERIALI DI FRANCAVILLA mar,chese Guglielmo, ambasciatore, senatore del Regno; LANZA DI ScALEA principe Pietro, ministro di Stato, deputato al Parlamento; PAULuccr DE' CALBOLI marchese Raniero, ambasciatore, senatore del Regno; PERLA conte Raffaele, presidente del Consiglio di Stato a riposo, senatore del Regno; RoLANDI Rrcci Vittorio, senatore del Regno, ambasciatore onorario; ROMANO Santi, presidente del Consiglio di Stato; SALANDRA Antonio, senatore del Regno, professore di diritto nella Regia Università di Roma; SALVAGO RAGGI marchese Giuseppe, ambasciatore, senatore del Regno; SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l • classe, consigliere di Stato; SoLMI Arrigo, deputato al Parlamento, professore di diritto nella Regia Università di Pavia; VALVASSORI PERONI Angelo, senatore del Regno.

Segretario generale: GIANNINI Amedeo, consigliere di Stato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l • classe.

Segretario aggiunto: N. N.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(Situazione al l" gennaio 1930)

Albania: DJEMIL Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SHTYLLA Tahir, l" segretario.

Argentina: PEREZ Fernando, ambasciatore; LEGUIZAMÒN PONDAL Honorio, consigliere; CHIAPPE Felipe, consigliere di legazione, 1° segretario; AsTENGO Oscar Oneto, l o segretario; FABLET Julian, capitano di vascello, addetto navale ed aeronautico; GRAS Martin, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare e aeronautico; BREBBIA Carlos, addetto commerciale.

Austria: EGGER MoELLWALD Lothar, von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VoLLGRUBER Alois, consigliere di legazione; RoTTER Adrian, segretario di legazione; FRIEBERGER Kurt, consigliere di sezione, addetto per la stampa.

Belgio: FAILLE DE LEVERGHEM Georges, conte de la, ambasciatore; DE LALAING, conte, COnsigliere; BUISSERET-STEENBECQUE DE BLARENGHIEN François, 2° segretario.

Bolivia: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAMPERO Fernando, l" segretario.

Brasile: DE TEFFÉ Oscar, ambasciatore; FIGUEIRA DE MELLO Jeronymo, consigliere; TAVARES Raul, capitano di fregata, addetto navale ed aeronautico; GUIMARAES BAsTos Arthur, dos, 2° segretario; MoRAEs Joao Carvalho, de, 2" segretario; CAMPos Deoclecio, de, addetto commerciale; SPARANO Luiz, addetto.

Bulgaria: VoLKOFF Ivan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SToiLOFF Stoil C., consigliere; VANTCHEFF Nicolas, l" segretario; TocHEFF Stylia4, segretario.

Cecoslovacchia: MASTNY Vojtech, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEINOHA Jaroslav, consigliere; LAICHTER Ivan, segretario; STANE Vojtech, addetto; KRATOCHVIL Antonin, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare ed aeronautico; KuNDRAT Miroslav, segretario, addetto commerciale; ZLATNIK Jan, segretario.. capo ufficio stampa.

Cile: VILLEGAS Enrique, ambasciatore; AHUMADA ANGUITA Ricardo, consigliere; PRADO YVALDES Julio, segretario; CASTRO Enrique, capitano di fregata, addetto navale.

Cina: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SHEN KING Yx, ministro plenipotenziario, con funzioni di consigliere, incaricato d'affari ad interim; TcHou YxN, 2" segretario; CHUMPE T. Kxu, 3° segretario; CHANG CHIA-YuNG, addetto.

Colombia: GoMEZ RESTREPO Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GoENAGA Roberto, l" segretario; LoZANo Y LoZANo Juan, addetto.

Cuba: lzQUIERDO Y 0RIHUELA José Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FoRCADE Y JoRRIN Alfonso, consigliere.

Danimarca: KRUSE J. C. W., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoLLIN Hialmar, segretario.

Dominicana (Repubblica): EsTRELLA DRENA Rafael, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); GARCIA GoDoY Emilio, l o segretario, incaricato d'affari ad interim; PELLERANo ALFAU Arturo, addetto commerciale..

Egitto: SADEK WAHBA pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); EL MouFTI EL GAZAERLY Mohamed bey, 2o segretario, incaricato d'affari ad interim; WASSIF SIMAIKA Henri, addetto; HETATA F., addetto agricolo.

Equatore: PENAHERRERA Luigi Antonio,' incaricato d'affari; PALLARES ZALDUMBIDE Hernan, addetto civile; PESANTES Alcides, addetto militare (assente); EsTRADA Vietar Emilio, addetto commerciale (assente).

Estonia: ToFER Karl, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANsoN David, l o segretario.

Etiopia: WuBIÉ Mangascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Finlandia: THESLEFF Rolf, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HARKONEN Halvar, segretario onorario.

Francia: BEAUMARCHAIS Maurice, ambasciatore; RoGER Jean, ministro plenipotenziario con funzioni di consigliere; DAMPIERRE Robert, conte de, consigliere d'ambasciata con funzioni di l o segretario; GuERIN Hubert, 2" segretario; PICCIONI Marcel, 2° segretario; BEAUVERGER Edmond, barone de, 3° segretario; DEBENEY Vietar, addetto militare e aeronautico; GIRAUDIÈRE Jacques, de la, addetto militare e aeronautico aggiunto; MARQUis André Amédée, capitano di vascello, addetto navale; SANSON Pierre, luogotenente di vascello, addetto navale aggiunto; SANGUINETTI J., addetto commerciale.

Germania: NEURATH Konstantin, barone von, ambasciatore; SMEND Hans, consisigliere d'ambasciata; BuLow Dankward-Christian, von, consigliere di legazione con funzioni di l o segretario; KREUTZWALD Reiner, segretario; MARSCHALL VON BIEBERSTEIN Vietar Heinrich, barone von, segretario; RICHTER Herbert, segretario; STROHEKER Heinrich, consigliere di commercio; BussE Walter, addetto per l'agricoltura.

Giappone: MATSUDA Michikazu, ambasciatore; YoSHIZAWA Seijiro, l o segretario; AKIYAMA Masatoshi, 3o segretario; KuwABARA Tsuru, addetto; OKADA Minoru, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; NIWA Masami, capitano di fregata, addetto navale.

Gran Bretagna: GRAHAM sir Ronald, ambasciatore; NATION J. J. H., colonnello del genio (Stato Maggiore), addetto militare; BEVAN R. H. L., addetto navale; BRADLEY C. R. S., addetto aeronautico; DoNALDSON RAWLINs Evelyn Charles, consigliere d'ambasciata per gli affari commerciali; WIGGIN A. F. H., l o segretario; MAc CLURE W. K., addetto per la stampa, con rango di l" segretario; LISTER FARQUHAR Harold, 2° segretario; CARPENTER H. C. A., 2o segretario d'ambasciata per gli affari comerciali; GAGE Berkeley Everard Foley, 3,o segretario; CREEK H. D., addetto onorario.

Grecia: MAVROUDIS Nicolas, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MosTRAS Basile D., 2° segretario; MANoussos Sotirios, colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico.

Guatemala: MATOS José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GIRON Ramiro, segretario; DuRAN M. Victor, addetto militare.

Hai.ii: LIZAIRE Louis, console generale, reggente provvisorio.

Hegiaz: N. N.

Jugoslavia: RAKITCH Milan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KASSIDOLATZ Dragomir, consigliere; YAROVLJEVITCH Vojislav, 2° segretario; PETROVITCH Rastko, addetto; KoTNIK Cyrille, addetto; VoKOTIC Jovan, addetto; ZAJCic Bozidar, capo ufficio stampa; NEDITCH M. G., addetto militare; VouKTCHEVITCH Petar, addetto aeronautico.

Lettonia: SEYA Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERENDS Karlis, segretario.

Lituania: CARNECKIS Valdemaras, inviato str~ordinario e ministro plenipotenziario; STANEIKA Adalberto, l o segretario.

Messico: GASTELUM Bernardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE NEGRI Manuel, consigliere; URBINA Oscoy Samuel, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; BARRIGUETE Armando, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto.

Monaco: CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

!Vicaragua: CHAMORRo Emiliano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CABRERA Pedro, segretario.

Norvegia: lRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C. L., l" segretario.

Paesi Bassi: VAN DER GoEs A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RoELL W. F. Jonkheer, segretario di l" classe; VAN RIJN J. J., addetto commerciale.

Panama: BuRGos Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZuBIETA BuRGos Edgardo, segretario; ARIAs Carlos Efraim, addetto.

Paraguay: N. N.

Persia: PAKRÉVAN Fatoullah Khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PoUREVALY Abolghassem Khan, l" segretario.

Perù: MUJICA Pedro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GAMIO Y RoMANA Carlos, 2° segretario; LANATA CoUDY Luis, addetto civile onorario; FoRERO Manuel E., addetto militare; MoNGE Enrique, capitano di fregata, addetto navale; SoYER y CALVERa Salvador, addetto commerciale aggiunto onorario; Rrsso Roberto G., addetto commerciale onorario.

Polonia: PRZEZDIECKI Stefan, ambasciatore; DE RoMER Taddeo, consigliere; ToMASZEWSKI Giorgio, consigliere, gerente della sezione consolare dell'ambasciata; GOSIEWSKI Taddeo, segretario; KOMIEROWSKI Ludomir, addetto; MICHALOWSKI Giuseppe, addetto onorario; lVhKULSKI Boleslaw, consigliere commerciale.

PortogalLo: D'OLIVEIRA Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE 0LIVEIRA BERNARDES Armando, 2° segretario.

Romania: GHIKA Demetriu, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANESCo Costantin, consigliere; SoLACOLo Theodore, capo dell'ufficio stampa; PoPEscu David, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare; NrcuLEscu Georges, addetto navale; PoRN Eugenio, consigliere commerciale.

Salvador (Repubblica del): N. N.

Santa Sede: BoRGONCINI DucA Francesco, arcivescovo di Eraclea, nunzio apostolico; TESTA Gustavo, consigliere; SERENA Carlo, uditore.

Siam: RAJAMAITRI Phya Abhibal, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAITRIRAKS Luang Saman, 3° segretario; RAJMAITRI Luang Siri, 3° segretario.

Spagna: Mu:Noz Y MENZANO Cipriano, conte de la Vifiaza, ambasciatore; MuGUIRO Miguel Angel, de, ministro plenipotenziario di 3" classe, consigliere; RoLLAND Bernardo, l" segretario; Mu:Noz y Ro~A TALLADA Alvaro, segretario; GANDARA Y PLAZAOLA José, marchese de la Gandara, addetto onorario; SERT José Maria, addetto onorario (assente); CARRAsco Manuel, addetto onorario; YERBES, conte de, addetto onorario; MARTINEZ DE CAMPos y SERRANo Carlos, conte de la Llovera, maggiore di artiglieria, addetto militare ed addetto aeronautico per l'esercito; MILLE Mateo, capitano di corvetta, addetto navale ed addetto aeronautico per la marina.

Stati Uniti d'America: GARRETT John Work, ambasciatore; KIRK Alexander C., l" segretario; HoLMES Ralston, capitano di vascello, addetto navale; CoLLINs James L., maggiore di artiglieria, addetto militare; MITCHELL Mowatt M., addetto commerciale; TITTMANN Harold H., 2" segretario; BELLINGER Patrick N. L., capitano di fregata, addetto navale aggiunto per l'aviazione; HANSON Ralph Trowbridge, capitano di fregata del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); SHIPP William E., maggiore di cavalleria, addetto militare aggiunto; HusE John Oldham, tenente di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); OsBoRNE A. A., addetto commerciale aggiunto; CHAPIN Seldom, 3" segretario; BLAKINSTON WILKINS Henry, segretario.

Sud Africa (Unione del): PIENAAR Barend Jacobus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HEYMANs Albert, l" segretario; SHEA B. B. J. 0., 2" segretario.

Svezia: SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARNANDER Folke, segretario; BILDT Karel, barone, de, consigliere onorario.

Svizzera: WAGNIÈRE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RuEGGER Paul J., l" segretario; VIELI Pierre, l" segretario; BAVIER Charles Edouard, de, l" segretario.

Tw·chia: SUAD DAVAZ Mehmed bey, ambasciatore; KADRI Mehmed bey, consigliere; RECHIT Mehmed bey, l" segretario; TAHSIN Hassan bey, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico; REFIK Rifki bey, l" segretario; HussEIN Mustafà bey, addetto militare aggiunto.

Ungheria: HoRY Andras, de, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WoDIANER Andras, de, consigliere; RosTY-FORGACH François, de, segretario di legazione; PAPP DE OvAR Gabriel, segretario di legazione di 2• classe; ScHINDLER Costantino, colonnello, addetto militare; HusZKA Istvan, addetto per la stampa.

Unione delle Repubbliche Soviettiste Socialiste: KuRSKY Dimitry, ambasciatore; SALKIND Horace, l" segretario; ERDMANN Boris, 2" segretario; KURNOSSOFF Vladimir, capo ufficio stampa con rango di addetto; VosKANOFF Gaspare, comandante di brigata, addetto militare, navale ed aeronautico; LEVENSOHN Michele, capo aggiunto della rappresentanza commerciale.

Uruguay: PoNs Diego, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CuESTAS Federico, l" segretario; ELENA Esteban, addetto commerciale; ARIAS Teofilo, addetto onorario; CORDANO Rafael, addetto onorariò.

VenezueZa: PARRA-PEREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO J. M., l" segretario; RoJAs Hugo, addetto.